Mese per mese

Dicembre. Fare largo uso del velo in tessuto non tessuto per coprire le piante non completamente rustiche; programmare le potature di alberi, arbusti e rampicanti (ci sarà tempo sino a febbraio); dopo la prima notte di gelo raccogliere le bacche di rosa da essiccare per gli usi in cucina; predisporre una mangiatoia e cibo per attirare in giardino gli uccelli selvatici.

Gennaio. Decidere le piantagioni del nuovo anno consultando i cataloghi cartacei e su internet; scegliere e piantare le rose (anche a radice nuda, molto meno costose); dopo giorni di vento bagnare le piante (anche se gela); scuotere la neve dai rami perché non si spezzino; impedire che il gelo formi una crosta sul laghetto, se dentro ci sono pesci; con il terreno in tempra (né asciutto né fradicio) cominciare la vangatura delle nuove bordure e scavare le buche per la piantagione degli alberi e degli arbusti; fare i trattamenti anticrittogamici a base di poltiglia bordolese alle rose e alle piante sensibili agli attacchi fungini. Febbraio. Concludere le potature, la vangatura e la concimazione di fondo prima del risveglio della vegetazione; schierare gli attrezzi puliti, affilati e revisionati perché siano pronti per la nuova stagione; verificare lo stato di salute delle piante in vaso ricoverate per l’inverno (limoni, salvie, oleandri, buganvillee, plumerie ecc.) e progressivamente arieggiare i locali nelle ore centrali delle giornate già miti.

Il proverbio sul quale meditare. Chi s’antrapa dui vire ant l’istess busson, merita gniun-a compassion. Reso in italiano, questo proverbio della saggezza popolare piemontese recita: «Chi si inciampa due volte nello stesso cespuglio non merita alcuna compassione». Sebbene il significato sia chiaramente un altro, basta lasciare da parte la filosofia dell’errore tout court e tener buona quella del cespuglio per capire che in giardino, se si è sbagliata operazione o destinazione una volta, bisogna poi correre ai ripari e non ripetersi più. Per correre ai ripari, viva l’inverno: i cespugli di caducifoglie sono completamente insensibili agli spostamenti, quelli sempreverdi hanno il metabolismo rallentato, perciò soffrono meno che se continuassero a crescere dove non devono.

Inverno in giardino

61. Com’è bella la brina sulle graminacee

L’ultima scena dell’autunno (spesso triste e umida) incontra in dissolvenza incrociata la prima scena dell’inverno, sempre di straordinaria forza espressiva: le graminacee incrostate dalla galaverna. Uno spettacolo morbido ed elegantissimo, irrinunciabile dopo che paesaggisti di fama mondiale come Piet Oudolf hanno sperimentato la grande, multiforme famiglia delle erbe (per intenderci: parenti dell’erba dei prati, delle infestanti degli incolti, del grano e dell’orzo dei campi). Oudolf ha insegnato a creare con modesta spesa, poca manutenzione ma tanta sensibilità compositiva situazioni monumentali e coloratissime o, al contrario, discrete e colloquiali, da campagna serena. In ogni caso, durante la cattiva stagione il giardino delle graminacee indossa i tipici toni caldi dell’erba secca e, alla prima notte di gelo, sottolinea i contorni di ogni filo d’erba, ogni spighetta e ogni «piuma» con candidi cristalli cangianti di ghiaccio.

Insomma, andate a cercare su internet qualche foto del giardino personale di Oudolf a Hummelo, in Olanda, o di quelli che ha realizzato in Europa per clienti istituzionali e privati (a Wisley e Scampston Hall in Inghilterra, fra tutti) e negli Stati Uniti (dal Lurie Garden di Chicago alla High Line di New York). Avrete un quadro di quanto si può fare per mantenere vivo e intenso il giardino anche d’inverno. Solo con l’uso di graminacee ed erbacee perenni rustiche, alte e un po’ scomposte come se il giardino fosse sempre stato lì e l’opera fosse della natura e non vostra. Invece è tutto rigorosamente programmato: anche la zona di piantagione, da godere nella controluce del sole basso del primo mattino o del tramonto. Le graminacee più generose di tutte? I Miscanthus, senza alcun dubbio. Sono decine di specie e varietà da 40 a 300 cm di altezza, vigorose, resistenti a tutto e persino considerate fonte energetica ecologica: sono coltivate infatti anche per la produzione di biomassa.

Tra le varietà da giardino che fanno la gioia di un maestro giardiniere, tutte appartenenti alla specie Miscanthus sinensis, segnatevi queste: ‘Gold Bar’ (altezza 40 cm), foglie zebrate verdi e gialle, ottima anche per vasi e fioriere; ‘Purpurascens’ (100 cm), con foglie arrossate in autunno e piume di fiori argentei; ‘Morning Light’ (120 cm), fogliame finissimo e argentato, in contrasto con le piume color bronzo; ‘Kleine Fontane’ (80 cm), foglie verde-azzurro e un tripudio di piume bianche in autunno; ‘Hermann Mussel’ (180 cm), verde sino a stagione avanzata e zampillanti fiori a piuma argentei; ‘Ghana’ (200 cm e oltre), imponente, con foglie più larghe, brunorossicce in autunno.

