Capitolo 22

Emily

Scorro sul portatile le informazioni che ho raccolto oggi. Non ho niente su cui lavorare oltre a Hayden. Non mi viene in mente nessun altro che abbia un passato oscuro e che tradirebbe la Miles Media. Ma vendere articoletti è ben diverso da rubare milioni di dollari da una società di importanza globale. Non credo che sia capace di un gesto simile. Quindi perché l’istinto mi dice che è coinvolto?

Controllo il telefono… nessun messaggio.

Ti prego, chiamami.

Ho una visione del mio Jameson tutto solo nel suo grande appartamento, e mi si stringe il cuore nel petto. Ho deciso che domani notte andrò da lui e busserò fino a buttare giù la porta, se si rivelerà necessario. Non posso lasciargli lo spazio che gli serve… ho bisogno di lui.

Il mio campanello suona, e io balzo in piedi, emozionata. Jameson. Corro al citofono, ma nello schermo vedo due agenti di polizia. Premo il pulsante.

«Chi è?»

«Parlo con Emily Foster?»

«Sì.»

«Possiamo salire, per favore?»

«Che succede?» sussurro.

Oh mio Dio, cosa è capitato?

«Dobbiamo parlare con lei.»

«È successo qualcosa?» balbetto.

«Ci faccia salire, per favore.»

«Okay.» Premo il pulsante d’apertura con il cuore che mi batte all’impazzata.

Qualche momento più tardi, bussano alla porta, e io la apro di scatto. «Salve.»

Due agenti di polizia dall’aria solenne si costringono a sorridermi. «È lei Emily Foster?»

«Sì.» Mi batte forte il cuore.

«Possiamo parlarle per un momento, per favore?»

Mi faccio da parte. «Sì, prego, entrate.»

«Vorremmo parlare con Jameson Miles.» Si guardano intorno nel mio appartamento e poi riportano l’attenzione su di me. «È qui?»

«No, non c’è.» I battiti del cuore si fanno sempre più violenti contro la mia cassa toracica. «Di che cosa si tratta?»

«È ricercato perché dobbiamo interrogarlo relativamente a un’aggressione avvenuta questa sera.»

«Cosa?» Mi acciglio.

«Questa notte Gabriel Ferrara è stato aggredito dal signor Miles davanti a un ristorante. È stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti.»

«Sta bene?»

«Il signor Ferrara ha riportato gravi ferite al volto ed è stato portato in ospedale.»

Mi copro la bocca con una mano, in preda all’orrore. «Cos’è successo?» domando.

«Il signor Ferrara stava entrando in auto quando il signor Miles gli si è avvicinato nel buio. È scoppiata una rissa, e il signor Miles lo ha aggredito.»

«Dov’è successo?»

«Davanti a Bryant Park, di fronte al Lucina’s

«Oh mio Dio», sussurro. «Jameson sta bene?»

«I testimoni dicono che è scappato nel parco.»

Chiudo gli occhi, sollevata… grazie a Dio.

«State dando la caccia alla persona sbagliata», balbetto. «Jameson non aggredirebbe mai nessuno. È l’amministratore delegato di una prestigiosa compagnia, non un attaccabrighe.» È assolutamente falso, so che Jameson adorerebbe ridurre Ferrara in poltiglia… «Non so dove sia», dichiaro con rinnovata determinazione.

«Possiamo controllare il suo appartamento?» mi chiede un agente.

«Certo, ma lui non è qui.» Indietreggio per lasciarli entrare.

Gli agenti perquisiscono il mio appartamento e poi tornano in soggiorno. Mi porgono un biglietto da visita. «Ci chiami non appena avrà sue notizie. Se non lo farà, potrebbe essere accusata di intralcio alla giustizia. Nascondere un sospettato alle autorità è un reato molto grave.»

«Okay.» Vado in fretta alla porta e la apro rapidamente. «Buona serata.» Loro se ne vanno, e io la richiudo di colpo.

Mi porto le mani alla bocca per l’orrore, poi afferro il cellulare e compongo il numero di Jameson. Il suo telefono squilla a vuoto… ma tanto non avrebbe mai risposto a una mia chiamata.

«Dannazione.»

In preda al panico, chiamo Tristan.

«Pronto.»

«Tristan», balbetto. «Sai dov’è Jameson?»

«Che succede?» mi chiede.

«La polizia è appena stata qui. A quanto pare, Jameson ha aggredito Ferrara. Hanno emesso un mandato d’arresto. Sai dove si trova?»

«Che cosa?»

«Non risponde alle mie chiamate, e dei testimoni dicono che è scappato in mezzo al parco.»

«Ma che cazzo!»

«Che cosa faccio?»

«Provo a chiamarlo e poi ti faccio sapere.»

«Okay.» Riattacco e inizio a camminare avanti e indietro… Dove sei?

Qualche momento più tardi, Tristan mi richiama. «Non mi risponde. Sto arrivando.»

«Grazie.»

* * *

Un’ora più tardi, Tristan ed io stiamo attraversando Bryant Park. Non ci siamo detti una parola, al di là del necessario per metterci a cercare Jameson. Ce l’ha con me per via di Jake e ovviamente non ne vuole discutere. È furioso.

È l’una del mattino e ormai sto diventando nervosa. Osservo il parco avvolto nell’oscurità.

«Dove può essere?» sussurro.

«Non lo so. Prova a chiamarlo di nuovo», dice lui.

Faccio il suo numero continuando a camminare nel parco buio, quando sentiamo qualcosa.

Tristan sgrana gli occhi e solleva una mano. «Shh, ascolta.»

Dalle tenebre si alza il rumore fioco di una suoneria. Non appena si interrompe, io rifaccio il numero. Entrambi ci guardiamo intorno con una certa frenesia, e poi notiamo il chiarore di uno schermo illuminato.

«Qui!»

Corro da quella parte e trovo il telefono nell’erba. Sgrano gli occhi, spaventata, mentre Tristan lo solleva. Lo ripulisce per inserire il codice e accede alla schermata principale.

Sposta lo sguardo su di me. «È il telefono di Jameson.»

Entrambi lanciamo un’occhiata al parco buio, e un senso di timore mi pervade. «Che diavolo gli è successo?» bisbiglio.

* * *

Sono le quattro del mattino, e Tristan ed io siamo disperati. Camminiamo da ore. Alan, Elliot e Christopher sono anche loro in giro a cercare Jameson.

«Probabilmente si sta nascondendo da qualche parte dalla polizia. Vedrai che sta bene», cerca di consolarmi Tristan.

Ormai sono in lacrime, è inutile nascondere la mia angoscia. «È tutta colpa mia», mormoro mentre camminiamo. «Se non fossi caduta in quella trappola, non sarebbe successo niente di tutto questo.»

«Che cosa intendi dire con trappola?»

