«Ciao.» Mi attira in casa per una mano e io mi sciolgo. Il suo tocco è caldo… familiare. «Come stai?» le chiedo.
«Bene ora che sei qui.» Mi prende tra le braccia, e io le sorrido. Tra di noi c’è un legame che non potrà mai spezzarsi. Poi mi rendo conto di cosa sto facendo, così mi libero dal suo abbraccio e mi allontano. Non avevo intenzione di ritrovarmi stretto a lei oggi.
Claudia mi rivolge un’espressione triste, ma si riprende in fretta. «Ci sono novità sul sabotaggio della Miles Media?»
«No, non ancora.»
Mi osserva per un momento, e il suo sguardo penetrante incrocia il mio. «Hai qualcosa per la testa. Di cosa si tratta?»
«Ho conosciuto qualcuno.»
«No.» Mi dà le spalle, va in cucina e mette la teiera sul fuoco.
«Non ho potuto farci niente.» Mi avvicino a lei e allungo una mano per toccarla, ma poi mi trattengo. Faccio un passo indietro per sicurezza.
«Non dirmi che non sei riuscito a impedirtelo, quando sappiamo entrambi che puoi eccome.»
«Provo una forte attrazione per lei.»
«Un’attrazione fisica?» mi chiede con la voce piatta.
Stringo le labbra, guardandola; da un momento all’altro darà di matto. «All’inizio, sì. Credevo che fosse solo fisica.»
Mi fissa negli occhi. «Da quanto tempo la conosci?»
«Da un anno.»
Mi rivolge un’espressione infuriata. «Ti vedi con una donna da un anno?»
«No», sbotto. «Ci siamo incontrati in aereo un anno fa, abbiamo passato una notte insieme durante uno scalo e di recente ci siamo rivisti.»
«E quindi? Jameson, sei andato a letto con moltissime donne durante la nostra pausa», replica lei, furiosa.
«Questa è diversa, Claudia», dico piano.
Rotea gli occhi, disgustata, e mi dà di nuovo la schiena.
«Ho pensato a lei.» Mi interrompo, incerto su quanto raccontarle. «Mi è capitato spesso da quando ci siamo conosciuti, e poi è stato come se…» Smetto di parlare e la fisso, aspettando che mi dica qualcosa.
«Come se cosa?» mi domanda alla fine.
«Come se l’avessi riportata nella mia vita con il pensiero.»
Si gira bruscamente verso di me. «Che cosa vuoi dire?»
«Pensavo di continuo a lei… e poi è apparsa nel mio ufficio.»
Claudia alza gli occhi al cielo, poco colpita. «Ovvio che sia tornata… tu sei Jameson Miles.»
«Non aveva idea di chi fossi quando ci siamo conosciuti. Le ho dato un nome falso.»
«Quindi perché sei qui, Jameson?» domanda.
Scaccio il rimpianto che mi chiude la gola. «Sono qui per chiudere la nostra storia.»
«Non farlo.» Punta un dito contro di me. «Non osare gettare via tutto ciò per cui abbiamo lottato tanto.» Le si riempiono gli occhi di lacrime.
«Claud.» Sospiro. «Non stiamo bene insieme. Siamo due stacanovisti, viviamo ai lati opposti del globo, e, a meno che uno di noi due non perda il lavoro, questo non cambierà mai. Io posso stare solo a New York.»
«Se tornassi in città?» suggerisce.
«E rinunceresti al lavoro dei tuoi sogni?» Sospiro di nuovo. «Non ti permetterei mai di fare una cosa del genere per me. Lo so quanto ti sei impegnata per la tua carriera.»
Claudia mi fissa, e io la prendo tra le braccia. «Devi innamorarti di qualcuno che possa sostenerti nel tuo ruolo.»
«L’ho già fatto», bisbiglia lei, aggrappandosi a me.
Chiudo gli occhi e le bacio una tempia. «Due persone tanto simili non possono avere una relazione duratura. Dobbiamo stare con il nostro opposto, Claud.» La stringo un po’ più forte. «Due maniaci del lavoro come noi non possono funzionare. Siamo entrambi troppo concentrati e troppo stressati per prenderci cura l’uno dell’altra.»
Claudia mi guarda, e capisco che, nel profondo, sa che ho ragione. Ha gli occhi lucidi. «Che cosa è successo al nostro piano quinquennale?» bisbiglia.
«Era buono nella teoria, ma, andiamo… Quando ci siamo presi questa pausa, sapevamo entrambi che c’era una grossa possibilità che non ci rimettessimo insieme.»
«Tornerò a New York», mi supplica.
