Sono seduta al bar di fronte al palazzo della Miles Media. Mi sono detta che sono qui solo per prendere qualcosa da portare a casa per cena. Ma la verità è che voglio vederlo andare via. Voglio vedere il suo viso per scoprire se è accaldato quanto me. Sono talmente vicina ad avere un orgasmo in pubblico che non è nemmeno divertente. Come può eccitarmi così tanto un dito passato sopra ai vestiti? Quest’uomo mi fa sciogliere, mi riduce in una poltiglia sdolcinata, bagnata e arrendevole. Non ho nessuna resistenza quando mi tocca.
Per più di un anno ho sognato Jim, l’uomo divertente e spensierato con cui ho passato quella notte. E ora che ho incontrato un’altra versione di lui, non sono certa che mi piaccia. Voglio dire, è sexy e bollente da morire. Un vero inferno fiammeggiante di sensualità.
Chi è Jameson Miles?
Mi siedo sulla panca vicina alla vetrina e guardo dall’altra parte della strada, fino a quando vedo arrivare la limousine e subito dopo la vedo entrare nel parcheggio.
Mi raddrizzo. Mi si stringe lo stomaco e trattengo il fiato mentre il portone si apre. Lui esce, camminando come al rallentatore. È una rock star, e tutti si voltano ad ammirarlo.
Il signor Orgasmo.
Lo vedo salire sui sedili posteriori della limousine, poi l’autista gli chiude la portiera alle spalle e lentamente riporta l’auto in strada.
Continuo a seguirla con lo sguardo mentre svanisce lungo la via, e un’ondata di delusione si abbatte su di me. Mi chiedo cosa farà questa sera. È tardi, sono quasi le sei e mezza, e il palazzo della Miles Media si è svuotato. Non posso credere di aver aspettato qui fuori solo per dargli un’occhiata mentre se ne andava… che sfigata. Già che ci sono, potrei ordinare qualcosa da mangiare al bar. Tanto cenerei comunque a casa da sola. Prendo il menù e studio i piatti, poi le porte della Miles Media si aprono di nuovo ed emerge Tristan. Lo guardo con la fronte aggrottata. È insieme a una donna; lei è bionda, bellissima e indossa un aderente abito di lana e stivaletti neri con il tacco alto. Ha l’aria di essere una molto alla moda e i suoi capelli sono raccolti in una coda alta. Dice qualcosa e lui ride. Girano l’angolo senza ancora svanire dalla mia vista, e Tristan le appoggia una mano sul sedere, chinandosi per baciarla.
Chi è?
Poi lui la prende per mano, e i due svaniscono insieme lungo la strada.
Lavora nel palazzo? Credevo ci fossero delle regole che impedissero le relazioni tra dipendenti.
Forse è una specie di buffet aperto a tutti, e i capi salgono piano per piano scopandosi tutte le donne?
Sono l’unica con cui Jameson sta flirtando? O convoca anche altre ragazze nel suo ufficio?
Chiudo gli occhi, disgustata.
Smettila.
Dio, devo darmi una calmata.
* * *
Rovisto nel mio armadio e tiro fuori i vestiti per domani. È tardi, ho lavorato finora all’articolo che vogliono. Spero che vada bene. Questa volta ero molto più preparata al riguardo. Cosa dovrei indossare domani? Faccio come mi ha detto?
Appoggio sul letto gli abiti che Jameson mi ha ordinato di mettere e li fisso. La gonna grigia con lo spacco, la camicetta di seta bianca. Come fa a sapere che indosso un reggiseno di pizzo con questa camicia? E come conosce questo outfit?
Mi guarda.
Sono attraversata da un brivido. Cazzo, quell’uomo mi sta incasinando la testa. Mi sono trasformata in una massa di ormoni in subbuglio e praticamente non mi ha nemmeno toccata.
Chissà come mi ridurrei se lo facesse.
Ripenso a questo pomeriggio e al modo in cui mi ha sfiorato tutto il corpo con un dito, a come me lo ha infilato in bocca e l’ho succhiato.
Mi tornano in mente le sue parole: “Voglio che ti scopi. A lungo… lentamente e profondamente”.
Chiudo gli occhi e comincia a ribollirmi il sangue nelle vene per l’eccitazione. Vuole che io venga pensando a lui. Vado fino al mio comodino e tiro fuori il vibratore. Lo tengo in mano per guardarlo.
