Capitolo 13

Emily

«Ehm», balbetto agitata. «Ci siamo solo incontrati lì, ecco tutto.»

Jameson inarca un sopracciglio, poco convinto.

«Oh, non essere timida, Foster. Ce la intendiamo a meraviglia», dichiara Jake l’imbecille.

Sento il mio volto sbiancare.

Vuoi chiudere il becco?

Torno a rivolgermi verso Jameson, sperando di cambiare argomento. «Volevi vedermi?»

«Sì.» Guarda Jake. «Voglio sapere che indizi ha trovato, signor Peters.»

«Mi chiami Jake», dice lui.

Jameson gli lancia un’occhiataccia, ma rimane in silenzio.

Oh, accidenti. È troppo imbarazzante.

Stringo il mio taccuino con tanta forza che le nocche mi diventano bianche. Perché ha dovuto dire che siamo usciti insieme? Non lo abbiamo fatto. Mi accorgo che sto iniziando a sudare.

«Arrivi al punto», ordina Jameson con tono secco.

«Beh, sto seguendo qualche pista, ma ancora niente di concreto. Siamo solo agli inizi.»

«Gli inizi?» ripete lui. «Signor Peters, è consapevole dell’importanza di trovare una soluzione rapida a questa situazione?»

«Sì, signore, ma…»

«Niente ma», ringhia lui. «Oggi le nostre azioni sono crollate di quattro milioni di dollari. Ogni dannato giorno che passa calano della stessa cifra.» Sbatte una mano sul tavolo, facendoci sobbalzare entrambi. «Non mi dica che è solo l’inizio», grida.

Jake ed io ci rimpiccioliamo sulle nostre sedie. Non ho mai visto Jameson tanto arrabbiato. È davvero stressato. Mi chiedo se sia andato a correre anche questa mattina. Suppongo di no.

«Signor Miles», lo interrompo.

Lui alza una mano per chiedermi di fare silenzio. «Emily, voglio quattro articoli questa settimana.»

«Sì, signore.»

«Devono essere forti, rilevanti e, soprattutto, tracciabili.»

Annuisco. «Okay.»

«Puoi andare», ordina. «È tutto.»

Aggrotto la fronte e sposto lo sguardo tra lui e Jake. Con chi sta parlando?

«Io?» Mi punto un dito verso il petto.

«Sì, tu», sbotta Jameson. «Con chi altro dovrei parlare?»

Sento la rabbia arpionarmi lo stomaco. «Bene.» Prendo il mio taccuino e mi alzo.

«Voglio le storie per le quattro di ogni giorno.»

«Perfetto», replico, mentre mi dirigo verso la porta.

«E manda dentro Tristan», aggiunge.

Non sono la tua dannata segretaria.

Apro, facendo un sorriso falso. «Certo», dico a denti stretti, richiudendomi la porta alle spalle.

Maledetto stronzo. Chi diavolo crede di essere?

Chiudo gli occhi, dispiaciuta per Jake. Sarà divorato vivo là dentro. Jameson Miles è davvero cattivo quando è stressato. Capisco perché corra, probabilmente per rimanere fuori dalla galera. Cosa succederebbe se non si allenasse?

Raggiungo la reception e mi dirigo verso l’altra ala del palazzo, per bussare all’ufficio di Tristan.

«Avanti», dice.

Sorrido, sentendo quanto sia simile a suo fratello. Apro la porta ed esordisco: «Jameson mi ha chiesto di…» Mi interrompo, cercando di far sembrare la richiesta più cortese di quanto non sia stata.

«Vuole vedermi?» Lui sogghigna.

«Sì.»

Si alza. «Va tutto bene?» mi chiede con tono tranquillo, mentre torniamo verso la reception.

«È…» Scrollo le spalle, cercando di pensare a una descrizione appropriata. «È agitato.»

«Mmh.» Si acciglia come se fosse preoccupato. «Ha molti pensieri per la testa, ma questo lo sai già.»