62. Dedicato a chi coltiva arbusti per i fiori

Chi ha detto che d’inverno il giardino non offre nulla agli amanti dei fiori e dei profumi? Chiedete scusa se lo avete pensato. È invece proprio nei mesi più freddi che alcuni arbusti, rustici in tutti i climi e chissà perché non considerati, offrono il loro commovente contributo di fiori, tanto più sorprendenti per l’intensità del profumo che emanano. Questa se volete è una scelta personale, ma in grado di accontentare tutti.

Chimonanthus praecox. Arbusto spogliante di origine cinese, nel cuore dell’inverno schiude sui rami nudi una miriade di piccoli fiori gialli con la gola rossiccia che emanano un intenso, soave profumo. Preferisce la mezz’ombra e i terreni freschi e fertili, non troppo calcarei.

Hamamelis mollis. Arbusto o piccolo albero spogliante di origine cinese con belle foglie un po’ pelose, che diventano gialle e rosse in autunno, e fiorellini profumati, a petali nastriformi gialli, arancio e rame, che sbocciano nel cuore dell’inverno. Esistono diverse specie e varietà, da cui ottenere fioriture profumate per sei mesi all’anno.

Sarcococca confusa. Parente sempreverde del bosso di origine asiatica, cresce sino a 2 m di altezza e produce in inverno fiori bianco crema poco appariscenti, ma profumatissimi, seguiti da bacche sferiche nero lucente. Vuole ombra e terreno fresco, cresce anche in vaso.

Viburnum bodnantense. Arbusto caducifoglio di medie dimensioni che al primo raggio tiepido di fine inverno si copre di fiorellini rosei in corimbi. Il delicato e persistente profumo annuncia che l’inverno presto cederà il posto alla freschezza primaverile. Vive al sole e in mezz’ombra, in qualsiasi terreno fertile e ben drenato. La varietà V. b. ‘Down’ è speciale per l’abbondanza e il profumo dei fiori.

Se siete di quelli che in inverno si dimenticano di possedere un giardino, lasciatevi irretire e individuate un angolo in prossimità dell’ingresso di casa dove piantare gli arbusti (anche in inverno quando sono in fiore, purché il terreno non sia gelato). Nel tempo imparerete a uscire di casa con le forbici in mano per recidere qualche ramo con le gemme da fiore rigonfie e non ancora aperte. Assistere in casa alla schiusura dei fiori in un vaso d’acqua e venire investiti dal loro profumo raffinato funziona meglio di una cura ricostituente contro le malinconie invernali.

63. Potature intelligenti degli arbusti da fiore

Gli arbusti in generale vanno sottoposti a tre tipi di potatura: di rinnovo, di contenimento e di dirado (o diradamento). Si lavora soprattutto al bruno, cioè quando la vegetazione è ferma, tra novembre e febbraio, a meno che fioriscano prima di aprile. Lo capite anche voi: tagliare i rami con le gemme da fiore già gonfie significherebbe mettere i fiori nelle fascine e, per quella primavera, annullare l’atteso spettacolo in cartellone.

• Il rinnovo, o potatura di ringiovanimento, consiste nel taglio deciso delle ramificazioni, eliminando i rami vecchi che non fioriscono più e conservando quelli nuovi che si sono sviluppati nell’anno. In seguito l’arbusto raggiungerà di nuovo le sue dimensioni fisiologiche, ma solo con ramificazioni giovani e vigorose in grado di riproporre per qualche anno la fioritura.

• La potatura di contenimento, o di ritorno, consiste nell’accorciare la parte terminale dei rami per abbassarli all’altezza desiderata. L’importante è tagliarli in prossimità di un rametto secondario e conservare alla pianta, per quanto possibile, il suo portamento naturale.

• La potatura di dirado consiste nell’eliminare i rami in esubero, cresciuti paralleli o troppo fitti, per arieggiare e alleggerire il centro della pianta. In questo modo gli arbusti assumono un portamento più leggero e l’energia risparmiata dalla pianta viene utilizzata per migliorare la fioritura e la produzione di bacche o frutti. Se vi sembra difficile, ma siete giardinieri volonterosi, osservate l’arbusto: con le sole citate indicazioni capirete come intervenire. Soprattutto, frenate la mano quando una voce interiore impaziente vi suggerisce di tagliare i rami tutti alla stessa altezza, cioè di realizzare (orrore!) chiome con il taglio a spazzola come i capelli di un soldatino.

Da notare: la potatura di contenimento si fa anche al verde, cioè in estate tra luglio e agosto, per mantenere ordinata la vegetazione e rendere più folti e compatti i rami.