«È un sostituto molto freddo, signor Miles», mormoro nel silenzio. Ho una gran voglia di chiamarlo e dirgli di venire qui per occuparsene di persona.
Ma ovviamente non lo farò. Spengo la luce e mi infilo sotto le coperte. Mi sfioro il seno nudo con una mano. Chiudo gli occhi e apro le gambe, immaginando che Jameson Miles sia qui con me.
* * *
«Volete mangiare qualcosa dopo il lavoro?» chiedo a Molly e ad Aaron.
«Sì, certo. Ma qualcosa di salutare», risponde lei, battendo sulla tastiera del computer. «Non riuscirò mai a farmi una scopata se non inizio a lavorare su questo culone.» Non smette di scrivere mentre parla con me. «E ho bisogno di finire per le otto. Devo andare a prendere i ragazzi.»
«Sì, okay», sospira Aaron. «Mi sembra una buona idea.»
«Questo pomeriggio devo fare formazione», comunico, cercando di sembrare disinvolta.
Entrambi alzano lo sguardo dal loro lavoro. «Dove?»
«Negli uffici della dirigenza.»
«Oh mio Dio.» Molly fa un sorrisetto. «Lui ti ha detto qualcosa?»
Chino il capo e lancio un’occhiata alle telecamere. «Ve lo racconterò questa sera.»
«Dio, vivo per ascoltare i tuoi resoconti», bisbiglia Aaron. «Ti prego, dimmi che te lo sei fatto sulla sua scrivania.»
Ridacchio e concludo quello che sto facendo. «No, non essere sciocco.» Prendo la mia cartella con il falso articolo. «Ci vediamo dopo.»
I due mi guardano con un ghigno. «Buona fortuna.»
Cinque minuti dopo, mi ritrovo all’ultimo piano con il cuore che mi batte nel petto come un tamburo. Ho deciso di non indossare quello che Jameson mi aveva chiesto, sarei stata troppo diligente. E comunque cosa gli fa credere di potermi dire come vestirmi?
Sammia sorride non appena mi vede. «Signor Miles, c’è qui Emily Foster per vederla.»
«Puoi farla entrare», replica la sua voce morbida.
Attraverso il corridoio di marmo in punta di piedi, riappuntandomi mentalmente di comprare un paio di scarpe con la suola in gomma. Perché continuo a dimenticarlo? Busso alla sua porta.
«Avanti», mi dice.
Apro e lo trovo seduto alla sua scrivania, al telefono. Mi getta uno sguardo.
“Ciao, Emily”, mima con le labbra.
«Ciao», lo saluto cortese, stringendo la mia cartella.
“Prego, accomodati.” Indica una sedia e solleva un dito. “Un minuto”, mi comunica ancora senza emettere un suono.
Annuisco compiacente e mi siedo.
«Lo capisco, Richard. Sì, lo so.» Resta in ascolto. «Non mi importa se lavora sodo. Ha infranto il protocollo e ci sono delle conseguenze.»
Mi acciglio. Ma che accidenti… Con chi sta parlando?
«Richard», sbotta. «O la licenzi questo pomeriggio, o lo faccio io. Ed entrambi sappiamo chi lo farebbe in maniera meno dolorosa.» Alza gli occhi al cielo. «Tristan lo sa, sì», dice con tono secco. «Ma, in quanto amministratore delegato, sono io ad avere il controllo. Hai due ore per scortare Lara Aspin fuori dall’edificio, o scenderò di persona.» Riattacca furioso.
Lo guardo sbalordita. Che cosa avrà mai fatto quella donna?
Jameson si morde il labbro con fare rabbioso, fissandomi in viso.
«Ho l’articolo che mi hai chiesto», mormoro.
«Bene.» Prende la mia cartella e spinge la sedia all’indietro per iniziare a leggerlo.
Oggi è diverso, è arrabbiato. Ma forse è solo per la chiamata che ha appena concluso.
Inspira a fondo e sfoglia le pagine, chiaramente frustrato.
«Va bene?»
Jameson alza un sopracciglio, come se fosse ben poco colpito. Io mi acciglio.
«Un grosso evento climatico non è una gran notizia, non ti pare?»
«Beh, di cosa vuoi che scriva?» balbetto. «Non posso fare nomi di persone, luoghi o altro perché è una storia falsa. Non voglio che ci facciano causa.»
«Sono ben consapevole di cos’è, signorina Foster», sbotta lui.
«Che cos’hai che non va oggi?» sussurro.