«Sì.» Sorrido, guardandolo negli occhi. Lui lo sa?

Mi fa l’occhiolino, prendendo il corridoio che porta all’ufficio di suo fratello. «Ci vediamo.»

Che cos’era quell’espressione? Stava per: “So che te lo scopi”? Sa che siamo tornati insieme?

Merda.

L’assistente non è alla sua scrivania, e io lancio un’occhiata lungo il corridoio in cui si trova l’ufficio di Jameson.

Maledizione, che starà succedendo là dentro?

La porta si apre.

Cazzo, non voglio che mi vedano.

Mi chino dietro il tavolo della reception, e poi sento la voce secca di Jameson che dice qualcosa e sobbalzo. Jake mi supera in fretta, entrando nell’ascensore e premendo con forza il pulsante. La cabina si chiude, e io sgrano gli occhi, sbirciando da dietro la scrivania. Che accidenti gli avrà detto?

Jameson

Inspiro a fondo dal naso, cercando di calmarmi.

«Per l’amor del Cielo, Jameson», sbotta Tristan. «Modera i toni. Quel povero bastardo sta facendo del suo meglio.»

«Stronzate. È inutile. È qui da una settimana e non ha la minima idea di che cazzo stia succedendo. È più interessato a provarci con le ragazze dei piani inferiori.» Vado al bar e mi verso uno scotch, per poi tornare alla finestra e fissare la città al di sotto.

«Sono le dieci», dice mio fratello con tono secco, guardandomi.

«Quindi?» domando, bevendo il mio drink e sentendo il calore dell’alcol scivolarmi giù per la gola.

«E la ragazza dei piani inferiori non sarà per caso Emily Foster, vero?»

«Non iniziare.» Alzo gli occhi verso il soffitto. Sono furibondo all’idea che sia uscita con lui nel weekend. «Hai la relazione di gestione?» gli chiedo per cambiare argomento.

«No, è nel mio ufficio.» Si dirige verso la porta. «Vado a prenderla.» Sparisce, mentre io fisso New York.

«Ciao.» Sento una voce dolce alle mie spalle.

Sospiro, tenendo lo sguardo puntato fuori dalla finestra. «Torna al lavoro, Emily.»

«Stai bene?» mi chiede, avvicinandosi a me.

«Sì.» Serro i denti per impedirmi di guardarla.

Mi raggiunge, prende lo scotch e va al lavandino per versarlo nello scarico.

«Che diavolo stai facendo?» Mi acciglio.

Mi sorride, infilando le mani sotto la giacca del mio completo per abbracciarmi. «Mi sto prendendo cura del mio uomo.»

«Non osare mai più buttare via il mio drink.»

«E tu non bere di mattina solo perché sei stressato. Stai giocando con il fuoco, Jameson.»

«Non sei mia madre.»

Mi fa un sorriso sexy e si alza in punta di piedi per baciarmi in modo tenero.

Io la guardo di traverso. «Sono furioso con te.»

«Lo so.» Mi bacia di nuovo. «Non avevo intenzione di uscire, ma poi io e Aaron siamo dovuti andare a spiare il suo ragazzo perché si stava vedendo con uno conosciuto su Grindr. E Jake è comparso dal nulla, non la smetteva più di parlarci. È così seccante…»

Le lancio un’occhiataccia.

Emily mi sorride e si spinge contro il mio petto. «Mi sei mancato questo weekend.»

Mi sento rilassato per la prima volta da domenica, da quando l’ho riportata a casa.

«Non dovresti, Em.» Sospiro.

«Non posso farci niente.» Mi bacia sulle labbra, incurante di qualsiasi cosa le stia dicendo. «Se sei stressato vai giù in palestra, o vieni a cercare me. Che ne dici del karate? Ho sentito dire che è fantastico.»

Roteo gli occhi. «Fare karate e diventare un Kung Fu Panda del cazzo non allevierà il mio stress, Emily. È ridicolo se pensi che funzioni.»

