Fui depositata nella stessa stanza in cui lui mi aveva dato il suo sangue, e dove in seguito lo avevo pugnalato. Lui. Fissai la macchia umida sul pavimento di legno, dove il sangue era stato ripulito.
Lui.
Dovevo smetterla di chiamarlo in quel modo. Aveva un nome. Un nome vero. Forse non l’avrei mai pronunciato quando e come desiderava, ma dovevo piantarla di pensare che fosse Hawke o che non avesse affatto un nome.
Si chiamava Casteel. Cas.
E quella camera era il luogo in cui mi aveva salvato la vita e io avevo tentato di privarlo della sua.
Lui ci era riuscito.
Io no.
Spostai lo sguardo su Kieran, che era rimasto accanto alla porta e mi teneva d’occhio come se si aspettasse che tentassi di correre alla finestra per lanciarmi nel vuoto. Inarcò un sopracciglio nella mia direzione; distolsi lo sguardo.
Lui se n’era andato, a fare solo gli dei sapevano che cosa, e aveva lasciato Kieran come sentinella. Be’, almeno sapevo qualcosa di quello che era andato a fare: dopo che aveva lasciato la stanza, una dozzina di domestici aveva riempito la vasca d’ottone con acqua fumante, e un altro aveva posato sul letto un paio di calzoni neri e una tunica puliti.
Una parte di me era sorpresa che mi avesse riportato lì e non nelle prigioni. Non sapevo cosa significasse quella scelta, né se fosse importante che significasse qualcosa.
I miei pensieri turbinavano ancora per tutto quello che era successo. In quel momento non sapevo più nulla, né lui aveva risposto alle domande che gli avevo posto mentre tornavamo. Per esempio, Atlantia era effettivamente un luogo reale?
Perché per quanto ne sapevo io, era stata praticamente rasa al suolo durante la guerra.
D’altronde, tutto ciò che credevo di sapere si era rivelato falso.
Mi sfregai la mano sulla guancia e scoccai un’occhiata a Kieran. «Atlantia esiste ancora?»
Se la mia domanda improvvisa lo aveva colto di sorpresa, non lo diede a vedere. «Perché non dovrebbe?»
«Mi era stato detto che le Terre Desolate…»
«Un tempo erano Atlantia?» mi interruppe lui. «Una volta erano un avamposto, ma non sono mai state l’intero regno.»
«Dunque, Atlantia esiste ancora?»
«Sei mai stata oltre le Montagne di Skotos?»
Piegai la bocca all’ingiù. «Rispondi sempre a una domanda con un’altra domanda?»
«Lo faccio davvero?»
Gli lanciai uno sguardo interrogativo.
Sul suo volto apparve un lieve ghigno, che poi si spense.
«Nessuno è stato al di là delle Montagne di Skotos» gli dissi. «Ci sono solo altre montagne.»
«Montagne che si estendono a tal punto che le cime si perdono nella foschia più densa? Quella parte è vera, ma le montagne non proseguono all’infinito, Penellaphe, e quella nebbia non è naturale, anche se non contiene Craven» disse Kieran, e un brivido mi percorse la schiena. «La nebbia è una protezione.»
«In che senso?»
«È così spessa da non lasciarti vedere nulla. Però allo stesso tempo credi di vedere tutto.» Una strana luce gli riempì gli occhi azzurro pallido. «La nebbia che avvolge le Montagne di Skotos è lì per indurre chiunque osi attraversarle a tornare indietro.»
«E quelli che non lo fanno?»
«Non arrivano dall’altra parte.»
«Perché… perché Atlantia è oltre le Skotos?»
«Tu che cosa credi?»
Quello che credevo era che parlare con Kieran era un esercizio di pazienza ed energia, due risorse che al momento scarseggiavano.
«Hai intenzione di farti il bagno?» chiese lui.
Volevo farlo. La mia pelle non era solo sporca, era anche gelata, e stavo ancora indossando la sua camicia insanguinata.