Jameson sfoglia le pagine mentre riprende a leggere. «Niente.» Continua con l’articolo. «Questo non va bene. Lo scriverò io stesso.»
Aggrotto le sopracciglia. «Ieri notte ci ho lavorato per quattro ore.» Lui alza gli occhi dai fogli, e io mi faccio piccola sotto il suo sguardo severo. «Beh, di cosa vuoi che scriva, allora?» insisto.
«Di qualsiasi cosa che non sia il meteo, cazzo.» Chiude la cartella come se ne fosse disgustato e la appoggia sul tavolo. Preme un pulsante sull’interfono. «Tristan, vieni qui, per favore.»
«Certo.»
Mi faccio ancora più piccola sulla mia sedia. Dio, è cattivo quando è arrabbiato.
Tristan entra nell’ufficio e Jameson fa un sospiro profondo. «La signorina Foster ha scritto il suo articolo.» Indica la cartella.
«Bene.» Il fratello sorride, la prende e inizia a leggere.
«Un evento sismico non va affatto bene», sbotta Jameson.
Tristan stringe le labbra, continuando a leggere. «Però è un ottimo articolo», commenta.
Mmh, ho una cotta per il fratello sbagliato… il mio è uno stronzo.
«Grazie.» Fingo un sorriso. «Con il dovuto rispetto, Jameson», dichiaro, «se diamo un nome a questo evento e pubblicizziamo il suo arrivo nei prossimi quattro mesi, dicendo che provocherà dei seri danni, la storia prenderà piede. Non ci saranno nomi a cui risalire, nessuna persona o luogo. Non vedo come avrei potuto scrivere di qualcos’altro senza compromettere la nostra integrità.»
«Non siamo qui per dimostrare la nostra integrità», ringhia lui. «Stiamo cercando di tenercela stretta.»
Mi appoggio allo schienale della sedia, irritata.
«Voglio una storia su un caso di omicidio seguito dall’FBI.» Riflette, socchiudendo gli occhi. «Inventa un finto omicidio e una falsa indagine. Scrivi quanto sono vicini a risolvere il caso.»
La rabbia mi ribolle nelle vene. «Se sapevi cosa volevi che scrivessi, perché non me lo hai detto ieri?» gli chiedo con tono secco. «Mi hai detto di fare quello che volevo, e io ho passato quattro ore a scrivere questo articolo per te.»
Tristan stringe le labbra per nascondere un sorrisetto. «Ho delle cose da fare. Fatemi sapere quale articolo useremo», annuncia, incamminandosi verso l’uscita. «Grazie, Emily. Ottimo lavoro.» Chiude la porta dietro di sé.
Guardo in cagnesco il bastardo di fronte a me. «Quindi, cosa vuoi che faccia?»
Jameson alza uno sguardo gelido a incontrare il mio. «Ieri ti ho detto cosa volevo che facessi, ma non mi hai obbedito… non è vero?»
Mi acciglio. Un secondo, di cosa sta parlando? Sono confusa. Non è necessario che sia così dannatamente scortese.
Riprendo di scatto la cartella dal tavolo. «Va bene», gli dico. «Scriverò un falso articolo sul falso omicidio di un falso amministratore delegato per mano di una falsa nuova dipendente.» Mi lancia un’occhiataccia. «Con una falsa ascia.»
«Beh…» replica lui con una smorfia, «accertati che lei abbia addosso una cazzo di gonna grigia.»
Rimango a bocca aperta, è arrabbiato perché non ho fatto come mi aveva chiesto. L’arroganza di questo bastardo…
«No, non mette gonne grigie su richiesta. È nuda perché ha fatto del sesso selvaggio con il suo sexy fidanzato, appena prima di mozzare l’uccello del viziato amministratore delegato.»
Jameson socchiude gli occhi in un’espressione carica di disprezzo.
Mi alzo. «Avrai la tua storia per le cinque. Te la manderò per e-mail.»
«No, me la consegnerai di persona.»
«Con tutto il dovuto rispetto, signor Miles», dico, sorridendo, «non ho voglia di rivederti oggi. La consegnerò a Tristan.»
«Provaci e vedrai che cosa succede», replica brusco.
Mi volto ed esco furibonda dall’ufficio, con il fumo che mi esce dalle orecchie.
Quest’uomo è un vero porco.
