«Che ne pensate di questa?» dice allegramente Aaron. «Un pompiere sexy salva un gattino da uno scarico.»
Scrollo le spalle. «Io sarei felice di occuparmene.»
Lui sogghigna. «Anche io.»
«Che cosa fate nel weekend?» ci chiede Molly, mentre lavora.
«Niente», risponde il nostro collega. «Spero di vedere Paul.»
«Niente neanche io», sospiro.
Molly alza lo sguardo. «Credevo che tornassi a casa per vedere il tuo ragazzo.»
Faccio spallucce. «Beh, avrei dovuto, ma abbiamo parlato per un totale di quattro minuti in dieci giorni, e lui non mi ha chiamata neanche una volta.» Giro sulla sedia, pensando alla mia deprimente situazione.
«Dio, devi mollarlo e passare a Ricardo.»
Roteo gli occhi. Ricardo lavora su questo piano e negli ultimi giorni ha ronzato attorno alla mia scrivania, facendo chiacchiere inutili.
«Gli piaci», borbotta Molly. «Si aggira attorno al tuo tavolo come un moscone.»
«Che peccato.» Sogghigno guardandolo parlare con qualcuno alla sua scrivania. «In effetti, è molto attraente.» Ricardo è italiano e incarna l’uomo perfetto: alto, tenebroso e affascinante. Purtroppo, la sua personalità non è altrettanto gradevole. Prende di continuo in giro qualcuno, oppure si riferisce a sé stesso usando la terza persona.
«Bleah.» Aaron sgrana gli occhi per il disgusto. «Di che cosa parleresti con lui?»
«Non gli parleresti, lo imbavaglieresti e te lo scoperesti fino a svenire», risponde Ava, lanciando un’occhiata all’individuo in questione. «Scommetto che ce l’ha grosso come un cavallo», mormora.
Scoppiamo tutti a ridere. «Tu cosa fai questo weekend?» le chiedo.
«Darà la caccia a dei ragazzi ricchi», dice Aaron.
«Puoi scommetterci.»
La guardo. «Che cosa vorrebbe dire?»
«Frequento dei club in cui gli uomini hanno un mucchio di soldi.»
«Perché?» Mi acciglio.
«Non voglio finire con un perdente squattrinato.»
Rimango a bocca aperta per l’orrore. «Quindi… saresti disposta a sposare un uomo solo per i soldi?»
«No.» Scrolla le spalle. «Forse.» Alza lo sguardo. «Oh, no, eccolo che arriva», sussurra.
Ricardo si avvicina e si siede su un angolo della mia scrivania. La responsabile di piano è tornata a casa per la giornata, quindi lui non si preoccupa nemmeno di fingere di lavorare.
«Ehilà.» Mi rivolge un sorriso.
«Ciao», rispondo con tono secco.
Ti prego, vattene, sei imbarazzante.
«Ricardo voleva sapere come sta la sua collega preferita.»
Fisso lo stupido essere umano di fronte a me. «Perché parli di te in terza persona?» gli domando.
Aaron ridacchia, fingendo di non ascoltare.
«Ricardo si chiede perché non vai mai a trovarlo alla sua scrivania.»
«A Emily piace sbrigare il suo lavoro», borbotto con tono deciso.
«Oh.» Ride, puntandomi un dito contro. «A Ricardo piace il tuo stile, Emily.»
Riprendo a lavorare, e lui rimane seduto sul mio tavolo continuando a blaterare, interrompendosi a malapena per riprendere fiato. Di tanto in tanto, noi quattro ci scambiamo un’occhiata, colpiti da quanto sia stupido.
Con la coda dell’occhio, noto aprirsi le porte dell’ascensore, e poi mi accorgo che gli impiegati stanno tornando in fretta alle proprie postazioni di lavoro.
Eh?
Alzo lo sguardo per vedere Jameson Miles avanzare lungo il corridoio tappezzato di moquette, diretto verso la mia scrivania. Sta digrignando i denti e guarda Ricardo di traverso.
I nostri colleghi si sollevano dai propri cubicoli per controllare chi sia e, quando lo vedono, si lasciano subito ricadere sulle sedie in preda al terrore.
Che diavolo ci fa qui?
Come al rallentatore, lo vedo fermarsi di fronte alla mia postazione. Ricardo gli lancia un’occhiata e quasi si strozza con la sua stessa lingua, alzandosi di scatto. «Signor Miles», balbetta. «Salve, signore.»
«Che cosa stai facendo?» ringhia lui.