«Okay, beh, accidenti, allora vai a correre. Non voglio che tu beva di mattina.»

Le avvolgo di scatto un braccio attorno alla vita, non riuscendo più a controllarmi. «E io ho detto che non voglio che tu esca ancora con altri uomini. Soprattutto con quello.»

Emily mi passa le dita sulla mascella e sorride con dolcezza. «Sei tu il mio unico uomo», bisbiglia. «È a te che penso.»

Sento la rabbia dissiparsi lentamente mentre ci baciamo.

«Stanotte ho bisogno di te», dice piano.

Dio, anche io ho bisogno di lei.

No, attieniti alle regole.

«Non è martedì.»

«Non mi importa.»

«Devi disobbedirmi per ogni minima cosa, signorina Foster?»

«Aspetta e vedrai quanto sarò ribelle questa notte, signor Miles», mi sussurra quando la attiro contro di me per farle sentire la mia erezione.

«Ehm…» Una voce proveniente dalla soglia ci riscuote, ed entrambi ci giriamo, sorpresi.

Emily si allontana da me con un balzo. «Tristan», farfuglia. «Stavo solo…» Sposta uno sguardo nervoso tra lui e me. «Voglio dire, io…»

Mio fratello ridacchia. «Volete che me ne vada?»

«No», balbetta lei. «Me ne stavo andando io.» Quasi corre verso la porta. «Ah, ehm, arrivederci.»

Quando vedo il suo volto tingersi di rosso scarlatto, faccio un sorrisetto. Tristan lo sa già, noi due ci diciamo ogni cosa. «Arrivederci, signorina Foster. Ti manderò una macchina per le sette.»

Lei annuisce imbarazzata e scappa via dall’ufficio, mentre io la guardo con un sorriso.

Tristan sostiene il mio sguardo per un momento. «Ha una buona influenza su di te.»

«Questo è opinabile.»

Emily

Mentre le porte dell’ascensore si chiudono di fronte a me, mi illumino. Ha funzionato. Volevo calmarlo e ci sono riuscita. È come uno specchio. Se io sono calma, anche lui si calma.

Forse, se sarò sincera, lo sarà anche lui, e non so cosa questo implichi per i miei piani di fingermi una difficile, ma suppongo che lo scoprirò presto. Non mi è sembrato arrabbiato quando gli ho detto che avevo sentito la sua mancanza… anzi, è parso sollevato. O forse sto solo proiettando su di lui i miei desideri. Torno al mio piano e do un’occhiata alla sala, diretta verso la mia scrivania.

Qualcuno che lavora qui, al mio fianco, è un ladro, sta rubando alla famiglia Miles. Il valore della compagnia sta precipitando e il mio Jay è stressato oltre ogni dire. Vorrei poter parlare di questa storia con Molly e Aaron. Sono sicura che, se ci riflettessimo insieme, scopriremmo molte più cose di Jake. Ma non posso, ho dato la mia parola che non lo avrei detto ad anima viva.

Mi riaccomodo alla mia scrivania.

«Come è andata?» chiede Aaron.

«Bene», mento.

«È palese che il signor Miles abbia un debole per te», dice Molly con un sorrisetto.

«Perché?» domando.

«Noi non abbiamo mai dovuto seguire un programma di formazione tanto accurato.» La donna sposta lo sguardo su Aaron. «Non è vero?»

«Già», risponde lui, tenendo gli occhi incollati sullo schermo. «Ti prego, dimmi che segretamente vai lassù per succhiargli il cazzo.»

Sogghigno, ma rimango in silenzio.

Molly mi lancia un’occhiata inquisitoria. «È così?»

Scrollo le spalle. Non posso mentire, ma non dirò niente di troppo preciso.

«Ma che cazzo!» bisbiglia Aaron, avvicinando la sedia alla mia. Molly fa lo stesso. «Vi siete visti?»

«Forse.»

«Cosa?» sussurra la collega. «Quando?»

