Marzo. Analizzare il terreno quando comincia a riscaldarsi dopo l’inverno; se necessario aggiungere ammendanti per migliorare la struttura; fare la concimazione principale dell’anno, o concimazione di base, per migliorare la fertilità; controllare l’efficienza del parco attrezzi; dividere le erbacee perenni troppo fitte; seminare i fiori che poi si possono mangiare.
Aprile. Controllare che non arrivino le malattie crittogamiche con i primi rialzi di temperatura (nel qual caso trattare con il rame); che le violette possano fiorire e andare a seme per diffondersi; che le forbici siano impietose con le forsizie a fine fioritura; che sia concimata e soffice la terra in cui, a fine mese, si mettono a dimora i fiori estivi; che il fenomeno dell’acqua verde nel laghetto non duri più di 2-3 settimane (in caso contrario affrettarsi a ossigenare l’acqua).
Maggio. Fare talee di rami erbacei di forsizia e di altri arbusti che hanno fiorito a fine inverno e nel primo scorcio di primavera; scegliere tra le rose in fiore nelle mostre di giardinaggio quelle più resistenti alle malattie; glorificare in cucina la fioritura delle rose; trattare rose e fiori contro gli afidi facendo a meno dei prodotti chimici.
Il proverbio sul quale meditare. Chi no l’è avviòu a cavarcâ, o cû o ghe spella . Proverbio genovese che suona: «A chi non è abituato a cavalcare, gli si spella il sedere». Perché al giardiniere in primavera non si spellino le mani e le ginocchia il segreto è uno solo: allenarsi lavorando poco ma con continuità e seguendo un calendario dei lavori corretto ma commisurato alle forze e al tempo a disposizione. Solo così l’arte del giardinaggio può essere anche una pratica volta al benessere fisico.
Ah, sante parole! Il primo che ci ha confidato questo segreto ha fatto la nostra fortuna di giardinieri. Adesso è arrivato il momento di divulgare un segreto tutto sommato tanto semplice.
E così: andate in giardino, sollevate una zolla di terra, raccoglietene tra le dita un pizzico prelevato a 10 cm di profondità e pressatelo tra pollice e indice. Ora lasciate andare la presa: che cosa succede?
• Quel pizzico di terra sembra plastilina che porta impresse le vostre impronte digitali e lascia sulle dita la sensazione di freddo e bagnato: è di certo un terreno argilloso.
• Il pizzico di terra conserva per un attimo la forma, poi però si disgrega lasciandovi la pelle vagamente ammorbidita: è un terreno di medio impasto, la migliore base di partenza per progettare piantagioni di successo.
• Allontanate il pollice dall’indice e quel pizzico di terra scivola via e scompare. Vuol dire che è un terreno disgregato, c’è più sabbia che altro: cresceranno bene le piante frugali che stanno al caldo e all’asciutto, ma tutte le altre soffriranno fame e sete.
• Potete ulteriormente cercare conferma con la vista: con discreta approssimazione si può dire che l’argilla è grigia, il terreno di medio impasto è bruno, la sabbia è chiara, ocra o grigio scuro. Questo naturalmente a grandi linee. Se poi sarete abbastanza curiosi da volerne sapere di più, per risposte esaurienti interrogate una scienza che si chiama pedologia. Molto interessante (vedere alla voce «pedologia» su Wikipedia).
È inutile illudersi che praticare il giardinaggio sia solo un hobby gratificante e liberatorio. Dietro al piacere di mettere le mani tra le piante e nella terra ci sono almeno due o tre scienze, e prima o poi ci si deve cascare dentro, sennò il giardinaggio si riduce a poca cosa e non è più una cultura. Nessuno chiederà a un giardiniere amatoriale di parlare il linguaggio specialistico di un botanico, cioè di descrivere così, per esempio, una foglia di gelso nero (Morus nigra): «A inserzione alterna, lamina fogliare larga e lobata, cordata alla base, glabra sulla pagina superiore e pubescente su quella inferiore; margine dentato; apice acuminato». Se parlate a un amico delle foglie del vostro gelso, quasi sicuramente adotterete un linguaggio forse meno preciso, di certo più colloquiale.
Tuttavia ci sono operazioni e situazioni nelle quali il linguaggio puntuale è tutto. Incontrate un amico e questi vi dice che ha distribuito tutto il giorno ammendanti perché il giardino ne aveva un gran bisogno? Voi avete l’obbligo di capire che cosa intendeva per ammendante. Nel giardinaggio si chiamano con questo nome le sostanze adatte a migliorare o ripristinare le caratteristiche fisiche e di tessitura del terreno. La ricetta in breve dice:
• se il terreno è troppo sabbioso metteteci compost, letame maturo, qualsiasi ammendante organico che trattenga un po’ l’umidità e migliori la fertilità. Se ci pensate è facile: per la sua natura di roccia finemente triturata, la sabbia non può contenere il benefico humus e in più disperde velocemente l’acqua delle annaffiature;
• se il terreno al contrario è compatto, pesante, argilloso, una volta ammendato con sabbia dovrebbe diventare più lavorabile, più arieggiato, meno freddo e bagnato. Se poi, imparato il verbo ammendare, vi impratichite di ammendanti, scoprirete che lo sono le foglie compostate, la calce nei terreni acidi (calcitazione), la torba acida nei terreni che non lo sono abbastanza per le piante acidofile…
Lista della spesa indispensabile: una vanga, una zappa, un rastrello di ferro, un trapiantatore, un annaffiatoio da 12 litri, un nebulizzatore, un paio di forbici e uno di forbicioni, un coltellino pieghevole, un segaccio, una carriola. Per quanto si dica, non serve molto altro perché «a un bravo guerrier ogni arma serve». Oltre alla vanga potete possedere il badile e la forca, potete procurarvi due o tre modelli differenti di zappa, oltre al rastrello di ferro anche la scopa metallica, al trapiantatore a mano aggiungere il sarchiatore chiamato ragno, il foraterra, il piantabulbi e via discorrendo. Ma non sarete più felici, né il giardino sarà più facile da governare.