«Stavo formando la nostra nuova dipendente», farfuglia. «Lei è Emily», dice, presentandomi.
Aaron incrocia il mio sguardo, in preda all’orrore.
«Sono ben consapevole di chi sia Emily Foster e di quanto spesso frequenti la sua postazione. Questo è il tuo primo e ultimo avvertimento», gli intima a denti stretti. «Torna al lavoro e non farti più trovare qui.»
Ricardo sbianca. «Sì, signore», sussurra.
Il signor Miles lo fulmina con lo sguardo, serrando la mascella per la rabbia. «Vai. Ora.»
Il mio collega praticamente corre verso la sua scrivania, e io fisso la splendida creatura davanti a me. Completo grigio, camicia bianca, cravatta dal motivo cachemire. È davvero la quintessenza del porno in giacca e cravatta.
«Emily, devo vederti nel mio ufficio. Subito», sbotta prima di voltarsi e tornare a grandi passi verso l’ascensore, senza disturbarsi ad aspettare la mia risposta.
Mi alzo, deglutendo il groppo che ho in gola.
Aaron, Molly e Ava hanno gli occhi sgranati per la paura. “Ma che cazzo?” mima Aaron con le labbra, stringendomi una mano per solidarietà.
Rilascio un respiro pesante, poi mi alzo e mi appresto a seguire la divinità dell’ufficio dentro l’ascensore, sotto lo sguardo incredulo di tutti. La cabina si chiude dietro di noi.
Jameson fissa torvo le porte, e io mi torco con nervosismo le dita mentre saliamo verso i piani alti.
Oh, accidenti, ha intenzione di licenziarmi.
Quel maledetto stupido di Ricardo mi ha messa nei guai. È tutta colpa sua. Non gli stavo nemmeno rispondendo… lo sapete.
Arrivati all’ultimo piano, le porte si aprono, e, ancora una volta, il mio capo si incammina a grandi falcate. Esito. Si aspetta che gli corra dietro? Non sono un cagnolino del cazzo. Chi diavolo si crede di essere questo stronzo?
Rivolgo un sorriso falso alla sua assistente e lo seguo. Jameson tiene aperte le porte dell’ufficio per me, e io lo supero. Poi le chiude e gira la chiave.
«Che stai facendo?» esplode.
«È una domanda a trabocchetto?» Spalanco le braccia. «Sono nel tuo ufficio, cosa ti sembra?»
«Voglio dire, perché diavolo stai flirtando con quell’idiota del piano di sotto?» mi domanda con veemenza.
Rimango a bocca aperta per l’incredulità di fronte alla sua accusa. «Non stavo flirtando con lui.»
«Stronzate. L’ho visto con i miei stessi occhi, cazzo.»
«Cosa?» sbotto. «Non dirmi che mi hai trascinata fin quassù per rimproverarmi di aver parlato alla mia scrivania durante il lavoro.»
«Non ti sto pagando per farti rimorchiare», ringhia.
Appoggio le mani sui fianchi con la furia che mi scorre nelle vene. «Stammi a sentire.» Sollevo un dito. «Per prima cosa, mi faccio rimorchiare da chiunque io voglia.» Jameson socchiude gli occhi e appoggia le mani sui fianchi, proprio come me, copiando la mia posizione. «Secondo», sollevo un altro dito, «essendo il mio capo, non hai il diritto di fare commenti sulla mia vita sentimentale.»
«Ah», sbuffa lui, roteando gli occhi con espressione disgustata.
«Terzo.» Alzo tre dita. «Sono nuova qui e non ho nessun amico, quindi se Ricardo vuole essere gentile con me, io non ho intenzione di essere scortese, non ti pare?»
«Non mentre lavori per me», replica Jameson a denti stretti.
«Mi hai davvero trascinata fin qui solo per dirmi questo?» Mi acciglio.
«No», ribatte. «Voglio sapere perché non vuoi uscire con me.»
Rimango sgomenta. «Fai sul serio?» sussurro.
«Da morire.»
L’atmosfera tra di noi cambia, e la rabbia lascia il passo a qualcos’altro.
«Perché non posso rischiare di perdere il mio lavoro se le cose tra di noi non dovessero andare bene.»
Mi fissa per un momento. «Quel colloquio a cui stavi andando un anno fa… era per questo posto?»
Esito per un istante. Ora sì che gli sembrerò una perdente. «Sì.»
«Da quanto tempo stai cercando di farti assumere qui?»