Sostengo il suo sguardo e so che non c’è un modo semplice per dirlo. «È troppo tardi. Provo qualcosa per Emily. È lei che voglio ora.»
Il suo viso si contorce in una smorfia di pura rabbia. «Quindi si chiama Emily, eh?» dice con la voce carica di disprezzo. Stringo i denti. «Chi sarebbe? Che cosa fa?»
«È solo una ragazza normale di periferia.»
Claudia rotea gli occhi, disgustata. «Tu… con una ragazza normale? Ah, bello scherzo. Immagino che cucini, pulisca, si prenda cura di te e ti succhi il cazzo a comando, vero?»
Inspiro a fondo per tenere a bada l’ira. «È la persona giusta per me.»
«Io sono quella giusta per te», sbotta lei.
«Come collega di lavoro o dipendente, sì. Come compagna di vita… non proprio.» Le si riempiono di nuovo gli occhi di lacrime. «E io non sono quello giusto per te.» Scrollo le spalle. «Sono così impegnato che non posso essere presente. Meriti qualcuno che si prenda cura di te, ma io non posso farlo da New York. Lo sai che non posso. Non c’è modo di superare questa situazione. Le nostre vite seguono strade diverse. Due amministratori delegati di due grandi aziende non possono portare avanti le loro carriere e coltivare una relazione ai lati opposti del mondo. È una missione impossibile.» Mi interrompo, cercando di spiegare bene ciò che voglio dire. «Prima di incontrare lei… non avevo capito cosa entrambi ci stessimo perdendo. Sia tu che io.» Mi guarda fisso negli occhi. «Vorrei che fosse toccato a te dirmi che hai conosciuto qualcuno, così non dovrei farlo io. Ti amo, e sei l’ultima persona che vorrei ferire. Preferirei di gran lunga che tu ferissi me.»
Claudia si allontana per lasciarsi cadere sul divano, mentre elabora quell’informazione. Rimango in silenzio a osservarla.
«E quindi adesso cosa succede?» mi chiede.
«Tornerò a casa e le chiederò di venire a vivere da me.»
Il suo volto assume un’espressione sgomenta. «Cosa?»
«E annuncerò la nostra relazione.»
Claudia china il capo per la tristezza. «Che fretta c’è?»
«Mi conosci. Sono un tipo da tutto o niente.»
Mi rivolge una smorfia senza smettere di piangere. «Hai intenzione di sposarla?» Resto in silenzio. «Mi hai chiesto di sposarti quattro settimane dopo che ci siamo conosciuti. Sei…» Le manca la voce per il dolore che deve provare in questo momento.
Stringo i denti per impedirmi di dire qualcosa di cui mi pentirei. Lei abbassa di nuovo la testa, singhiozzando. Devo andarmene prima che si arrabbi. «Ora vado via.»
Alza lo sguardo a incontrare il mio. «Ti amo», bisbiglia.
Faccio un sorriso triste e la prendo tra le braccia. «Anche io ti amo.» Ci stringiamo a lungo. «Sii felice», sussurro tra i suoi capelli.
«Come potrei mai esserlo senza di te, Jameson?» mormora lei di rimando. «Non andare…»
«Devo.»
Mi libero dal suo abbraccio e, senza un’altra parola, mi giro ed esco dalla casa a schiera di Claudia. Salgo sui sedili posteriori dell’auto in attesa e, mentre il veicolo parte, guardo fuori dal finestrino.
«Addio, Claudia», bisbiglio, fissando il panorama che scorre via. «Punta sempre in alto, piccola.» Mi si stringe la gola al pensiero di tutti i bei momenti che abbiamo condiviso. «Ti meriti il meglio.»
* * *
Sfreccio attraverso l’ultimo isolato. Sono le quattro del mattino, e sto correndo a New York.
Amo questa città di notte, c’è un’aura di pace che manca durante il giorno.
La notte scorsa, in aeroporto, ho fatto il pieno di scotch e ho dormito per tutto il viaggio fino a casa, quindi ora sono carico di energia. Il mio volo è atterrato alle due, troppo tardi per andare da Emily… non che questo mi abbia impedito di correre fino a qui.
Ansimando, raggiungo il suo palazzo, lo fisso e mi avvicino al citofono. Alzo il dito, pronto a premere sul pulsante. Il mio petto si alza e si abbassa in un ritmo concitato, e io ho un attimo di esitazione. Sono le quattro del mattino, e domani Emily deve lavorare.
Non essere sciocco.
Cazzo, con lei non riesco a trattenermi… sono un maledetto egoista. La vorrei a tutte le ore del giorno e della notte.