64. Soluzioni verdi per sere nere

Se il giardino vi manca perché di giorno siete fuori casa a lavorare e la sera è troppo buio e freddo per stare fuori anche un solo attimo, fate come il vostro maestro giardiniere: richiudetevi al caldo e programmate un futuro di piante e fiori. Guardare avanti consola e stimola, accende nuovi entusiasmi e rimette ordine nelle scelte perché, che lo vogliate o no, il giardino è una palestra di vita.

• Disegnate o ridisegnate un angolo per rifinire l’allestimento del vostro giardino. In tutti i giardini c’è sempre una zona trascurata, o in passato destinata ad altro, o riuscita male e mai riconsiderata. Nelle sere d’inverno, invece di stare lì a rodervi perché non potete agire e fuori c’è neve, vento e gelo, aiutatevi con qualche foto e qualche misura alla mano per progettare in nome della catarsi.

• Leggete i nuovi cataloghi di piante e sementi (potete scaricarli da internet o richiederli per posta ai vivai che vi interessano) e decidete che cosa ordinare. Appena dopo le feste natalizie i cataloghi vengono rinnovati: i vivai che vendono anche per corrispondenza evadono gli ordini subito, la gamma di sementi di fiori annuali ed erbacee perenni è ancora completa, come non sarà più in marzo, quando tutti avranno fatto le loro richieste e la febbre collettiva sarà ormai salita, rendendo proporzionalmente più limitato l’assortimento di sementi disponibili per i ritardatari.

• Passate in rassegna il bottino della scorsa estate e dategli una collocazione definitiva: chi ha raccolto semi dalle proprie e altrui piante, chi ha scattato foto, chi ha chiuso fiori, foglie e steli tra pagine di giornale pensando di farne un erbario. Ecco, è arrivata l’ora: adesso o mai più, perché la prima domenica di sole sarete fuori a potare, piantare e curare e, quando potrete fare altro, di sera vi dimenticherete dei lavori a tavolino: come minimo andrete in cantina o in garage per la manutenzione degli attrezzi e degli arredi, e tutto il resto rimarrà dentro a un cassetto, in sospeso, dunque non utilizzabile né gratificante.

65. Mali climatici di stagione

In caso di gelo. Come per gran parte dei mali, la cura deve essere preventiva. In previsione del ghiaccio è sufficiente pacciamare le erbacee perenni e gli arbusti di limitata o limitatissima rusticità, quali strelizie, Echium, Eugenia, Callistemon, oleandri, Duranta, Cytisus battandieri, Cestrum, Polygala e rampicanti come Bignonia «Contessa Sara», Stephanotis, Solanum rantonettii e S. jasminoides. A fine autunno è bene coprire il piede delle piante con paglia di riso, facendone uno strato alto 50 cm, e riparare la vegetazione con il velo di tessuto non tessuto. In quanto agli arbusti, è bene legare la vegetazione e poi incappucciarla. Se non si riesce a fare altrettanto con i rampicanti, poco importa, basta che la maggior parte della pianta sia protetta: a primavera si potranno spuntare i rametti terminali cotti dal freddo. Mai concimare in autunno con prodotti ricchi di azoto: la vegetazione tenera non farebbe in tempo a lignificare e alla prima occasione avversa diventerebbe preda del gelo.

In caso di neve. Ricordare che molti arbusti tendono ad aprirsi e, spesso, a spaccarsi sotto il peso della neve bagnata, come succede quando le temperature non sono basse (neve pesante). Meglio legare preventivamente la vegetazione degli arbusti con vegetazione fitta e assurgente, mentre per gli alberi giovani e le conifere come cipressi e ginepri è essenziale il tempismo del giardiniere. Ovvero: dovrete uscire in giardino anche se sono le 11 di una nevosa notte invernale e, armati di una pertica (o del manico telescopico dello svettatoio), scrollare la neve dai rami. Nessuno storca il naso, perché anche di questo è fatto il giardinaggio.

In caso di piogge insistenti. Nelle regioni da monsoni nostrani, sempre meglio pensarci in anticipo, facendo la piantagione un po’ in rilievo rispetto al piano naturale del terreno. Il ristagno prolungato dell’acqua, infatti, produce asfissia radicale, un danno che può rivelarsi irreparabile. Il buon senso del giardiniere suggerisce, nei terreni argillosi, pesanti e mal drenati, di scavare con piccoli colpi di vanga o di zappa un sottile fosso che sia una via di fuga per l’acqua. Finita l’emergenza bisognerà aerare il terreno alla base delle piante a rischio, semplicemente infilando la vanga nel terreno per una decina di centimetri di profondità e praticando una leggera oscillazione avanti e indietro. Basterà questo espediente a favorire l’evaporazione dell’acqua in eccesso e l’ossigenazione delle radici.

66. Un ristorante accogliente per uccellini

Nevica, piove, fa grigio e tutto è immobile. Ma se in giardino c’è un certo movimento di uccelli selvatici l’inverno trova un suo lato vivace e noi giardinieri ci sentiamo più partecipi della sorte di chi allieta il nostro cielo. Sapendo oltretutto che tre quarti degli uccelli negli ultimi anni hanno mostrato problemi di adattamento ai cambiamenti climatici, invitiamo a pranzo gli amici alati.