* * *
Sono le cinque e mezza e io sono seduta alla scrivania a battere l’ultima parola del mio articolo falso. Detesto ammetterlo, ma questo è migliore del primo. I miei colleghi sono andati al bar, e io li raggiungerò lì a breve. Dovrei portare il mio lavoro su in ufficio, ma non lo farò.
Che Jameson vada a fanculo.
Premo Invio per spedirgli l’articolo via e-mail, poi spengo il computer e raccolgo le mie cose dalla scrivania.
Il mio telefono comincia a squillare, e la lettera J illumina lo schermo. Ho salvato il numero con la sua iniziale, così saprò se mi chiama. Prendo il cellulare e premo Rifiuta, poi faccio un sorriso di sfida alla telecamera, sapendo bene che mi sta osservando.
Non ho appena rotto con uno stronzo egoista per cominciare a frequentarne un altro. Può baciarmi le chiappe.
Ricevo subito un messaggio.
J: Rispondi a quel cazzo di telefono.
Guardo di traverso quelle parole e gli rispondo.
Io: Non ho niente da dirti. Ho finito di lavorare per oggi. Hai il tuo articolo. Buona fortuna.
Arriva subito una replica.
J: Questa è una telefonata di natura personale.
Roteo gli occhi, disgustata, e rispondo di nuovo.
Io: Trova qualche altra donna con una gonna grigia che ti succhi il cazzo su richiesta. Non sono interessata all’incarico.
Tolgo la suoneria al cellulare, lo infilo nella borsa e continuo a riordinare la scrivania. Prendo l’ascensore per il foyer e, mentre lo sto attraversando, noto che una guardia di sicurezza è al telefono.
«Mi scusi, signorina», mi chiama.
«Sì?»
«Mi hanno detto di chiederle di aspettare qui.»
Merda. Sta scendendo.
«Ehm, no, non posso. Mi dispiace. Chieda scusa da parte mia», balbetto, superandolo e uscendo dal portone d’ingresso. Giro l’angolo di corsa e, non appena sono fuori dalla visuale della guardia, corro dall’altra parte della strada per entrare nel bar di ieri e rimanere a guardare.
Che cosa vuole?
Mi accomodo su una sedia vicino alla vetrina e vedo Jameson uscire in fretta dall’edificio e poi guardare su e giù per la strada. Tira fuori il cellulare e chiama qualcuno. Il mio telefono inizia a vibrare nella borsa.
Merda. Finirò per rovinare questa opportunità e mi farò licenziare.
È per questo che oggi ha fatto licenziare quell’altra ragazza? Andava a letto con lui e le cose si sono messe male? Lo guardo continuare a controllare da una parte all’altra della strada e comporre di nuovo il mio numero. Lascio che il telefono squilli a vuoto. Jameson è evidentemente furioso.
Il portone si riapre e ne esce Tristan. Jameson gli dice qualcosa che lo fa scoppiare a ridere. Che cosa gli avrà detto? Osservo i due uomini che si guardano intorno con il cuore che mi batte all’impazzata, e alla fine arriva la limousine. Jameson mi chiama di nuovo, e io chiudo gli occhi.
Smettila di telefonarmi.
Alla fine i due salgono nell’auto, che si allontana sotto ai miei occhi. Mi passo una mano sul viso in preda alla disperazione. Il suo caratterino insieme al mio dà origine a una pessima combinazione.
Noi due siamo ufficialmente una pessima idea.
Un’ora dopo
«Cosa vuoi dire?» Molly mi rivolge un’espressione accigliata. «Sono confusa.»
«È tutto un gran casino», sospiro. «Sono tornata a casa in California, ed è venuto fuori che a Robbie non importa niente di me, quindi l’ho lasciato. Ma non l’ho detto a Jameson perché non voglio che pensi che lo abbia fatto per lui.»
«Sì, questo l’ho capito.» Aggrotta le sopracciglia. «Ma perché ora Jameson sta facendo lo stronzo?»
«Perché Emily non ha messo la gonna grigia», interviene Aaron. «Non l’hai ascoltata?»
«Ma perché?» esclama lei. «È ridicolo.»
«Lo so», sbotto.
«Non è per la gonna», risponde lui masticando. «È una questione di potere. Vuole che lei faccia quello che le dice.»
Mi rabbuio, ascoltandolo. «Lo pensi davvero?»
«Continuo a non capire.» Molly sbatte le palpebre, confusa.
«Per lui è un gesto simbolico: vuole che Emily si sottometta.»
