Giugno. Estirpare e riporre in cantina i bulbi di tulipano non appena le foglie sono completamente ingiallite; fare la prima concimazione liquida dei fiori annuali estivi in vaso e nelle aiuole; piantare le ninfee tropicali e le galleggianti esotiche come il giacinto d’acqua; raccogliere le erbe aromatiche da essiccare; sfalciare il prato di fiori selvatici (se i semi sono già caduti sul terreno).
Luglio. Potare le lavande a fine fioritura per mantenerle giovani, fiorifere e compatte; pacciamare la base delle siepi e degli arbusti per evitare annaffiature frequenti; irrigare il prato con regolarità; concimare le rose rifiorenti, soprattutto quelle inglesi, per stimolare la formazione di altri boccioli; legare i tralci nuovi dei rampicanti.
Agosto. Programmare la moltiplicazione di arbusti ed erbacee perenni per talea e propaggine; la moltiplicazione da seme dei fiori biennali che fioriranno la primavera seguente; la potatura verde per mantenere ordinati alberi e arbusti; il trapianto delle conifere in riposo; la raccolta dei semi di annuali, aromatiche, perenni; il trattamento delle rose contro le malattie crittogamiche se la stagione è umida.
Il proverbio sul quale meditare. Chi sumènd’ e nnen gustòde, trìbbul’ e nnen gòde. Saggezza popolare abruzzese che torna utile al giardiniere, soprattutto se è pigro, poco costante o male organizzato: «Chi semina e non sa mantenere, lavora ma non gode». Uno degli impegni d’estate è conservare ciò che si è seminato in primavera, per poter godere di tante fioriture e di tante nuove piante che negli anni arricchiranno il giardino.
Ai corsi di giardinaggio spesso partecipano insieme marito e moglie e, all’affermazione del docente che è meglio sotto molti punti di vista far soffrire un po’ la sete al giardino piuttosto che bagnarlo troppo, si assiste regolarmente a scambi di reciproche accuse tra coniugi, del tipo: «Ecco, vedi che avevo ragione? Quante volte ti ho detto che non va bene bagnare tutti i giorni?» In genere sono le donne che, per una sorta di atavico sentimento materno, bagnano più del necessario e si fanno rimproverare.
Tranquilli, non siate assillati e assillanti: le piante se la cavano da sole meglio di quanto a noi sembri, dunque somministrate acqua in meno piuttosto che in più. Se d’estate le bagnate poco assumono un aspetto dimesso e un po’ triste, se proprio ve le dimenticate a lungo cominciano a ingiallire e a perdere le foglie per diminuire la superficie esposta all’evaporazione, secondo il principio che, pur di portare a casa la pelle, meglio rimetterci momentaneamente l’abito che «pompa» acqua e la disperde nell’aria.
Se al contrario annaffiate le piante con zelo eccessivo, molte non diranno niente per qualche giorno, poi si afflosceranno e in seguito alle vostre reiterate annaffiature lasceranno ingiallire le foglie per l’impossibilità di trarre ossigeno dal terreno. Salvo miracoli, le piante ingiallite per questa causa moriranno per asfissia. Vi sembra strano? Perché, voi riuscireste a respirare perennemente sommersi sott’acqua? Alcune piante succulente da ambienti poveri e desertici, per esempio, cominceranno a marcire il giorno stesso dell’annaffiatura maldestra, dichiarando così la loro avversione per l’acqua nel terreno, che impedisce alle radici l’assorbimento dell’ossigeno atmosferico.
• Prima della piantagione curate sempre il drenaggio per favorire lo sgrondo dell’acqua in eccesso, aggiungendo alla terra sabbia lavata, ghiaino fine e sostanze organiche fibrose quali compost maturo e paglia (garantiscono l’aerazione della terra e l’evaporazione dell’umidità superficiale).
• Tenete a mente gli ambienti da cui provengono le vostre piante e qual è l’esposizione a loro congeniale. Con buona approssimazione le piante da pieno sole preferiscono modeste annaffiature, quelle da mezz’ombra e ombra desiderano più acqua.
• Prima dei grandi caldi bagnate a fondo il terreno e subito dopo copritelo con una pacciamatura di compost, paglia o altro: le necessità idriche delle piante saranno dimezzate.
• Quando fa molto caldo le piante in vaso (comprese le succulente) vanno annaffiate pressoché ogni giorno, un po’ meno nei vasi di plastica, un po’ di più in quelli di terracotta.
• Nelle mezze stagioni meglio bagnare di mattina, perché l’umidità in eccesso possa dileguarsi durante la giornata. D’estate meglio bagnare di sera, almeno un’ora dopo il tramonto, perché terra, foglie e radici abbiano tempo di raffreddarsi un poco e non subiscano un dannoso shock termico.
• Bagnate a lungo, tornando più volte nella stessa posizione, e bagnate meno spesso. Meglio un’annaffiatura che consente all’acqua di penetrare lentamente in profondità, somministrata una volta alla settimana, che un goccio d’acqua veloce tutte le sere. Nel secondo caso le radici subirebbero un pericoloso stress idrico: l’acqua rimarrebbe in superficie, evaporando presto e lasciando totalmente all’asciutto le radici profonde.
Correte ai ripari se avete appena fatto semine in terra (copritele con un velo di tessuto non tessuto, altrimenti i semi saltano letteralmente per aria alla prima goccia caduta con violenza) o esultate di gioia nel caso il giardino sia da giorni in sofferenza per la siccità.