Torno in strada e mi fermo sul canale di scolo, con le mani sui fianchi mentre cerco di riprendere fiato. Inizia a cadere qualche goccia di pioggia, e alzo lo sguardo verso il cielo. Adoro correre mentre piove. L’acqua prende a scendere con maggiore intensità, e mi giro per guardare di nuovo il palazzo di Emily. Conto i piani fino a posare lo sguardo sulle sue finestre.
La immagino addormentata nel suo letto, con i lunghi capelli scuri sparsi sul cuscino, lo splendido corpo voluttuoso piegato come suo solito e quegli occhi, che potrebbero convincermi a fare qualsiasi cosa, chiusi nel sonno.
Domani… Beh, ormai oggi.
Mentre la pioggia si tramuta in un vero e proprio diluvio, sorrido nella direzione della sua finestra e mi giro per iniziare la lunga corsa fino a casa.
Domani ripartirò da zero con Emily Foster.
Emily
Attraverso il controllo della sicurezza quasi saltellando. La scorsa notte, Jameson è tornato a casa e oggi potrò vederlo. Sono così emozionata che mi sono persino alzata prima per arricciarmi i capelli e ho messo anche la mia gonna grigia. Una settimana non mi è mai sembrata tanto lunga. Prendo l’ascensore per il mio piano e mi accomodo alla mia scrivania.
«Ehi», mi saluta Aaron da sopra la sua tazza di caffè.
«Ciao anche a te.» Gli sorrido.
«Cos’è questo look?» mi domanda malizioso.
«Jameson è tornato a casa.»
«Come lo sai?»
«Beh, è quello che mi auguro. Mi ha chiamata dall’aeroporto ed era un po’ alticcio, quindi spero sia riuscito a salire sull’aereo.»
Alzo lo sguardo e noto Hayden vicino alla fotocopiatrice, intento a parlare con un gruppo di ragazze. «Quanto bene conosci Hayden?» gli chiedo.
«Mmh.» Ci riflette per un istante. «Non molto. Molly lo ha conosciuto durante il suo impiego precedente.»
«E dov’era?» domando, accendendo il computer.
«Hanno lavorato insieme al Gazette.»
Gli lancio un’occhiata. «Molly è stata al Gazette?»
«Sì, per degli anni. Poi è stata reclutata dalla Miles Media.»
Merda.
Un pensiero ben poco confortante mi attraversa la mente.
No, non Molly. Non essere sciocca. Non potrebbe essere lei. Non pensarci nemmeno.
La settimana scorsa, Tristan ed io abbiamo messo alla prova la mia teoria, e ogni volta che ho consegnato una storia ad Hayden prima delle quattro, il giorno successivo è finita sul Gazette. C’è di sicuro qualche collegamento. Ciò che stiamo cercando di scoprire è se il colpevole sia Hayden o qualcuno sopra di lui.
Mi piace Tristan. È divertente, intelligente e con un carattere molto meno scontroso rispetto a quello di suo fratello.
«Che cos’è successo con Paul la notte scorsa?» gli chiedo.
«È venuto da me.» Aaron mi guarda, imbarazzato.
«Oh Dio», borbotto con tono secco. «Non dirmi che sei andato a letto con lui.»
Aaron batte con forza sulla tastiera del suo computer. «Già. Non riesco a resistere a quel bastardo.»
«Vi siete chiariti?»
«No. Voglio beccarlo in flagrante.»
«Allora perché te lo stai ancora scopando?» sbotto. «Cazzo, Aaron, smetti di farti usare.»
«Per la cronaca, sono io che sto usando lui.» Alza gli occhi al cielo, bevendo un sorso del suo caffè.
«Nessuno ha un uccello che valga tanto», sbuffo.
«Tranne lui», sospira Aaron con tono triste.
«Che schifo.» Faccio una smorfia. «Lasciami da sola con quello stronzo e un trinciapollo per cinque minuti. Glielo stacco, così te lo puoi portare via.» Lui scoppia a ridere, e il mio telefono squilla. «Pronto.»
«Salve, Emily, sono Sammia.»
«Oh, salve.» L’eccitazione mi assale.
«Il signor Miles vorrebbe vederti subito nel suo ufficio, per favore.»
Un enorme sorriso illumina il mio volto. «Arrivo.» Riattacco e mi alzo.
«Dove stai andando?»
«Oh, altra formazione», mento.
«Gesù, presto sarai più qualificata di chiunque altro in questo ufficio.»
«Lo so.» Gli sorrido. «Torno tra poco.» Prendo l’ascensore fino all’ultimo piano e le porte si aprono. Riesco a malapena a rimanere seria.
Lui è qui.
Vorrei mettermi a correre.
«Buongiorno, Emily», mi accoglie Sammia con il suo solito tono cortese. «Vai pure.»