«Diverse volte, ma l’ultima è stata venerdì sera.»

Aaron fa il segno della croce e finge di pregare. «Grazie, Gesù.»

«Ma non dite nulla», bisbiglio. «È tutto molto casuale, non c’è ancora niente per cui esaltarsi.»

Molly sgrana gli occhi per l’esasperazione. «Mi prendi in giro? Farsi Jameson Miles è assolutamente qualcosa per cui esaltarsi, donna. Ce l’hai presente?»

Faccio un ampio sorriso alle loro reazioni esagerate. «Sto solo cercando di prenderla con calma, ma, comunque sia, vado al piano di sopra per un progetto con Tristan, non per vedere Jay.» Questa non è una bugia. È vero… più o meno.

Aaron si appoggia una mano sul petto. «Oh, diavolo, lo chiama Jay. Mi batte forte il cuore.»

«Uccidetemi ora», sospira sognante Molly. «Sei stata nel suo appartamento?»

«Sì, e lui ha passato la notte nel mio.»

Spalancano gli occhi. «È venuto a casa tua?» strilla Aaron.

«Shh», bisbiglio guardando la gente attorno a noi. «Abbassate la voce e non ditelo a nessuno. Soprattutto non ad Ava, sapete com’è.»

«Oh Dio, riesci a immaginarlo?» Molly alza gli occhi al cielo. «Diventerebbe la tua nuova amica del cuore, se sapesse che stai con lui. Ti si appiccicherebbe con la colla, se pensasse di avere una possibilità di arrivare ai suoi fratelli.»

«Beh, non può avere Tristan.» Emetto un verso di disapprovazione mentre accendo il computer. «È decisamente troppo gentile per lei.» Scrollo le spalle. «E credo che sia impegnato.»

Iniziamo a lavorare, e il cellulare di Aaron squilla. «È Paul», balbetta in preda al panico.

«Rifiuta la chiamata», dico senza alzare lo sguardo.

«Ma voglio sentire cosa ha da dire.» Prende il telefono e Molly glielo strappa di mano per premere Rifiuta.

«Dice al mondo intero: Venite su Grindr a scoparmi. Vuoi smetterla di essere così patetico? Manda lo stronzo a quel paese», sbotta lei.

Aaron incassa le spalle, mentre io gli strofino la schiena con fare compassionevole. «Con il tempo diventerà più facile, tesoro.»

«Sì, quando avremo dato fuoco alle sue viscide palle», mormora Molly, furiosa.

Ridacchio. «Dare fuoco alle sue viscide palle… sei così eloquente, Moll.»

«Vero? È per questo che sono una giornalista.» Si alza. «Vado a preparare il caffè. Lo volete anche voi?»

«Sì, grazie.»

Aaron sospira, depresso. «Riesci a trovare anche un po’ di torta? Di certo sarà il compleanno di qualcuno, qui dentro.»

Molly si guarda intorno. «Sì, dov’è il tizio di Uber Eats quando abbiamo bisogno di lui?» Poi mi guarda. «Oh mio Dio, la cheesecake della settimana scorsa te l’aveva mandata Jameson?»

Faccio un ampio sorriso.

Aaron abbassa la testa e finge di sbatterla sulla scrivania. «Le manda persino le cheesecake. Quell’uomo è davvero un dio.»

* * *

Qualcuno suona alla mia porta. «Chi è?» dico sorridendo.

«Salve, signorina Foster. Sono Alan, l’autista del signor Miles.»

Mi incupisco. «Oh. Va tutto bene?»

«Sì. Il signor Miles mi ha chiesto di venire a prenderla per portarla al suo appartamento. È stato trattenuto da una teleconferenza e la raggiungerà a breve.»

«Oh, okay. Arrivo subito.» Prendo la borsa che ho preparato per la notte e, con un ultimo sguardo al mio appartamento, scendo al piano di sotto. Esco sul marciapiede e trovo l’autista nel suo solito abito scuro in piedi accanto alla limousine.

