«Dovevo andarmene», balbetta lei.
«Perché?»
«Avevo bisogno di arrivare presto al lavoro.»
«Non hai pensato di svegliarmi?» sbotto. «Mi fai incazzare quando ti comporti così.»
«Non iniziare con le tue cazzate moraliste con me. Me ne vado quando cazzo mi pare.» La telefonata si interrompe.
Inspiro in modo brusco, nessuno mi sbatte il telefono in faccia.
Nessuno.
Serro i denti e getto il telefono sul divano. Quella donna è dannatamente irritante.
Vado nel mio studio, apro il portatile e accedo alle riprese di sicurezza. Mi siedo, aspettando che si carichino. Appare un’immagine della mia porta d’ingresso, e premo Riavvolgi rimanendo a guardare mentre il video va rapidamente all’indietro. La vedo andarsene e fermo la ripresa. Che ore erano?
Le 3:58. Doveva arrivare presto al lavoro? Cazzate.
Ha aspettato che mi addormentassi e poi se ne è subito andata. Mi appoggio contro lo schienale della sedia, mentre la mia ira cresce.
«Non so a che cazzo di gioco stai giocando, Emily Foster, ma non ci sto. Se stai con me, stai con me. E fai quel cazzo che ti dico io.»
Chiudo con forza il computer e mi dirigo rapidamente al piano di sopra.
Vuole la guerra? È quello che avrà.
* * *
Un’ora più tardi, attraverso l’ingresso del mio palazzo e vado spedito verso la mia auto.
«Buongiorno, signor Miles.» Alan mi sorride, aprendo la portiera della limousine.
«’Giorno», rispondo, salendo.
Sul sedile c’è la solita pila di giornali insieme al mio caffè, e inizio il mio rituale mattutino. Ci mettiamo quaranta minuti per percorrere i venti chilometri fino all’edificio della Miles Media, quindi sfrutto quel tempo per tenere d’occhio la concorrenza. Scorro la pila e prendo il Gazette, il nostro diretto concorrente, per controllare la prima pagina.
«Che impaginazione raccapricciante», borbotto sottovoce aprendo il giornale. Leggo le prime due pagine, e poi arrivo alla terza.
Notizia dell’ultima ora
Il Dipartimento di Polizia di New York sta per concludere un’indagine per omicidio top secret.
In origine il crimine era stato attribuito a un uomo che gli agenti avevano soprannominato Stoneface, collegato a più di ottantacinque furti d’appartamento a Brooklyn, New York.
Ma grazie alle prove del DNA, ora gli investigatori credono che tutti i crimini siano stati commessi dal sospettato soprannominato Red Ribbon Killer in altre zone dello stato.
“Grazie a questo nuovo dato, abbiamo collegato ufficialmente Stoneface a un individuo noto come Red Ribbon Killer”, ha affermato Matthew Price, procuratore distrettuale della contea di Brooklyn.
Stoneface, un meccanico, è ricercato da quando la polizia è arrivata a lui confrontando il suo DNA con i dati di un sito di genealogia.
È stato accusato dell’omicidio e dello stupro di quarantacinque persone, in quella che la polizia definisce una serie di crimini premeditati.
È stato soprannominato Red Ribbon Killer perché legava un nastro rosso attorno al collo delle sue vittime dopo la loro morte.
La polizia lo ha rintracciato e si aspetta di eseguire l’arresto in giornata.
«Cazzo.» È l’articolo di Emily, solo formulato in modo differente. Tiro fuori il cellulare e chiamo Tristan, con la pressione sanguigna alle stelle.
«Ehi», mi risponde.
«Pagina tre del Gazette», gli dico con tono secco.
«Stai scherzando?»
«No.»
«Porca puttana.» Sospira. «Ci vediamo tra poco.»
Riattacco e il mio cellulare vibra. Il nome Chloe illumina il mio schermo, ma premo Rifiuta.
Bevo il mio caffè e guardo fuori dal finestrino, trasudando sdegno da tutti i pori. Una cosa è essere raggirato, ma essere venduto da un membro del tuo stesso staff è un tradimento di un altro livello.
Quando metterò le mani sul responsabile di tutto questo, me la pagherà molto cara.