«Buongiorno. Okay, grazie.» Attraverso il corridoio fino all’ufficio di Jameson e busso alla sua porta.
«Avanti», dice la sua voce morbida e profonda.
Apro, e lui mi guarda con l’espressione più carica di desiderio sessuale che abbia mai visto. Rimango senza fiato. In piedi accanto alla finestra, con il suo completo blu scuro e la camicia candida, è un perfetto esemplare di virilità. Mi ero dimenticata di quanto fosse magnifico.
Mi rivolge un sorriso sexy. «Ciao.»
«Ehi», sussurro. Devo impedirmi di correre fino a lui.
L’aria tra di noi crepita di eccitazione. Jameson mi raggiunge per prendermi il viso tra le mani e baciarmi, sfiorandomi la lingua con la sua. Mi sento cedere le ginocchia.
«Mi è mancata la mia ragazza», mormora contro le mie labbra.
Gli sorrido, e lui si avvolge la mia coda di cavallo tre volte attorno a una mano per piegarmi la testa all’indietro. Mi passa la lingua sulla clavicola e mi lecca lungo il collo.
«Io ti sono mancato?» mi domanda, stringendo la mia carne tra i denti.
Sussulto, preda dell’eccitazione che mi scorre nelle vene come le rapide di un fiume. Gesù, l’amministratore delegato è tornato in tutta la sua gloria.
«Dio, sì», ansimo.
Mi bacia di nuovo, e in quel momento la porta si apre. «Ehi», dice la voce di Tristan, e Jameson si interrompe all’istante.
«Non ora, Tristan», gli risponde senza lasciare andare i miei capelli. I suoi occhi cupi rimangono fissi nei miei.
Il modo in cui mi sta guardando mi fa battere forte il cuore. È diverso… più intenso.
«Scusate», replica suo fratello, prima di chiudere la porta.
Jameson mi bacia di nuovo. La mia testa è reclinata all’indietro, proprio come vuole lui. «Voglio provarci.»
«A fare cosa?» sussurro.
«Questo, noi due.»
«Credevo che lo stessimo già facendo.» Aggrotto le sopracciglia.
«No. Prima stavamo scopando. Ora ti voglio.» Mi morde il collo, e io gemo. «Voglio tutto di te.» Mi afferra il sedere e mi attira contro il suo membro duro e in attesa.
Oh, accidenti… bentornato a casa.
Bacio le sue labbra carnose. «Okay.»
Mi tiene il viso tra le mani e mi fissa, mentre io rimango senza aria nei polmoni. «Questa sera. Casa mia», sussurra.
Sorrido dolcemente e il mio punto più sensibile inizia a pulsare, mentre io inizio già a pregustare quello che succederà. «Sì.»
«Vuoi andare fuori a cena?»
«No, voglio cucinare. Hai qualcosa in casa?»
Aggrotta le sopracciglia. «Dirò ad Alan di andare a fare un po’ di spesa.»
«No», rispondo, accigliandomi. «Andrò io al supermercato.»
Non smette di muovere le mani lungo il mio corpo con fare febbricitante, come se non sapesse da che parte iniziare. «Almeno prendi la limousine.»
Arriccio il naso. «Non ho intenzione di andare a fare la spesa in limousine.»
Mi afferra le dita per appoggiarsele sulla grossa erezione sotto ai pantaloni del completo, e io la stringo. Gli brillano gli occhi per l’eccitazione. «Ho bisogno di te», ansima, mordendomi il labbro inferiore.
«Oh Dio, anche io.» Mi libero dalla sua stretta, cercando di riprendere fiato. «Ma devo tornare al lavoro.»
Cazzo… e invece sarebbe così facile restare qui e scoparmi il capo.
«Chiederò ad Alan di portarti la macchina. Puoi usarla tu d’ora in avanti.»
«La macchina?» Mi acciglio.
Ha una macchina?
«Usala come se fosse tua.» Mi stringe contro il suo corpo. È completamente distratto per l’eccitazione che prova.
«Mi serve solo oggi per fare la spesa. Non infastidire Alan. Posso venire io a prenderla al tuo appartamento.»
«Il nostro appartamento.» Mi affonda i denti nel collo, come per divorarmi. Ho la pelle d’oca su tutto il corpo.
«Eh?»
«Verrai a vivere da me.»
«Cosa?» La nebbia di eccitazione si dirada per un attimo, e mi libero dal suo abbraccio. «Che cosa hai detto?»
I suoi occhi blu scuro brillano, deliziati. «Se prendo una decisione, lo faccio per bene.»
Lo fisso. Ma che cavolo?
«Io non faccio le cose a metà, Emily. Se stai con me, stai con me.»