Tanto vale limitarsi al minimo indispensabile e assegnare a se stessi il ruolo di bravi guerrieri capaci di fare tesoro del poco a disposizione. Si può sempre decidere di rimpolpare il parco attrezzi con un nuovo acquisto se si crea una nuova esigenza, per esempio se una nuova siepe diventa ingestibile senza un tagliasiepi elettrico. Piuttosto che riempire il ricovero degli attrezzi con oggetti di cui ci si ricorda sì e no due volte all’anno, fatela in barba ai produttori cinesi di attrezzi economici e decidete di investire in solidi modelli europei, ergonomici e fabbricati in acciaio temprato: vi affezionerete ai nuovi compagni di lavoro.
Durante un sonoro rimprovero alla moglie che lo aiutava a rincalzare patate nel campo e voleva usare la sua zappa, una volta un vecchio contadino delle montagne piemontesi disse: «Ma a te non l’hanno mai detto che la zappa è come la dentiera: un oggetto personale che non si può dare ad altri?» Piuttosto che tanti attrezzi diversi, è meglio che di quei pochi davvero necessari ogni componente della famiglia interessato a praticare il giardinaggio abbia il proprio. Gli attrezzi infatti hanno una loro bilanciatura. Se si costringe un giardiniere di taglia XXL a usare la zappa che è calibrata per la moglie fragile e con le mani piccole, per lui smuovere erbacce, interrare concimi e tracciare solchi diventerà un supplizio spaccaschiena. E non indaghiamo sul fatto che sarebbe forse peggio ancora per la gentile signora alle prese con una vanga che non può stringere in mano né sollevare tanto è pesante.
È importante la misura dell’attrezzo, ma anche del manico, sia in lunghezza, sia nel diametro, sia nel peso. I manici in alluminio sono leggerissimi, a volte anche troppo; quelli di legno vanno scelti con attenzione e sono poco flessibili (meglio di frassino che di faggio). Sicché non bisogna temere figuracce se nel garden center si viene sorpresi a brandire una vanga come un samurai con la sua spada: sono solo le prove di quanta strada si potrà fare in futuro, con soddisfazione, in compagnia di quell’attrezzo.
La concimazione è una pratica che, nelle discussioni, divide addetti ai lavori e filosofi del verde in due autentiche scuole di pensiero. I filosofi asseriscono che la pianta deve trovare il modo di arrangiarsi, come avviene in natura. Gli addetti ai lavori invece ritengono che le piante da giardino e da frutteto sono parte di una natura costruita, di conseguenza vanno aiutate a dare il meglio di sé. In genere i maestri giardinieri la pensano come questi ultimi.
Le piante con apparato radicale legnoso, come arbusti, alberi, rose e fruttiferi, necessitano di una concimazione cosiddetta «di base» nel periodo compreso tra l’inizio del riposo vegetativo (novembre) e l’inizio della primavera (marzo), utilizzando concimi organici possibilmente con una cessione lenta e prolungata. Letame vecchio ben compostato, guano, stallatico pellettato, estratto della lavorazione di pelli, penne e piume, sangue essiccato sono tutti prodotti idonei, ma il migliore in assoluto rimane la cornunghia, spesso proposta in miscela con farina di ossa. Questo prodotto viene ceduto al terreno molto lentamente, la sua permanenza persiste oltre un anno, garantendo alimentazione costante alle piante del giardino e bassissimo dilavamento con le irrigazioni o a causa delle piogge. Sono sufficienti 100-120 g al metro quadrato.
Il momento per concimare le piante in vaso con la cornunghia, somministrata e interrata leggermente, è l’inizio della primavera: sarà sufficiente a garantire un rigoglioso debutto di stagione. Poi, a fine maggio e ormai in vista dell’estate, si potrà rifinire la concimazione con fertilizzanti idrosolubili somministrati ogni 15 giorni con le annaffiature.
Una volta si chiamava verderame ed era competenza del contadino e del vignaiolo, adesso che il giardiniere vuole conoscere tutto e onorare il proprio livello culturale, fa fine chiamarlo con il nome di composto chimico: ossicloruro di rame. I vecchi non distinguevano neppure tra solfato di rame pentaidrato, poltiglia bordolese e, appunto, ossicloruro. Per quanto siano tutti composti di rame con azione fungicida per le piante, il loro ruolo cambia: il solfato di rame puro è fortemente acido e per questo può essere tossico per la vegetazione, dunque lo si usa in genere addizionato a idrossido di calcio e prende il nome di poltiglia bordolese. A causa dell’effetto strong, questo vecchissimo e ancora valido rimedio va usato di preferenza solo quando le piante da trattare sono prive di foglie.