* * *
Mezz’ora più tardi, entro nell’ufficio e trovo dentro tre delle mie persone preferite. I miei fratelli.
«Ciao.» Sogghigno. «Gesù, siete diventati tutti e due più brutti dall’ultima volta che vi ho visti. Non credevo che fosse possibile.»
Loro ridacchiano, e subito dopo ci abbracciamo. Mi sono mancati. Il loro ruolo nella compagnia gli richiede di vivere in Inghilterra. Lavorano nella divisione londinese. Riesco a vederli solo una volta al mese, quando vado lì, e per Tristan è lo stesso. Almeno lui può rimanere un po’ più a lungo, quindi può trascorrere più tempo insieme a loro.
Sbatto il Gazette sulla scrivania. «Che diavolo è questo?»
«Porca puttana», bisbiglia Tristan, mentre tutti si accomodano attorno al tavolo.
«Che sta succedendo?» sbotta Elliot. «Non posso crederci.»
Prendo un respiro profondo. «Abbiamo un nuovo membro dello staff, Emily Foster.»
Tristan fa un sorrisetto, e io roteo gli occhi. «E?» interviene Christopher.
«Il suo secondo giorno ha pubblicato un articolo e non era certa del nome di una delle persone coinvolte, quindi ne ha inventato uno su due piedi con l’intenzione di cambiarlo una volta tornata in ufficio.» Mi ascoltano con la fronte corrugata. «Solo che se lo è dimenticato.»
«Gesù.» Elliot alza lo sguardo al cielo. «Che incapace.»
«No», dice Tristan. «Diabolico. Il giorno dopo il Gazette ha pubblicato esattamente la stessa storia… con il nome finto.»
I nostri due fratelli si accigliano nel sentire la notizia.
«Come fate a saperlo?» chiede Christopher.
«Conosco la giornalista. Ci siamo incontrati un po’ di tempo fa.» Mi interrompo, preferendo non approfondire oltre.
«Sapete chi è?» fa Tristan, sogghignando.
«Chi?» Elliot sposta lo sguardo tra di noi.
«Ricordate che un secolo fa Jay si è ritrovato addosso un gigantesco succhiotto?»
Rimangono entrambi a bocca aperta. «No!»
Elliot si stringe la base del naso. «Ti prego… non dirmelo.» Scoppia in una risata. «Come lo avevi definito? La vergogna dello scalo?»
«Ho dovuto portare un dannato dolcevita per due settimane.» Sospiro disgustato.
«Ricordate la cena elegante per l’ente benefico di mamma?» Tristan getta la testa all’indietro e ride. «E tu avevi il succhiotto più grande che chiunque avesse mai visto.» Ridacchia, ripensando al ricordo. «E hai dovuto nasconderti dalla mamma per tutta la serata e mettere il fondotinta sul collo. È stato esilarante.»
«Mortificante.» Rabbrividisco al solo pensiero. «Comunque, tornando alla storia.» Lancio un’occhiataccia a Tristan per aver tirato fuori quella faccenda. «A mia insaputa, Emily, è così che si chiama, ha ottenuto un lavoro qui. Tre settimane fa ha iniziato, e c’è stato questo disguido del nome. È venuta da me, sospettando che stesse avvenendo qualcosa di losco. Un nome finto che aveva inventato lì per lì non poteva essere una coincidenza.» Guardo i miei fratelli attorno a me. «Le nostre notizie vengono vendute al mercato nero.»
«Ma che cazzo», esplode Elliot.
«I prezzi delle nostre azioni sono in calo perché non pubblichiamo più notizie dell’ultima ora.»
Lui scuote la testa, disgustato.
«Questo perché i giornalisti che stiamo pagando lavorano per la concorrenza», dichiara secco Tristan.
«Questa settimana abbiamo messo alla prova la teoria. Abbiamo chiesto a Emily di scrivere una storia fasulla e di inviarla tramite i normali canali, e guardate.» Sbatto le nocche sul giornale. «Eccola qui, a pagina tre del Gazette.»
Fissano tutti il quotidiano di fronte a noi, assorti nei loro pensieri.
«Quindi… che cosa facciamo?»
«Per me possiamo anche licenziare tutti quanti», dichiaro brutalmente.
«No, dobbiamo farlo per bene. Ci sono centinaia di persone a quel piano. Senza parlare degli informatici e dell’ufficio spedizione.»