Per i granivori (ciuffolotto, cardellino ecc.) si trovano in commercio speciali miscugli di semi, è solo questione di offrirli in mangiatoie abbastanza alte perché non siano a portata di gatti, e di ripararli sotto un tettuccio perché non si bagnino. Per gli insettivori (pettirosso, merlo, picchio, codirosso ecc.) è un po’ più complicato: se la terra è gelata questi uccelli non riescono a snidare vermi e larve di insetti e si devono accontentare di pezzetti di formaggio e avanzi di carne sfilacciata messi a loro disposizione da giardinieri di buon cuore.

Tutti gli uccelli, comunque, gradiscono qualcosa di grasso e oleoso nella cattiva stagione: semi di girasole, noci e nocciole, le apposite palle di margarina impastata con semi e, soprattutto, cotiche di prosciutto. Per assistere alle evoluzioni felici delle cinciarelle gialle e azzurre basta appendere un pezzo di cotica su un ramo (in alto, lontano dalle zampette rapide del gatto di casa), in una posizione che sia visibile dalle finestre. Aggiungete qualche briciola di pane e un contenitore colmo di acqua per il bagno (inspiegabilmente più frequente in inverno che in estate).

Certo è che dopo un po’ ci si risolve a piantare qualche arbusto con bacche gradite agli uccelli: biancospini, cotoneaster, sorbi, agrifogli, ligustri, tassi. Se affamati davvero, sapranno fare tesoro anche delle bacche cotte dal gelo dei viburni, dei sambuchi e delle lonicere, i merli tireranno all’aria l’edera per staccarne i semi, ma anche per il rifugio che questo rampicante offre, le cince passeranno in rassegna a una a una le faggiole e le samare degli aceri, le pigne e le capsule delle erbacee perenni, le meline ornamentali e i frutti degli ontani. Detto questo, adesso sapete come regolarvi se avete intenzione di aggiungere qualche arbusto in giardino.

67. Dieci rose antiche per iniziare in inverno una collezione

Premessa: quando si tratta di una collezione è sempre meglio scegliere una specie, una categoria o diverse specie vegetali con una caratteristica in comune. Un piccola collezione di rose antiche, per esempio, a modesto parere di un maestro giardiniere cultore di rose, dovrebbe tener conto del gruppo di R. x centifolia muscosa, ovvero le rose antiche per eccellenza. Queste, adorabili, sono tutte espressione della superba creatività vivaistica francese dell’Ottocento.

• ‘Blanche Moreau’ di Moreau-Robert (1880). Fiori bianchi, doppi e profumati, tomento ruvido porpora quasi nero. Più tardiva delle altre muscose.

• ‘Chapeau de Napoléon’ o Rosa Cristata, di Vibert (1826). Fiori rosa argento doppi molto profumati, assolutamente particolare il tomento sui calici.

• ‘Deuil de Paul Fontaine’ di Fontaine (1873). Rosso intenso quasi porpora, molto profumata. È tra le poche rose muscose che tendono a rifiorire.

• ‘Duchesse de Verneuil’ di Portemer (1856). Forse la più raffinata, con petali rosa confetto sul rovescio e più scuri sulla pagina superiore. Profumo intenso.

• ‘Gloire des Mousseux’ di Laffay (1852). Fiori doppi più grandi delle altre muscose, rosa chiaro e profumatissimi. Tomento verde chiaro.

• ‘Nuits de Young’ di Laffay (1845). Tra le antiche più compatte ed erette, fiore medio-piccolo, semidoppio rosso porpora vellutato.

• ‘Salet’ di Lacharme (1854). La fioritura primaverile esibisce fiori doppi rosa chiaro, che nella fioritura autunnale hanno una colorazione più intensa.

• ‘Striped Moss’ di origine sconosciuta. Una rosa «spiritosa» con fiori piccoli, doppi, in varie tonalità rosa con particolari striature rosse. Di piccola taglia, è ideale per i vasi.

• ‘William Lobb’ di Laffay (1885). Dai fusti lunghi e vigorosi, fiori grandi semidoppi e profumati in toni cangianti porpora, magenta e rosa. Da appoggiare a un tutore.

• ‘Zoe’ di Vibert (1830). È la prima rosa antica che ha preso casa nel giardino del maestro giardiniere, ma non è l’unico motivo per affezionarsi: fioritura molto generosa rosa vivo, tomento profumatissimo, spesso dentro a un fiore ne genera un altro.

68. Una fascina li salverà

Avete mai pensato che i resti di potatura o i rametti accantonati per accendere il camino possono avere un ruolo salvavita per le creature che animano il giardino? Leggete e provvedete, e tante grazie a nome dei beneficiari.