«Tre anni», sbuffo. «Quindi scusami se non voglio gettare via tutto quanto per la storia di una notte.»
«Perché, pensi che ti licenzierei?»
«Non è quello che fanno gli amministratori delegati una volta che hanno finito con le loro dipendenti? Non si sbarazzano di loro?»
Lui mi fissa con le sopracciglia aggrottate. «Non saprei… non sono mai stato attratto da qualcuno con cui lavoro. E, oltretutto, credo che questo posto sia abbastanza grande perché possiamo restare lontani l’uno dall’altra, nel caso.»
«Sei ancora attratto da me?» bisbiglio.
«Lo sai che è così, ed è solo una cena», sbotta lui. «Nessuno lo saprebbe, e di certo io non ti licenzierei il mattino dopo.»
«Quindi…» Sbatto le palpebre, cercando di capire che diavolo vuole. «Sarei il tuo piccolo, sporco segreto?»
Lui avanza fino a quando i nostri volti si trovano a un paio di centimetri di distanza, i nostri sguardi fissi l’uno dentro l’altro. Tra di noi crepita dell’energia, e io mi sento montare dentro l’eccitazione.
«Avevi una ragazza quando abbiamo passato insieme quella notte?» gli chiedo.
«Perché me lo domandi?»
«Non mi hai mai chiesto il numero.»
Lui mi fa un sorriso sexy, passandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Ti chiedono tutti il numero, Emily?» La sua voce assume un tono profondo e sensuale.
«Più o meno.»
«All’epoca, non ero alla ricerca di una relazione, e di certo non dico alle donne che le chiamerò quando non ho intenzione di farlo.» Mi sfiora il labbro inferiore con un dito mentre io lo fisso nei suoi grandi occhi blu. «Questa sera», sussurra.
Il suo respiro mi solletica la pelle e io gli sorrido dolcemente. È davvero…
«Ti vengo a prendere. Cena nel mio ristorante italiano preferito…» Si interrompe, come se stesse immaginando qualcos’altro.
Oh, sembra fantastico.
Continuo a sorridere mentre lui si fa più vicino. Mi appoggia una mano su una guancia e preme le labbra sulle mie con una delicatezza inaspettata. Chiudo gli occhi e alzo un piede dal pavimento.
Robbie… che diavolo sto facendo?
Maledetto uomo. Come fa ad avere su di me un potere tale da convincermi a fare qualsiasi cosa? Tipo, avere avventure da una notte, farmi dimenticare che ho una relazione e che… devo respirare.
Oh, mio Dio. Ho un ragazzo. Merda.
«Mi dispiace se ti ho dato l’impressione sbagliata.» Faccio un passo indietro. «Sto con qualcuno», gli dico di colpo.
Fa una smorfia inorridita. «Cosa?»
«Lo so.» Sussulto. «Io… io…» Scuoto la testa perché non ci sono parole che possano tirarmi fuori da questa situazione. «Ho un ragazzo e non posso uscire con te.»
«Mollalo», replica subito lui.
«Cosa?» gracchio.
«Mi hai sentito. Mollalo.» Si sporge verso di me.
Indietreggio per mettere dell’altro spazio tra di noi. «Sei pazzo?»
«Forse.»
«Non posso lasciare il mio ragazzo per una notte di sesso.»
«Sì che puoi.»
«Jameson.» Mi passo una mano tra i capelli. «Hai perso del tutto la testa?»
«È possibile.» Mi porge un biglietto da visita. «Chiamami, e io verrò a prenderti.»
Jameson Miles
Miles Media
212-639-8999
Fisso il biglietto che ho in mano, la mia mente in preda alla confusione. Alzo gli occhi per incontrare i suoi. So cos’è questo per lui. Si tratta solo di un’altra notte di sesso occasionale. Una notte che potrebbe rovinare ogni mio progetto e mettere a rischio la mia carriera. Mi sono impegnata troppo per riuscire ad arrivare a New York, solo per gettare via tutto per una serata con un playboy. È così strano, non ho capito che era un dongiovanni quando siamo stati insieme, ma più lo conosco e più comprendo di non aver mai conosciuto il vero Jameson.
La parte peggiore è che so che Jameson Miles è il tipo di droga a cui non devo assolutamente assuefarmi.
Il ricordo della nostra notte insieme è già abbastanza soverchiante per me.
«Mi dispiace. Non posso e basta.» Mi volto per uscire dall’ufficio. Il mio corpo sta gridando di tornare indietro, ma poi mi fermo non appena la mia mente viene attraversata da un pensiero. Mi giro nella sua direzione. «Come lo sapevi?»
