Dicembre. Organizzare le piante da appartamento in gruppi, in modo da creare un microclima favorevole; arieggiare i locali senza esporre le piante ad abbassamenti di temperatura; concimare solo la violetta africana e le orchidee che fioriranno nei mesi seguenti. Portare in casa i bulbi forzati con il bocciolo ben formato. Controllare in balcone le protezioni delle piante poco rustiche.
Gennaio. Curare l’abete di Natale e la poinsettia o stella di Natale perché durino più a lungo; piantare all’aperto le bulbose forzate ormai sfiorite; raccogliere all’aperto qualche ramo di calicanto, hamamelis e forsizia con i boccioli ancora chiusi e farli schiudere in casa.
Febbraio. Le piante sono indebolite dall’inverno e più attaccabili: controllare le foglie dove potrebbero annidarsi afidi, cocciniglie, ragnetto rosso e altri parassiti; seminare e conservare sui davanzali interni i fiori annuali per l’estate. All’aperto a fine mese concimare con un prodotto liquido i crochi e le altre bulbose precoci fiorite.
Il proverbio sul quale meditare. A fan ëd pì j’ani che ij lìber. Se siete arrivati a leggere sino a qui, ci auguriamo possiate cogliere una sfumatura di autoironia nel proporre alla vostra meditazione questo detto piemontese, che recita: «Fanno più gli anni che i libri». Un libro è sempre un buon compagno del giardiniere, comunica conoscenze e offre alla condivisione l’esperienza e l’entusiasmo di un autore. Un libro muove saperi, emozioni, sogni, alimenta l’enorme database della memoria collettiva. Ma nulla potrà sostituire l’esperienza sul campo, il gesto della mano, la schiena rotta da una giornata di diserbo, l’errore costato caro che insegna però, per differenza, che cosa ci vuole per avere successo. Una solida e ben fornita libreria di giardinaggio corre in soccorso davanti a un problema inatteso, consola nei periodi in cui non si può stare fuori a lavorare, aiuta a fare progetti di felicità future. Ma gli anni di giardinaggio attivo, oh sì! Quelli sono impagabili maestri, e non solo di piante. Per questo non abbiamo dubbi davanti all’alternativa: meglio in punta di penna o in punta di vanga?
Ha dovuto scomodarsi la NASA, l’ente spaziale americano, perché si scoprisse che le piante servono anche negli ambienti chiusi, non solo all’aperto. E se la foresta amazzonica, i boschi, i giardini forniscono ossigeno all’aria che respiriamo fuori, fa piacere constatare che le amiche piante da interni aggiungono ossigeno all’aria «privata» che respiriamo in salotto. Soprattutto, assorbono sostanze nocive sospese nell’atmosfera domestica (sono centinaia), le inviano alle radici e, per quanto possibile, le elaborano con il contributo dei batteri «buoni» e le trasformano in nutrimento per le piante stesse.
In quello studio degli anni Ottanta passato alla storia, la NASA e poi il Plants for Clean Air Council e il Wolverton Environmental Services hanno individuato 51 piante adatte a vivere in casa e la loro specializzazione come «spazzini». C’è il problema delle vernici e delle colle con cui sono realizzati mobili di poco prezzo, il marito fuma come una ciminiera, i figli usano stampanti e fotocopiatrici di continuo appestando l’aria con il tricloroetilene? Ci pensano la dracena, lo spatifillo, la chamaedorera, il filodendro, persino una pianta che si direbbe una mammola, insomma fragile e carina e basta, la gerbera: assorbono sino all’80% delle sostanze inquinanti.
Insomma, anche se volete fregiarvi del titolo di giardiniere e non di quello di ecologo, la salute è anche la vostra e approfondire simili argomenti non fa che fornire l’alibi per aggiungere in casa piante, piante e ancora piante. Nell’elenco ci sono anche piante facili da coltivare come l’aloe (alla luce) e la sansevieria e l’edera (in ombra), specie profumate come i narcisi e la gardenia, colorate come le begonie da foglia e la stella di Natale.
Abbiamo mutuato dagli Stati Uniti tante abitudini, a cominciare da Halloween, e ce ne manca ancora una: il giorno della poinsettia o poinsettia day, il 12 dicembre. Non è una cattiva idea; come gli americani, potremmo scambiarci un vaso di stella di Natale imparando a scegliere con attenzione la varietà che meglio rappresenta il nostro senso estetico; l’esemplare meglio accestito in vivaio, a uno o tre fusti, oppure ad alberetto o in ciotola con più piante; il cachepot più simpatico per una piantina nana; il bigliettino augurale con la ricetta perché il ricevente, se non ha il pollice verde, sappia comunque come conservarla bella e sana per mesi.