In primavera, per disinfettare le semine contro i marciumi, le rose contro macchia nera e peronospora, gli agrumi contro il mal secco, i meli contro la ticchiolatura, gli olivi contro l’occhio di pavone e via discorrendo, meglio agire con l’ossicloruro di rame, nel quale questo metallo è miscelato a cloruro di calcio (volete la formula? Eccola: 3 CuO · CaCl2 · 3 H2O). Se vi chiedete perché a consigliarvi la chimica in giardino è un maestro giardiniere che fa attenzione a non creare all’ambiente e alla salute dell’uomo più problemi di quanti già ce ne siano, la ragione è duplice.
• Non sempre si può fare a meno della chimica, tutto sta a usarla con buon senso e con le precauzioni del caso.
• Con i composti di rame a effetto anticrittogamico si può stare abbastanza tranquilli. Il rame entra come microelemento in numerosi processi vitali del nostro organismo, non è cancerogeno, né mutageno, non persiste, non è tossico né bioaccumulante. I dati provengono da uno studio della Comunità europea del 2000 relativo alla sicurezza dei cittadini dell’Unione europea riguardo all’esposizione al rame di ambiente e persone.
Non si può dire quanto ne serve per preparare 10 litri di trattamento per il semplice motivo che ogni produttore propone l’ossicloruro in polvere a diverse percentuali di principio attivo, sicché cambia il quantitativo utile per le diverse colture.
Ovvero: come diventare collezionisti da balcone, come tappezzare in giardino gli angoli più romantici in mezz’ombra e come essere tentati di trasformarsi in vivaisti di viole dopo il primo anno di coltivazione, semplicemente allevando e trapiantando le piantine che, in estate, nascono ovunque da sole intorno a una mamma violetta sempre generosa di semi. Con la loro personalità, le tante violette proposte dai vivai regalano una nota fresca di primavera e raccontano che, a lasciar fare alla natura con minimi interventi di manutenzione (terreno fresco, fertile, in mezz’ombra), il giardino si ammanta di grazia discreta a costo nullo.
• Viola hederacea. Violetta in fiore da aprile sino a ottobre, con corolle bianco rosaceo e macchia centrale purpurea. Con 7 piante si copre velocemente un metro quadrato: è infatti un’ottima tappezzante; purtroppo, a differenza delle altre, risulta un po’ sensibile al freddo e va riparata contro un muro ben esposto, oppure destinata ai giardini che non hanno familiarità con il gelo.
• Viola hirta. Una delle timide viole della flora spontanea, con piccoli fiori azzurro-violetti da fine marzo a maggio.
• Viola labradorica. Inconfondibile per le foglie bronzee, sulle quali tra aprile e fine maggio risaltano i fiori blu vivo. Splendida in macchie compatte (con 9 esemplari copre un metro quadrato).
• Viola odorata. Ma quale viola mammola! Se uno pensa al profumatissimo e vellutato fiore viola carico deve fare i conti anche con le varietà a fiori rosa ciliegia (‘Coeur d’Alsace’), lavanda a centro roseo (‘Marie Louise’), rosa carico (‘Red Charm’), persino con straordinarie versioni a fiori azzurri doppi come la famosa e profumatissima ‘Viola di Udine’, che però conviene coltivare in veranda perché al freddo fiorisce poco.
• Viola sororia ‘Freckles’. Un po’ più alta delle altre violette (20 cm al massimo), si riconosce dai fiori bianchi picchiettati di blu porcellana che sbocciano in aprile. Bella e vigorosa, adora l’ombra quasi quanto la mezz’ombra.
Il giardino offre esperienze sensoriali molto più intense e articolate di quanto si possa immaginare. Se siete pronti a scoprire qualcosa di diverso per la tavola pur senza saccheggiare le vostre fioriture di primavera, prendete nota di quanto segue.
• Foglie di pratoline, fiori di primula, tarassaco, viola del pensiero e violetta a piacere danno aroma al lattughino da taglio d’inizio primavera.
• I petali di calendula danno colore e aroma al risotto (un pugno per 3-4 persone a 5 minuti da fine cottura) e agli spaghetti ripassati con olio e aglio.
• I petali di tagete tritati insaporiscono la robiola (una cucchiaiata per un paio d’etti di formaggio, più un sorso d’olio e un pizzico di sale e pepe). Mammole, tageti, oppure glicine si sposano nelle stesse proporzioni con i caprini freschi.
• I fiori di robinia, lillà e albero di Giuda sono ottimi fritti in pastella e spolverati di zucchero vanigliato.
• I fiori di sambuco, essiccati e chiusi in una scatola di latta con le mele, conferiscono a questi frutti un inconfondibile aroma di ananas.
• I fiori di borragine colorano l’aceto e lo profumano di cetriolo. Se ci prendete gusto, in estate potrete proseguire mettendo alla prova un numero ancora maggiore di fiori: girasole, altea, rosa, nasturzio, papavero, portulaca, zucca, garofano, crisantemo, gelsomino, ibisco, petunia, agerato, bocca di leone, magnolia grandiflora, melograno…
Post scriptum: non fatevi prendere la mano sperimentando oltre il lecito: oleandro e digitale, per esempio, sono velenosi.
Semplicemente presuntosa, la forsizia si impone con la sua fioritura gialla a primavera come fosse solo lei a produrla: non c’è luogo dove non si faccia notare, giardino privato o condominiale che sia, nelle rotatorie e nelle aiuole spartitraffico, nelle fioriere dei bar e delle terrazze. Persino al cimitero fa la star, mentre le altre sue colleghe altrettanto attraenti che fioriscono contemporaneamente sembrano chiedere: «Posso affacciarmi anch’io?» Eppure arbusti come il Vivurnum tinus, Prunus pissardi, Chaenomeles, Corylopsis, Hamamelis , Cornus mas, che fioriscono alla stessa epoca, sono altrettanto meritevoli di vetrina. Così il vostro maestro giardiniere ha deciso di punire la vanità della forsizia, non consigliandola mai, non inserendola mai nei giardini.