Sta infatti per piovere se il gatto continua a leccarsi in modo maniacale, soprattutto concentrandosi sulle orecchie; le rondini volano basse all’improvviso, anche se il cielo ha sì e no tre nuvole appena; il cuculo si fa sentire dal fondo del bosco con un cucù-cucù-cucù regolare e cadenzato; le mosche sono più noiose del solito ed entrano in casa; le pigne aperte si richiudono un poco; si è alzato un refolo d’aria da valle a monte… Liberi di crederci o non crederci: non tutto ciò che è popolare e contadino è giusto. Tuttavia ve lo avevamo poi detto che stava per piovere.
La voglia di possedere un laghetto in giardino arriva sempre con l’estate, e invece la realizzazione di questa struttura andrebbe programmata in inverno per gli scavi e in primavera per le piantagioni. Ma se siete pronti a impegnare un paio di fine settimana, potete mettervi all’opera anche nella prima estate, quando si riescono ancora a fare lavori faticosi senza soccombere al gran caldo, almeno a inizio giornata e nelle ore del tramonto. In quanto alle piante acquatiche e palustri, è un momento eccellente per acquistarle nei vivai specializzati e metterle a dimora. Fidatevi del consiglio: hanno un’incredibile esuberanza, perciò piantatene poche e rade. Semmai ne aggiungerete altre la prossima primavera.
• Individuate una zona in piano, al sole almeno 6 ore al giorno, se possibile con l’energia elettrica nei pressi (per azionare la pompa e l’eventuale illuminazione), una presa d’acqua non molto distante (per riempire il laghetto e rabboccarlo quando serve) e lo scarico fognario della casa (per convogliarci il troppo pieno in caso di forti piogge).
• Decidete le dimensioni, meglio se proporzionate a quelle del giardino e della vegetazione circostante, oltre che al tempo di cui potrete disporre per la manutenzione.
• Scegliete se impermeabilizzare il bacino con l’apposito telo in PVC o posare una vasca preformata in PVC rigido o vetroresina. La seconda soluzione è più «indolore» ed economica; scegliete un modello con pareti gradinate, sulle quali potrete appoggiare i vasi di acquatiche in base alla necessità di acqua più o meno profonda.
• Dopo aver delimitato con filo e picchetti il perimetro dello specchio d’acqua, fate lo scavo, più ampio e profondo di circa 30 cm e rivestitelo con sabbia di fiume: servirà ad ammortizzare il peso del bacino.
• Posate la vasca badando che sia in piano (appoggiate un’asse da un bordo all’altro e poneteci sopra la livella a bolla), quindi colmate i bordi con della terra.
• Ora riempite il laghetto di acqua e attendete almeno un giorno prima di stabilire se andare fieri del vostro lavoro.
• Inserite nel laghetto una pompa a ricircolo, che provvederà a ossigenare e filtrare sempre la stessa acqua (salvo rabbocchi) e, prima di procedere alla piantagione, attendete almeno una decina di giorni, nei quali potrà succedere di tutto, compreso il fatto che l’acqua si tinga di verde smeraldo o arrivino sciami di moscerini.
• Se tutto va come deve, potete infine posizionare sui ripiani nel laghetto le piante acquatiche, a dimora negli appositi cestelli forati, e piantare sulle rive le specie palustri.
• Attendete ancora qualche giorno prima di immettere le piante acquatiche galleggianti ed eventualmente i pesci e le cozze d’acqua dolce che mantengono pulita l’acqua.
Transita sulla strada uno di quei trentenni che adesso hanno il sacro fuoco dell’orticoltura, con una foga appassionata che le loro madri speravano potessero avere studiando all’università, poi cercando un lavoro e valutando l’opportunità di un guadagno in proprio. Insomma, butta dentro la testa al di sopra della recinzione e apostrofa il vicino che sta annaffiando un’aiuola, con figlioletta accanto munita di annaffiatoio dimensionato alle sue misure mini. Tuona il giovanotto: «Che fai, sprechi acqua? Ma dài, sei matto, con la penuria di acqua che c’è in giro. Invece di annaffiarle, metti una pacciamatura a quelle Impatiens, no?» La bimba fa il broncio e scappa via. «Te con le tue parolacce» dice calmo il signore «me l’hai spaventata. Che cosa dovrei mettere ai miei fiori di vetro?» L’altro allora gli spiega come coprire il terreno con uno strato di sostanze che impediscano alle erbacce di crescere e all’umidità di dileguarsi. «Ho capito» taglia corto il giardiniere della domenica, che nel frattempo ha finito di bagnare l’aiuola con la canna e vorrebbe andarsene a fare i fatti suoi. «Al consorzio agrario ho visto che c’è quel telo di plastica nera: bisogna stenderla e farci i buchi per piantarci dentro quel che si vuole.»
Apriti cielo, fosse così facile! Fiocca un’altra lezione, con un gran numero di distinguo: no, meglio materiale organico, così in autunno viene rigirato nella terra e qualsiasi cosa tu debba fare a contatto con la terra basta sollevare lo strato e la fai. E poi la plastica come la smaltisci? Ci vogliono cent’anni perché si degradi e sulla terra è un orrore, sa di civiltà malata. Almeno usa il film di mais che costa una fortuna ma alla luce si decompone, oppure la carta ecologica nera da pacciamatura, e se non durano neppure sino all’autunno, perché si strappano, sono affari tuoi…
A parte i personaggi che la nostra civiltà propone, certo è che il principio della pacciamatura è sacrosanto e qualsiasi maestro giardiniere che si rispetti è pronto a controfirmare la lezione del fervoroso giovanotto.