«Salve», lo saluto con un certo nervosismo, avvicinandomi.

«Salve.»

«Sono Emily.» Gli porgo la mano, imbarazzata di non essermi ancora presentata.

«Io sono Alan.» Mi fa un sorriso pieno di calore mentre ci stringiamo le mani. «È pronta?»

«Sì.»

Mi apre la portiera, e io salgo sui sedili posteriori dell’auto. La richiude, e ci mettiamo in viaggio nella notte newyorkese. Non mi sembra reale: sono seduta nel retro di una limousine mentre l’autista di Jameson mi accompagna al suo appartamento.

Arriviamo al palazzo. L’uomo si ferma nel parcheggio e riapre la portiera.

«La accompagno su.» E fa per prendere la mia borsa.

«Non c’è problema, posso fare da sola. Grazie lo stesso.»

Alan si acciglia, e io noto il suo disappunto.

«A meno che non voglia portarla lei», aggiungo subito.

«Grazie.» Mi sorride, prendendomela di mano. «Preferirei.»

Accidenti. Si è offeso perché volevo portarmi la borsa da sola. Cos’è questo universo alternativo?

Entriamo nel lussuoso ascensore, e l’addetto sa già a quale piano portarci. Deve conoscere Alan.

Trattengo il fiato, nervosa, e saliamo in silenzio. Raggiungiamo il piano, e io, con una certa esitazione, seguo Alan, che apre la porta.

«Il signor Miles non dovrebbe metterci molto. È ancora in ufficio. La sua chiamata sta durando più a lungo del previsto.»

«Grazie», gli dico con un sorriso.

«Ha bisogno di qualcos’altro?»

«No, sono a posto.»

Con un cenno cortese, chiude la porta e mi lascia da sola. Mi volto, vedendo le lampade lasciate strategicamente accese per creare un’atmosfera mozzafiato. Le luci sfavillanti di New York sono a dir poco spettacolari. Tiro fuori il cellulare e scatto qualche foto. D’altronde, quando Jameson è qui, non posso permettermi di fare la fangirl.

Vado in camera da letto per lasciare la mia borsa nella cabina armadio vuota, e poi entro nella sua. Completi e camicie sono allineati in maniera ordinata, e ci sono file su file di costose scarpe lucide. Mentre mi guardo in giro, passo una mano sulle maniche delle giacche. Apro il primo cassetto del comò e sorrido notando la sua esagerata organizzazione. Le cravatte sono tutte arrotolate e messe in mostra come in una boutique di lusso di abiti da uomo. Gli orologi… li conto. Dieci costosi dispositivi sono sistemati in fila. E poi vedo qualcosa piegato accanto agli orologi. Mi si ferma il cuore quando noto le iniziali. E.F.

La mia sciarpa.

L’ha conservata.

Non solo l’ha conservata, l’ha anche riposta insieme ai suoi oggetti più speciali. La prendo e la stringo tra le mani, fissandola. Chiudo gli occhi e inalo profondamente, aleggia ancora il vago sentore del mio profumo.

Allora non me lo sono immaginato. Lui era davvero lì con me. Mi illumino e la rimetto dov’era, richiudendo il cassetto con cura. Non so cosa fare di questa informazione, ma sono molto felice della mia scoperta. Mi batte forte il cuore.

L’ha tenuta.

Mi aggiro per l’appartamento, guardandomi intorno. Accarezzo i ripiani di marmo della cucina e sorrido pensando al lusso sfrenato di questo posto.

Mi domando se Jameson abbia già mangiato.

Apro il frigo, ma lo trovo sorprendentemente semivuoto. Ci sono del pollo e pochi altri ingredienti. Apro la dispensa e trovo qualcos’altro. Do un’occhiata alla cantinetta e mi acciglio. Quella è piena.

Certo che lo è.

Quanto spesso il signor Miles si fa una cena liquida?

Mmh, devo trovare un modo per tenere sotto controllo il suo stress.