Dice la ricetta: conservate la stella di Natale in un ambiente a temperatura superiore a 15 °C, ma lontano dai termosifoni, bagnatela poco e spesso, ogni tre annaffiature aggiungete anche un goccio di concime liquido per fiori, ricco di potassio come piace alla stella di Natale. Trovate una posizione in luce ma non al sole e che la sera sia a debita distanza da abat-jour e fonti luminose intense. La stella di Natale, infatti, è una specie brevidiurna, entra cioè in fioritura quando le giornate si accorciano: a metà dicembre le sue brattee si stanno ancora sviluppando e colorando.
Se si trova bene, con umidità atmosferica e del terriccio, luce e temperatura ideali, la fioritura della stella di Natale potrà durare sino a marzo-aprile, quando verrà accorciata a 15 cm di altezza, trasferita all’aperto e lasciata riposare sino a inizio estate. Il giardiniere preciso aggiunga alla sua ricetta tre note: il nome scientifico di questa specie messicana è Euphorbia pulcherrima; i rami spezzati secernono un lattice irritante, come tutte le euforbie: attenti ai bambini; i fiori sono gialli e piccolissimi, mentre i «petali» rossi in realtà non sono altro che brattee, cioè foglie trasformate per attirare l’attenzione degli insetti. Infine l’altro nome con cui è conosciuta, poinsettia, è un omaggio a Joel Poinsett, il primo ambasciatore americano in Messico che nel 1825 ne portò un esemplare in Carolina e fu subito successo.
Ricordate le nonne? In autunno acquistavano le patate dolci o patate americane (Ipomoea batatas) e una la riservavano non alla tavola ma a produrre verde per rallegrare l’inverno. Sicché in autunno scegliete uno di questi tuberi a forma di fuso, badate che sia grosso e con parecchi «occhi», cioè con evidenti incavi sulla superficie della buccia nei quali si formano le gemme. E infatti con qualche centimetro immerso nell’acqua in un bicchiere alto e stretto (o nell’apposito vaso per la coltivazione forzata dei giacinti) molto presto la patata emetterà i suoi tralci lunghi con foglioline simili a quelle dell’edera.
Piccoli trucchi utili: un pezzetto di carbone di legna nell’acqua impedirà che imputridisca, due gocce di concime liquido per piante verdi la renderà fertile. Gli appunti del maestro giardiniere ci tengono a ricordare che d’inverno vale di tutto pur di poter fare giardinaggio, per esempio tentare di far nascere un avocado dal suo grosso seme, far emettere radici al ciuffo verde dell’ananas o a una foglia di violetta africana. A crederci, ci si riesce sempre.
La prima volta che andate in pescheria, chiedete una di quelle cassette di polistirolo in cui viene conservato il pesce. Sarà la base per semine fuori stagione, naturalmente dopo un abbondante lavaggio in acqua e sapone di Marsiglia. Fate uno strato di leca (o altro inerte) sul fondo per garantire il drenaggio, quindi colmate la cassetta con un terriccio leggero e fertile. Trasferitela in un angolo di casa luminoso e con temperatura non superiore a 18 °C e seminateci ravanelli, oppure rucola o lattughino da taglio. Ebbene sì, sono cinquant’anni che il vostro maestro giardiniere d’inverno raccoglie qualche ravanello e un pugno di rucola in casa e ancora lo fa con commozione per l’eccezionalità del dono.
D’inverno guai aprire la finestra se nella stanza c’è una pianta da appartamento: stramazza seduta stante anche se cerca di non darlo a vedere (ma poi raggrinzerà e ingiallirà le foglie, e cose simili). Non è poi così strano: come vi sentireste se vi succedesse di essere trasportati in dieci secondi dalle Hawaii a Capo Nord? Il ricambio di aria ai locali però è utile a tutti, esseri umani e piante; si chiama disintossicazione da sostanze non ecocompatibili presenti nelle case (la cosiddetta SBS, Sick Building Syndrome, sindrome da edificio malato), per le piante semplicemente bagno d’aria.