Nei primi giorni davvero estivi il giardino si riempie di effluvi profumati. Il caldo rende volatili gli oli essenziali imprigionati nelle foglie delle mente, dei pelargoni odorosi, del rosmarino, nei fiori delle rose e delle petunie. Passeggiando in giardino verso sera, quando la dispersione degli aromi è massima, ci si immerge in bagni benefici per il corpo e per la mente. Ma, fateci caso, ognuno ha proprie preferenze: chi vorrebbe annullarsi nel profumo avvolgente e nostalgico del caprifoglio (il più intenso è quello di Lonicera japonica ‘Halliana’, rampicante rustico da sottobosco), chi in quello pulito della lavanda, chi in quello dolce dell’eliotropio o «fiore vaniglia».
Gli uomini in genere preferiscono le note agrumate che sprigionano l’erba cedrina e il timo citriodoro e quelli acri di certe mente e dell’origano, oppure gli aromi asciutti e un po’ amari del rosmarino, del pino, dell’alloro, delle artemisie e dell’elicriso, allineati con lo stile di chi non deve chiedere mai.
L’olfatto gratificato induce uno stato di benessere e riconcilia con la vita, ma da quattromila anni a questa parte, dal tempo degli egizi, c’è chi assicura che il potere delle piante profumate va oltre, è curativo particolarmente in caso di problemi bronchiali, gastrointestinali e cutanei. Si chiama aromaterapia e, oltre alle piante da giardino succitate, ne utilizza altre, nostrane – quali il bergamotto e la camomilla – oppure esotiche.
E allora, come sottrarsi alla prospettiva di stare doppiamente bene, grazie alla giardinoterapia innanzi tutto e all’aromaterapia poi? In giugno-luglio le erbe aromatiche, ma anche le erbacee perenni, gli arbusti, i rampicanti e le piante odorose d’ogni tipo esprimono il massimo; nei garden center e nei vivai spesso costano un po’ meno o sono in svendita perché, passata la primavera, i clienti pensano ormai alle vacanze e meno al giardino. Questo momento poco considerato è invece ideale per avviare collezioni, per esempio, di timi (declinano una gamma di decine di profumi), di gelsomini e di gerani odorosi. Per non sbagliare: terra abbastanza povera, molto sole, annaffiature limitate, un taglio ogni tanto perché rimangano compatte.
Avete presente il giardino planetario di Gilles Clément? E l’agricoltura del non fare di Masanobu Fukuoka? In tempi di prediche sul bisogno di ritrovare un contatto con la natura selvaggia anche in giardino, sulla necessità di accogliere la flora e la piccola fauna scacciati dagli ambienti antropizzati, sul piacere di contemplare senza dover lavorare perché il prato selvatico fa tutto da sé, sull’inutilità di annaffiarlo sprecando acqua, ebbene anche noi ci arrampichiamo in cima al nostro modesto pulpito di maestri giardinieri e vi diciamo: seminate i fiori selvatici. Almeno in una certa scarpata bruciata dal sole e difficile da raggiungere, o in quella radura che vorreste dedicare alla selvatichezza in restituzione di qualche vostra pratica in giardino non proprio ecologica.
In vendita si trovano bustine di fiori selvatici misti, con papaveri, margherite gialle, camomilla, millefoglio, fiordalisi e tante altre specie, in base all’ambiente in cui i fiori dovranno vivere. Aspettate che finisca l’epoca del solleone, rigirate la terra perché in mezzo alle erbacce i semi non riuscirebbero a raggiungerla, annaffiate in abbondanza una o due volte perché i semi abbiano tempo di assestarsi. Il resto verrà da sé.
Unico impegno: ogni anno sfalciate una volta a fine giugno e un’altra a novembre, meglio se con il trinciaerba. E, se non saranno tutte rose e fiori, saranno erba e fieno e insopprimibile voglia di rotolarcisi dentro come nelle pubblicità del Mulino Bianco.
Nella sua vastissima gamma di varietà e di origini, la rosa è una pianta di una generosità insuperabile. Quando si sente dire che però d’estate smette di fare fiori, il giardiniere perde la pazienza. Ci sono rose che danno fiori ininterrottamente anche durante il gran caldo: basta informarsi. Qui di seguito le varietà di rose di cui è garantita la fioritura in luglio e agosto, con un’ottima tenuta al solleone.
• Tra le rose antiche le signore dell’estate sono sicuramente quelle cinesi quali ‘Mutabilis’, ‘Old Blush’, ‘Viridiflora’, ‘Arethusa’, ‘Marie van Houtte’, ‘Miss Alice de Rothschild’, ‘Papillon’, ‘Sanguinea’.
• Tra le rose sarmentose non lasciano orfano il giardiniere le ‘Blush Noisette’, ‘M.me Alfred Carrière’, ‘Crepuscule’, ‘Cornelia’, ‘Souvenir de la Malmaison’.
• Tra le rose classiche sono campionesse di floribundità in estate ‘Iceberg’, ‘The Fairy’, ‘Sally Holmes’, ‘Park Director Riggers’.