I tre iniziano a chiacchierare, discutendo delle possibili opzioni.
Nel frattempo, premo un pulsante sull’interfono. «Puoi mandarci Richard dell’ufficio legale, per favore?»
«Sì, signore.»
«Emily potrebbe scrivere un altro articolo, così potremo seguirlo più da vicino», propone Elliot.
«No», rispondo io. «Non voglio coinvolgerla di nuovo. Anzi, non la voglio più quassù.»
Tristan fa un sorrisetto.
«Tra un secondo ti cancello quella stupida espressione dalla faccia», lo minaccio.
«Hai paura che ti lasci un altro succhiotto?» scherza Elliot. «Deve essere brava a succhiare.»
Ridono tutti.
Gli lancio un’occhiataccia. «Dacci un taglio. Oggi non sono dell’umore per queste cazzate.»
Qualcuno bussa alla porta. «Avanti», dico. Appare Richard. «Prego, accomodati.»
«Come posso aiutarvi?» Ci sorride.
«Abbiamo ragione di credere che qualcuno al piano delle notizie stia vendendo le nostre storie alla concorrenza. Come possiamo gestirla dal punto di vista legale?»
Richard si acciglia, spostando lo sguardo tra di noi. «Ne siete sicuri?»
«Sì.»
«Beh.» Emette un sospiro mentre riflette. «Dovreste assumere un’agenzia specializzata in investigazione aziendale.»
«Di cosa si occupa?» chiedo.
«Lavora nell’ambiente delle grandi aziende e si può occupare di verificare la legittimità di un partner aziendale o di un accordo, di indagare sulla perdita o sul furto di informazioni proprietarie, di identificare il potenziale di una reputazione danneggiata, e altre cose simili.»
«No», dico, alzandomi in piedi. «Non voglio uno sconosciuto che ficchi il naso qua intorno. E se si venisse a sapere? Danneggerebbe ancora di più la nostra reputazione.»
«Con tutto il dovuto rispetto, Jameson, non vedo quale altra scelta lei abbia», dice Richard.
«Conosci qualche agenzia?» gli chiede Tristan.
«No. Ma posso trovarne una da assumere.»
«Non mi piace.»
«Sono professionisti. Si occupano di continuo di cose come questa. Non saprà nemmeno che sono nell’edificio», insiste il legale.
«Come funziona?»
«Di solito si recano sul luogo sotto copertura, fingendosi dipendenti per indagare e seguire le tracce.»
Roteo gli occhi per il disgusto. «Ridicolo. Questo non è un dannato episodio di MacGuyver.» Fisso i miei fratelli, e capisco che mi hanno messo spalle al muro. Non c’è modo per evitarlo, e so che devo arrendermi. «Va bene.»
Emily
Un’ora prima
Marcio in strada tra la folla. Non mi abituerò mai ai gremiti marciapiedi newyorkesi, a prescindere da quanto tempo vivrò qui. Sono esausta. Ho passato metà della notte sveglia a fare sesso e non sono più tornata a dormire dopo che ho lasciato l’appartamento di Jameson alle quattro del mattino. Dio, questa situazione è un incubo. E chi cazzo è Chloe?
Ordino il mio caffè freddo e, mentre aspetto, compro il Gazette al chiosco dei giornali. Lo leggerò durante il pranzo. Mi chiedo se ci siano dei lavori disponibili. Probabilmente me ne servirà uno di qui a poco. Con il cuore sofferente, torno con il pensiero a Jameson. Dannazione, perché deve sempre esserci qualcosa che non va negli uomini che mi piacciono? Se solo fosse un tipo normale, con un normale appartamento del cavolo, una macchina pessima e nessuna donna che gli scrive, sarebbe perfetto. Sotto ogni punto di vista.
Ho un’immagine di noi la notte scorsa mentre facciamo l’amore e ci baciamo per ore, e vengo travolta dalla tristezza.
Detesto la profondità del nostro legame fisico.
È solo sesso, cretina.
Fantastico, mozzafiato e piacevolissimo sesso.
Suppongo che Jameson Miles lo faccia con qualsiasi donna con cui vada. È quel tipo di uomo, con quel tipo di uccello.