«Jameson», bisbiglio. «Sei impazzito?»
«Ho in programma una riunione dopo l’altra per tutto il giorno, o ti piegherei subito sulla mia scrivania.» Mi fa voltare e mi dà una pacca sul sedere. «Ora torna al lavoro prima che lo faccia per davvero.»
Guardo la porta, ansimando. L’immagine di me stesa sul suo tavolo a gambe aperte mi turbina nella mente. Come posso riuscire a mettere insieme un pensiero coerente dopo che mi ha detto una cosa simile?
«Sissignore.» Mi incammino verso l’uscita.
«Ah, Emily?» mi chiama con il suo tono imperioso. Mi giro. «Oggi annuncerò che abbiamo una relazione.»
Lo guardo con le sopracciglia aggrottate. Il mio cervello è in preda alla confusione. «Perché?»
«Perché detesto fare le cose di nascosto.» Si interrompe e incrocia il mio sguardo. «E voglio che tutti sappiano che sei mia.»
Continuo a fissarlo.
Eh?
Sua.
Non ho parole… mi ha lasciata completamente ammutolita.
«Oh.» Lo guardo. «Okay?» Poi mi volto e mi dirigo verso il foyer. «Ci vediamo», borbotto, distratta.
O Jameson Miles è impazzito del tutto, o sono finita in un universo parallelo.
* * *
Due ore più tardi, sono seduta a fissare il mio computer. Quando sono tornata, ero troppo sbalordita per parlare dell’incontro in stile Ai confini della realtà di questa mattina nell’ufficio di Jameson. Mi è servito tutto questo tempo per comprendere le sue parole.
Sono arrivata alla conclusione che è intontito da morire dal jet lag e che sta avendo un qualche tipo di allucinazione. Il mio cellulare vibra sulla scrivania, e appare la mia lettera preferita: J.
Gli rispondo con un sorriso. «Salve, signor Miles.»
«Come sta la mia ragazza?» mormora la sua voce sexy dall’altra parte della linea.
«Ti senti bene?» gli domando perplessa.
«Benissimo, perché?»
«È solo che sei molto…» mi interrompo, cercando la parola giusta, «strano.»
Lui emette una risata morbida e profonda, e la sento fin dentro le ossa. «Non mi sento strano.»
«Ti stai comportando in modo strano, però.»
«Ti chiamo solo per dirti che domani sera avremo una cena.»
«Che cena?»
«I Media Awards», mi risponde con calma.
«I Media Awards», ripeto.
«Sì, è quello che ho detto.»
Lancio un’occhiata ai miei due amici del lavoro, che sono totalmente ignari delle assurdità che stanno uscendo dalla bocca del mio compagno di jogging. «Dove sarebbe?»
«Qui a New York. Ci sarà la mia famiglia. Potrai conoscerli tutti.»
Sgrano gli occhi mentre il panico si impossessa di me. «Bene, e come ci si deve vestire?»
«In abito formale.»
Mi sento sbiancare. «Non ho nessun vestito da sera qui», balbetto. Non ne ho neanche a casa dai miei, ma non è necessario che lui lo sappia.
«Non c’è problema. Chiederò che ci portino qualcosa stasera all’appartamento, così potrai scegliere quello che vuoi.»
Mi gratto la testa, confusa. «Potrei venire al prossimo evento», gli propongo. «Ti aspetterò a casa, a letto. I Media Awards non fanno proprio per me.»
«Emily», mi dice lui con tono calmo.
«Sì?»
«Verrai con me.»
«Jay», bisbiglio, sentendo il panico arpionarmi la gola.
«Ci vediamo stasera. Farò un po’ tardi perché ho una teleconferenza. Alan ti aspetterà di fronte all’ingresso laterale alle cinque, con le chiavi dell’auto e quelle dell’appartamento.»
«Okay.» Riempio le guance d’aria e poi rilascio il fiato, cercando di calmarmi. «Ci vediamo dopo.»
Riattacco e mi prendo la testa tra le mani.
«Che c’è?» mi chiede Molly.
«Jameson è impazzito.»
«Perché?»
«Vuole che domani vada a non so che cena di premiazione con tutta la sua famiglia.»
Aaron e Molly sgranano gli occhi. «Cosa?»
«E mi ha detto che posso usare la sua auto come se fosse mia, ma io non so nemmeno dove trovare un supermercato a New York.»
«Oh, dovresti andare a quello sulla Quinta.»
«E come ci arrivo?» Mi acciglio.
«È sulla strada. Se vuoi posso venire con te, e poi da lì prenderò la metropolitana.»
«Ne sei sicura?»