«Jake mi ha detto di avere delle informazioni a proposito di un articolo su Jameson, che Ferrara avrebbe pubblicato il giorno seguente, e che me ne avrebbe parlato dopo il lavoro. Non volevo far preoccupare Jay, quindi gli ho mentito e sono andata a incontrarmi con quell’uomo. In realtà lui voleva solamente rimanere da solo con me, e mi ha baciata. L’ho colpito e me ne sono andata, e poi il giorno dopo…» Scrollo le spalle. «Hai visto la foto.»

Si acciglia. «Quindi non ti stavi frequentando con Jake?»

«No», esplodo. «Sono innamorata di Jameson, idiota che non sei altro.» Inizio a singhiozzare. «E lui non mi permette di spiegarmi.»

«Cazzo, che casino.» Il suo telefono squilla, e Tristan risponde subito. «Pronto.» Resta in ascolto. «Sì.» Continua ad ascoltare. «Sta bene?» Sussulta, posandosi una mano sul petto. «Grazie a Dio.»

«Cosa?» gli chiedo a bassa voce.

«Grazie. Sto arrivando.» Riattacca.

«Che c’è?» gli chiedo piano.

«Jameson è in ospedale.»

«Che cos’è successo?»

«È stato investito da un’auto.»

Mi premo le mani sulla bocca per l’orrore.

«Sta bene, ha solo una commozione cerebrale.»

«Oh, grazie a Dio.»

«Vado a prenderlo.»

«Vengo con te», dichiaro decisa.

«Em…» Si interrompe. «Non credo che sia una buona idea. Dopo questa cazzata con Ferrara, ci saranno paparazzi ovunque, e a Jameson non serve altra pubblicità. Chissà quanti giornalisti saranno già all’ospedale… Mio fratello ti vuole lontana dai riflettori. Lascia che parli con lui, e, quando saremo a casa, ti chiamerò.»

La speranza mi sboccia nel petto.

Sta cercando di proteggermi?

«Ma io non ho fatto niente di male, Tristan. Voglio vederlo.»

Si lascia travolgere dalla compassione e mi stringe a sé. «Lascia che lo porti a casa, al sicuro, e poi ti chiamerò.» Fa un passo indietro e mi studia, tenendomi per le braccia. «Ti prometto che ti chiamerò. Adesso ti riaccompagno a casa, mi occupo di lui e poi mi metterò in contatto con te. Hai la mia parola.» Mi fissa negli occhi.

«Okay.»

Camminiamo in silenzio per un momento.

«Scoprirò chi ha rubato quei soldi, anche se dovesse essere l’ultima cosa che faccio», mormoro.

«Emily, è una pessima idea. Lascia fare ai detective. Sei stanca ed emotiva in questo momento. Andiamo a casa.»

Annuisco, sapendo che ha ragione su tutto e detestando ancora di più questa situazione.

Jameson

Guardo l’infermiera che mi sta tenendo per mano per misurarmi i battiti e inspiro profondamente. È una signora anziana e dall’aria materna, il tipo che vorresti per prendersi cura di te.

«Come va il mal di testa?» mi chiede.

«Ancora lì.»

Mi sorride e prende la torcia per puntarmela negli occhi e controllare le mie pupille. «Hai preso un brutto colpo. Sei fortunato a essere ancora vivo, giovanotto.»

Sento delle voci fuori dalla camera, e Tristan appare sulla soglia. «Ehi.»

«Ciao.» Faccio un sorrisetto, notando l’ansia sul suo viso.

Mio fratello accorre al mio fianco. «Stai bene?»

«Certo.»

«No, che non sta bene», interviene l’infermiera. «È stato investito da un’auto. Avrebbe potuto morire. Per il momento, ha una grave commozione cerebrale.»

Tristan si passa una mano sul viso. «Gesù.»

«Rimarrà qui per la notte e domani, se i test preliminari saranno buoni, potrà tornare a casa.»

«Okay… grazie.» Lui si accascia su una sedia accanto al letto.

«Tornerò tra un’ora con degli antidolorifici.» L’infermiera mi sorride.

«Non mi servono», replico.

«Tornerò in ogni caso.»

Alzo gli occhi al cielo, e la donna ci lascia da soli.

«Scusami», mormoro.

«Cazzo, Jay, stavamo impazzendo di paura. Ti abbiamo cercato per tutta la notte.» Mi riempio le guance d’aria e poi espiro lentamente. «La polizia è andata da Emily, lei mi ha chiamato, e poi abbiamo trovato il tuo telefono a Bryant Park.»

«Emily?» Mi acciglio. «Perché l’hai coinvolta?»

«È terrorizzata, Jameson. Voleva aiutarci a trovarti.»

Roteo gli occhi. «Ne dubito fortemente.»

«Lo sai, non credo che stia con quell’imbecille di Jake. È stato tutto un equivoco.»

«Ma chiudi il becco», lo zittisco.

«No, chiudilo tu. Perché non vuoi nemmeno parlare con lei?»

«Perché mi hai mentito guardandomi negli occhi e sei uscita con un altro uomo.» Mio fratello mi guarda. «E non ho bisogno di questo tipo di stronzate nella mia vita. Ho già abbastanza a cui pensare, nel caso non lo avessi notato.»

«Vuole vederti.»

«Sì, beh, io non voglio vedere lei», sbotto.

«Allora devi lasciarla una volta per tutte. È fuori di sé per l’ansia.»

Faccio una smorfia irritata. «Vattene a casa e basta. Domani chiederò ad Alan di venire a prendermi.»

«Perché non vuoi neanche parlarne?»

«Perché non sono affari tuoi. Emily ed io abbiamo chiuso. È finita nel momento in cui ha iniziato a mentirmi.» Riappare l’infermiera. «Sono stanco», annuncio.

La donna mi sorride. «Certo, okay.» Rivolge l’attenzione verso Tristan. «La chiameremo in mattinata, quando sarà pronto per essere dimesso.»

«Sì, va bene», risponde lui. Sostiene il mio sguardo, ed è chiaro che ha capito che non sono stanco per niente.

L’infermiera va in bagno.

«E cosa dovrei dire a Emily? Sta aspettando una mia telefonata», bisbiglia furioso.

«Non me ne frega un cazzo di cosa le vuoi dire. Non è un mio problema.»

Si stropiccia di nuovo il viso con una mano, sospirando. «A volte sei davvero un figlio di puttana egoista.»

«E con questo?»

Mi fissa per un lungo momento. «Ci vediamo domani.»

Emily

Il mio telefono vibra sul tavolino da caffè, e io rispondo subito.

«Sta bene», sospira Tristan.

«Grazie a Dio.» Chiudo gli occhi per il sollievo. «Posso vederlo?»

«Ha riportato una commozione cerebrale e dovrà rimanere in ospedale per qualche giorno.»

«Cosa?»

«Ha detto che è meglio che tu non vada là, non vuole generare un altro circo mediatico.»

Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Dannazione. In questo momento mi sembra di non far altro che piangere.

«Ora sta dormendo.»

«Ha detto qualcosa? Su di me?» Mi fermo, cercando di articolare i pensieri. «Come posso convincerlo ad ascoltarmi, Tristan?»