Quando il cliente insiste, basta limitarsi a rispondere come Garibaldi a Teano: «Obbedisco». Certo, qualcosa di buono la forsizia ce l’ha. I suoi rami robusti si possono recidere e sistemare in casa in un grande vaso da fiori da taglio, anticipandone la fioritura. Una su tutte: la varietà di Forsythia x intermedia ‘Lynwood Gold’ con rami eretti e fiori enormi, fitti tra loro. Tutto questo accade già a fine gennaio e febbraio, quando fiori da raccogliere in giardino non ce ne sono quasi. Tra le diverse specie di forsizia e le loro varietà, alcune sono comunque degne di stima, se non di simpatia. Per esempio F. suspensa ha foglie ovali tripalmate verde scuro su rami arcuati che ricadono con grazia e fiori a campanellino rivolti all’ingiù che sembrano inchinarsi al passaggio del giardiniere. Anche la forsizia ‘Marée d’or’ è interessante: il suo portamento espanso e ricadente, da autentico coprisuolo, consente la copertura di ampi spazi.
Le forsizie vivono in tutti i terreni drenati e non hanno bisogno proprio di niente. Potatele in aprile, dopo la fioritura, avendo cura di eliminare i rami dell’anno precedente, conservando quelli che hanno appena sfiorito, diradandoli e abbassandoli di circa il 30%. La moltiplicazione è un gioco da ragazzi e fa ricredere chi teme di avere il pollice nero. Si può fare tramite talee erbacee a fine primavera (prelevate gli ultimi 4-5 cm sulla sommità dei rami) oppure semilegnose dopo metà estate (porzioni di 7-8 cm della parte terminale dei rami) e infine con talee legnose in inverno (ci vogliono porzioni di 10-12 cm prelevate nella parte bassa, lignificata, dei rami). E adesso per favore ringraziate chi, pur con la sua conclamata antipatia per questi arbusti, vi ha insegnato il modo più semplice ed economico per procurarvi forsizie.
Con le erbacee perenni, quei fiori che li pianti una volta e generosamente si ripropongono tutti gli anni quasi all’infinito, è sempre amore a prima vista, ancor prima di rendersi conto dell’enorme possibilità d’impiego che offrono, anche per risolvere pecche progettuali. Mettete in elenco margherite, campanule, digitali, iris d’ogni genere, e avanti così sino alle graminacee che, a parte rare eccezioni, sono tutte ascrivibili alla compagnia delle erbacee perenni. Sicché è un piacere condividere la ricettina per coltivarle.
• Meglio fare la piantagione a partire dai primi di marzo, guardando bene che il terreno si sia asciugato dalle piogge invernali e dalla neve. La terra infatti deve essere asciutta perché la si possa lavorare anche solo superficialmente, quel tanto che serve per rincalzare le radici.
• Una manciata in superficie di concime dermazoto (estratto della lavorazione delle pelli ad alto contenuto di azoto) sarà lo starter per l’attecchimento e lo sviluppo immediato delle giovani piantine.
• A seguire può tornare utile una leggera spolverata superficiale di antigerminello per impedire lo sviluppo da seme di erbe infestanti indesiderate, dando il tempo alla piantine di perenni di crescere e allargarsi senza subire pericolose competizioni per il nutrimento.
• La moltiplicazione avviene dopo qualche anno: a metà marzo se si procede per divisione delle ceppaie (campanule, margherite, tappezzanti ecc.) quando queste cominciano a entrare in vegetazione, oppure da giugno a settembre tramite talee di punta.
• La divisione delle erbacee perenni rizomatose (iris, bergenie, calle, mughetti, ellebori ecc.) va fatta in estate.
• La vegetazione esaurita e ormai secca a fine autunno va lasciata perché costituisce una protezione contro il gelo e va rimossa, se non ancora decomposta, solo a fine inverno.
Nonostante tutte le preoccupazioni che destano al primo apparire di un parassita o di un acciacco che macchia le foglie, le rose sono le piante più generose in assoluto: nonostante afidi, ticchiolature, ansie dei giardinieri, possono benissimo campare trenta e più anni. E d’altra parte si pensi alla rosa canina che vive sulle colline e in montagna: resiste al sole, al vento, alla siccità nel totale abbandono (avete mai visto i pastori andare in giro per montagne ad annaffiare rose?). Ebbene, quelle radici sono le stesse dei portinnesti di tante rose dei giardini. Perciò per coltivarle basta sole a volontà, un po’ di concime per avere più fiori e un discreto ricambio d’aria perché l’umidità non aleggi stagnante sulla vegetazione, veicolo di tutte le malattie fungine.
La rosa detesta l’acqua: si difende e sopporta bene la siccità, ma muore di asfissia radicale quando il terreno è eccessivamente bagnato e dopo qualche ora di umido sulle foglie accoglie l’uno o l’altro dei funghi microscopici che la danneggiano. Comunque sia, se siete giardinieri ansiosi e insicuri sappiate che ci sono rose particolarmente adatte a voi, ed ecco qui una spifferata per evitarvi di ingurgitare inutili benzodiazepine ansiolitiche alla prima pioggerellina di aprile.