«Sì, tanto questa settimana non ho i ragazzi. Non è che abbia chissà che altro da fare.»
* * *
Sono le cinque del pomeriggio e abbiamo appena finito di lavorare. «Dove ha detto che ti avrebbe aspettata?» mi chiede Molly, prendendomi sottobraccio mentre usciamo dal palazzo della Miles Media attraverso il portone principale.
«Qui dietro, all’uscita laterale.»
«Che cosa cucinerai?» mi domanda.
«Mmh, costata di manzo con una salsa ai funghi, carote al miele e broccoletti.»
«Mmh, che buono. È un bastardo fortunato. Vorrei che qualcuno venisse da me a cucinare tutte queste cose.»
«Vero.» Giriamo l’angolo, alziamo lo sguardo ed entrambe ci fermiamo di colpo. «Ma che cazzo…» sussurro.
Alan è in piedi accanto a quella che sembra una macchina del tempo, e io sgrano gli occhi in preda al panico. È un’auto nera e bassa, nonché la più sportiva che io abbia mai visto. I suoi cerchi in lega da soli devono costare più di un normale veicolo.
Alan mi fa un sorriso pieno di calore. «Salve, Emily.»
Guardo prima la macchina e poi la gente di passaggio che la sta occhieggiando. «Salve.»
Mi consegna le chiavi e una tessera. «Queste sono per l’auto, e questa è la sua nuova chiave dell’appartamento.»
Fisso i due oggetti che ho in mano. «Quella è l’auto?» bisbiglio, bianca in volto.
Lui ridacchia nel vedere la mia reazione.
Molly si preme le mani sulla bocca e inizia a ridere in modo nervoso, ricordandomi la sua presenza al mio fianco. «Lei è Molly, una mia amica», la presento.
«Salve.»
Lei gli sorride.
«Il signor Miles mi ha chiesto di accordarmi con lei per quando vuole organizzare il trasloco dal suo appartamento.»
Mi schizzano gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Domenica mattina andrebbe bene? Posso chiamare una ditta di traslochi.»
Getto uno sguardo verso Molly, che mi sta fissando sbalordita. Okay, che cazzo sta succedendo qui? «Le farò sapere», rispondo.
L’uomo mi sorride con gentilezza. «Certo.» Apre la portiera dell’auto. «Dunque, ovviamente sa come guidare una vettura con il cambio manuale, dico bene?»
«Potrebbe aspettare un minuto?» Sollevo un dito. «Solo un minuto.»
Do le spalle a entrambi e compongo il numero di Jameson.
«Pronto», mormora la sua voce sexy.
«Che razza di macchina è mai questa?» bisbiglio.
«Una Bugatti.»
«Che sarebbe?» sibilo, girandomi di nuovo a guardarla.
«Una Bugatti Veyron. È un’edizione limitata.»
«Non posso guidarla», sussurro, furiosa.
«Perché no?»
«Beh…» Mi guardo attorno, imbarazzata. «Non sono molto brava a guidare, Jameson. Andrò sicuramente a schiantarmi con questa cosa.»
Lui scoppia a ridere, un suono profondo e morbido che mi fa sorridere.
«Emily, ti assicuro che chiunque può guidare quell’auto. In pratica si guida da sola. Rilassati. Andrai benissimo.»
«Quando hai parlato di una macchina, pensavo ti riferissi a una Toyota… come una persona normale», balbetto. «E se la distruggo?»
«Non mi importa, purché tu stia bene.»
«Jameson», sussurro.
«Piccola, al momento sono impegnato in una riunione dello staff con venti persone. Prendi quello che ti serve, e poi ci vediamo a casa», mi dice con calma.
«Oh mio Dio!» grido, immaginando tutto il suo staff seduto lì ad ascoltare la nostra conversazione. «A dopo.» Riattacco in fretta.
Torno da Alan e Molly, che aspettano entrambi che io dica qualcosa. «A quanto pare, Jameson è impazzito del tutto», mormoro, fissando la macchina.
Alan ridacchia, e Molly guarda incredula l’auto.
«Credevo che fosse una Toyota», aggiungo con una smorfia.
L’autista sorride e apre la portiera dal lato del guidatore. «Il signor Miles non guida le Toyota, Emily.»
Entro nell’auto, e Molly si accomoda sul sedile del passeggero.
«Dove state andando?» ci chiede l’autista.
«A Las Vegas.» Molly ride. «Andiamo a Las Vegas. Quanto vale questa macchina, Alan?»
«Credo sia costata intorno ai due milioni di dollari.»
«Porca puttana!» strilla la mia amica. «Salga, Alan, andiamo davvero a Las Vegas.»