• Tra le rose moderne arbustive o coprisuolo decidono di non andare in vacanza ma lo lasciano fare a voi ci sono ‘Douceur Normande’, ‘Double Knock Out’, ‘Pink Knock’, ‘Sunny Out knock’, e le sarmentose ‘Cocktail’ e ‘Red Flame’.
Con qualche malizia del mestiere, le belle sorprese non tardano ad arrivare. La più facile: a fine giugno asportate le corolle sfiorite con una porzione del ramo che le ha prodotte, distribuite sul terreno intorno a ogni pianta mezzo cucchiaio raso di fertilizzante granulare in aggiunta a due cucchiai colmi di concime organico dermazoto, zappettate per interrare superficialmente il nutrimento e annaffiate a fondo senza bagnare le foglie. La rosa ci metterà un nulla a produrre altri boccioli. A fine luglio ripetete l’intervento di concimazione dimezzando le dosi e potando leggermente i rami. Al rientro dalle vacanze di agosto il roseto vi accoglierà in gran forma, nell’invidia generale!
Un luogo comune vuole che le erbe aromatiche siano usate da chi non sa cucinare, ovvero: «Copro, servendomi di un aroma gradito ai più, tutte le pecche della mia scarsa esperienza in cucina». Invece le aromatiche, quelle inusuali del giardino prima ancora di quelle universalmente accettate come tali e coltivate nell’orto, sono complici del giardiniere-gastronomo raffinato. Ecco alcuni modi per fare tesoro del giardino d’estate.
• Lavanda al cioccolato. Mettete a testa in giù in una tazza o in un bicchiere tante spighe di lavanda quante servono per farle restare in piedi. Copritele con armagnac lasciando fuori 3-4 cm di gambo, che pareggerete. Trascorsa un’ora di marinatura, togliete le spighe a una a una, facendole passare nella farina di mandorle, che assorbirà l’armagnac dai petali. Ora potete sciogliere a bagnomaria una barra di cioccolato fondente con una noce di burro e, una alla volta, tuffare le spighette di lavanda tenendole per il gambo. Appoggiate su carta da forno, conservate al fresco e, per servire, adagiate i vostri cioccolatini da giardino in una ciotola tappezzata di foglie di lavanda.
• Vino di Ippocrate. Forse è la più vecchia (macché vecchia: antica) ricetta di vermouth, passata alla storia come vinum absinthianum nel trattato di agricoltura Res rustica di Lucio Giumio Moderato Columella. È stata elaborata un po’ a nostro gusto, ma gli ingredienti vegetali sono proprio quelli. In un capiente vaso di vetro con coperchio ermetico versate 1 litro di vino rosé di qualità e aggiungeteci un pugno di foglie di timo citridoro (sì, quello che avete piantato nel lastricato e ha quel profumino agrumato). Raccogliete e unite anche un pugno di sommità fiorite di menta pulegio o mentuccia romana, così rustica, odorosa e bella nelle bordure miste e, ancora, una qualsiasi Artemisia aromatica delle vostre bordure. Non ne avete? Male, vi perdete le migliori foglie bianche e grigie che le erbacee perenni da giardino possano offrire. In ogni caso potete sostituirla con un’artemisia selvatica degli incolti. Dopo aver unito la buccia non trattata di un limone, un pezzetto di cannella e 3 cucchiai di miele, chiudete, agitate e riponete al fresco per una settimana prima di filtrare e servire in bicchierini con ghiaccio all’ora dell’aperitivo.
Da metà agosto a metà settembre il momento è favorevole al radicamento delle talee di una grande quantità di arbusti e di erbacee perenni suffruticose, cioè con base legnosa, per ottenere piante a costo nullo e con grande emozione. Provate con certe piante che non sembrano aspettare altro che di essere moltiplicate, quali le ortensie, i filadelfi, le lavande, le abelie, insomma tutti gli arbusti più popolari, ma anche con le campanule, le heuchere, la pachysandra e tante altre erbacee perenni legnosette alla base. Le talee da prelevare in questo periodo vengono definite semilegnose, poiché la porzione di 10-15 cm di ramo che serve non è più verde e non ancora ben lignificata. Se fa fresco si può agire in qualsiasi ora del giorno, se fa caldo è preferibile il primo mattino, quando la temperatura dei tessuti vegetali è più bassa.
Il terriccio è basilare per il successo. La ricetta: 40% di terriccio ricco di humus, 30% di sabbia di fiume lavata e 30% di perlite o agriperlite (più o meno la stessa sostanza). Questo terzo ingrediente è il segreto della perfetta radicazione, per esempio, delle talee di rosa (si possono fare quasi tutto l’anno sino a ottobre, in inverno solo di rami legnosi). Una volta prelevata e facendo attenzione a mantenere lo stesso verso che aveva sulla pianta (non dovrebbe essere difficile: diametro maggiore in basso e minore in alto), praticate il taglio inclinato della base perché sia più ampia la superficie che dovrà formare il callo radicale e le nuove radici. Se poi siete uno di quei giardinieri che si offendono se non hanno successo al primo colpo e chiedono alla natura perché sono stati puniti, a totale e definitiva garanzia di radicamento usate l’apposita polvere ormonale, immergendoci la base della talea prima della piantagione. Caldo e umidità faranno il miracolo in qualche settimana.
Chi frequenta le lingue dice che l’italiano è straordinariamente impreciso quando si tratta di chiamare con il loro nome gli attrezzi del lavoro agricolo, le pratiche orticole e i fenomeni che riguardano il regno vegetale. E d’altra parte trovate voi un nome alternativo a propaggine che suoni più bonario e familiare: non c’è.