Ma volevo anche fare la difficile, perché ero terribilmente confusa e, proprio come aveva previsto lui, anche stanca. «E se non lo facessi?»
«È una scelta tua» replicò Kieran. «Ma hai addosso l’odore di Casteel.»
Trasalii nel sentire quel nome. Il suo vero nome. «Ho addosso la sua camicia.»
«Non è di quell’odore che sto parlando.»
Mi ci volle un momento per capire a che cosa si stesse riferendo. E quando ci arrivai, rimasi a bocca aperta. «Riesci a sentire l’odore…?»
Il sorriso di Kieran si poteva solo definire lupesco.
«Farò il bagno.»
Lui ridacchiò.
«Sta’ zitto» sbottai, raccogliendo i nuovi abiti e affrettandomi nella stanza da bagno. Mi chiusi la porta alle spalle, irritata che non vi fosse il chiavistello.
Imprecando sottovoce, mi guardai intorno e sulla parete trovai diversi ganci, ai quali appesi tunica e brache. Mi spogliai velocemente ed entrai nella vasca. Mi immersi nell’acqua profumata di lavanda, ignorando la fitta di dolore in un punto molto intimo. Non mi permisi di pensare a nulla e iniziai a strofinare via il mio sangue… e il suo. Sentii rivoltarsi lo stomaco mentre usavo la saponetta per lavarmi i capelli: quando la schiuma mi scivolò lungo la nuca, mi immersi nell’acqua e rimasi lì.
Resistetti finché polmoni e gola mi bruciarono e dietro le palpebre chiuse scintillarono macchioline bianche. Solo allora riemersi, ansimando in cerca d’aria.
Che cosa avrei fatto con lui? Con tutta quella situazione?
Mi sfuggì una risata strozzata e roca. Non sapevo nemmeno da dove cominciare per risolvere quel groviglio. Avevo appena appreso che il Regno di Atlantia esisteva ancora, ed era la cosa meno incredibile di tutte. Dei, ancora non riuscivo a capire come avessi fatto a passare dallo scoprire chi era davvero a pugnalarlo al cuore, e poi a cadere volontariamente tra le sue braccia.
Serrai forte gli occhi e mi passai le mani sul viso. Non potevo dare la colpa al morso, nonostante avesse avuto un effetto erotico su di me, proprio come il suo sangue. E, tra parentesi, chi avrebbe mai pensato che potesse trasmettere una sensazione tanto bella?
Ma accidenti, mi aveva…
Rabbrividii, mentre nel basso ventre mi fioriva una sensazione turbinosa.
Era l’ultima cosa a cui dovevo pensare in quel momento, se volevo almeno sperare di riuscire a capire che cosa fare.
Dovevo farmi venire in mente un piano di qualche tipo, e in fretta, perché anche se lui non sembrava portare rancore per la pugnalata con la quale avevo tentato di ucciderlo, non ero al sicuro dove mi trovavo. Non sarei mai stata al sicuro con la sua gente. Mi odiavano, e se metà di quello che lui e Kieran avevano detto degli Ascesi e di ciò che avevano fatto era vero, non potevo biasimarli, anche se personalmente io non avevo mai agito contro di loro. Ma mi odiavano per ciò che rappresentavo.
Ciò nonostante, era troppo difficile credere che gli Atlantiani fossero innocenti e che gli Ascesi rappresentassero una violenta tirannia che in qualche modo era riuscita a ingannare un intero regno celando la verità.
Ma…
Ma non avevo mai più rivisto i bambini e le bambine che erano stati consegnati agli dei durante il Rito.
Ma non avevo mai capito come fosse possibile che persone come il Duca Teerman e Lord Mazeen avessero ricevuto la Benedizione degli dei.
Ma non avevo mai visto, nemmeno una volta, un Asceso sollevare un dito per combattere i Craven, la sola cosa che la gente di Solis temeva più della morte stessa.
L’unico pericolo per proteggersi dal quale la popolazione avrebbe fatto, e avrebbe creduto, qualsiasi cosa.