Lui espira profondamente. «Non lo so. Ha un sacco di casini a cui pensare, Em. Non credo che al momento sia molto lucido. Cercherò di parlargli domani mattina.»

Serro le palpebre, rischiando di essere sopraffatta dal pianto. «Okay», mormoro. «Potresti richiamarmi… per favore?» Dio, sembro la più grande sfigata del mondo, ma non so cos’altro fare. «Sono così preoccupata per lui, Tristan…»

«Lo siamo tutti, Em. Ti chiamo domani. Cerca di dormire un po’.»

«Okay. Buona notte.» Riattacco e vado a farmi una doccia, e lì scoppio a piangere per il sollievo. Almeno sta bene, e domani è un altro giorno. Tornerà da me. So che lo farà.

* * *

Mi abbasso sul sedile, scrutando dall’altra parte della strada. Sono impegnata nell’Operazione Spie-Come-Noi. Hayden è il soggetto che sto seguendo. Non so perché, ma non riesco a lasciarlo perdere.

Mi sono data malata al lavoro. Credo che questo potrebbe essere il caso più importante della mia carriera. Non ho ancora parlato con Jameson e, a mano a mano che i giorni passano, perdo sempre più la speranza.

Sono le sette di sera. Porto una parrucca bionda e un paio di occhiali scuri, e ho persino noleggiato un’auto. Sono seduta qui da otto ore, ma ancora nessuna traccia di quello stupido di Hayden. Vive in una zona movimentata della città, dentro a un bel condominio, la strada è affollata e c’è gente ovunque. Devo rimanere concentrata per non perdermi nulla.

Maledizione, vuoi uscire?

Ho mangiato tutti i miei snack. Ho fame e devo assolutamente andare in bagno, ma, accidenti, voglio un indizio o qualcosa… qualsiasi cosa… un po’ di pietà.

Getto uno sguardo lungo la strada buia e poi dall’altra parte. Dio, Hayden ormai sarà in viaggio verso Istanbul. È quello che farei io se venissi licenziata per aver rubato sul lavoro. Ma, a quanto pare, non ha idea di essere ancora sotto indagine. Crede che sia finito tutto con il licenziamento.

Mi allungo sul sedile ed emetto un sospiro sconsolato. Getto uno sguardo alle mie spalle e vedo che Hayden è fermo sul marciapiede, intento a parlare con una donna.

Merda.

Mi abbasso ancora di più. Saranno appena tornati da chissà dove. Sembrano essere immersi in una conversazione seria, e lei ha una grossa borsa sulla spalla. Tiro fuori il telefono e scatto una foto. Zoomo e ne scatto ancora qualcuna. Chi è? È la sua ragazza?

Scrivo a Molly e ad Aaron in una chat di gruppo e invio loro le immagini.

Io: Conoscete questa ragazza?

Continuo a guardarli mentre loro parlano. Li tengo d’occhio per cinque minuti, e poi Molly mi risponde.

Molly: L’ho già vista, ma non mi ricordo dove. Lavora in un bar o in un posto del genere??

Mmh. Le rispondo.

Io: Non ne ho idea.

Arriva un messaggio da Aaron.

Aaron: Sì, lavorava alla Miles Media.

Sgrano gli occhi, e gli scrivo a mia volta.

Io: Quanto tempo fa?

Lui mi risponde.

Aaron: Non ne ho idea, ma non la vedo da un po’.

Merda. Mando una foto a Tristan e gli scrivo.

Io: Tristan, sembra che questa ragazza lavorasse per la Miles Media, puoi scoprire chi è dalle risorse umane, per favore?

Ricevo immediatamente una risposta.

Tristan: Certo. Stai bene?

Replico.

Io: Sì, sono nel bel mezzo di un appostamento.

Lui mi manda subito un altro messaggio.

Tristan: Vuoi che venga a darti una mano?

Faccio un sorrisetto.

Io: Credevo che la ritenessi una pessima idea.

Lui mi risponde.

Tristan: È così, ma non voglio che tu ti metta nei guai.

Gli scrivo a mia volta.

Io: Non è necessario che tu venga, ma puoi parlare con le risorse umane per me, per favore?

Arriva subito la sua replica.

Tristan: Ok.

Aspetto, aspetto e aspetto, e alla fine ricevo un nuovo messaggio.

Tristan: Si chiama Lara Aspin. Domani mattina quelli delle risorse umane cercheranno il suo curriculum. Ti tengo aggiornata.

Sorrido, felice di aver scoperto almeno un piccolo indizio. Non ho idea di cosa significhi, ma almeno è qualcosa. Gli rispondo.

Io: Grazie.

Controllo il telefono… nessuna chiamata persa.

Faccio partire l’auto e mi immetto nel traffico, con un brutto presentimento a stringermi lo stomaco. La notte è il momento peggiore, il mio letto è freddo senza Jameson al mio fianco. C’è un vuoto dove dovrebbe esserci lui. Mi fa male il cuore.

Sto perdendo la speranza per noi… E lui mi manca.

* * *

Sono stesa sul divano e fisso il televisore. Il cuscino sotto alla mia testa è bagnato di lacrime.

Sono passati tre giorni da quando Jameson è stato investito da un’auto. Sei giorni da quando l’ho visto l’ultima volta… Non riesco a mangiare. Non riesco a dormire.

Sono all’inferno.

Peggio ancora, l’altra sera mi sono messa in imbarazzo andando fino al suo appartamento e piangendo di fronte alla telecamera di sicurezza, mentre lo supplicavo di farmi entrare. Non lo ha fatto, e, dopo mezz’ora, il suo portiere mi ha accompagnata fuori dal palazzo.

Mi vergogno.

Non so cosa fare… Non vuole vedermi, non vuole parlarmi.

Tutto l’amore e la gioia che abbiamo condiviso sono state ridotte in niente. È come se non fossi mai stata nulla per lui… e forse è proprio così. Sapevo che aveva la fama di essere freddo, ma questo… questo gelo è tutto un altro livello.

Come ha potuto guardarmi singhiozzare e supplicarlo dalla telecamera senza nemmeno farmi entrare?

Prendo il telefono e gli mando un messaggio.

Io: Mi manchi.

Fisso il cellulare, e poi vedo animarsi i puntini. Mi alzo a sedere… sta scrivendo qualcosa. Il mio cuore inizia a battere più velocemente. È la prima volta. Guardo i puntini continuare ad apparire e rimango in attesa… ma, dopo poco, quelli svaniscono.

No… cosa? Dov’è il messaggio?

Aspetto.

I puntini riappaiono, e io sorrido tra le lacrime… sì. Sta rispondendo. Aspetto e aspetto.

Poi svaniscono di nuovo.

«Manda questo messaggio, maledizione!» esclamo.

Rimango in attesa, ma non arriva niente per una buona mezz’ora. La mia rabbia inizia a ribollire. Come si permette di ignorarmi in questo modo? Chi si crede di essere quello stronzo?

Gli riscrivo, furiosa.

Io: Almeno abbi il fegato di dirmi a cosa stai pensando.

Ricevo subito una risposta.