• Rose a cespuglio resistenti alla ticchiolatura. ‘Prince Jardinier’ delicata tonalità crema rosato; ‘Philippe Noiret’ giallo bordato di rosso; ‘Claude Brasseur’ viola porpora, profumata; ‘Piano’ rosso sangue, profumata; ‘Marvelle’ giallo screziato in rosa; ‘Chippendale’ fiore «nostalgico» arancio scuro; ‘Monferrato’ rosso vinoso, robustissima; ‘Alan Titchmarsh’ rosa antico, profumata; ‘The Ingenious Mr Fairchild’ rosa scuro, profumata; ‘A Shropshire Lad’ rosa salmone, profumata; ‘The Generous Gardener’ rosa leggermente incarnato, profumata; ‘Scentimental’ rosso striato in bianco; ‘Cinderella’ rosa antico profumata; ‘Sterntaler’ giallo limone, profumata.
• Rose particolarmente resistenti all’oidio (mal bianco). ‘Iceberg’ bianco puro a mazzetti, rifiorentissima; ‘Foxy’, rusticissima e profumata; ‘Mirato’ rosa vivo, coprisuolo o ricadente; ‘Memoire’ bianco puro, profumata; ‘François Rabelais’ rosso ciliegia; ‘Astronomia’ rosa chiaro, semplice con stami pronunciati; ‘Bonica82’ rosa puro, tra le cinque più vendute nel mondo; ‘Patte de Velours’ bicolore crema rosa bengala; ‘White Mediland’ bianco puro, ricadente coprisuolo; ‘Schioss Eutin’ rosa albicocca chiaro, profumata.
• Infine, su tutte, la rosa ‘Knock Out’. Esente da entrambe le malattie, portamento elegante e rifiorentissima da maggio a novembre in rosa bengala. Fidatevi: le rose sfilano tutto l’anno davanti agli occhi di maestri giardinieri di lungo corso, e questa è davvero una rosa super!
In quanti modi si può far tesoro del bottino di rose di maggio e imprigionare il ricordo del loro profumo e dei loro colori per trasformarlo in esperienza del gusto? Ecco qua, dal nostro ricettario familiare. Inutile la raccomandazione che le rose non siano trattate, ma profumate e, meglio, a petali rossi.
• Aceto aromatico per condire macedonie. 1/2 litro di ottimo aceto bianco (anche di mele), 50 g di petali di rosa damascena. Versate i petali in un contenitore di vetro a imboccatura larga dopo averli un poco stropicciati con la punta delle dita e copriteli con l’aceto preventivamente scaldato. Dopo un paio di settimane filtrate e riponete al buio. Al primo raccolto di fragole, preparatene una coppetta e vaporizzateci sopra una spruzzata di questo aceto.
• Gelatina per accompagnare formaggi freschi. 1 kg di zucchero, 600 g di petali di rosa e 600 g di acqua, il succo di due limoni e per aromatizzare, se piace, un anice stellato, una bacca di cardamomo e un pezzetto di baccello di vaniglia. Pestate i petali nel mortaio con parte dello zucchero e le spezie; quando sono diventati poltiglia versateli nella pentola di cottura insieme all’acqua, al succo di limone e al restante zucchero. Ci vorrà almeno un’ora di amorevole rimestaggio perché la gelatina si rapprenda e possa essere invasata calda in vasetti piccoli. È indescrivibile l’espressione della zia quando si gratifica con una tazzina di mascarpone lavorato con zucchero a velo vanigliato e guarnito con una cucchiaiata di gelatina di rose.
• Il risottino di maggio. Per due persone, 160 g di riso, un grosso pugno di petali di rose, uno spicchio di cipolla bianca, un bicchiere di prosecco e brodo di carne sgrassato. Fate appassire in poco olio e burro la cipolla affettata finissima, versate il riso, tostate, sfumate con il vino e cuocete con il brodo, controllando se basta il sale e versando a 5 minuti da fine cottura i petali tagliati al momento a strisce finissime. Si possono aggiungere a fuoco spento una spolverata di pepe rosa, due gocce di acqua di rose, una cucchiaiata di panna o una noce di burro.
Ve le hanno sempre presentate come operose bestioline da emulare e, quando sono rosse e somministrano dolorose punture di acido formico, è solo per curarvi i reumatismi, anche se non li avete. Va bene, le formiche sono minuscole creature a sei zampe da rispettare come tutte le altre, ma in giardino à la guerre comme à la guerre, e non vengano a raccontare che sono un modello sociale.
L’indaffarata repubblica delle formiche, per quanto fondata sul lavoro come la nostra, va contro l’etica in giardino. Per spiegarci: voi seminate e, se i semi sono di dimensioni trasportabili, loro arrivano in massa un minuto dopo e vi rubano tutto. A margine del discorso: le incursioni delle formiche sono uno dei motivi per cui bisogna sempre interrare un po’ i semi, comprimere bene la terra e mantenerla bagnata sino a quando non sono nate le plantule. Però la ragione per cui le formiche sono degne di biasimo è essenzialmente un’altra: il loro sfruttamento degli afidi o pidocchi delle piante. Non date retta agli etologi, che chiamano il fenomeno «simbiosi mutualistica». Gli afidi succhiano linfa dalle piante e, al pari di tutti i viventi, lasciano deiezioni come avanzi del metabolismo. La cacca degli afidi è zuccherina, una manna per le formiche. Le quali hanno imparato a proteggere gli afidi con ogni mezzo per difendere la ghiotta fonte alimentare che essi forniscono. E così se i vostri semi non sono spariti dalla terra è solo perché le formiche erano impegnate a banchettare intorno ai boccioli di rosa infestati dai pidocchi oppure a trasportare uova di afidi da uno stelo di rosa all’altro in modo da instaurare nuove colonie e garantirsi dolcissimo cibo per tutta la stagione. La morale è la seguente: distruggete gli afidi non appena compaiono, e fatelo da gentiluomini, con le belle maniere: irrorate sulla vegetazione acqua e sapone di Marsiglia (1 cucchiaio di sapone in scaglie diluito in 1 litro d’acqua), nient’altro.