Dice la ricetta: spostate le piante in un altro locale, spalancate (meglio di mattina) per 15-20 minuti, richiudete, attendete che il locale torni in temperatura, e solo a quel punto riportate le piante al loro posto. L’occasione potrebbe essere propizia, una volta alla settimana, per parcheggiare le piante nella vasca da bagno ed eseguire la toelettatura: rimozione delle foglie ingiallite o danneggiate, lavaggio con una spugna imbevuta di acqua tiepida delle foglie coriacee e lisce, mai quelle pelose, da pulire esclusivamente con un pennellino morbido.
Se non avete tempo, almeno procedete alla nebulizzazione di acqua assolutamente priva di calcare (va bene anche quella decalcificata in vendita per il ferro da stiro). Smuovete il terriccio superficiale con una vecchia forchetta, lavate il vaso e annaffiate con acqua a temperatura ambiente. Solo quando le foglie si saranno asciugate si potrà procedere alla lucidatura con l’apposito spray. I maestri giardinieri cercano di fare a meno di questo prodotto, sopportato solo perché, oltre a rendere smaglianti le foglie, svolge un blando ruolo insetticida.
L’atmosfera domestica raramente risponde alle esigenze di umidità delle piante da appartamento, e ognuno deve arrangiarsi a trovare la propria soluzione. La più semplice, che oltretutto risponde anche a criteri estetici, consiste nel far convivere le piante in gruppo, sistemando nascosti ciotole o altri contenitori a bocca larga pieni d’acqua, meglio ancora con una spugna immersa. Nessuna concimazione sino alla primavera: sarebbe come se vi invitassero a un cenone in un locale quotato mentre siete a dieta stretta: dopo vi sentireste male.
• Azalea. Luce ma non il sole, temperatura non superiore a 16 °C, molta umidità atmosferica, 2-3 annaffiature (con acqua priva di calcare!) alla settimana, altrimenti i boccioli cadono.
• Begonia. Ama l’ombra, il caldo e l’umido e, pur desiderando annaffiature due volte alla settimana, mal sopporta l’acqua ferma sulle foglie e alle radici, causa di marciumi.
• Ciclamino. Ombra, temperatura non superiore a 16 °C, buona umidità atmosferica, annaffiatura due volte alla settimana nel sottovaso, rimozione delle foglie ingiallite per evitare la muffa grigia.
• Clivia. Poco esigente in fatto di luce, temperatura e annaffiature, lo è invece quanto a umidità atmosferica (che vuole alta) e drenaggio (che deve essere perfetto).
• Croton. Buona luce, buone annaffiature, buona umidità atmosferica e temperature di 18 °C o più. In caso contrario perde facilmente le foglie o diventano meno colorate.
• Dieffenbachia. Buona luce, un’annaffiatura alla settimana, temperatura di 20 °C. Tenere lontano da bambini e animali: è tossica per ingestione e può provocare dermatiti. Cresce bene in idrocoltura (coltivata cioè con le radici in acqua).
• Ficus. Non molto esigenti in quanto a luce, temperatura ottimale intorno a 20 °C, ma anche un po’ più basse; una sola annaffiatura alla settimana, il lavaggio delle foglie limita gli attacchi di ragnetto rosso.
• Filodendro. Poco esigente in fatto di luce, molto circa l’umidità atmosferica e la temperatura (20 °C e più). Una sola annaffiatura alla settimana, lavare spesso le foglie.
• Gardenia. Poco esigente in fatto di luce, molto invece circa l’umidità atmosferica, che deve essere elevata (pena la caduta dei boccioli). Vuole bere ogni tre giorni circa, e che l’acqua sia assolutamente priva di calcare.
• Potos. Ha le stesse esigenze del filodendro, ma vuole più luce e minore temperatura.
• Spatifillo. Luce chiara ma non il sole, terriccio e aria umidi (annaffiare a giorni alterni se serve), temperatura ideale intorno a 18 °C o più.
• Violetta africana. Ama la luce e un microambiente umido, annaffiature ogni due o tre giorni senza bagnare le foglie. Ingiallisce se esposta al sole e a sbalzi di temperatura.