Se possedete un laghetto, preparate due o tre piccole fascine e gettatele sulla superficie: si muoveranno lentamente impedendo che si formi in superficie uno strato di ghiaccio. I pesci che vivono sul fondo, e sono a digiuno da novembre in attesa di tempi migliori, potranno almeno respirare nell’acqua bene ossigenata (non lo sarebbe se il ghiaccio impedisse gli scambi con l’atmosfera). Se le fascine sono legate con un ramo di salice dorato o rossiccio, pareggiate con un falcetto tagliente – insomma, confezionate a regola d’arte – saranno non solo funzionali, ma anche artistiche nella scena invernale del giardino. Non di rado ci troverete sopra un airone malinconico che si specchia nell’acqua come Narciso e non riesce a capire come raggiungere quei pesci là sul fondo senza gelarsi il becco. Se tre piccole fascine sono la salvezza degli abitanti del laghetto, trenta piccole fascine ammonticchiate dall’autunno sono il rifugio più gradito del signor Erinaceus europaeus, ovvero il riccio, che lo sceglierà per il letargo. Attenti perciò a non rimuovere la catasta prima che sia tornata la primavera, sennò si offende e se ne va (poi saranno fatti vostri se in giardino ci sono più lumache e topolini del solito).

69. Vasi per inventare giardini nel giardino

Mettete un bosso potato a palla di 40 cm di diametro in un vaso di diametro pari o appena inferiore, e avrete un passe-partout per cadenzare scene del giardino nei momenti dell’anno in cui non vi paiono all’altezza dei desideri. D’inverno, per esempio. Oppure riempite vasi alti e stretti a tronco di cono con una collezione di rusticissime Hosta, una varietà diversa per ogni vaso di 24 cm di diametro: saprete come punteggiare il sottobosco spento e monotono con magnifiche foglie di grande personalità, verde, azzurrate, variegate di bianco e di giallo e intanto, alte così, metterete al sicuro (o quasi) le Hosta, che purtroppo sono il cibo preferito dalle lumache. E d’inverno? C’è spazio per un tappeto di primule e qualche bulbo precoce.

Se invece avete bisogno di una piccola idea per il sole, quei vasi riempiteli di lavanda e disponeteli come soldatini, a intervalli regolari, lungo un vialetto o a gruppi in una bordura di rose ricadenti che vi sembra ripetitiva, perciò noiosa e, d’inverno, orrendamente spoglia. Dedicate uno di quei mastelli zincati con cui le donne del passato facevano il bucato con la lisciva (costano pochissimo nei negozi di robivecchi) a un’invenzione che vi rallegri la vita ogni volta che la guardate, dunque da tenere nell’angolo del relax, sotto le finestre di casa, sulla terrazza… Che cosa metterci dentro? Un intero giardino, se volete e siete disposti a sperimentare: un melo colonnare al centro a dare slancio all’insieme, più un tappeto di fiori stagionali estivi più due tipi diversi di bulbi primaverili più crisantemi coreani per l’autunno più cavoli ornamentali per l’inverno. Oppure un rampicante a sviluppo contenuto da guidare su uno slanciato traliccio a obelisco e intorno un tripudio di piante ricadenti, viole del pensiero mini da ottobre a maggio e per l’altra parte dell’anno petunie (di un solo colore), spumeggiante diascia oppure Euphorbia ‘Diamond Frost’, che è così soffice e attraente con i suoi fiorellini bianchi e sottili.

Se appartenete alla categoria dei giardinieri rigorosi, che non vogliono concedere nulla al trend contemporaneo che privilegia l’ornamento ridondante, vagamente barocco, riempite il mastello solo con un arbusto, ma che sia speciale per il suo modo di fiorire, fare frutti o bacche, cambiare colore in autunno, esibire la corteccia in inverno… Vi sembra proponibile uno dei tanti Cornus oppure un Viburnum?

70. Potature intelligenti dei rampicanti

La potatura dei rampicanti è diversa da quella degli arbusti, in quanto inizia ai primi stadi di sviluppo, soprattutto nel caso di glicini, bignonie, caprifogli, gelsomini. Prima di mettervi al lavoro cercate di capire come funziona. Si tratta di scegliere i rami guida, destinati a diventare il «telaio» vegetale su pergole, grigliati, colonne. Una volta individuati i tralci più robusti, li si conserva integralmente, li si lega nella posizione in cui diventeranno solida ossatura e quindi si procede a eliminare tutti gli altri tralci sino alla base. La vegetazione che si formerà l’anno successivo andrà speronata, cioè accorciata a 5-10 cm di lunghezza. Questo metodo di potatura impedisce che i rampicanti diventino un groviglio di liane secche e ingombranti, dopo qualche anno ingestibili e, purtroppo, assai meno disposti a concedere fiori.

71. Potature intelligenti degli alberi

La potatura degli alberi meriterebbe una trattazione di decine di pagine. In breve: se c’è spazio verso il cielo e l’ingombro naturale dell’albero non danneggia altre piante, edifici o strutture, allora si asseconda la forma voluta dalla natura o selezionata nei vivai e si interviene solo con la pulizia, eliminando i rami secondari e deboli e quelli danneggiati.