Uffa. Prendo il mio caffè e mi dirigo con aria mesta verso l’ufficio. Oggi non penserò a lui, e di certo non gli dirò che so di Chloe.
Chiunque Chloe sia.
Tutto quello che so è che se gli manda dei messaggi nel cuore della notte per chiedergli dove sia, allora deve esserci sotto qualcosa, e può assolutamente tenersi Jameson.
Posso essere molte cose, ma non sono una ladra di uomini.
Stronzo. Come ha osato usarmi per il sesso? Il gusto amaro del tradimento mi riempie la bocca. Posso fingermi coraggiosa quanto mi pare, ma la verità è che sono sconvolta. La notte scorsa è stata perfetta, più che perfetta, e lui ha dovuto rovinare tutto.
Credevo di aver passato la notte con Jim, e invece mi sono ritrovata con Jameson Miles, la sua versione squallida. Come ho potuto non accorgermene?
Arranco nel palazzo e salgo fino al mio piano, per poi lasciarmi cadere disgustata sulla sedia. «Ciao», esordisco.
«Ehi.» Aaron rotea la sedia di fronte a me. «Come è andata?»
Lancio un’occhiata alla telecamera sopra di noi. «Bene», mento. «Ti racconterò stasera. Dobbiamo andare a bere.»
«Bere?»
«Tutto ciò che possiamo.»
Il suo entusiasmo svanisce. «Oh… quindi è quel tipo di bere.»
«Precisamente», borbotto con tono secco.
«Che sta succedendo oggi?» bisbiglia lui.
«Che cosa vuoi dire?» Alzo lo sguardo dal computer.
«Tristan sta ronzando qui attorno, e Jameson è già sceso a questo piano.»
«Che ore sono?» Guardo l’orologio. «Sono solo le otto e tre quarti. Non sono mai quaggiù a quest’ora, le rare volte in cui scendono.»
«Lo so.»
«Mmh.» Vedo il minore dei due fratelli mentre parla con un responsabile di piano, e sembra avere un’espressione severa. «Credi ci sia qualcosa che non va?» gli domando.
«Non lo so. Hai fatto incazzare il signor J. la notte scorsa?»
Sogghigno.
«Forse è al piano di sopra a fare i capricci.»
«Probabilmente sto per essere licenziata.» Sorrido allegramente mentre accendo il mio computer.
Bene, spero sia furioso.
* * *
Due ore più tardi, alzo lo sguardo e noto due uomini che non ho mai visto prima. «Chi sono?» bisbiglio.
Molly dà un’occhiata e rimane a bocca aperta. «Oh signore, abbi misericordia… Dio, ti ringrazio.»
«Eh?» Mi acciglio.
«Sono Elliot e Christopher Miles. Sono arrivati dall’Inghilterra. Questa settimana deve esserci una riunione del consiglio di amministrazione o qualcosa del genere.»
Sgrano gli occhi. «I fratelli di Jameson?»
Lei sorride con aria sognante, continuando a guardarli. «Esatto.» Getta uno sguardo ad Aaron. Anche lui li sta fissando apertamente. «Io voglio Elliot.»
«Bene, perché io voglio Christopher», bisbiglia lui a sua volta.
«Ti prego, puoi organizzarci un appuntamento con i fratelli?» mormora.
«Sì, e poi dobbiamo scambiarceli», aggiunge Aaron. «Perché li voglio tutti e quattro. Non posso scegliere.»
«Riesci a immaginartelo?» dice Molly. «Il solo pensiero mi fa arrossire.» Si sventaglia il viso con una cartellina, tenendo gli occhi incollati sui fratelli Miles. «Immaginali tutti e quattro a letto insieme… a fare a turno con il tuo corpo.»
Roteo gli occhi, disgustata. «Se lo chiedi a me, i fratelli Miles sono sopravvalutati.»
Ma non è vero. Sto mentendo spudoratamente. Tutti mori, alti e muscolosi… con le loro mascelle squadrate e i loro abiti firmati da playboy. Tutto in loro quattro grida potere e fascino. Stronzi.
Oggi Jameson non è venuto a cercarmi. Non ho più avuto sue notizie, e con ogni probabilità ora sarà al piano di sopra a pomiciare con Chloe sul divano dell’ufficio.