Jameson solleva la testa mentre lo fisso negli occhi.
Torno verso di lui. «Come sapevi che Ricardo veniva alla mia scrivania?» Mi guardo intorno nella stanza e vedo solo uno specchio sulla parete. «Hai delle telecamere qui?» chiedo.
«Non ci pensare.»
«Oh, invece sì», ribadisco. «Credo di avere il diritto di saperlo, se riguarda me.»
Lui prende un telecomando dalla sua scrivania e preme un pulsante. «Mostrami il quarantesimo piano, per favore», ordina.
Lo specchio si tramuta in uno schermo. L’immagine cambia un paio di volte, e infine appare il mio ufficio. Vedo Aaron e Molly e… la mia scrivania.
Ma che cavolo…
«Mi stavi guardando?» Sussulto. «Perché?»
Sostiene il mio sguardo. «Perché mi eccita.» Mi afferra una mano e se la appoggia sull’inguine. Riesco a sentire la sua erezione dura come una roccia sotto i pantaloni del completo.
Alzo gli occhi su di lui, rimanendo di colpo senza fiato e, incapace di fermarmi, avvolgo le dita attorno alla sua rigida lunghezza. Ci fissiamo a vicenda, conquistati dal desiderio dei nostri corpi.
«Non posso», bisbiglio.
Jameson mi appoggia una mano su una guancia. «Ti voglio.»
«Non si ottiene sempre quello che si vuole», ansimo.
«Io lo ottengo sempre, invece.» Abbassa la bocca sulla mia spalla e, con sfacciata lentezza, mi lecca dalla clavicola al collo, per poi sussurrarmi all’orecchio: «Liberati di lui».
Ho i brividi lungo la schiena, e indietreggio, sopraffatta dall’effetto che ha su di me.
Lui si afferra l’erezione nei pantaloni e si sistema, mentre ci guardiamo l’un l’altra.
«Devo tornare al lavoro», mormoro.
Jameson mi lancia un’occhiataccia, la sua espressione è gelida, e io devo lottare contro l’attrazione che provo per lui, il petto ancora ansante. Sto usando ogni briciola del mio autocontrollo per non saltargli addosso qui e ora.
È così duro sotto il completo… che spreco.
No.
Mi volto ed esco, prendo l’ascensore, e, prima di rendermene conto, sono di nuovo al mio piano. Il cuore mi batte all’impazzata nel petto e sono in preda allo shock più totale. Questa potrebbe essere la cosa più sexy che mi sia mai capitata.
Mi lascio cadere al mio posto, visibilmente scossa.
«Oh mio Dio», sussurra Aaron.
Molly fa scivolare la sedia verso di me. «Porca miseria, cosa è successo?»
«Non ne ho idea», mormoro, alzando gli occhi verso il soffitto. Dove sono le telecamere?
Ripenso all’angolazione che ho visto sul suo schermo e, guardando in quella direzione, la vedo. Una piccola cupola di vetro scuro. Le lancio un’occhiataccia, perché so che lui mi sta osservando. Riesco a sentire i suoi occhi sulla mia pelle. A che cosa pensa mentre mi guarda?
Un’indesiderata ondata di eccitazione mi attraversa quando lo immagino lassù, duro e pronto mentre mi studia. Avrei voglia di togliermi i vestiti e sdraiarmi sulla schiena con le gambe aperte per dargli davvero qualcosa da guardare. Può sentire quello che stiamo dicendo? Quella cosa avrà l’audio?
«Cosa è successo?» sussurra Aaron.
«Ora non posso parlarne. Ci sono le telecamere», mormoro con la testa china. «Ma dobbiamo andare a bere qualcosa di molto forte dopo il lavoro.»
«Gesù», bisbiglia Molly, girandosi verso il suo computer.
«Stupido Ricardo», sbuffa Ava. «Ci farà licenziare tutti. Perché non è stato trascinato lui in quel dannato ufficio?»
«Non lo so.» Apro la mia e-mail e la fisso per un momento, cercando di calmarmi.
Invece so esattamente il perché. Perché Jameson Miles non vuole scoparsi Ricardo, vuole scoparsi me.
Mi mordo il labbro per evitare di lasciarmi sfuggire un sorriso malizioso.