J: Volta pagina, io l’ho fatto.

Leggo il messaggio e poi lo rileggo di nuovo tra le lacrime… cosa? Come se niente fosse… voltare pagina? Che bastardo.

Mi alzo e scaglio via il cellulare più forte che posso. Lo schermo si frantuma sul tavolino da caffè. Sono così furiosa che non ho alcun controllo sulla situazione. Mi precipito in bagno, mi infilo sotto la doccia e, non riuscendo a trattenermi, piango… e piango… e piango. Dei singhiozzi rumorosi mi scuotono il petto, mentre ansimo tanto che devo reggermi alla parete per non crollare.

Lacrime di rabbia, di frustrazione e di dolore.

Sapevo che stava per succedere… nel profondo, per tutto questo tempo, lo avevo saputo, ma, porca puttana… quanto fa male.

Jameson

Raddrizzo le spalle, seduto sui sedili posteriori della mia limousine, e mi preparo per quello che sto per fare.

«Ne è sicuro?» mi chiede Alan, aprendo la portiera.

«Sì. Vada come vada, non ho più intenzione di nascondermi», dico, uscendo dall’auto. Alzo lo sguardo sull’insegna del Dipartimento di Polizia di New York sopra la porta ed entro.

L’agente alla reception sorride. «Posso aiutarla, signore?»

«Sì, mi chiamo Jameson Miles e vorrei consegnarmi.»

L’espressione del poliziotto vacilla. «È ricercato?»

«Sono stato coinvolto in un alterco con un uomo di nome Gabriel Ferrara e poi sono andato in ospedale. Fino a ieri notte non sapevo che mi steste cercando. Le mie scuse per averci impiegato tanto a venire qui.»

L’agente sorride di nuovo. «Grazie a lei per essere venuto.» Apre una porta sul lato della reception. «Prego, da questa parte.»

* * *

Cinque ore dopo, sono sul marciapiede davanti al palazzo dei Ferrara e sto guardando verso i piani più alti. Compongo un numero che ho da anni ma che non ho mai chiamato.

«Gabriel Ferrara», risponde una voce profonda.

«Sono Jameson Miles. Mi trovo davanti al tuo palazzo, vieni giù subito.»

Chiudo e inspiro profondamente, poi mi appoggio alla mia limousine.

Dopo aver passato le ultime cinque ore alla centrale di polizia, non ho voglia di aspettare quel coglione, ma c’è una cosa che devo dirgli, o continuerà a marcirmi dentro. Ho detto alla polizia che il pugno che ho sferrato a Ferrara è stato per autodifesa e che avrebbero dovuto controllare per bene i video di sorveglianza. Non so se basterà, ma così avrò un po’ di tempo. Gli agenti di polizia sono stati tranquilli e mi hanno detto che, dato che Gabriel ha agitato il sigaro verso di me, probabilmente sarò accusato solo di aggressione e mi sarà concessa la cauzione per buona condotta. Posso sopportarlo.

Gabriel Ferrara appare dalla porta principale, accompagnato da quattro guardie di sicurezza. Ha un occhio nero e uno zigomo gonfio. Sogghigno, vedendo il suo viso conciato in quel modo.

«Hai un aspetto terribile.»

«Sì, beh, sono stato aggredito da un pazzo», borbotta lui con tono secco.

Faccio un passo in avanti, colto di nuovo dalla rabbia. «So cosa stai facendo.» Gabriel mi lancia un’occhiataccia. «Non mi fai paura. È ridicolo quanto tu sia diventato vile.»

Alza gli occhi al cielo. «Vaffanculo, Miles.»

«Se credi di poter distruggere la Miles Media con questo subdolo comportamento criminale, ti sbagli di grosso», lo schernisco. Mi fissa in cagnesco. «La Miles Media è leader del mercato da trent’anni e continuerà a dominarlo. Dimmi, tuo padre lo sa cosa ti sei ridotto a fare?»

Il mio avversario solleva il capo con aria di sfida. «Comportamento criminale… di che diavolo stai parlando? Quell’incidente d’auto ti ha reso folle.»

«Sai esattamente di cosa sto parlando.» Ci guardiamo di traverso, l’odio aleggia nell’aria come un gas velenoso. «So cosa stai facendo», bisbiglio. Lui sostiene il mio sguardo. «E, non appena avrò le prove, ti distruggerò in tribunale.»

«Vorrei proprio vederti mentre ci provi.»

Lo fisso, ripensando a quanto sia stato piacevole colpire quel bastardo. «Ti ho rotto lo zigomo?» Mi lancia un’occhiataccia, e io capisco che è così. «Lascia che ti dica una cosa… manca di nuovo di rispetto a Emily Foster, e la prossima volta… non ti spaccherò solo uno zigomo. Ti ucciderò», lo avviso, la voce carica di disprezzo.

Lui solleva un sopracciglio, come se fosse sorpreso da quella dichiarazione. «È una minaccia, Miles.?»

«È una cazzo di promessa», ringhio. «Lasciala fuori da questa storia.»

Mi volto per salire in auto, Alan mette in moto e ci allontaniamo lungo la strada. Guardo Gabriel Ferrara precipitarsi come una furia dentro l’edificio, circondato dalle sue guardie.

Il giorno in cui distruggerò questo stronzo la vittoria sarà dolce.

* * *

Corro lungo la strada, avvolto dal buio. È appena mezzanotte. Non vengo qui da un po’, ma, per qualche motivo, questa notte ne avevo bisogno.

Il palazzo di Emily.

Conto le finestre fino a raggiungere il suo appartamento con lo sguardo e lo fisso. Che cosa starà facendo? Sentirà la mia mancanza almeno quanto io sento la sua?

Mi immagino di suonare il suo campanello e di chiederle di salire. Ci abbracceremmo, e io sarei felice… proprio come un tempo. Ma poi ricordo la sofferenza che ho provato la settimana scorsa dopo che mi ha mentito, e quanto mi sento privato del controllo ogni volta in cui sono con lei, la maniera in cui i miei nemici l’hanno usata per arrivare a me, e il modo in cui Emily ha regalato loro munizioni come fossero caramelle…

E so che niente potrebbe distruggermi… niente, tranne lei.

È la mia unica debolezza.

E la debolezza è qualcosa che non posso permettermi di avere.

Né ora né mai.

Rimango a guardare a lungo il suo appartamento, e poi, con il cuore pesante, mi giro e inizio la deprimente corsa verso casa.

Non mi sono mai sentito tanto solo.

Emily

Fisso il caffè di fronte a me, ma il pensiero di berlo mi dà la nausea. Sono passati quattro giorni da quando ho ricevuto quel terribile messaggio di cinque parole da Jameson.

J: Volta pagina, io l’ho fatto.

Quattro giorni sono un tempo molto lungo da trascorrere con il cuore spezzato, debole e a malapena aggrappato alla vita. Continuo a sperare e a pregare che torni indietro con qualche gesto grandioso. Allargherebbe le braccia, io correrei da lui e finalmente questo incubo finirebbe.