Non avete a portata di mano le scaglie di sapone di Marsiglia e sentite l’urgenza di dare battaglia agli afidi, gli orrendi pidocchi delle piante (peggio quelli neri di quelli verdi) che sul più bello di maggio osano violare le vostre erbacee perenni e le vostre aiuole di rose? Per prima cosa calmatevi: la colpa è anche vostra che avete concimato troppo con prodotti azotati (letame compreso). Ricordatevi di essere più parsimoniosi la prossima volta. In seconda battuta, provate uno dei seguenti trattamenti (anche in rotazione, così non c’è pericolo che gli afidi sviluppino resistenza) e irrorateli di sera dopo il tramonto del sole.
• Aggiungete un cucchiaino di sapone liquido per piatti a un litro di acqua e irrorate. Il tensioattivo impedirà agli afidi di aggrapparsi alla vegetazione. Utile anche nell’orto e, soprattutto, nel frutteto. Vent’anni fa nel cuneese, dove la frutticoltura compete per importanza con quella romagnola, girava un’ironica polemica sull’enorme consumo locale pro capite di detersivi per stoviglie, sino a quando qualcuno rivelò il motivo: l’uso, a basso costo e a bassissima tossicità, come antiafidi nei frutteti industriali…
• Preparate il macerato di rabarbaro (Rheum palmatum). Quando raccogliete le foglie per preparare composte e marmellate con i piccioli, conservate il verde delle foglie e riducetene in piccoli pezzi 500 g, quindi aggiungete 4 litri di acqua lasciata intiepidire al sole per qualche ora. Rimestate un paio di volte al giorno per 4-5 giorni, filtrate e usate per irrorare le piante. Per sveltire la preparazione, invece del macerato potete preparare l’infuso: 500 g di foglie sminuzzate in una pentola con 5 litri di acqua in ebollizione. Quando riprende a bollire, spegnete, coperchiate e lasciate in infusione un’oretta prima di filtrare e irrorare.
• In giugno, quando la pianta è fiorita e si può raccogliere anche in natura senza fare danno, pesate 100 g di ruta (Ruta graveolens), altrettanti di assenzio (Artemisia absinthium) e di tanaceto (Tanacetum vulgare), versate questi ingredienti in un contenitore di plastica, aggiungendo subito dopo 2 litri di acqua. Mescolate di tanto in tanto, tappandovi il naso, per una decina di giorni, quindi filtrate, imbottigliate in bottiglie scure e, quando serve, prima di irrorare diluitene una piccola quantità, in ragione di 5 parti di macerato e una parte di acqua.
Nessuno vi dice mai che cosa succede quando la fioritura delle bulbose primaverili finisce, insomma i postumi dell’esaltante dono di febbraio di una macchia di crochi che punteggia il tappeto erboso o di una trionfale aiuola di tulipani pappagallo o di fritillaria imperiale in aprile. Proviamo a chiarirlo adesso: i crochi di febbraio sviluppano foglie lunghe e sottili, spesso disordinate, che non si possono tagliare perché sotto terra i bulbi devono accumulare, grazie alla fotosintesi compiuta dalle foglie, sostanze di riserva per essere in grado di fiorire anche gli anni seguenti. E, siccome nel frattempo l’erba è cresciuta (siamo sul finire di marzo) e necessiterebbe di un primo passaggio del tosaerba, voi state lì a chiedervi come risolvere il dilemma: taglio l’erba e sfalcio le foglie dei crochi o lascio incolto il prato e garantisco la fioritura dei crochi anche i prossimi anni? In quanto ai tulipani, a fine aprile, dopo la fioritura, gli steli si afflosciano privi di tepali (non è un refuso: quelli delle bulbose sono tepali e non petali), da verde vivo diventano giallastri, bacchettine spente e orribili che obbligano a trascorrere i giorni migliori della primavera con quell’angolo sciatto proprio davanti a casa, in attesa che le foglie finiscano di svolgere il loro ruolo e secchino.
Che fare? La ricetta dice: piantate fitti e concentrati i bulbi nel tappeto erboso e abbastanza radi nelle aiuole. Come fanno gli inglesi, nel prato potrete sfalciare l’erba aggirando la macchia di foglie in sviluppo. Mescolate ai crochi un bel po’ di narcisi da naturalizzare, magari di giunchiglie gialle per marzo e ancora una manciata di narcisi tardivi per onorare aprile. Così, mentre i crochi formeranno le loro foglie, fioriranno in due riprese i narcisi e il ciuffone di foglie e fiori farà la sua figura emergendo da un tappeto d’erba di inappuntabile ordine.