Mi verso un bicchiere di vino, tiro fuori gli ingredienti e cerco le pentole, le padelle, i taglieri e i coltelli dentro ai mobili. Accedo a Spotify sul mio cellulare e metto su della musica rilassante. Inizio a tagliare il pollo con un sorrisone sciocco stampato sul viso.

Ha conservato la mia sciarpa.

* * *

Quarantacinque minuti più tardi, sento aprirsi la porta d’ingresso.

«Em?» mi chiama.

«In cucina.»

«Mmh… sento un buon odore.» Dopo avermi raggiunta, mi stringe tra le braccia da dietro e mi bacia. «Che cosa stai cucinando?»

«Stufato di coniglietta del sesso.»

Jameson scoppia in una fragorosa risata, ed è un suono bellissimo. Mi smuove qualcosa dentro. «Tua madre sa che sei una cannibale?» Si sporge in avanti per baciarmi una guancia.

Ridacchio, mescolando il contenuto della pentola. «No, quindi non dirglielo.»

«Non era necessario che cucinassi. Ti avrei portata fuori.» Si versa un bicchiere di vino.

«È lunedì.» Mi acciglio.

«Quindi?» Beve il suo drink.

«Non si esce a cena durante un giorno feriale.»

«Io esco tutte le sere.»

«Cosa?» Aggrotto la fronte. «Mangi fuori ogni sera?»

«Sì, certo. Perché?»

Rimango a bocca aperta e mi appoggio una mano su un fianco. «Jameson Miles, hai più denaro che buon senso. Come fai a rilassarti se esci a cena tutte le sere?»

«Mi siedo in un ristorante e mangio.» Scrolla le spalle. «È piuttosto semplice, in realtà.»

Alzo gli occhi al cielo per il disgusto e continuo a mescolare. «Hai appetito?»

«Sto morendo di fame.» Mi prende tra le braccia e mi fissa. «Ti sono davvero mancato durante il weekend?»

Mi alzo in punta di piedi e bacio le sue belle labbra carnose. «In effetti, sì.»

Mi stringe forte.

«Questa è la parte in cui mi dici che anche tu hai sentito la mia mancanza», borbotto contro la sua spalla.

«A me non mancano le persone.»

«Oh, uffa.» Sbuffo e mi libero dalle sue braccia per tornare a mescolare la cena. «Ora puoi uscire dalla stanza così posso drogare il tuo cibo?» gli chiedo. «Ho intenzione di svaligiare questa casa.»

Jameson ridacchia. «Solo se prometti di approfittarti del mio corpo mentre sto dormendo.»

Incurvo le labbra in un sorriso, divertita. «Affare fatto.»

Sistemo la cena nei piatti, e poi ci accomodiamo entrambi al bancone della cucina. Trattengo il fiato mentre lui prende il primo boccone.

«Mmh, delizioso», mugugna.

Sorrido orgogliosa.

«Una coniglietta che sa cucinare», dice con un sorrisetto mentre si infila in bocca un’altra forchettata di cibo.

«Adoro cucinare. È il mio hobby.»

Jameson aggrotta la fronte e mi osserva per un momento. «Non ho mai incontrato qualcuno come te, Emily.»

«Cosa intendi?»

«Non lo so. Non riesco a spiegarlo. Sei…» Si interrompe, pensando alla parola giusta. «Incontaminata.»

«Incontaminata da cosa?» gli chiedo divertita mentre mangio.

Lui fa spallucce. «Da New York.»

«Non hai mai avuto una ragazza che cucinasse per te?»

«Ho avuto una sola relazione seria, e lei era una stacanovista come me.» Scrolla di nuovo le spalle. «Tornavamo entrambi tardi dal lavoro. Mangiare fuori era più semplice.»

Sorseggio il mio vino e lo osservo. Mi piacerebbe fargli un milione di domande su di lei… ma non lo farò. Mi fingerò disinteressata.

Jameson si sporge sul tavolo per prendere del vino e sussulta.