«Beh, non ho intenzione di cedere.» Sbuffo. «Davvero, è uno stupido se crede che lo farò.»
Molly alza gli occhi al cielo. «Oh Dio, se mi chiedesse di indossare una gonna fatta di reni lo farei», commenta irritata, fissando un punto nel vuoto. «Ucciderei persino cinquanta uomini per recuperare tutti quegli organi.»
Aaron ridacchia. «Vero? Anche io. Non c’è niente che non potrebbe chiedermi di fare.» Alza le mani verso il soffitto. «Farei di tutto.»
Sollevo lo sguardo, esasperata, e poi tutti rimaniamo a riflettere per un momento.
«Sai cosa farei se fossi in te?» dice Molly.
«Cosa?»
«Domani metterei la gonna grigia e poi lo ignorerei completamente.» La fisso. «Fai disperare quel bastardo.»
«Giusto.» Aaron mi rivolge un ampio sorriso. «Flirta con tutta te stessa dentro a quella gonna grigia.»
Mentre l’idea comincia a prendere piede nella mia mente, faccio un sorrisetto soddisfatto. «Sapete, ragazzi… in effetti, è proprio un consiglio niente male.»
Alzo il bicchiere in aria, sorridendo ai miei due amici.
«All’operazione La Sgualdrinella Provocante dell’Ufficio», dichiara allegramente Molly, accostando il suo bicchiere al mio e facendo tintinnare il vetro.
La guardo e faccio lo stesso. «Che il gioco abbia inizio.»
* * *
Marcio nell’ufficio come una rock star.
Niente calze: fatto.
Reggiseno di pizzo bianco: presente.
Camicetta di seta bianca: presente.
Coda alta: presente.
Gonna grigia con lo spacco: presente, presente, assolutamente presente.
«Buongiorno.» Arrivo alla scrivania e sorrido ai miei amici.
Loro spostano lo sguardo su di me e sogghignano entrambi vedendo che indosso gli abiti richiesti da Jameson. Aaron mi fa un occhiolino e torna a girarsi verso il suo computer.
«Qualcuno vuole un caffè?» chiedo.
«Sì, grazie», rispondono tutti e due.
Mi dirigo verso la cucina, e Ricardo mi segue. «Ehi, piccola, ti stavo aspettando.»
Gli rivolgo un sorriso esagerato e falso. Dio… non potrei avere qualcuno di meglio di questo tizio con cui fingere di flirtare?
«Ciao», rispondo con entusiasmo. «Come va?»
«Tutto bene.» Si illumina sentendo il mio slancio. «Senti, mi dispiace di averti messa nei guai l’altro giorno.»
Incurvo le labbra in un sorriso, passandomi le dita tra i capelli raccolti. «Non c’è problema. Che ne dici di venirmi a trovare più tardi?»
Gli si illumina lo sguardo. «Okay, siamo d’accordo.»
Torno alla mia scrivania e mi siedo, portando i nostri tre caffè. Apro la casella di posta elettronica e mi metto al lavoro. La notte scorsa, Jameson mi ha chiamata tre volte, e io non so il perché. Non so se volesse scusarsi o magari litigare… ma non gli darò la soddisfazione di rispondere alle sue telefonate perché possa fare una delle due cose.
Passerò una bella giornata e non penserò a Jameson Miles nemmeno una volta.
* * *
Sono le tre e l’operazione La Sgualdrinella Provocante dell’Ufficio è in pieno svolgimento. Oggi ho ridacchiato e flirtato con ogni sfigato del palazzo. Non so nemmeno se lui mi stia guardando, ma sto per alzare la posta in gioco. Sto andando da Tristan per parlare dell’articolo che ho scritto.
Le porte dell’ascensore si aprono e io rivolgo un sorriso all’assistente.
«Salve, sono qui per vedere Tristan.»
«Certo, solo un momento.» Aggrotta le sopracciglia, cercando di ricordare il mio nome.
«Sono Emily Foster.»
«Giusto. Chiedo scusa.» Fa la chiamata. «Tristan, c’è Emily Foster qui per vederti.»
«Okay, mandala dentro», risponde lui con tono allegro.
«Attraversa la sala conferenze e, invece di voltare a sinistra per andare nell’ufficio di Jameson, gira a destra, poi segui il corridoio sull’altro lato del palazzo.»
«Grazie.» Seguo le sue indicazioni e mi dirigo verso l’altro capo dell’edificio. Aggrotto le sopracciglia, trovando quattro uffici. Esito. Quale aveva detto?