Tanto vale imparare a quale metodo di moltiplicazione delle piante corrisponde e poi mettere alla prova la facilità con cui la propaggine consente di ottenere nuovi esemplari di arbusti e rampicanti. In estate individuate un ramo in prossimità del suolo, abbastanza lungo e flessibile da poter essere piegato in un punto a metà circa della lunghezza. A 60-80 cm di distanza dalla pianta scavate una buchetta e in questa, senza staccarla dalla pianta, interrate la porzione di ramo preventivamente scortecciata per un breve tratto. Fissate a terra la zona scortecciata servendovi di un pezzetto di filo di ferro piegato a U, ricoprite la buchetta e bagnate. La sommità del ramo che fuoriesce da terra può essere guidata su un tutore, in modo che rimanga ferma e dritta. Ecco preparata la propaggine: la base del ramo è ancora attaccata alla pianta, la parte centrale è in terra e dovrebbe formare radici e la sommità con le sue foglie emerge dritta da terra. Non toccate niente sino alla tarda primavera dell’anno successivo, poi con cautela rimuovete la terra per accertarvi se, come da programma, si sono formate radici e la nuova pianta può essere separata dalla pianta madre.
Volete sapere con quali specie da giardino far pratica? Tra i rampicanti se l’intendono bene con la propaggine i gelsomini, la vite americana e le clematidi; tra gli arbusti, ad avere pazienza che si formino radici, c’è da scommettere con oleandro, camelia, cisto, forsizia e rosa, anche se per le ultime due si potrebbe fare a meno della propaggine: entrambe vengono infatti benissimo da talea.
Ci sono fiori estivi che offrono un plus, cioè si comportano da perenni: basta sapere che in natura il nasturzio vive più di un anno, per esempio, per desiderare di conservarlo da un anno all’altro. Trattati da usa e getta nei climi invernali freddi, sono invece francamente perenni nei climi miti del sud e nei giardini di chi le piante le ama davvero.
• Bidens ferulifolia. Piantagione a metà primavera, ottima per muri a secco e giardino roccioso, ricca fioritura di minuscole margherite gialle. Sta in fiore da maggio a settembre in terreno fresco, ben drenato, arricchito con un pizzico di fertilizzante specifico per fiori ed esposto in pieno sole. L’inverno non gli fa paura se si trova contro un muro rivolto a sud o a ovest e viene coperto con un velo di tessuto geotessile.
• Diascia cordata. Da inizio giugno a fine settembre intensi cuscini di fiori rosa in varie tonalità. Ottima anche da balcone, all’arrivo dell’inverno è bene ripararla con il solito velo di tessuto non tessuto. Il terreno ricco, fresco e un po’ umido in estate ne garantisce la fioritura continua.
• Heliotropium peruvianum. Foglie ampie, lanceolate e rugose, verde scuro sfumate di porpora e, da inizio estate, corimbi di fiori viola o blu-lavanda profumati di vaniglia. Ama il terreno un po’ sabbioso, fresco e un’annaffiatura arricchita di fertilizzante idrosolubile ogni 15 giorni. D’inverno basta conservare la pianta, che è sempreverde, in una veranda soleggiata perché di tanto in tanto compaiano i fiori.
• Pentas lanceolata. Perenne a base legnosa, da maggio a ottobre esibisce corimbi di fiorellini tubulosi rosa magenta, rosa polvere, bianchi, violetti o rossi. Preferisce la terra ricca di humus, fresca e ben drenata e qualche concimazione liquida in estate.
L’ibridatore inglese David Austin ha avuto un’intuizione geniale: riprodurre nelle nuove rose la forma e il profumo delle rose antiche aggiungendovi la rifiorenza, che le rose antiche non hanno. Sicché la forma dei fiori a coppa e le inusuali tonalità rosa pesca, albicocca e giallo tenue dei suoi ibridi oggi fanno tendenza. Qual è il loro punto di forza speciale? Il profumo soave, intenso, dolce o delicato, con note olfattive che evocano mirra, uva bianca, lampone, pesca, menta, limone e poi ancora mela, cannella, tè verde, fragola selvatica, muschio, chiodi di garofano, fiori d’arancio. Alcuni profumi rendono assolutamente speciali varietà come ‘Jude the Obscure’ e ‘Jubilee Celebration’, per non parlare di ‘Noble Antony’, una delle più recenti creazioni. Varietà come ‘Abraham Darby’, ‘Anne Boleyn’, ‘Ambridge Rose’, ‘Benjamin Britten’, ‘Charles Darwin’, ‘Geoff Hamilton’, ‘Eglantyne’, ‘Graham Thomas’ sono ormai leggenda. A torto ho sentito dire che le rose inglesi si ammalano facilmente. Posso invece assicurare che varietà come ‘Princess Alexandra of Kent’, ‘Heather Austin’, ‘Moulineaux’, ‘William Shakespeare’, ‘The Countryman’ e ‘Rosemoor’ sono assolutamente resistenti alle classiche malattie fungine della rosa. Mi piace molto ‘Rosemoor’, e appena posso la consiglio anche per quella sua fragranza strana di mela, cetriolo e foglie di violetta. Qualcuno lamenta una rifiorenza pigra se non si interviene con concimazioni sostenute, altri parlano di qualche problema nei climi con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte. Certo il clima inglese è meno «focoso», mai caldissimo e mai freddissimo. Ma allora qualcuno mi dica se non sono super resistenti alle estati mediterranee varietà quali ‘Evelyn’, ‘The Dark Lady’, ‘The Prince’ e se, per come affronta gli inverni più rigidi, non è commovente quell’altra meraviglia che si chiama ‘The Mayflower’.