Piantate invece radi i tulipani nelle aiuole, diciamo a 25 cm di distanza tra un bulbo e l’altro. In mezzo ci staranno piantine da fiore sin dall’autunno, come myosotis, violacciocche o viole del pensiero, che saranno nuvole vaporose di fiori quando i tulipani andranno incontro all’inevitabile declino. Oppure lasciate vuoto l’intervallo tra i tulipani e colmatelo, giusto un attimo prima che essi entrino in fioritura, mettendo a dimora piantine di annuali estive quali tagete, nasturzi, ageratum, cosmee e via discorrendo. In questo caso i tulipani fioriranno in mezzo a foglioline verdi prive di appeal, che però continueranno a svilupparsi in altezza e a mostrare i primi fiori quando i tulipani saranno ormai le orribili bacchettine che si diceva. In ogni caso potete tagliare l’apice degli steli appassiti dei tulipani perché non siano troppo visibili, però senza toccare le foglie sottostanti. Inoltre, se somministrate un concime in polvere specifico per bulbose quando i fiori sono al massimo, aiutate i bulbi a immagazzinare nutrimento più rapidamente e dunque l’agonia sarà più breve.
Arbusti che appaiono insignificanti d’inverno finiscono per arricchire i rimanenti mesi dell’anno regalando gioia e stupore giorno dopo giorno. In primavera, per esempio, questi sono da amore a prima vista.
• Per chi dispone di un terreno da neutro a leggermente acido, Cornus nuttallii garantisce una splendida fioritura candida a inizio aprile, prima ancora che le gemme diventino foglie. Il terreno è fondamentale per la riuscita di questo arbusto di grandi dimensioni: sciolto, lavorato e soprattutto ben drenato, altrimenti sopravvive a fatica.
• Un occhio di riguardo per Amelanchier lamarckii ‘Ballerina’ che, se lasciato crescere in libertà, raggiunge grandi dimensioni. Ad aprile la sua chioma diventa una nuvola bianca di minuscoli fiori che in 60 giorni si trasformano in gustose bacche, prima rosse e poi nere, squisita alternativa ai mirtilli. In autunno lo stupore diventa esaltazione, quando l’acceso cromatismo arancio avvampa le sue foglie. Cresce negli stessi terreni di cornus e magnolie, cioè piuttosto acidi, freschi e fertili.
• Impossibile non inserire Malus ‘Winter Gold’ nella lista degli arbusti che tengono fede alle aspettative. I fiori bianchi copiosissimi, leggermente più piccoli di quelli del melo comune, lo fanno apparire una fantastica sfera bianca, in autunno trasformata in una danza di meline gialle grosse come chicchi di ribes, con il peduncolo di un rosso sfavillante. Pieno sole e terreno sciolto rappresentano la garanzia che questo arbusto possa raggiungere le sue dimensioni ottimali.
• Ne volete ancora uno? Ecco qua: Chionanthus virginicus, un arbusto di grandi dimensioni o, se preferite, un modesto alberetto con pannocchie di fragranti fiori bianchi a fine primavera. In seguito si sviluppano piccole bacche blu nerastre, un’autentica ghiottoneria per gli uccellini in visita al giardino, e un invito a farli restare. Predilige terreni fertili, ben drenati e un’esposizione in pieno sole.
Bella domanda, formulabile anche così: si possono amare le piante e desiderare un giardino in ordine, e nello stesso tempo volersi circondare di animali domestici allegri e caciaroni, che hanno tutti i diritti di correre, esibirsi, appropriarsi degli spazi per raggiungere il loro benessere?
Ogni giardiniere deve trovare la propria risposta. Un bravo collega giardiniere convive con quattro cani, due teneri meticci di piccola taglia, ma anche un alano e un levriero afgano di forte personalità e, per salvaguardare il suo raffinatissimo regno di graminacee, felci e arbusti rari, ha dovuto sacrificare una zona del giardino prossima al bosco, recintarla e destinarla alla selvatichezza dei suoi cani. Che qualche volta, se non vedono per due o tre giorni il loro amico umano, saltano la recinzione procurando qualche danno… Il padrone di casa tace perché sa che queste incursioni sono il loro modo di fargli le rimostranze per l’assenza. Quando ha tempo di stare in giardino e può educarli, o quanto meno controllare che non compiano malefatte, invita i suoi cani ad accompagnarlo in passeggiata e insieme si divertono un mondo senza che una sola fronda di felce o uno stelo di Pennisetum abbia a patire.
Il cane meticcio del vostro maestro giardiniere, un autentico bastardino di razza bolognese di nome Ragù, ha libero accesso a ogni angolo del bosco, dell’orto e del frutteto, salvo quando è stata distribuita la cornunghia. Essendo a base di ossa animali, questo concime procura uno stato di irrefrenabile eccitazione anche al più anoressico dei cani, figurarsi a uno che è un gourmet, ricordandogli con l’olfatto che prima di diventare un signorino riverito e nutrito dall’uomo era un animale selvatico obbligato a procacciarsi il cibo da solo. Ergo: Ragù viene depistato per circa una settimana, il tempo che la terra e l’umidità facciano perdere alla cornunghia il buon profumino di ataviche cacce.
Il solito ben informato fa sapere che nel linguaggio dei fiori la dalia significa «precarietà» e, con tutti i problemi in merito che ci sono in giro, forse bisognerebbe puntare sui nasturzi, che significano «lotta», o sulle margherite, che suggeriscono «pazienza». La dalia, comunque, se composta in un bouquet vuol anche dire «eleganza proposta da chi ha poco ma con dignità». Ed ecco un altro motivo interessante per coltivare dalie da taglio, non solo nell’orto ma anche in giardino, come sfondo alle bordure, come centro delle aiuole di fiori stagionali, come punto focale in fondo a un viale.