Se solo fosse così…

La mia mente è invasa dai ricordi dell’uomo che credevo di conoscere. Questo vuoto nella mia vita è immenso, e io non capisco come ci si possa innamorare tanto di qualcuno in un periodo così breve.

Sarei dovuta restare con Robbie, perché, con il senno di poi, il mio ex ragazzo era sicuro. Non avrebbe mai potuto ferirmi tanto in profondità… ma così non avrei conosciuto Jameson e non avrei scoperto com’è avere questo amore divorante dentro di me. A prescindere da come è finita, non scambierei quella sensazione con nient’altro. Anche se è stata mia solo per poco.

Attualmente, gli unici che mi spingono a tenere duro sono Molly e Aaron. Sono stati fantastici. Mi hanno sostenuta dalle retrovie, ricordandomi perché sono venuta a New York quando invece mi sono trovata a pensare quanto sarebbe stato facile scappare a casa con la coda tra le gambe.

«Quello non lo finisci?» Molly indica il mio panino mezzo sbocconcellato.

Arriccio il naso. «No, lo vuoi?»

«Dimentica di averlo mai incontrato, Em», sospira Aaron. «Nessun uomo vale tanta sofferenza.»

Mi costringo a sorridere debolmente. «Tornerà, Aaron. So che lo farà.»

«Tu continui a dirlo, Em, ma dov’è quel maledetto bastardo?» replica Molly.

«È solo…» Scrollo le spalle, cercando di articolare in maniera coerente i miei pensieri. «È solo che in questo momento si è perduto.»

«No, sai cos’è? È uno stronzo egoista», sbuffa lei. «Tanti saluti, dico io, hai schivato un proiettile.»

Non corre buon sangue tra i miei due amici e Jameson.

«Forse.» Sospiro con aria mesta.

«Andiamo, dobbiamo tornare indietro.» Il mio collega si alza. «La pausa pranzo è finita.»

Usciamo in strada e ci incamminiamo verso il palazzo della Miles Media, quando, all’improvviso, Molly si blocca sul posto. «Cazzo», bisbiglia.

«Che c’è?»

«Guardate.»

Alziamo lo sguardo e vediamo Jameson diretto verso di noi insieme a una donna. Lui indossa il suo classico completo blu scuro e ha un aspetto impeccabile. I due sono assorti in una fitta conversazione.

«Oggi è venuto al lavoro?» Lo guardo accigliata. Non sapevo nemmeno che fosse tornato. Jameson non ci ha notati, e continua a parlare mentre cammina. «Chi è la donna?» chiedo. Ha un’aria familiare, ma non riesco a ricordare chi sia.

Molly mi afferra un braccio con una certa urgenza. «Andiamo, da questa parte.» Cerca di spingermi dentro a un negozio.

«Chi è la donna?» ripeto mentre loro si avvicinano.

«Claudia Mason.»

Rimango di colpo senza fiato… La sua ex.

È con la sua ex?

Inizio a sentire i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e la terra tremare sotto ai miei piedi.

«Andiamo, è meglio che non ci veda.» Molly mi spinge via, afferrandomi di nuovo per un braccio, ma io mi libero dalla sua presa e rimango ferma dove sono.

Quando Jameson ci raggiunge, alza il capo e mi nota. Esita sui suoi passi, ma poi stringe i denti e non incrocia il mio sguardo.

I miei occhi si riempiono di lacrime.

Si ferma con la schiena rivolta verso di me, e io trattengo il fiato.

Girati… girati.

Dopo un momento, riprende a camminare accanto alla donna e sparisce in strada senza guardarsi indietro.

Un dolore bruciante mi stringe il petto mentre lotto per trattenere le lacrime. Chino il capo per la tristezza. Ecco la mia risposta.

È vero… tra di noi è finita.

* * *

È venerdì sera, e io sono sprofondata nel sedile dell’auto che ho noleggiato, mentre scruto dall’altra parte della strada buia. Mi sono gettata anima e corpo nella risoluzione di questo caso, quantomeno per distrarmi. Mi trovo davanti all’appartamento di Hayden, e so che probabilmente è del tutto inutile stare qui, ma cos’altro dovrei fare? Mi sono stancata di piangere e fissare il muro.

In quel preciso istante, mi arriva un messaggio sul telefono, e io abbasso lo sguardo. Quando vedo la lettera J sullo schermo, il mio cuore salta un battito.

Lo leggo e quasi lascio cadere il cellulare per lo shock.

J: Un ultimo scalo. Aeroporto JFK. Sabato, alle 20:00. JFK Clubhouse Bar. Ho bisogno di vederti.

J

xxx

Mi raddrizzo a sedere. Cosa?

Ha bisogno di vedermi… ha bisogno di vedermi?

La speranza mi sboccia nel petto. Oh mio Dio. Chiamo immediatamente Molly.

«Pronto», mi risponde.

«Jameson mi ha appena scritto. Vuole vedermi domani sera!» le dico di colpo.

«Cosa?» esplode lei. «Gli hai detto di andarsene a fanculo?»

«No.»

«Perché no?»

«Perché…» Cerco di pensare alla spiegazione perfetta. «Magari vedere Claudia lo ha fatto tornare in sé, e anche io lo voglio incontrare, Moll. È quello che ho desiderato per tutto questo tempo.»

«Oh Dio, ma riesci a sentirti? Perché vorresti vederlo? È un gran bastardo.»

«Lo so, ma è stato molto sotto pressione. Ho solo bisogno di parlare con lui.»

«Per la cronaca, io credo che sia una pessima idea», sospira lei.

Sorrido tra me e me. Si sbaglia… è un’idea eccellente. Rispondo a Jameson.

Io: Ci vediamo lì.

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Guardo fuori dal parabrezza con un’espressione beata e vedo che Hayden sta parlando con la stessa ragazza che lavorava alla Miles Media.

Lara Aspin… C’è qualcosa di losco anche in lei, e io ne voglio sapere di più, soprattutto perché finora non sono riuscita a scoprire niente, nemmeno un indirizzo. La giovane donna conclude la conversazione e si avvia lungo la strada. Sposto lo sguardo tra lei e l’uomo.

Merda, che cosa faccio?

Guardo Hayden sparire dentro il suo palazzo.

Beh, so già dove vive lui. Se lascio andare la ragazza, rischio di non ritrovarla mai più. Devo davvero scoprire dove abita. La seguo con gli occhi mentre cammina lungo la via. Dannazione. Salto fuori dall’auto e attraverso la strada, tallonandola sul marciapiede.

Scende le scale per entrare in metropolitana, e io esito. È buio, e solo Dio sa dove sta andando… Merda.

La guardo sparire giù per la scalinata, e mi faccio forza. Maledizione. Devo seguirla.

Aspettiamo sulla banchina della metro per un po’, e, quando sale sul vagone, io entro dietro di lei. Mi fermo vicino alle porte e guardo fuori dal finestrino, assicurandomi di tenerla nel mio campo visivo.