L’educazione di una pianta avviene quando questa è in vegetazione, cioè d’estate, agendo sulla nuova vegetazione di pochi mesi. Si chiama potatura verde e dà risultati entusiasmanti soprattutto se applicata su rampicanti quali il glicine (Wisteria sinensis) e il falso gelsomino (Rhyncospermum jasminoides). Fate così. A metà giugno dimezzate i rami nuovi emessi dal glicine; nella parte di ramo rimanente verrà stimolata la trasformazione delle gemme da foglia in gemme da fiore. Ovvero: l’aprile dell’anno dopo sarà una cascata mai vista di grappoli violetti. Nel caso del gelsomino, falso o vero che sia, intervenite con le forbici a fine giugno sui nuovi tralci, tagliandoli alla base per riportare la vegetazione allo stadio di partenza. Con i favori dell’estate la gemma sottostante partirà vigorosa.
Numerosi arbusti da fiore rispondono alla potatura verde attivando più di una gemma per ogni ramo potato, con il risultato che la chioma diventerà doppiamente folta e i fiori l’anno seguente saranno molto più abbondanti. La potatura verde in luglio mantiene modellate le siepi di bosso (Buxus sempervirens), lauroceraso (Prunus laurocerasus) e alloro (Laurus nobilis), stimola la rifiorenza inattesa, a settembre, delle rose antiche che secondo i luoghi comuni fioriscono una sola volta a maggio, come di erbacee perenni quali i Delphinium. Se è così utile per raddoppiare i fiori, mantenere alle piante ornamentali un portamento armonioso, stimolare una fruttificazione più ricca e un migliore ordine generale nel disegno del giardino, che cosa fate ancora lì invece di essere fuori a lavorare di forbici?
Il giardiniere deve saper sognare, guai se non lo facesse. Ma deve anche saper essere realista per quegli aspetti del giardinaggio che, affrontati da sognatori, inducono a investimenti fallimentari. Perciò, date retta a chi ha costruito un numero sufficiente di giardini per sapere che, statisticamente, nella seconda casa frequentata un mese d’estate e sporadicamente in un weekend nelle mezze stagioni le piante sono sempre in disordine. Calma, non si sta dicendo che siete cattivi giardinieri: semplicemente, se vivete altrove non potete seguire il giardino a centinaia di chilometri di distanza.
Sicché siate realisti. Piantate con cura e stile creativo un numero ridotto di specie vegetali, tutte assolutamente resistenti alla situazione climatica locale. Piantate al mare mesembriantemi, yucche, aloe, cisti, corbezzoli, palme, e riservate alla montagna sorbi, abeti, festuche e sassifraghe. Solo dopo, mentre queste piante se la caveranno praticamente da sole, potrete sognare. Per esempio aggiungendo qualche geofita (scusate la parolaccia: è onnicomprensiva per «bulbose, rizomatose e tuberose») come agapanti, pancrazi e belledonne al mare, gigli e giacinti d’estate (Galtonia candicans) in montagna che fioriscano proprio in agosto, se è quello il mese in cui voi prevedete di essere lì per gioire del regalo di un fiore in più.
Dovendo consigliare come affrontare il più odioso e infido dei parassiti, bisognerà parlare di come vincere la guerra e non accontentarsi dei risultati di una battaglia. Coleottero curculionide ingordo che sceglie il nostro giardino come ristorante, l’oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis) da adulto misura 7-8 mm, è nero, tozzo e nottambulo. Come dire che voi andate fuori di sera sapendo che sì, purtroppo l’indizio delle foglie dentellate sui margini è lampante: c’è. Ma non lo vedete, e se per caso ne individuate uno un po’ più tonto degli altri e vi avvicinate per prenderlo, lui fa lo svenevole e si lascia cadere a terra, dileguandosi poi svelto nel buio. Attacca ormai piante di ogni tipo, ma ha una predilezione per arbusti sempreverdi quali azalea, rododendro, cotoneaster, lauroceraso, osmanto, alloro, olivo, edera, per le sassifragacee (ah, povere bergenie, povere heuchere, poverissime sassifraghe del giardino roccioso!) e per la fragola, il pesco e altre rosacee, tutte piante che riduce all’ombra di se stesse in men che non si dica.
Gli adulti di oziorrinco hanno una corazza che neanche re Artù, perciò si accorgono poco o niente dei pesticidi. Il problema si risolve dunque solo in parte distribuendo sul terreno o spruzzando sul fogliame antiparassitari di composizione inquietante. Meglio ricorrere al biologico, irrorando nematodi specifici, che parassitizzano gli organi interni delle larve di oziorrinco e le stecchiscono. In marzo, quando le larve bianche che si nutrono delle radici intorno al colletto delle piante e in settembre-ottobre, quando le uova appena deposte si stanno trasformando in larve a spese delle radici più nuove e tenere, i nematodi parassitizzano gli organi interni degli oziorrinchi e il problema è risolto. A qualcosa serve anche il Bacillus thuringiensis, un batterio che produrre endotossine paralizzanti, ma allora per aumentare l’interesse degli oziorrinchi e trarli nella trappola mortale è consigliabile aggiungere al preparato un po’ di zucchero. La ricetta dice: 1 cc per litro di acqua di Bacillus thuringiensis e 1 cucchiaino di zucchero raso, mescolare e irrorare con cura verso sera. I batteri rimangono attivi per circa una settimana, poi bisogna ripetere daccapo, soprattutto se nel frattempo è piovuto. Questo prodotto assolutamente non tossico rasserena voi e anche i vostri animali domestici in libera circolazione in giardino.