Proseguo lungo il corridoio, e si apre una porta. Jameson è lì dentro, sta parlando con un uomo. «Scusa il disturbo. L’ufficio di Tristan è quaggiù?» gli chiedo.
Non appena mi vede il suo viso si incupisce.
«La prossima porta», risponde l’altro.
Gli faccio un sorriso dolce. «Grazie.» Proseguo e vado a bussare all’ufficio di Tristan.
«Avanti», dice, e io entro, richiudendomi la porta alle spalle.
«Buon pomeriggio.»
«Ciao, Emily», mi saluta lui calorosamente, indicando la sedia davanti alla sua scrivania. «Prego, accomodati.»
Mentre mi siedo, mi accorgo che quest’uomo non mi rende affatto nervosa; vorrei che fosse così anche con suo fratello.
«Mi chiedevo solo se avessi avuto il tempo di leggere l’articolo che ho scritto.»
«L’ho fatto, sì, e mi è piaciuto molto. Tu ne sei soddisfatta?»
«Sì, credo che vada molto meglio rispetto al primo. Non ero sicura di come dovessi procedere.»
Lui corruga la fronte. «Dovremo inviarlo come se fosse un fatto di cui sei venuta a conoscenza tu. Hai parlato con Jameson?»
«Ehm…»
La porta del suo ufficio si apre e Jameson entra a passo di marcia. «Ciao.»
«Parli del diavolo…» Tristan sorride.
«Ciao», rispondo, e poi riporto la mia attenzione sul fratello più giovane. È difficile non fissare Jameson quando è in una stanza. Domina ogni spazio.
Fare la preziosa è più arduo di quanto sembri.
«Emily è qui per parlare dell’articolo che ha scritto.»
«Capisco.» Mi fissa, e io mi sento avvolgere dall’attrazione magnetica che lui esercita su di me.
«Andava bene?» chiedo.
«Sì.» Sostiene il mio sguardo. «Molto bene.»
«Lo inviamo come se fosse una notizia scoperta da Emily?» domanda Tristan.
Jameson non distoglie gli occhi da me. «Sì, direi di sì.»
Guardo i due uomini. «Okay. Lo invierò e vi farò sapere cosa succede.»
Il maggiore dei due fratelli continua a fissarmi. «Ho bisogno che tu aggiunga un dettaglio. Ce l’ho sul computer. Vieni con me, te lo prendo subito.»
Sento la pelle formicolare. «Okay», rispondo alzandomi in piedi.
Jameson allunga un braccio. «Prima le signore.»
Mi volto verso suo fratello. «Grazie. Ci vediamo più tardi.»
Tristan mi fa un ampio sorriso. «Arrivederci. Passa un bel pomeriggio.»
Mi avvio verso l’ufficio di Jameson e percepisco il calore del suo sguardo sul mio sedere.
Fai la disinvolta… non flirtare… non toccarlo. Fai l’indifferente.
Sono qui solo per provocare questo bastardo… niente di più, niente di meno. Raggiungiamo il suo ufficio e lui apre la porta. Lo supero, e Jameson chiude subito a chiave.
Mi volto mentre lui avanza lentamente verso di me. Si ferma ad appena un centimetro dal mio volto. Ci guardiamo negli occhi e, senza dire una parola, Jameson mi afferra i capelli raccolti per avvolgerseli attorno a una mano e attirarmi ancora più a sé.
«Non oppormi resistenza», sussurra, chinandosi per sfiorarmi le labbra con la lingua.
«E tu non fare lo stronzo», bisbiglio.
Si abbassa e mi accarezza una gamba nuda, stringendo la mia coda tra le dita. Mi lecca il collo, che ho piegato per lui, e poi mi afferra il sedere.
«Dimmi che non stai più con lui», mormora contro il mio orecchio, baciandolo dolcemente.
Ah… Non era così che il piano sarebbe dovuto andare. A questo punto, avrei dovuto respingerlo.
Missione annullata…
«Non stiamo più insieme», ansimo.
Cattura le mie labbra, infilandomi facilmente la lingua in bocca, e tutti i miei sensi si risvegliano. Con una mano mi attira contro la sua erezione in attesa, mentre il nostro bacio si fa frenetico. Mi spinge contro il muro, tirandomi su la gonna e infilando le sue grosse dita sotto le mie mutandine. I suoi occhi cupi sono fissi su di me.
«Questa notte scopiamo.»