L’adrenalina mi scorre nel corpo, e devo ammettere che è persino divertente. Avrei dovuto fare la poliziotta.

Superiamo quattro stazioni, e poi la ragazza si alza e si avvicina alle porte. È la fermata della Central Station, cosa che mi porta a trarre un sospiro di sollievo. Almeno questo è un posto sicuro.

Scendiamo dal vagone e io rimango un po’ indietro rispetto a lei per evitare che si insospettisca. Camminiamo ancora, ancora e ancora… accidenti, ma dove sta andando?

Svanisce tra la folla, e di tanto in tanto io faccio un saltello per vedere se riesco a ritrovarla. Procedo, ma non la vedo più. È sparita nel nulla.

Dannazione.

Mi volto e lancio un’occhiata lungo la strada che abbiamo appena percorso. Dov’è andata? Faccio qualche passo indietro, e finalmente la intravedo dentro a un negozio.

Grazie a Dio.

Entro, notando solo dopo che è un banco dei pegni. Fingo di guardare qualcosa sul fondo del negozio mentre Lara Aspin parla con l’uomo al bancone.

«Beh, non vale molto», le sta dicendo lui.

«Vorrei cinquecento dollari. Funziona ancora perfettamente», risponde la ragazza.

«Te lo sogni. Scordatelo.»

Sbircio attraverso uno spazio vuoto di una libreria esposta e noto un MacBook. Merda… sta vendendo il suo computer. Perché mai dovrebbe fare una cosa del genere? Inizio ad arrovellarmi sui possibili motivi mentre i due contrattano sul prezzo. Alla fine, il venditore la spunta e le consegna duecento dollari. Guardo Lara Aspin sparire al di là della porta. Aspetto qualche minuto e poi vado al bancone.

«Salve.» Faccio un sorriso disinvolto.

«Ehi», borbotta il venditore sovrappeso, contando il contenuto della cassa.

Questa potrebbe essere la cosa più folle che io abbia mai fatto, e dire che ne ho fatte tante. «Vorrei comprare quel computer, per favore.»

L’uomo si acciglia, lanciandomi un’occhiata. «Quale?»

Indico il MacBook che Lara Aspin gli ha appena venduto.

«Nah, non l’ho ancora svuotato. Vai all’armadietto sulla sinistra e trovatene un altro.»

«No, deve essere quello lì.»

«Non è ancora in vendita. Torna tra due giorni.»

Quando tornerò tra due giorni, lo avrà ripulito. «Mi dica quanto vuole», dichiaro, sentendomi coraggiosa.

Lui si interrompe e alza lo sguardo su di me. «Mille dollari.» Inarca un sopracciglio in una sfida silenziosa.

«Lo ha appena pagato duecento dollari… è impazzito?» balbetto.

Il venditore scrolla le spalle e torna a quello che stava facendo.

Fisso il computer sul bancone, e non so perché ma il mio istinto mi sta dicendo di comprarlo. «Dannazione, okay, va bene. Così com’è, subito, per mille dollari.»

Mi fa un sorriso viscido. «Okay, tesoro.»

Gli porgo la carta di credito di mia madre, quella che dovrei usare solo per le emergenze…

Scusa, mamma.

Pago i mille dollari, prendo il computer ed esco.

Il mio telefono squilla, e il nome di Tristan illumina lo schermo. Che tempismo perfetto.

«Pronto», rispondo.

«Scusa se ci ho messo così tanto per richiamarti. Senti questa: quella ragazza su cui mi hai chiesto di indagare, Lara Aspin… lavorava nella contabilità», mi dice rapidamente.

«Che cosa significa?» Mi acciglio.

«Che aveva accesso ai nostri dati bancari.»

«Oh mio Dio, Tristan», bisbiglio, guardandomi intorno con aria colpevole. «L’ho appena seguita in metropolitana. Ha venduto il suo computer a un banco dei pegni, e lo so che è pazzesco, ma l’ho ricomprato per mille dollari.»

«Cosa? Ce l’hai tu? Hai il suo computer?»

Sorrido orgogliosa. «Già.»

«Dove sei? Vengo subito a prenderti.»

* * *

Attraverso l’aeroporto con il cuore in gola. Mi porto dietro il trolley per interpretare la parte della viaggiatrice stanca… o forse sto solo cercando di fingere con me stessa che questa non sia una pessima idea.

Perché so che lo è. Nel profondo, so che non dovrei partecipare a questo gioco pericoloso con lui. Dovremmo metterci seduti e fare una conversazione civile, da adulti.

Ma la disperazione mi ha resa debole, e spero che stanotte io e Jameson riusciremo parlare… e che lui mi supplichi di tornare indietro, così io potrò punirlo e poi torneremo a vivere la nostra storia con serenità.

Non ho più visto Claudia, quindi non ho idea di cosa stia succedendo con la sua ex, ma il fatto che questa sera Jameson abbia voluto vedermi mi dice che non deve essere niente.

Spero che non sia niente… Dio, lo spero…

Smettila.

Mi infilo in bagno per farmi un ultimo discorsetto di incoraggiamento. Mi passo di nuovo sulle labbra il rossetto rosso, il suo preferito, e fisso il mio riflesso nello specchio. I miei lunghi capelli scuri sono sciolti e acconciati in boccoli morbidi. Avrei voluto indossare un vestito, ma non volevo sembrare troppo impaziente, quindi mi sono decisa per un paio di pantaloni neri aderenti e una camicia di seta dello stesso colore, con il bottone in cima strategicamente aperto. Se mi muovo nel modo giusto, al di sotto si intravede il reggiseno di pizzo nero. Ho messo il profumo che ama di più, e credo di essere sexy senza sembrare che mi sia impegnata… sempre che sia possibile.

Solo Dio lo sa. Immagino che presto lo scoprirò.

Non essere appiccicosa… lamentosa… ed eccessivamente melodrammatica, ricordo a me stessa. Sii sexy e seducente… come eri la prima volta in cui vi siete incontrati.

Giusto, posso farcela.

Raddrizzo le spalle, faccio un respiro profondo e mi preparo per la serata che mi aspetta. Da questa notte dipende il mio futuro. Devo ricordargli perché si è innamorato di me… come diavolo ha potuto dimenticarselo?

Questo, in sé e per sé, è un problema… chiudo gli occhi, disgustata.

Smettila di rimuginare.

Mi avvio lungo il corridoio fino a quando non trovo il Clubhouse Bar. È animato e vivace. Entro e mi accomodo a un tavolino per due in un angolo. Se vuole vedermi, può venire a cercarmi. Sono a uno scalo e sono del tutto ignara di ciò che mi circonda.

Tiro fuori il mio portatile e apro le e-mail.

«Posso portarle da bere?» chiede il cameriere, che si è avvicinato al mio tavolo.

«Sì, per favore.» Sorrido, porgendogli la carta di credito. «Un Margarita della migliore qualità, per favore.»

Lui ricambia l’espressione e se ne va dopo avermi lanciato un occhiolino sfacciato. Dannazione, Jameson Miles mi ha viziata. A quanto pare, mi sono abituata alla roba di prima qualità, e ormai l’ordinazione mi sfugge dalla bocca fin troppo facilmente.