In Italia non se ne parla quasi, mentre in altri paesi i tetti verdi o verde pensile sono una realtà: si vedono poco, ma solo perché sono così ben realizzati che si confondono nel paesaggio. Che ne dite se proviamo a considerare ciò che si sta facendo in Germania, dove il 10% delle nuove costruzioni ha un tetto con «copertura vegetalizzata»? Detto così è orribile, ma esprime bene il concetto, che a Tokyo è stato ulteriormente perfezionato: i palazzi che occupano più di 900 mq di suolo devono avere verde, prati e piante sul 20% della superficie esposta. E se sono abbastanza consistenti i costi per realizzare un vero e proprio giardino, con tanto di alberi e arbusti, su una terrazza in disuso all’ultimo piano di un palazzo o a copertura di un garage interrato, è anche vero che per togliersi alla vista il brutto tetto in cemento di una costruzione accessoria o vestire un terrazzino di servizio non diversamente utilizzabile basta una spesa inferiore al costo di una mediocre e breve vacanza per due; in compenso, dura decenni. In 10-15 cm di terra e altrettanti di strati sottostanti (teli filtranti, drenaggio, feltro, membrana antiradice, isolamento termico) ci starà comoda comoda una texture di Sedum misti, un’onda di graminacee, un angolo ombroso di muschi e un altro di erbacee perenni tappezzanti.
Un giardino rassicurante, insomma, perché non è mai da bagnare né da pulire e non gliene importa se siete negati all’arte del pollice verde. In compenso, in estate ci potete mettere una sedia sdraio e prenderci il sole, mentre la stanza sottostante sarà più fresca senza alcun bisogno di climatizzazione. In inverno il tetto verde sarà un’ottima coibentazione e, nelle zone urbane, un provvidenziale sistema di insonorizzazione. E, come se non bastasse, il tetto verde funge da filtro contro l’inquinamento atmosferico e collabora a migliorare l’aria. Siccome è d’estate che bisogna pensarci, pensateci.
Chiroptera, ovvero i pipistrelli. Ne esistono oltre mille specie, nella fauna italiana ne sono classificate 32. Mammiferi volanti troppo poco considerati per il ruolo ecologico che rivestono, godono purtroppo di cattiva fama, come la storia che si impigliano nei capelli. Suvvia, non scherziamo! Accoglierli in giardino (ci sono anche appositi nidi, chiamati bat box, da posizionare a 4 m di altezza, in zone semiaperte e in luce almeno qualche ora al giorno) vuol dire collaborare alla conservazione della biodiversità, visto che alcune specie sono in via di estinzione a causa dell’inquinamento e della rarefazione dei luoghi adatti alla nidificazione. L’accoglienza a casa vostra verrà ampiamente ricambiata: d’estate un pipistrello è in grado di mangiare duemila zanzare in una notte, assicurandovi un sereno soggiorno serale all’aperto, soprattutto vicino all’acqua di stagni e laghetti.
Una volta c’erano le bustine da francobolli, adesso ci sono quelle di plastica trasparente con chiusura ermetica zip e strisce bianche per scriverci sopra il contenuto, che i negozi cinesi vi forniscono in confezioni economicissime. D’estate tenetele sempre a portata di mano. Se toccando appena uno stelo di aquilegia cadono mille semi, entrate in azione. Armatevi di una bustina, scriveteci sopra il nome della specie e della varietà che state per bottinare, la località e la data (importante, perché la germinabilità di alcuni semi è limitata, mentre altri durano anni). Con la mano sinistra premete alle estremità della zip, in modo che l’imboccatura rimanga aperta, e con la mano destra fateci cadere dentro i semi.
Serviranno sacchetti di piccole dimensioni per le piante che vi consegnano condiscendenti le loro minuscole promesse di piante future (aquilegie, appunto, ma anche aconito, delfinio, viole, garofanini, piretro, aromatiche ecc.). Dovrete invece ricorrere a contenitori un po’ più grandi per le bacche e i legumi (ligustro, viburno tino, rose, lupini, piselli odorosi ecc.), e a sacchetti di una misura in più per raccogliere i semi di quelle che cedono alle vostre richieste solo se asportate tutta la capsula, il frutto o il capolino (nigella, papavero, rudbeckia, clematidi ecc.). Lasciate aperto il sacchetto (o svuotate il contenuto su un foglio di carta assorbente) per due o tre giorni all’ombra e all’aria, quindi riponete in una scatola in attesa di semine e scambi.