Appoggio la testa sul volante e scoppio a ridere. «È incredibile.»
«Andrà benissimo», commenta Alan divertito, sporgendosi dentro per farmi vedere come avviare la macchina. Fa le fusa come un micio. «Freccia, freno, marcia indietro.» Indica i vari pomelli e manopole. «Ci vada piano, schizza come un razzo.» Chiude la portiera, e io metto la freccia.
Mi immetto lentamente nel traffico, accompagnata dalle grida e dalle risate eccitate di Molly, e, non appena scompariamo dalla vista di Alan, anche io scoppio a ridere.
«Ma che cazzo sta succedendo?» esclamo.
* * *
Due ore più tardi, entro nel parcheggio sotterraneo del palazzo di Jameson. Ho capito perché prende quella maledetta limousine. Trovare un posto dove lasciare la macchina in questa città è assurdo. Alla fine, ho lasciato Molly ad aspettarmi in auto nel parcheggio mentre io prendevo al volo quello che mi serviva, e poi l’ho accompagnata a casa. Ero terrorizzata che qualcuno potesse rubare la macchina. Alan mi sta aspettando e mi guida nel garage, dove parcheggio.
«Grazie.» Gli sorrido, tirando fuori la spesa dal bagagliaio. «Questa macchina ha l’aria di essere troppo arrogante.»
Lui prende le buste con un piccolo ghigno, e insieme ci avviamo verso l’ascensore.
«Ha chiuso la macchina, Emily?» mi ricorda.
«Oh, giusto.» Mi volto, sollevando il telecomando, che emette un bip mentre blocca le serrature. Ridacchio. «Ops.»
Entriamo in ascensore, e lui rimane in silenzio, guardando dritto di fronte a sé.
«Da quanto tempo lavora per Jameson?» gli chiedo.
«Da dieci anni.»
«Oh.» Mi acciglio. «È parecchio.»
Lui mi sorride. «Sì, è molto gentile con me.»
Arriviamo all’ultimo piano, e Alan apre la porta per entrare e appoggiare la spesa sul bancone della cucina. «Le serve altro?» mi domanda. «Il signor Miles è ancora in riunione. Sarà impegnato almeno per un’altra mezz’ora.»
Lo guardo negli occhi e mi rendo conto che vorrei porgli un milione di domande sull’enigmatico signor Miles. «Parla spesso con lui durante il giorno?» gli chiedo.
«No.» Sorride all’idea. «Sono in contatto costante con la sua assistente personale.»
«Oh.»
«La fisioterapista dovrebbe arrivare alle sette.» Lancia un’occhiata all’orologio. «Vuole che la aspetti?»
«La?» Aggrotto la fronte.
«Ah.» Si corregge. «Ora è un uomo, vero?»
Qualcosa mi dice che Alan sa molto di più del signor Miles di quanto non lasci intendere.
«Già, comunque no, sono a posto. Lo farò entrare io.» Fingo un sorriso. «Grazie.» Lo accompagno alla porta.
«Mi chiami se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa», mi dice con tono cordiale.
«Okay, grazie.»
Torno in cucina e inizio a mettere via la spesa, quando suona il campanello.
«Chi è?» chiedo, premendo il pulsante sul citofono.
«Salve, sono qui per il massaggio.»
«Salga pure.»
Apro la porta e aspetto che Matthew arrivi.
«Buonasera», mi saluta con tono allegro. «Stessa stanza dell’altra volta?»
«Sì, per favore.»
L’uomo si avvia lungo il corridoio per prepararsi. Poi la porta si riapre con un click, e Jameson appare nel mio campo visivo. Ogni volta che lo vedo in giacca e cravatta, mi torna in mente esattamente chi è. La personificazione del potere.
«Ciao», mi saluta con aria felice, prendendomi tra le braccia.
«Ehi.» Le sue labbra sfiorano le mie, e io mi sciolgo sotto al suo tocco. «La tua macchina è ridicola.» Gli sorrido.
Lui ridacchia, prendendomi la mascella tra le dita, poi mi bacia più a fondo, e io appoggio le mani sulle sue spalle.
Il citofono squilla di nuovo.
«Per l’amor del Cielo, questo posto è un aeroporto», mormoro, irritata dall’interruzione del mio bacio.
«Oh, devono essere le stiliste con i tuoi vestiti», dice Jameson.
«Il tuo massaggiatore è pronto nella stanza in fondo al corridoio.»
Mi bacia di nuovo. «Falle entrare e scegli quello che vuoi.»
«Jay», bisbiglio, guardandolo negli occhi. Questo suo cambiamento mi sta confondendo.