Lui aveva sostenuto che i reali usavano i Craven per controllare la gente, e se ciò era vero, aveva funzionato. Le persone avevano consegnato i loro stessi figli per tenere lontane quelle belve.
Doveva essere vero.
Peggio ancora, altri dovevano essere coinvolti. I Sacerdoti e le Sacerdotesse. Amici intimi della Corte, che non erano Ascesi. Anche i miei genitori?
Dei, non potevo più mentire a me stessa.
Quello che era accaduto con lui era una prova sufficiente. Il suo sangue mi aveva guarita, non trasformata. I suoi baci non mi avevano maledetta. E, fino a quel momento, nemmeno il suo morso.
Gli Ascesi erano Vampry… erano la maledizione che aveva flagellato la terra. Usavano la paura per controllare le masse, ed erano il male nascosto in piena vista, un male che si nutriva di coloro che avevano giurato di proteggere di fronte agli dei.
E adesso mio fratello era uno di loro.
Portai le ginocchia al petto e le circondai con le braccia. Chiusi gli occhi che mi bruciavano di lacrime, mentre appoggiavo la guancia sul ginocchio. Ian non poteva essere come il duca. E la duchessa non era poi tanto male. Né lo era la regina, ma…
Ma se si nutrivano di bambini, prosciugando il sangue di innocenti e creando Craven, non erano meglio del duca.
Strinsi le labbra, ricacciando indietro le lacrime che volevano sgorgare. Avevo pianto abbastanza quel giorno, ma Ian… dei, Ian non poteva essere come loro. Era mite e gentile. Semplicemente non riuscivo a credere che facesse quelle cose. Non potevo.
E poi c’ero io. Se era stata tutta una bugia, allora non sarei mai stata consegnata agli dei. Che cosa avevano in serbo per me? Perché mi avevano reso la Prescelta, collegando tutte le Ascensioni a me? Era per le mie capacità? Ripensai a quello che aveva detto lui dopo che avevo assorbito il suo dolore. Sapeva qualcosa.
Qualcosa che doveva dirmi.
Non ero al sicuro dove mi trovavo, e certamente non lo sarei stata tra gli Ascesi. Se fossi riuscita a scappare, come sarei potuta tornare da loro, sapendo quello che sapevo ora? Come potevo restare e permettergli di condurmi ad Atlantia, dove sarei stata la rappresentante di un regno colpevole di aver massacrato innumerevoli membri del popolo Atlantiano e di chi aveva reso schiavo il loro principe usandolo per creare altri Vampry?
Come potevo restare con lui?
Non importava quello che provavo, non avrei mai potuto fidarmi, e non potevo neanche fingere che quei sentimenti non esistessero. Lo amavo.
Ero innamorata di lui.
Se anche fossi riuscita a superare il fatto che era venuto a Masadonia con l’intenzione di rapirmi e usarmi come merce di scambio, non avrei mai potuto dimenticare il sangue versato a causa sua. Non avrei mai potuto dimenticare che Rylan e Vikter, Loren e Dafina, e moltissimi altri erano morti per sua stessa mano, per suo ordine, o anche solo per ciò che rappresentava. Non avrei mai potuto fidarmi di quello che diceva quando parlava di noi.
Ma poi, che cosa aveva detto di noi?
Mi aveva spinta a credere che provasse qualcosa per me. Che non fossi solo una persona che doveva fingere di proteggere e poi usare per i suoi scopi in quanto principe di Atlantia. Era stato intrigato fin dall’inizio perché non ero come si aspettava che fossi, ovvero una viziata e immorale sostenitrice degli Ascesi. Era stato gentile e interessato perché doveva scoprire tutto quello che poteva su di me, e forse anche perché provava attrazione. Ma che cosa significava davvero?
Quello che era successo nei boschi aveva forse dimostrato che la sua attrazione non era una farsa, ma la lussuria non era amore, non era lealtà, e non sarebbe durata.
A dire il vero non aveva mai parlato di noi, né come Hawke, né come Casteel.