Riporto l’attenzione sulle mie e-mail e fingo che siano interessantissime.

Non è così.

E ciò che vorrei fare davvero è controllare questo posto con un occhio di falco… lui sarà qui?

Il cameriere torna con il mio drink. «Ecco a lei, un Margarita di prima qualità.» Lo appoggia sul tavolo. «E il gentiluomo al bar mi ha chiesto di portarle queste.» Mi lascia un grande piatto di fragole e una tazza di cioccolata calda.

Lancio un’occhiata nella direzione che sta indicando e vedo Jameson seduto al bancone del bar. Indossa dei jeans scuri e una camicia bianca che gli ho comprato io. I suoi capelli scuri sono scarmigliati alla perfezione. Incrocio il suo sguardo, e lui solleva il suo bicchiere prima di bere un sorso.

Mi si stringe lo stomaco per l’eccitazione. Non mi guarda in questa maniera da moltissimo tempo.

«Grazie», rispondo al cameriere, completamente distratta dal magnifico uomo al bar.

Sorseggio il mio Margarita, cercando di levarmi il sorriso ebete dal volto, e torno alle e-mail per fingere disinteresse.

Fragole e cioccolata calda, è impossibile mangiarle senza succhiarle e sembrare un animale.

Faccio un sorrisetto… forse è quello che vuole?

Allora giochiamo.

Con gli occhi fissi sullo schermo del computer, prendo un frutto e lo immergo nella cioccolata prima di leccarlo e infilarmelo in bocca con aria seducente. Succhio la cioccolata e mi strofino la fragola sulle labbra.

Bevo un sorso del mio Margarita e ripeto la mossa.

Sorrido tra me e me… Che diavolo sto facendo? Sono nel bar di un aeroporto, pur non dovendo andare da nessuna parte, e fingo di non conoscere un uomo, che invece conosco benissimo, mentre faccio un pompino a una fragola. È del tutto assurdo.

Se solo Molly e Aaron potessero vedermi ora…

Il cameriere arriva con un altro Margarita. «Con i complimenti del suo amico al bar.»

«Grazie.» Tengo basso lo sguardo, partecipando al gioco e rifiutando di guardarlo.

Dieci minuti dopo, bevo l’ultimo sorso del mio drink e mi permetto di lanciare un’occhiata verso Jameson: i suoi occhi scuri sono su di me, e un fuoco divampa tra di noi. Conosco quello sguardo, dice: “Ti scoperò… come non mai”.

Sento l’eccitazione iniziare a pulsare e, con gli occhi fissi su di lui, prendo un’altra fragola e la lecco.

Jameson si alza come se fosse stato evocato dalla mia lingua. Non smettiamo di guardarci, e io succhio il frutto mentre lui si avvicina al mio tavolo.

«Ti dispiace se mi siedo?» mormora con la sua voce profonda e sexy.

«Niente affatto.» Abbasso lo sguardo sul rigonfiamento nei suoi pantaloni e inarco un sopracciglio.

«Non giudicarmi.» Sorride, lasciandosi cadere sul divanetto accanto a me. «Ho appena ammirato il miglior porno con le fragole della mia vita.»

«Davvero?» Faccio un sorrisetto. Sento il calore della sua vicinanza e devo lottare per non sporgermi verso di lui.

Allunga una mano verso di me. «Sono Jim.»

Sento il cuore precipitarmi nel petto. Proprio come la prima volta. Stringo le sue dita e sento una scarica elettrica attraversarmi il braccio.

«Salve, Jim, io sono Emily.»

Quindi vogliamo fare questo gioco? Fingeremo di non conoscerci. Stiamo davvero rivivendo lo scalo. Farò tutto ciò che serve pur di spezzare il gelo tra di noi.

Appoggiando i gomiti sul tavolo, Jameson unisce le mani sotto il mento. I suoi occhi brillano, pieni di malizia. «Dove sei diretta, Emily?»

«Londra.» Sorseggio il mio drink. «Tu?»

«Dubai. Il mio volo è in ritardo.»

«Anche il mio.»

Senza smettere di guardarci, beviamo un sorso dei nostri drink. L’aria tra di noi è elettrica, e, a prescindere dall’amore che provo per quest’uomo, l’intesa sessuale che ho con lui è innegabilmente fuori da questo mondo.

«Grazie per il drink.» Sorrido con dolcezza.

«Non c’è di che.» I suoi occhi cupi sono socchiusi, e io riesco a sentire la sua eccitazione fino a qui.

«Che cosa fai per vivere?» gli chiedo.

«Sono una guida turistica», risponde senza esitazione.

«Davvero? E che tour organizzi?»

«Visite ai campeggi.»

Mi finisce il drink di traverso mentre ridacchio. «Oh.» Tossisco. «Quindi… sei un amante dell’aria aperta?»

«Certo.» Beve un sorso del suo Margarita. «Sono un tutt’uno con la natura.» Incrocia le dita per dimostrare esattamente quanto vi sia legato.

Cerco inutilmente di nascondere il mio ampio sorriso. «Buono a sapersi. I cavernicoli mi eccitano moltissimo.»

Il suo sguardo brilla, deliziato. Gli piace questo gioco. E piace anche a me.

«Tu cosa fai?»

«Sono una sensitiva.»

Scoppia a ridere. Oh, è bello sentirlo ridere di nuovo. «Una sensitiva?» Sgrana gli occhi per la sorpresa.

«Sì.»

«Quindi… leggi la mente?»

«Esatto.»

«Va bene.» Si guarda intorno nel bar e indica una donna con il suo bicchiere. «Dimmi cosa sta dicendo quella signora laggiù.»

Lancio un’occhiata e studio la sconosciuta di mezza età che sembra impegnata a riprendere il marito, mentre quello si beve una birra. «Gli sta dicendo che dovrebbe sbrigarsi a mettere le sue calze a compressione prima del volo, e che ha bevuto abbastanza. Non lo lasceranno salire in aereo se è ubriaco.»

«Mmh.» Jameson fa un sorrisetto e guarda di nuovo in giro. «E lui?»

Mi volto verso un uomo che sta fissando il cellulare. «Sta cercando delle prostitute per il suo viaggio di lavoro.»

«E quello?»

«Si sta chiedendo se la moglie vada a letto con il suo capo.»

Il suo sorriso si allarga. «Sei brava.»

Piego la testa di lato. «Lo so.»

«E lei?»

«Sta cercando infezioni fungine su Google. È preoccupata di aver preso qualcosa dopo un sabato sera scatenato e una scappatella non protetta.»

Gli brillano gli occhi per il divertimento mentre si guarda intorno nel bar, e infine torna a girarsi verso di me. «E io?»

«Vuoi sapere che cosa stai pensando?»

«Sì.»

Ci fissiamo a vicenda… merda, mi ero promessa che stanotte non avrei fatto la melodrammatica, e questo è di sicuro un modo per provocarmi. Potrei dire addio ai piani che ho fatto e dirgli quanto sia stato stronzo… e lo farò, ma più tardi.