New York è così divertente…
* * *
Sono le cinque e mezza, siamo appena usciti dal lavoro e siamo fermi sul marciapiede davanti al palazzo della Miles Media, mentre decidiamo dove andare per cena. È una cosa stranissima. È come se insieme a questo lavoro io avessi ricevuto tre amici e delle possibilità illimitate. Ogni sera è sabato sera a New York.
Abbiamo età diverse, stili di vita diversi, ma, chissà perché, ce la intendiamo a meraviglia. Ava ha un appuntamento e non viene con noi, ma Aaron e Molly rimangono al mio fianco.
«Cosa avete voglia di mangiare?» chiede Molly, cercando sul cellulare.
«Qualcosa di unto e grasso. Paul non mi ha richiamato», sospira Aaron. «Mi ha stufato.»
«Oh Dio, lo vuoi mollare?» sbuffa la nostra amica, roteando gli occhi. «Sono sicura che si stia vedendo con qualcun altro, e oltretutto non è abbastanza bello per te.»
Un uomo in completo nero apre il portone principale del palazzo, e noi tre ci giriamo. Jameson Miles sta uscendo insieme a qualcun altro. I due sono immersi in una fitta conversazione e non stanno prestando attenzione a nient’altro.
«Chi è quello con lui?» sussurro.
«È uno dei suoi fratelli, Tristan Miles. È a capo delle acquisizioni internazionali», sussurra Aaron, tenendo gli occhi incollati su di loro. «Giuro su Dio, quegli uomini sono così fighi, cazzo, che non si possono guardare.»
Sono circondati da un che di carismatico, il loro atteggiamento trasmette la quintessenza del potere. Intorno a loro si fermano tutti a fissarli. Abbigliati con costosi completi fatti su misura, belli da mozzare il fiato, acculturati e ricchi. Deglutisco il groppo che ho in gola, osservandoli in silenzio. Come al rallentatore, escono dal palazzo per salire nel retro di una limousine nera in attesa. L’autista chiude lo sportello, e l’auto si allontana sotto i nostri occhi.
Mi giro verso i miei nuovi amici. «Ho assoluto bisogno di parlare con qualcuno.»
«Di cosa?» si acciglia Aaron.
«Voi due sapete tenere un segreto?» bisbiglio.
Si scambiano un’occhiata. «Sì, certo.»
«Andiamo al bar.» Sospiro, prendendoli a braccetto e iniziando a trascinarli con me per attraversare la strada. «Non crederete a cosa ho da dirvi.»
* * *
Molly arriva con i nostri drink su un vassoio e si lascia cadere al suo posto.
«Dai, dicci. Hai ricevuto un ammonimento scritto?»
Sorseggio il mio Margarita. «Mmh, è buono.» Corrugo le sopracciglia, ispezionando il gelido liquido giallo.
Aaron beve il suo. «Oh, odio questo barista.» Fa una smorfia.
«Vuoi smetterla di lamentarti?» sbotta Molly. «È come stare insieme ai miei figli, cazzo.»
«Questo drink è troppo forte», boccheggia lui. «Ho visto che tu non ne hai preso uno.»
La collega riporta l’attenzione su di me. «Comunque sia, qual è questo segreto?»
Li fisso. Dio, non so nemmeno se dovrei parlarne con qualcuno, ma ho bisogno di confrontarmi con delle altre persone.
«Promettetemi che non direte niente a nessuno. Nemmeno ad Ava», dico.
«Sì.» Entrambi roteano gli occhi.
«Okay», continuo. «Vi ho raccontato che sto cercando di ottenere un lavoro alla Miles Media da tre anni, no?»
«Certo.»
«Beh, poco più di un anno fa, sono andata a un matrimonio a Londra, e poi sono venuta direttamente a New York per fare un colloquio qui.» Aaron si acciglia, concentrato sulla mia storia. «All’aeroporto di Londra, uno svitato in fila dietro di me ha avuto una specie di crisi e ha iniziato a lanciare la mia valigia per tutto l’aeroporto.» Entrambi mi guardano, confusi. «In ogni caso, una delle guardie della sicurezza mi ha fatta avvicinare al bancone del check-in e ha chiesto all’impiegato di occuparsi di me, così sono stata spostata in prima classe.»
«Che figo.» Aaron sorride, sollevando allegramente il suo bicchiere.
Mi preparo per la parte seguente della storia. «Mi sono seduta vicina a un uomo, abbiamo iniziato a bere champagne e…» Scrollo le spalle. «Più bevevamo e più diventavamo inappropriati, e abbiamo preso a parlare della nostra vita sessuale.»