Se fuori dalla finestra la scena urbana è pietosa, non solo per il grigio invernale, ma per la cattiva, sovente colpevole, gestione del verde pubblico, coltivate in voi lo spirito rivoluzionario che anima tanti giovani contemporanei di tutto il mondo, uniti sotto la sigla comune del guerrilla gardening. Anche se in voi alberga il più conservatore degli spiriti e siete l’unico giardiniere dell’universo a non aver indossato da ragazzo una maglietta con il volto di Che Guevara, vi lascerete convincere dalla bontà dell’idea di far fiorire le città con le bombe di semi. Anche perché, organizzati per tempo, potrete trascorrere un’uggiosa domenica di fine inverno con i bambini di casa a confezionare questi ordigni di pace e fiori, e poi potrete trascorrerne un’altra, a inverno concluso, a lanciarle. Allora siete pronti? Preparate un panetto di argilla, un sacchetto di terriccio universale, qualche bustina di semi di fiori e qualche stuzzicadenti. In quanto ai fiori, meglio optare per quelli con semi non troppo piccoli, anzi sufficientemente grossi da poter essere maneggiati ad uno ad uno.
• Staccate dalla forma tanti pezzetti di argilla delle dimensioni di una nocciola. Fate girare ogni pezzetto nel palmo delle mani, quindi schiacciatelo con un bicchiere.
• Quando avrete confezionato tanti dischetti, in numero pari, appoggiate su metà un pizzico di terriccio.
• Ora appoggiate sul terriccio il vostro seme. Per impratichirvi potete cominciare con semi voluminosi di girasole, di pisello odoroso, ma anche di spinacio, di Nigella damascena che lo sono un po’ meno, ma comunque facili da prendere con una pinzetta e da appoggiare al centro del terriccio.
• Ricoprite con un altro pizzico di terriccio e poi con un altro disco di argilla.
• Sollevate il sandwich di argilla, terra e seme dal piano di lavoro e fatelo girare tra le mani, dapprima con cautela per non rovesciare tutto. Si formerà una pallina rivestita di argilla delle dimensioni di una noce.
• Inserite mezzo stuzzicadenti nella pallina sino a quando l’involucro si sarà asciugato.
Ecco pronto un armamentario che sta a voi definire se più ludico o più rivoluzionario. Una domenica in quel periodo di nessuno poco prima dell’arrivo ufficiale della primavera astronomica, deciderete dove lanciare o, se siete di cuore poetico, dove lasciare sul terreno le vostre bombe perché lì nasca un fiore. Nella confezione di terriccio e argilla c’è ciò che serve al seme per cominciare una storia. Va da sé che, se il posto più vicino da inverdire è il vostro balcone, la guerriglia cominci proprio da quello.
Certe piante generose oltre ogni dire riempiono di riconoscenza il giardiniere: ci sono sempre quando servono e non chiedono quasi nulla in cambio.
Nei vasi riparati del balcone, nelle fessure della pavimentazione, su un muretto sbrecciato della terrazza, nei vialetti riparati del giardino, nella roccaglia, nelle scale di pietra, anche nei giorni peggiori dell’inverno, le margheritine bianco-rosate di Erigeron karvinskianus sorridono serene dall’alto dei loro 20 cm di stelo e delle loro fragili foglioline e mantengono viva la speranza che, dopo l’inverno, ritorni il tempo dei fiori e dei colori.
Questa erbacea perenne centroamericana fiorisce 12 mesi all’anno e, pur essendo di origine subtropicale, ha un’incredibile capacità di adattamento anche alle nostre latitudini, al punto che è indifferente al pH del terreno e la si trova naturalizzata persino in Trentino e nell’Alta Savoia. Soffre un po’ solo a bagnarsi troppo, come il gatto fa lo schizzinoso a posare le zampine nell’erba dopo la pioggia, sicché per accontentarla basta fare la piantagione su una parete verticale o in terriccio molto sabbioso.
E questa che stiamo raccontando doveva essere la prima lezione agli apprendisti giardinieri: «Piantate Erigeron karvinskianus e sarete giardinieri per sempre, dodici mesi all’anno». Perché un fiore che con grazia perdona gli errori e trova da sé nuove location per fiorire, mette addosso il coraggio di coltivare un altro fiore e, se l’esperimento funziona, viene subito voglia di provare con un terzo e si è già pronti ad affrontarne un quarto, anche più problematico.
Così nascono i grandi amori e l’esperienza: dalla capacità di capirsi e perdonarsi. Doveva essere la prima lezione per invogliare a mettersi alla prova con il giardinaggio, che almeno sia l’ultima per lasciare un messaggio. Se avete la sensibilità del giardiniere, siamo certi che avete già capito.