La realtà era sgradevole, e faceva male. Mi feriva nel profondo perché avevo provato calore, ma era tutta una bugia.
Meditai sulle opzioni a mia disposizione. Fuggire. Trovare mio fratello, perché dovevo sapere se era ancora lo stesso, e poi… che cosa? Scomparire? Prima dovevo trovare il modo di scappare.
I Wolven potevano seguire le mie tracce, e lui…
Sfuggirgli sarebbe stato quasi impossibile.
Ma dovevo tentare, doveva esserci un modo. Magari quando non mi fossi sentita la testa piena di ragnatele avrei saputo che cosa fare. Sfinita, lasciai che i miei pensieri vagassero. Probabilmente mi assopii, ancora raggomitolata nella vasca, perché a un certo punto mi sentii chiamare.
«Penellaphe.»
Sollevai il capo di scatto, sbattei rapidamente le palpebre e vidi spuntare il volto di Kieran. Ma che…?
«Bene.» Era inginocchiato dall’altra parte della vasca… la vasca dentro la quale ero completamente nuda! «Temevo fossi morta.»
«Che…?» Mi coprii il petto con una mano e strinsi le gambe più che potevo. Non volevo nemmeno pensare a quello che riusciva a vedere sott’acqua. «Che ci fai qui?»
«Ti ho chiamata e non hai risposto» replicò in tono piatto come una tavola. «Sei qui dentro da un po’. Ho pensato di assicurarmi che fossi viva.»
«Ma certo che sono viva. Perché non dovrei esserlo?»
Kieran inarcò un sopracciglio. «Sei circondata da persone che hanno tentato di assassinarti, nel caso te lo fossi scordata.»
«Non me lo sono scordata. Ma dubito che qualcuno di loro si nasconda nella mia vasca da bagno!»
«Non si può mai essere troppo sicuri.» Non accennò minimamente ad alzarsi e andarsene.
Lo fissai. «Non dovresti essere qui e non dovrebbe essere necessario che te lo spieghi io.»
«Non hai nulla da temere da me.»
«Perché? Per lui?» sputai.
«Per Cas?» disse, e io sbattei le palpebre nel sentire per la prima volta quel soprannome da qualcuno che non fosse lui. «Si arrabbierebbe se mi trovasse qui.»
Non ero certa se saperlo dovesse farmi stare meglio oppure irritarmi di più.
Sul volto di Kieran apparve il fantasma di un sorriso. «E poi sarebbe… intrigato.»
Aprii la bocca, ma la mia mente accolse l’informazione e fece un balzo. Non avevo nulla da dire. Assolutamente nulla, a parte ricordare quello che avevo letto sui Wolven e gli Atlantiani. C’era un legame tra alcuni di loro, e anche se non si sapeva bene di cosa si trattasse, ero sicura che un principe avesse un rango sufficientemente elevato perché i Wolven fossero disposti a legarsi a lui. Volevo chiederlo, ma considerando che ero nuda in una vasca da bagno, non era quello il momento.
Kieran abbassò lo sguardo, spostandolo lungo le mie braccia fino alla curva del ventre e alle cosce. «Tra la mia gente, le cicatrici vengono onorate. Mai nascoste.»
L’unica cicatrice che poteva vedere era quella che avevo all’altezza della vita, su un lato. O almeno lo speravo. «Tra la mia gente, non è educato fissare una donna nuda in una vasca.»
«La tua gente sembra tremendamente noiosa.»
«Vattene!» strillai.
Ridacchiando, Kieran si alzò quasi con la stessa grazia e scioltezza con cui si muoveva lui. «Il principe non vorrebbe che rimanessi seduta nell’acqua sporca e fredda. Probabilmente ti converrebbe finire il tuo bagno.»
Affondai le unghie nelle gambe. «Non mi importa che cosa vuole.»
«Dovrebbe» replicò lui, e io strinsi i denti. «Perché vuole te, anche se dovrebbe avere più buonsenso di così, e anche se sa che finirà in un’altra tragedia.»