«Che c’è?»

«Mi fa male la schiena.» Si alza e fa delle torsioni con il busto per stiracchiarsi. «Qualcuno ha insistito perché licenziassi la mia massaggiatrice.»

«Oh, quella.» Sbuffo. «Non rovinarmi la serata. Domani te ne troverò una nuova.»

Si stiracchia ancora un po’. «Sì, per favore.»

«Perché ti si irrigidisce tanto la schiena?»

Torna a sedersi. «Succede quando sono nervoso.»

«E che altro succede quando sei nervoso?»

Mastica il suo cibo come se stesse riflettendo sulla risposta da darmi. «La rabbia prende il sopravvento.»

Gli faccio un sorrisone.

«Che c’è?» mi chiede con fare sornione.

«Per tutto questo tempo ho creduto che fossi uno stronzo, e invece eri solo stressato?»

Ridacchia. «E qual è la tua scusa per essere una stronza, invece?»

Sorseggio il mio vino. «Nessuna. Sono davvero una stronza.»

Jameson solleva il bicchiere e lo avvicina al mio. Negli occhi ha una luce tenera. «Grazie per la cena. Era deliziosa.» Si sporge verso di me e mi bacia. «Come te.»

Mi viene in mente una cosa. «Oh, sarai felice di sapere che ho portato dietro degli abiti sportivi, così domani mattina posso venire a correre con te.»

«Davvero?» mi domanda sorpreso.

«Già.»

«Io corro veloce.»

«Bene, perché io cammino piano.»

* * *

Qualche ora più tardi, entrambi stiamo ridendo fragorosamente, avvolti nell’oscurità.

«Non lo hai fatto davvero», dice lui.

Ridacchio. «E invece sì.» È tardi e siamo stesi a letto, rivolti l’uno verso l’altra, e chiacchieriamo dopo aver fatto l’amore.

«Ma come è possibile?» Mentre mi ascolta, mi accarezza il ventre e la curva del seno con una mano. Il suo volto è illuminato dalla malizia. «Come?»

«Beh…» Rifletto per un momento. «Era la mia prima auto e ce l’avevo da una sola settimana. Stavo facendo un giro con un’amica, ed era una giornata calda da morire. Stavamo andando a comprarci dei jeans da due soldi in un mercatino, quando l’indicatore della temperatura ha iniziato a salire.» Jameson mi ascolta, sorridendo. «Ci siamo fermate in una stazione di servizio e io ho chiamato mio padre, che mi ha detto di metterci dentro dell’olio.» Scrollo le spalle. «Ma non sapevamo dove andasse, quindi abbiamo immaginato che si mettesse in quel piccolo foro da cui lo si misura.»

«L’asta dell’olio?» Sobbalza lui, incredulo. «Come avete fatto a versarglielo dentro?»

Rido. Questa è la storia più ridicola che si sia mai sentita. «Abbiamo preso in prestito un imbuto per farlo colare dentro, ed è traboccato ovunque.» Scuoto la testa, il ricordo è ancora chiaro come il sole. «Credevamo che andasse tutto bene e abbiamo ripreso il viaggio, ma poi l’olio che avevamo fatto cadere sul motore ha preso fuoco.»

Sgrana gli occhi. «Cos’è successo?»

«La mia adorata auto da cinquecento dollari, per cui avevo risparmiato per un anno intero, è andata a fuoco dopo appena una settimana, ecco cos’è successo.»

Entrambi ridiamo e alla fine rimaniamo in silenzio.

Mi puntello su un gomito per guardare lo splendido uomo nudo accanto a me. «Dovrai aver fatto qualcosa di stupido nella tua vita, Jameson Miles.»

Mi sorride dolcemente nella semioscurità. «Sì, l’ho fatto.»

«Cosa?» sogghigno.

Si sporge verso di me per posarmi una mano su una guancia, sfiorandomi il labbro inferiore con il pollice. «Non ti ho mai chiesto il numero di telefono.»