Bleah. Ho chiuso con gli uomini. Come ho potuto essere tanto stupida?
Ore 16:30
«Oh mio Dio, hai visto la storia sul Gazette?» esclama Molly.
«No, quale storia?»
«Quella del Red Ribbon Killer. Stasera non mi sentirò sicura nemmeno in metropolitana.»
Le lancio un’occhiata. «Cosa?»
«Sì, è una delle loro notizie principali di oggi. La stavo leggendo online proprio ora.»
«Mi prendi in giro?» Clicco sul loro sito web per cercare l’articolo, e ovviamente lo trovo, parola per parola… le mie parole.
Lo leggo, portandomi le mani alla bocca per l’orrore.
Oh mio Dio. È per questo che oggi sono tutti qui. Stanno cercando di limitare i danni.
Fisso la notizia sul mio computer. È lì, nero su bianco, ma non riesco a crederci davvero. Guardo le persone in ufficio, che si stanno comportando con calma e professionalità. Chi sarà la talpa?
Ladro bastardo.
«Devo andare a parlare con una persona. Torno tra un minuto.» Praticamente corro verso l’ascensore e salgo fino all’ultimo piano. Perché Jameson non mi ha detto niente?
«Salve», dico, superando l’assistente.
«Scusa, Emily», mi chiama la donna. «Al momento non riceve visite.»
«Non importa.» Mi precipito verso l’ufficio di Jameson e busso alla sua porta.
«Sì?» risponde lui con tono secco.
Apro e lo trovo seduto dietro alla sua grande scrivania. I suoi occhi blu si alzano per incontrare i miei. «Che c’è?» mi chiede freddo.
Entro e mi chiudo la porta alle spalle. «Ho visto l’articolo.»
«E?»
«Beh… perché non me lo hai detto? Era il mio articolo. Pensavo che mi avresti almeno informata.»
«Signorina Foster», serra la mascella come se fossi un’enorme seccatura, «non ho tempo per i tuoi giochetti infantili.»
«Che cosa significa?»
«Significa che sono molto impegnato.» Torna a scrivere al computer.
Lo fisso per un momento.
Cosa?
«Chiudi la porta quando esci, per favore.»
Che faccia tosta, quest’uomo. Viene a letto con me mentre si frequenta con un’altra e poi ha l’audacia di trattarmi così. Qualcosa dentro di me si spezza.
«Chi diavolo ti credi di essere?»
«Ed eccoci…» borbotta lui sottovoce.
«Cosa?» esclamo. «Ed eccoci? Fai sul serio?»
Jameson appoggia il mento su una mano e mi guarda di traverso.
«Che cos’è stata la scorsa notte? Eh?» grido. Dei campanelli d’allarme iniziano a squillare nel mio cervello. Questa è la cosa peggiore che io possa fare, ma ho perso ogni controllo. «Ti vedi con qualcun’altra?» farfuglio. «Chi è Chloe, Jameson?»
Lui solleva le sopracciglia, poi si alza e si incammina verso la porta. «Fuori.»
«Cosa?» sbotto incredula. «Mi stai cacciando?»
«Quello che sto facendo è comportarmi in maniera professionale. Ti suggerisco di fare lo stesso.» Incombe su di me.
«Sai che c’è?» bisbiglio tra le lacrime di rabbia. «Puoi andare a fanculo.»
Mi guarda con uno sguardo gelido negli occhi. «Non che siano affari tuoi, ma Chloe è la mia massaggiatrice. Ieri notte avevo un appuntamento con lei, ma non ero in casa. Quei messaggi sono arrivati ore dopo rispetto a quando me li ha mandati.» Lo fisso con il cuore che mi martella nel petto. «Non guardare mai più il mio cazzo di telefono», dice con tono sprezzante, per poi darmi le spalle e tornare a sedersi alla sua scrivania.
Continuo a guardarlo con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Mi sento… usata. «Credevo ci fosse qualcosa tra di noi.»
«Anche io.» Le sue iridi fredde incontrano le mie. «Ma questa mattina tu hai rovinato tutto scappando come una bambina di due anni.» Si volta verso il suo computer.
«Vai a letto con la tua massaggiatrice?»
Mi lancia un’occhiata. «Non sono affari tuoi. Ora vattene.»