Spesso si devono potare alberi solo perché si ostacolano tra di loro, non essendo stata considerata la taglia definitiva, cioè le dimensioni che ogni specie arborea raggiunge a completo sviluppo. In questi casi meglio sarebbe sgombrare il campo da sciocche ipocrisie e abbattere il malcapitato di troppo.

Quando gli alberi allo stretto sono numerosi, anziché tentare potature di contenimento che sono sempre lesive della dignità delle piante (certo, esiste il politically correct anche per loro), una buona pratica consiste nell’individuare l’esemplare male in arnese o invadente nei confronti degli altri, e decidere di sacrificarlo, cioè abbatterlo, lasciando lo spazio a quelli rimanenti, che potranno così raggiungere la loro forma naturale in libertà.

In generale, se considerate la potatura intelligente una forma di modellatura discreta e critica delle piante ornamentali, avrete guadagnato in stima di voi stessi e delle amiche piante. Più o meno così la pensava Ippolito Pizzetti nelle conversazioni che abbiamo avuto. E, ragionando che la sua presenza mi manca, penso alla sua considerazione degli italiani come dendrofobi, cioè pervasi dalla paura degli alberi. Dice Wikipedia: «Non è molto nota come fobia, benché sia molto comune». In casi come questo sarebbe auspicabile sentirsi poco italiani…

72. In cucina con le bacche

• Con le giuggiole, la marmellata. In autunno avete accantonato un cestino di giuggiole raccolte dal vostro esemplare di Zizyphus sativus che vive contro il muro meglio esposto di casa? Arrivato dicembre, i frutti non consumati sono ormai accartocciati come il volto di un vecchio sherpa. Mettete a bagno le giuggiole in acqua fresca per una notte perché possano reidratarsi un poco, quindi dividetele e togliete il nocciolo. Pesate allora 1 kg di frutti, che farete bollire per mezz’ora coperti appena di acqua. Passate al passaverdura, aggiungete 600 g di zucchero e il succo di un limone e di un’arancia. La marmellata sarà pronta in meno di un’ora. Versatela calda nei barattoli e, prima di tapparli, aggiungete in superficie un sorso di rum aniejo.

• Con i corbezzoli, l’aceto. In un barattolo di vetro molto capiente versate uno strato di frutti di corbezzolo appena raccolti, sino a colmare un terzo del contenitore. Versate poi un bouquet composto da qualche foglia di alloro, un rametto di rosmarino e un altro di timo. Colmate con aceto bianco di ottima qualità e lasciate macerare per qualche settimana al buio, prima di usarlo, filtrato, come condimento aromatico. Potete ripetere più volte la preparazione nel corso dell’inverno: mentre già ci sono i fiori nuovi, che daranno frutti l’anno seguente, il corbezzolo (Arbutus unedo) regala ancora tanti frutti rossi dall’aspetto appetitoso ma che, come dice il nome scientifico, ne mangi uno solo e poi più.

• Con i cinorrodi di rosa, il decotto. Dopo qualche giorno di gelo, i cinorrodi di rosa (non chiamateli bacche, suvvia) perdono di interesse estetico, in compenso lo guadagnano dal punto di vista gastronomico. Raccoglietene un buon quantitativo, apriteli a uno a uno con un coltellino affilato e svuotateli. Lavateli sotto l’acqua corrente per eliminare la peluria irritante, asciugateli con un canovaccio pulito e fateli seccare in forno aperto per qualche ora. Serviranno nel corso dell’inverno per una tisana corroborante, antiossidante e ricca di vitamina C che fa ritrovare il buon umore e scaccia i malanni di stagione. Lasciate in infusione per 10 minuti un cucchiaio raso di cinorrodi secchi per ogni tazza di acqua bollente, filtrate e addolcite con miele. Se poi disponete di cinorrodi in abbondanza, date retta ai consigli dell’erborista: sono eccellenti per un bel bagno invernale che restituisce l’energia, versando nell’acqua calda una tazza di cinorrodi e una di sale. Pare che dopo 10 minuti di immersione ci si senta come nuovi.

73. Ancora un incontro con le parole difficili: «z» come «zaffardatura»

Dall’A alla Z, il glossario indispensabile del giardiniere non è eccessivamente elaborato e difficile, e tuttavia comprende parole misconosciute, che invece dovrebbero entrare nel linguaggio corrente, come nelle pratiche, di chi pianta un giardino. Una delle meno considerate in questo senso sotto da lettera Z è la zaffardatura. Più difficile da dire che da fare, quando si procede alla piantagione di esemplari acquistati a radice nuda. Aperta parentesi: d’inverno, sino a venti o trent’anni fa, tutte le piante venivano vendute appena sradicate dalla piena terra, dove erano cresciute, e non coltivate in vaso tutto l’anno come si fa oggi, con relativi costi addebitati al cliente. Qualcuno però pratica ancora, o ha saggiamente riscoperto, la vendita invernale a radice nuda, soprattutto di rose, alberi da frutto, arbusti rustici, graminacee. Questo vuol dire che costano meno della metà delle piante allevate in contenitore, hanno in prospettiva ottime possibilità di attecchimento e possono essere spedite con facilità per corriere. Unico impegno in più è la zaffardatura, appunto. Che consiste nel reidratare le radici esposte all’aria con un bagno che è una sorta di «glassatura» prima della piantagione. In sintesi agite così:

• quando portate a casa le piante, fate stazionare le radici in tagliola, cioè un solco scavato all’aperto. Adagiate un po’ obliqua la pianta e ricoprite le radici con torba o sabbia umida. In queste condizioni la permanenza in tagliola prima della messa a dimora può prolungarsi sino a fine inverno (non oltre, perché poi le piante entrano in vegetazione e si accorgono di tutto);

• quando la buca d’impianto è pronta, con le forbici accorciate le radici rotte, danneggiate o troppo lunghe rispetto alle altre;

• preparate il fango per la zaffardatura mescolando in un secchio terra molto fine (meglio sarebbe un po’ argillosa perché ha maggiore presa), letame setacciato (o stallatico disidratato ridotto in polvere) e acqua. Mescolate e mescolate sino a ottenere un miscuglio di consistenza fluida e appiccicosa. Se volete, potete aggiungere anche un paio di cucchiaiate di cenere setacciata (contiene potassio e calce) e una di sangue secco (contiene azoto e ferro), così al risveglio le radici avranno subito di che nutrirsi;

• immergete le radici delle piante da zaffardare e lasciatele così qualche ora. Potete lasciare immerse le radici nel bagno di fango anche per una mezza giornata o più, se non avete tempo di proseguire subito l’operazione, se nel frattempo è venuto cattivo tempo, ma anche semplicemente se pensate che la zaffardatura possa far tornare turgide le radici che mostrano un inquietante aspetto rattrappito;

• tenete sospesa la pianta per far sgocciolare l’eccesso di zaffardatura e infine procedete alla piantagione. La pianta non si accorgerà di nulla sino a primavera, quando le radici si risveglieranno.

74. Se una pianta deve traslocare

Ci sono piante (arbusti, rampicanti, rose) che non sopportano di essere spostate, altre invece che non se ne accorgono neppure; tutte daranno buoni risultati se tolte da terra e trapiantate a fine inverno, quando sono ancora in riposo. Unica condizione: che il terreno non sia gelato. Lavorando di vanga per estirpare l’esemplare, necessariamente finirete per recidere alcune grosse radici. La vostra pianta non avrà postumi da questo evento traumatico a patto che venga ridimensionata anche la chioma, secondo l’assunto che c’è proporzione diretta tra il volume di vegetazione e il volume di radici. Questo vale che si tratti di albero, arbusto o rampicante.

In ogni caso, non interrate mai oltre la linea del colletto l’esemplare da trapiantare e concimatelo miscelando al terriccio che serve per colmare la buca alcune manciate di cornunghia o farina di ossa. A fine lavoro, dopo aver pigiato un po’ la terra e aver distribuito come concimazione di copertura una manciata di concime minerale in granuli con elevato titolo di fosforo e potassio, annaffiate per provocare il compattamento della terra intorno alle radici.

In quanto alle rose, c’è chi giura che i traslochi, anche all’interno dello stesso giardino, sono rivitalizzanti per la regina dei fiori. E d’altra parte sapete bene anche voi che la rosa è una forte consumatrice di sostanze nutrienti e per questo impoverisce il terreno, sicché, se al risveglio primaverile non trova la sua solita terra esausta ma, al contrario, può disporre di terra concimata e vangata di fresco, non può che esserne contenta. Per trasferire una rosa arbustiva non più vecchia di una dozzina di anni, estirpate quante più radici possibile, tagliate i rami lasciandone solo 3-5, e questi non più lunghi di qualche centimetro. Alla ripresa primaverile tutta l’energia della pianta sarà destinata a trasformare le poche gemme presenti in rami forti e fioriferi. Trattate allo stesso modo le rose acquistate a radice nuda in confezione pack, con in più l’accortezza di ravvivare il taglio delle radici maggiori e di far tesoro della zaffardatura, che favorirà l’immediata formazione di abbondanti peli radicali.

75. Datevi da fare quando si alza il vento

In inverno si presenta sovente la possibilità di vento forte, freddo e asciutto. Che si chiami maestrale, tramontana, bora o grecale, che spiri continuo o a raffiche, poco importa. Se le condizioni di vento perdurano oltre due o tre giorni, il risultato sulla vegetazione sarà lo stesso: disidratazione grave. I vivaisti che allevano in contenitore arbusti sempreverdi e conifere sanno bene a quali problemi vanno incontro, e infatti, come amano ripetere alcuni di loro, fa più danni la siccità di gennaio di quella di agosto.