«Vi hanno cacciati dal volo?» chiede Aaron, con gli occhi sgranati.
«No.» Bevo un sorso del mio drink. «Ma avrebbero potuto tranquillamente farlo.» Lui si appoggia le mani al petto per il sollievo. «Ma poi a New York c’era una tempesta di neve, quindi abbiamo dovuto fare scalo a Boston per una notte. Quell’uomo era… terribilmente sexy.» Sorrido, ripensandoci. «Non era affatto il mio tipo, e io non ero il suo, ma, per qualche motivo, abbiamo finito per fare sesso tutta la notte come conigli. È stato il miglior sesso della mia vita.»
«Adoro questa storia.» Molly pare compiaciuta. «Hai fatto benissimo.»
«Non l’ho mai più rivisto.»
Si intristisce subito. «Non ti ha più chiamata?»
«Non mi ha mai chiesto il numero.»
«Ahi.» Aaron fa una smorfia.
«Lo so, quindi potete immaginare il mio orrore quando l’ho visto al lavoro questa settimana.»
«Cosa?» Sussultano entrambi.
«Oh mio Dio, è quel dannato Ricardo, non è vero?» Aaron si acciglia, bevendo una lunga sorsata del suo drink. «Non riesco a credere a questa storia. Ti prego, non dirmi che lo hai scopato e che ti ha trasmesso una malattia venerea. Non potrei sopportarlo.»
«Era Jameson Miles.»
A Molly schizzano quasi gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Mi prendi per il culo?» Aaron sobbalza. Il drink gli finisce su per il naso per errore, e lui viene colto da un attacco di tosse.
Entrambi mi fissano con gli occhi sgranati.
«Quando sono andata nel suo ufficio, durante il tour del palazzo, è voluto rimanere da solo con me.»
La mia nuova amica scuote la testa. «È tutto vero?»
Annuisco.
«Non ho parole», bisbiglia.
«Io sì. Oh, porca puttana.» Aaron la colpisce su un braccio per l’eccitazione. «Che cos’è successo?»
«Mi ha invitata a cena.»
«Ma che cazzo!» esclama Molly.
«Shh», sussurro, guardando la gente attorno a noi. «Tieni bassa la voce.»
«Dici sul serio?» bisbiglia lei.
«Ho detto di no.»
«Cosa?» Questa volta è Aaron a gridare.
«Tieni. Bassa. La. Voce», gli ordino. «Non posso uscire con lui. Ho un ragazzo.»
«Il tuo ragazzo è un coglione. Lo hai detto tu stessa», farfuglia Molly.
«Lo so, ma io non sono fatta così. Non tradirei mai nessuno.»
Aaron scuote la testa. «Jameson Miles potrebbe farmi fare qualsiasi cosa volesse.»
«Vero?» concorda Molly. «E cos’è successo oggi?»
«Mi ha portata nel suo ufficio e mi ha accusata di farmi rimorchiare durante il mio orario di lavoro.» Rimangono entrambi a bocca aperta. «E…» Mi interrompo. Probabilmente non dovrei dirgli che siamo osservati. Questo lo terrò per me. Tiro fuori il suo biglietto da visita dal portafoglio e lo faccio scivolare sul tavolo.
Molly lo prende e lo fissa. «Persino il suo nome è sexy.» Legge il biglietto ad alta voce. «Jameson Miles. Miles Media. 212-639-8999.»
«Gli ho detto che non può avere tutto ciò che vuole, lui ha risposto: Io lo ottengo sempre, invece, e poi mi ha leccato il collo», dico di colpo.
«Ti ha leccato il collo?» strilla Aaron. «Oh, Signore, abbi pietà.» Prende il menù e inizia a sventolarsi il viso. «Ti prego, dimmi che stasera uscirai con lui.»
«No.» Scrollo le spalle. «Non posso, e oltretutto è il modo più veloce che conosco per farmi licenziare.»
«Nessun lavoro ne vale la pena», esclama lui. «Io non lo rifiuterei nemmeno per diventare il presidente, cazzo.»
Ridacchiamo tutti, e poi il mio cellulare inizia a vibrare sul tavolo.
«Oh… porca puttana», sussurra Molly, fissando il telefono. «È lui.»
«Cosa?» balbetto, abbassando lo sguardo sul numero che sta illuminando lo schermo.
Lei solleva il biglietto da visita che ha tra le mani, e li confrontiamo.
«Il numero che ti sta chiamando è il suo.»
Sgrano gli occhi.
Cazzo.