«Prendine più di uno.» Mi stringe il sedere. «Io faccio una doccia veloce.» Svanisce lungo il corridoio, mentre io apro la porta d’ingresso.
Rimango sgomenta quando vedo due splendide donne che spingono un enorme appendiabiti carico di vestiti magnifici.
«Salve.»
Una è alta con lunghi capelli scuri, e l’altra è bionda e davvero bella. Entrambe sembrano molto sicure del proprio aspetto e sfoggiano un look all’ultima moda.
«Buonasera. Il signor Miles ha ordinato dei vestiti», esordisce la bionda. «Sono Celeste, e lei è Saba.»
«Sì, prego, entrate», mormoro imbarazzata. «Sono Emily.» Ci stringiamo la mano.
Dio, non dirmi che mi guarderanno provare tutta questa roba. È mortificante.
«Di qua.» Mostro loro il soggiorno, e le due donne iniziano a tirare fuori scarpe e accessori mentre io le osservo, a disagio. Mi sembra tutto fin troppo eccessivo.
«Torno subito», dico con tono educato.
Mi volto per andare in camera da letto, ed entro di colpo in bagno, trovando Jay che si sta lavando sotto la doccia. «Che diavolo sta succedendo?» sussurro in preda al panico.
«A cosa ti riferisci?» Lui si acciglia, del tutto inconsapevole di ciò a cui mi sto riferendo.
«Là fuori ci sono due modelle di Penthouse con un mucchio di vestiti davvero troppo eleganti per me, ho guidato una maledetta macchina del tempo, mi hai detto che devo venire a vivere con te e sto andando fuori di testa, Jameson», sbotto di colpo.
Mi fa un sorrisetto, chiudendo il getto dell’acqua. «Devi solo andare a scegliere quello che ti piace, Emily. Non rimuginare.»
«Non rimuginare», ripeto io a bassa voce. «Ci ho già rimunto.»
«Rimunto non è una parola», commenta lui tranquillo mentre si asciuga.
«Oh mio Dio», farfuglio, agitata dalla sua noncuranza, e mi precipito di nuovo dalle stiliste. «Scusate», dico loro, fermandomi accanto all’appendiabiti. Mi torco le dita con aria nervosa.
«Mi parli del suo stile», esordisce la bionda con tono cordiale. «Che cos’è che la esalta?»
La fisso. Oh, cavolo. Che cosa sono queste cazzate? «Ehm.» Guardo i vestiti che ho di fronte.
«Che cosa la fa sentire viva e sexy?» esclama la mora. «Quando si sta godendo i momenti migliori della sua vita.»
Oh, Gesù… questo no.
«Ecco.» Indico l’appendiabiti. «Darò un’occhiata per vedere se trovo qualcosa che mi piace.»
Inizio a scorrere i vestiti. Wow… sono tutti splendidi.
«Hai trovato qualcosa di tuo gusto, tesoro?» Sento la voce profonda di Jameson provenire dalle mie spalle.
Mi volto, trovandolo dietro di me con un asciugamano bianco avvolto attorno alla vita. Ha i capelli bagnati e i suoi muscoli abbronzati sono in bella mostra. Cazzo, è così bello che mi viene voglia di divorarlo.
Alle due strafighe qui presenti escono gli occhi dalle orbite. «Salve, signor Miles», balbettano entrambe, facendo scivolare lo sguardo lungo il suo corpo.
«Salve.» Jameson rivolge loro un sorriso sexy.
Lo fisso impassibile. Fa sul serio?
«Non ne sono sicura. Mi piace tutto», sbotto, tornando a girarmi verso l’appendiabiti.
È venuto qui solo con un asciugamano addosso… e poi?
Uffa.
Si avvicina a me da dietro e mi appoggia una mano su un fianco, osservando con attenzione gli abiti. «Prendiamo questo, questo… e questo.» Studia gli altri. «E tutti quelli da qui in avanti.»
«Sì, signore», esclamano entusiaste le due ragazze.
Lui sposta lo sguardo sulle scarpe e sulla lingerie che hanno disposto sul tavolino da caffè.
«Prendiamo tutto l’intimo e qualsiasi paio di scarpe Emily scelga.» Poi mi guarda e mi sorride, chinandosi per baciarmi. «Fatto.»
Le due donne ci osservano, trattenendo il fiato.
Jameson abbassa una mano sul mio fondoschiena e mi dà una bella strizzata a una natica. «Piacere di avervi conosciute, signore», dice, prima di avviarsi lungo il corridoio per il suo massaggio.
Mi giro verso le due stiliste che lo stanno guardando allontanarsi con espressioni estasiate.
Oh Signore.
Credo di aver appena incontrato il vero Jameson Miles… in tutta la sua gloria.