Per quanto possa sembrarvi fuori luogo, quando vi succederà di trovarvi in mezzo a giorni invernali ventosi dovrete andare fuori, attaccare il tubo da irrigazione che in autunno avevate riposto in magazzino e, con il getto forte, fatto cadere dall’alto, creare quel poco di umidità nell’aria che scongiuri il peggio. Sembra già di sentire l’eco dei vostri pensieri: «Ma se fa molto freddo l’acqua gelerà sulle piante!» È vero, ma con pochi danni, talvolta persino con notevole vantaggio. Infatti lo strato di ghiaccio che si forma intorno alle gemme funge da capsula protettiva e impedisce sia al gelo sia al vento disseccante di fare del male agli abbozzi della vegetazione futura. Il metodo è usato anche per preservare i boccioli dei fiori degli alberi da frutto (mandorlo, pesco, albicocco) dalle gelate tardive.

E con questo abbiamo imparato un’altra lezione: il giardiniere rifugge i luoghi comuni e si ingegna con creatività a trovare soluzioni per governare il proprio regno.

76. Meditazioni per un giorno di febbraio

• Il giardino è una via di fuga? Per un verso sì, certamente, e guai se non lo fosse. Grande e affettuoso contenitore dei nostri pensieri e dei nostri sogni, ci aiuta a decantare la realtà e a ricaricarci. Per un altro verso no, in nessun modo. Sapete come dice il proverbio: «Ciò che la neve cela, l’estate rivela». Se i lavori sono da fare non c’è scampo, se abbiamo sommato errori su errori forse possiamo non accorgercene finché è inverno, ma prima o poi saremo chiamati alla resa dei conti: il giardino non perdona più di tanto. Tanto vale impegnarci in questo momento in cui, più che da godere, il giardino è da gestire e guidare verso la buona stagione.

• Qual è il lato più affascinante dell’inverno in giardino? Ognuno deve cercare le proprie motivazioni. C’è chi si accorge improvvisamente del dono che rappresentano gli alberi e gli arbusti sempreverdi; chi vede un’esaltante speranza di futuro nelle gemme rigonfie delle bulbose che spuntano dalla terra; chi si lascia ammaliare dalla bellezza della struttura degli alberi spoglianti e della loro corteccia (mai valutato l’ipotesi di piantare Prunus nigra ‘Mahogany’ per la lucente corteccia rossa o Betula utilis che ce l’ha levigata e candidissima?). Rispondere a se stessi (in inverno, quando gli stimoli vegetali sono meno evidenti) su un tema ufficialmente poco impegnativo è più utile di quanto non sembri: insegna a guardarsi dentro per osservare il giardino e realizzarlo a propria misura.

• L’esame di coscienza, ovvero il fine stagione del giardiniere ordinato e cosciente. Le potature sono tutte fatte? Le nuove aiuole sono disegnate? La terra è stata ammendata e concimata? I problemi strutturali risolvibili in inverno sono stati risolti? Gli attrezzi sono stati revisionati? I trattamenti anticrittogamici di febbraio con la poltiglia bordolese (Prunus e meli da fiore, rose ecc.) sono stati eseguiti? In giardino manca ancora molto per veder sbocciare il primo fiore di primavera? Se a quest’ultima domanda non sapete rispondere, vuol dire che non avete pensato alla sorpresa e alla gioia del primo croco che sbuca, della macchia di piè di galli e di ellebori che annunciano il giro di boa dell’inverno. Forse dovreste imparare a guardare avanti con maggiore anticipo e a immaginare i risultati del vostro lavoro.

77. Tre giardini italiani che fanno inverno

• Reggia di Venaria Reale in provincia di Torino. Atmosfere di un suggestivo Piemonte sabaudo, ricreate in un giardino di grande respiro intorno alla reggia secentesca, rinata dopo i restauri nel nuovo millennio. L’inverno sottolinea il rigoroso disegno formale e le prospettive che corrono all’infinito verso la cerchia di cime alpine innevate: un paesaggio magico. Qualche giustificato dubbio sulla qualità delle piantagioni.

• Sacro Bosco di Bomarzo in provincia di Viterbo. Ambiente boschivo singolare, è conosciuto in tutto il mondo non per le piante ma per le gigantesche statue di pietra, un universo di mostri e figure mitologiche oversize voluto a metà Cinquecento da un nobile Corsini per la sua bella. Riaffiorato dall’intrico della vegetazione arborea dopo secoli di abbandono, l’allestimento è più leggibile in inverno, quando gli alberi sono privi di foglie. Il significato ultimo, tuttavia, resta un mistero.

• La Kolymbetra nel cuore della Valle dei Templi di Agrigento. Fa dimenticare i luoghi comuni su che cos’è un giardino: non ha fiori né aiuole, ma reperti archeologici e vestigia di opere idrauliche e agronomiche di 2500 anni fa. Neppure sfiorato dall’inverno, questo parco affidato al FAI, che ne ha curato il restauro, è simbolo di un ambiente mediterraneo grandioso e antico, vestito dalla vegetazione sempreverde di agrumi, fichi d’India e olivi che non conoscono le offese della cattiva stagione.

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