Per avere vistose piante fiorite da luglio a tutto ottobre, eleganti se coordinate cromaticamente con le scene del giardino e guidate morbide su tutori invisibili, basta infatti molto poco: il costo di una confezione di radici tuberizzate, sode e vigorose, un terreno ben concimato con stallatico pellettato o compost molto maturo, qualche annaffiatura estiva e tanto sole. In febbraio-marzo si scelgono e si acquistano le varietà (sono migliaia, una più interessante e stupefacente dell’altra), in aprile si mettono a germogliare in casa le radici tuberizzate su un letto di torba appena umida, in maggio si piantano in terra all’aperto, se in giugno si teme di essere sopraffatti da piante che si alzano troppo basta cimare gli apici pinzando gli ultimi 10 cm tra l’unghia del pollice e quella dell’indice, così le piante emettono rami laterali invece di alzarsi ulteriormente.
Il piccolo impegno primaverile del giardiniere previdente viene sempre premiato sino ai primi geli quando, se è davvero previdente, egli sfalcerà la vegetazione e toglierà le radici tuberizzate da terra per riporle in un ambiente buio, fresco, asciutto e non gelivo, in attesa di altre stagioni di fiori a costo nullo.
1) Anche se è domenica alzatevi all’alba: dalle 10 in avanti c’è da fare coda in auto e poi alle casse della manifestazione.
2) Calzate scarpe comode e basse (care signore, i tacchi finiscono piantati nella terra o nella ghiaia: la sera avrete dolorosissimi crampi ai polpacci). Portate un paio di scarpe di ricambio nel caso piovesse (cari signori, il parcheggio è sempre in un campo: come potreste poi salire in auto senza inzaccherare tutto?).
3) Fate prima la lista della spesa e attenetevi a questa, ben sapendo che l’acquisto di piante avviene d’impulso: davanti alla scelta e alla presentazione negli stand il vostro provato buon senso potrebbe vacillare.
4) Portatevi il denaro contato o quasi, per il motivo suddetto.
5) Organizzatevi per fare il viaggio in auto al massimo in due, nel caso vacillasse il vostro buon senso per il motivo di cui sopra, ma anche perché, se per caso acquistate una rosa rampicante o un limone a spalliera alto 180 cm, poi come ci state in più di due?
6) Portatevi da casa la «schiscetta»: un’insalata di riso veloce per tirare sera, acqua, due biscotti, un frutto, qualsiasi cosa da sgranocchiare pur di non fare interminabili code alle casse del bar interno alla manifestazione, oltretutto sempre costosissimo.
7) Fate tesoro del servizio offerto ormai da quasi tutti i vivaisti che espongono alle mostre di giardinaggio: prenotate per telefono o email qualche giorno prima le piante che vi interessano: le troverete in mostra, non pagherete spese di spedizione e avrete esattamente ciò che cercavate anche se non proposto nella manifestazione.
8) Il biglietto d’ingresso alle manifestazioni è quasi sempre costoso. Appurate se appartenete a una delle infinite categorie di italiani che hanno diritto al prezzo ridotto e fate valere la vostra appartenenza al dopolavoro, alla corale, all’ordine dei giornalisti, ai combattenti e reduci ecc.
9) Fatevi amici i vivaisti: sono quasi tutti brave persone e capiranno se, invece di acquistare una loro pianta, ne ruberete una talea. Quasi tutti, abbiamo detto. Se poi vi arriva uno sganascione o vengono chiamati i carabinieri, vedete un po’ voi se ne valeva la pena.
10) Recepite la logica dei «chilometri zero»: prima visitate le mostre di giardinaggio vicino a casa, in seconda istanza sceglietele in zone che al turista-giardiniere curioso offrono anche altro da vedere (vivai, giardini, paesaggi ecc.).
• Il giardino di Villa della Porta Bozzolo a Casalzuigno (VA), proprietà del FAI, è sensibile ai primi sentori di primavera: nel grande declivio d’erba del «teatro» fioriscono migliaia di crochi, più avanti in stagione i cinque ripiani a lato della scalinata barocca si coprono di bulbose e i ciliegi in fiore rendono soave l’atmosfera del giardino segreto. Luogo sereno per la gita domenicale con la famiglia, offre anche la possibilità di visitare la villa e un museo delle attrezzature agricole, pranzare e fare shopping.
• Il giardino dell’iris di Firenze dell’omonima associazione che, da oltre cinquant’anni, lo apre al pubblico in un fugace scorcio tra aprile e maggio (date variabili di anno in anno), quando fioriscono migliaia di iris di un prestigioso concorso internazionale. Fiori, olivi e paesaggio su Firenze lo rendono una magnifica meta di relax primaverile, tra la visita a Boboli e quella ai giardini medicei.
• Il giardino di Ninfa presso Cisterna di Latina è una struggente sintesi tra storia e natura, tra le rovine di una cittadina medievale e un grande giardino all’inglese di inizio Novecento. Fiori, arbusti rari, rose che si arrampicano su alberi secolari, ovunque acqua che conferisce trasparenza e fluidità alle scene per quello che, secondo il «New York Times», è il giardino più bello del mondo. Lo si può visitare tra aprile e ottobre, ma solo a giorni stabiliti: sceglietene uno di inizio maggio per cogliere l’evanescente magia della sua anima.