Ci sono piantine da fiore definite biennali poiché si seminano in estate e sono pronte a produrre fioritura solo l’anno successivo, in pratica nel primo anno si sviluppano e in quello successivo vanno a fiore e a seme. Parliamo di piante quali Dianthus (garofanini) tappezzanti e da recidere, viole del pensiero, Cheiranthus (violacciocca), Antirrhinum (bocca di leone), Bellis (pratolina), Myosotis (non ti scordar di me). Agite tra la seconda quindicina di giugno e fine luglio, riempite con terriccio fertile e sabbioso piccole seminiere, vaschette di polistirolo, vassoi e ogni contenitore utile, e procedete alla semina. Trasferite in un angolo in mezz’ombra e mantenete il terriccio sempre un po’ umido: la germinazione sarà abbastanza rapida da non lasciarvi il tempo di mettere in dubbio il vostro pollice verde. Quando le plantule avranno emesso la quarta o quinta foglia, sarà il momento giusto per procedere al ripicchettaggio in vasetti da vivaio di 8 o 10 cm di diametro. Le nuove piantine completeranno la radicazione e svilupperanno vegetazione sana e forte con i favori del clima, delle vostre annaffiature e di una concimazione liquida dopo 3 settimane dal trapianto. Farete la piantagione nelle aiuole e nei vasi in settembre e ottobre. Le viole del pensiero regaleranno un’apprezzabile fioritura già in autunno, interrotta dal gelo e di nuovo promossa dai primi tepori di febbraio. Da quel momento sarà un autentico tripudio di fiori fino a maggio-giugno e vi sarà costata solo la fatica di seminare e trapiantare.
L’estate dovrebbe essere la stagione più favorevole per la salute delle rose, se non fosse che, temendo possano soffrire la sete, il giardiniere troppo spesso eccede con l’acqua e la somministra anche sulla vegetazione. Ed ecco comparire sulle foglie la ticchiolatura, malattia fungina che si manifesta con macchioline brune circondate da un alone giallo. Il trattamento andrebbe effettuato in via preventiva con ossicloruro di rame in misura di 4-5 g per litro di acqua: il rame indurisce la superficie della foglia rendendola assai più resistente all’attacco del fungo. Se si decide di tentare la sorte con buone pratiche di irrigazione e contando sull’andamento climatico estivo caldo e asciutto, la ticchiolatura potrebbe arrivare comunque, misteriosamente, nel qual caso è necessario intervenire subito con poltiglia bordolese (8-10 g per litro di acqua).
L’estate è tempo anche di larve defogliatrici, piccoli bruchi di imenotteri che si nutrono a spese delle foglie di rosa. Quando gli attacchi sono massivi è necessario intervenire con un prodotto di ultima generazione che abbia come principio attivo lo spinosad, un batterio presente in forma naturale nel terreno. Serve 1 cc di prodotto per ogni litro di acqua. Questo insetticida, utile anche per altre piante da giardino, ha un ampio spettro d’azione: funziona egregiamente contro tripidi, tentredini, lepidotteri e la stragrande maggioranza di insetti con apparato boccale roditore.
A fine agosto-inizio settembre gli abbassamenti di temperatura e la presenza mattutina della rugiada, che aumenta l’umidità, inducono facilmente l’insorgenza dell’oidio o mal bianco, che si manifesta con una sorta di polvere biancastra sulle foglie e sugli steli sottili che portano i boccioli. Il trattamento è lo stesso contro la ticchiolatura.
I prodotti qui consigliati sono tra i meno tossici, accettati anche nelle colture biologiche. Lo spinosad, per esempio, dà la misura del contributo che insieme possono dare natura e tecnologie per risolvere problemi fitopatologici. La sostanza utile, infatti, deriva dal metabolismo del batterio Saccharopolyspora spinosa, scoperto negli Stati Uniti solo nel 1986 insieme alle sue tossine con proprietà antiparassitarie. In commercio si trovano anche prodotti antiparassitari e anticrittogamici sistemici, che vengono assorbiti e trasportati dalla linfa in tutta la pianta. Hanno forse persistenza ed efficacia maggiori, ma sono inquinanti, se non pericolosi: ne vale la pena? Basterebbe ricordare, quando si parla di malattie delle rose, che per evitarle o contenerle la prima cosa è coltivarle bene: massima esposizione solare, buona circolazione dell’aria intorno alla pianta e umidità nel terreno ridotta al minimo indispensabile.
• I giardini di Villa Hanbury a Ventimiglia (IM), frazione Latte, a un passo dal confine con la Francia. Occupa un promontorio che digrada sul mare ligure e guarda la Costa Azzurra in un tripudio di vegetazione mediterranea e di collezioni esotiche. Voluto nel 1867 da sir Thomas Hanbury, facoltoso commerciante inglese appassionato di botanica, è un regno di agavi, aloe, frutti esotici, mimose, passiflore, eucalipti ora patrimonio dello Stato italiano.
• I giardini La Mortella a Forio sull’isola di Ischia rappresentano un regno di creatività paesaggistica e botanica di fama internazionale. Creati a metà anni Cinquanta dal compositore inglese William Walton e soprattutto dalla sua giovane moglie argentina, Susana, sorgono su una brulla e arroventata collina vulcanica che arte e passione hanno trasformato in cornucopia per migliaia di piante esotiche, idee progettuali, laghetti e ruscelli.
• Il giardino del Biviere di Villa Borghese a Lentini (SR) è una straordinaria oasi di verde e frescura nella torrida Sicilia di piena estate, ricavata da un lago prosciugato negli anni Trenta. Alberi esotici, palme rare, collezioni di giganteschi cactus, rampicanti disposti con infinita grazia intorno a un’antica casa di campagna insegnano quanto può l’amore per il giardino.