«Adesso?» gli chiedo.

«Sì.» Mi fissa con lo sguardo cupo per il desiderio.

«È bello vederti.»

Mi fa un lento sorriso sexy e si sporge verso di me. «Lo è.» Mi appoggia una mano su una guancia, e il mio cuore si blocca. «Anche se non stavo pensando solo a quello.»

«No», ansimo. «Lo so.»

Sorride come se fosse intrigato, i nostri volti a pochi centimetri di distanza. «Perché non mi dici a cos’altro stavo pensando?» Abbassa gli occhi sulle mie labbra.

«Ti stavi chiedendo com’è il sapore del cioccolato sulla mia bocca», bisbiglio. Come faccio a mettere insieme delle frasi di senso compiuto quando lui mi guarda così?

Al rallentatore, si china in avanti e lecca le mie labbra socchiuse. Il mio punto più sensibile si contrae per la scarica improvvisa di eccitazione.

Oh Dio…

«Stai flirtando con me, Jim?» sussurro.

Mi lecca di nuovo. «Sì. Come me la sto cavando?»

Mi viene la pelle d’oca lungo tutta la schiena, e deglutisco il groppo che ho in gola. «Non male.»

«Solo non male?»

Annuisco, senza fiato per il suo tocco.

«E quando faccio così?» Mi bacia con estrema lentezza, infilando la lingua dentro la mia bocca aperta e carezzandomi con dolcezza.

«Potrebbe funzionare», mormoro contro le sue labbra.

«E così?» Il bacio si fa più profondo, e io sento la mia eccitazione risvegliarsi dal suo torpore.

Chiudo gli occhi, attraversata dall’emozione… non va bene. Un solo bacio, e sto già per scoppiare a piangere.

Come hai potuto trattarmi tanto male?

Non fare la pappamolle…

Devo tenere sotto controllo i miei sentimenti… almeno per ora. Domani sarà tutta un’altra storia, ma questa notte è per celebrare ciò che c’è tra di noi.

Interrompo il bacio. «Non so che razza di donna tu creda che io sia, Jim, ma posso assicurarti che rimorchiare guide turistiche di campeggi in un bar dell’aeroporto non è nel mio stile.» Mi appoggio all’indietro contro lo schienale del divanetto e raddrizzo la camicetta, sorseggiando il Margarita.

Jameson stringe le labbra come se fosse divertito dal gioco, e mi solleva una mano per portarsela alle labbra. Inizia a baciarla, e poi la gira e mi lecca il palmo. Sento di nuovo la stessa scarica elettrica accumularsi tutta nel basso ventre… cazzo. Sto perdendo il controllo della situazione.

In fretta.

Alzo gli occhi e vedo due ragazze sedute accanto a noi, incantate, che lo fissano con la bocca spalancata. Come gli sembreremo? Un uomo affascinante seduto qui a pomiciare con la mia mano, mentre io mi fingo completamente disinteressata. Fingo è la parola cruciale.

«Stai dando spettacolo», mormoro, guardandolo.

«Non posso farci niente», bisbiglia lui contro la mia pelle. «È passato troppo tempo.»

«Quanto?» gli chiedo.

«Quindici giorni.» Mi bacia di nuovo la mano. «Quindici lunghi giorni.»

È il tempo che abbiamo trascorso separati… sa con precisione da quanto non ci vediamo. Anche lui vuole spezzare il gelo tra di noi. Ha sentito la mia mancanza, so che è così. All’improvviso, non voglio fare la preziosa. Lo desidero intensamente… e subito.

Allontano la mano dalle sue labbra. «Offrimi un altro drink, e forse dopo ti libererò dalle tue sofferenze.»

I suoi occhi brillano per l’eccitazione, e alza immediatamente le dita per chiamare il cameriere. «Sì, signore.»

«Due…»

«Quattro», lo interrompo.

Lui si acciglia, probabilmente scoraggiato dal tempo in più che ci servirà per berli. «Quattro Margarita, per favore», ripete poi al cameriere.

«Sì, signore.»

«In fretta, per cortesia», aggiunge.

Il cameriere aggrotta la fronte davanti alla sua apparente disperazione. «Sì, signore, certo.» E si affretta verso il bar.

Ci fissiamo a vicenda mentre l’elettricità sfrigola tra di noi. Non servono parole. Entrambi sentiamo questa attrazione magnetica che ci unisce, è troppo forte per negarla.

«È davvero… è davvero bello vederti, Em», sussurra.

* * *

Un’ora più tardi stiamo camminando lungo il corridoio dell’albergo, mano nella mano. Siamo entrambi silenziosi, persi nei nostri pensieri. Il mio cuore batte all’impazzata, perché so cosa sta per succedere… e non vedo l’ora.

Lui apre la porta e mi guida dentro la suite. Mi guardo intorno e subito mi rendo conto della persona con cui mi trovo qui. Per me, certe volte, è fin troppo facile dimenticare quanto sia ricco, ma lui, in verità, non smette mai di esserlo. La porta si chiude alle nostre spalle, e Jim si gira verso di me. Ci fissiamo a vicenda, poi lui mi prende tra le braccia per stringermi forte e appoggiare la mia testa nell’incavo del suo collo. Continua a tenermi stretta a sé… come se avesse paura di lasciarmi andare.

L’amore tra di noi è palpabile. Proviamo così tante emozioni, così tanti rimpianti, che mi ritrovo in lacrime. Vorrei dirgli quanto lo amo, che mi ha ferita, che sono arrabbiata, ma preferisco lasciare che questo momento trascorra così. Preferisco che i sentimenti che proviamo l’uno per l’altra parlino al nostro posto, le parole sembrano irrilevanti in confronto a quello che c’è tra di noi.

Jameson indietreggia e mi scruta negli occhi. «Mi sei mancata», sussurra.

Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio a lungo e lentamente, proprio come piace a lui. Sorride contro le mie labbra mentre mi sbottona poco alla volta la camicia e la getta di lato. Mi sfila il reggiseno e mi stringe i seni, muovendo i pollici sui capezzoli turgidi. Le nostre labbra sono ancora incollate quando lui mi apre i pantaloni per abbassarmeli e togliermeli.

Si lascia cadere in ginocchio, e io trattengo il respiro mentre mi fa scorrere le mutandine lungo le gambe e me le sfila. Si sporge in avanti e inspira a fondo il mio odore. Socchiude gli occhi per il piacere e poi inizia a baciarmi proprio .

Oh… mi era mancato.

Ripenso alla prima notte che abbiamo passato insieme durante il nostro scalo. È stata così diversa da questa… All’epoca, il suo tocco era carico di lussuria, ora è pieno di amore e adorazione.

Mi solleva una gamba sulla spalla e lecca la mia parte più privata, quella che nessuno tranne lui conosce. Istintivamente gli appoggio le mani sulla testa.

È pazzesco. Non l’ho toccato nemmeno una volta, e lui è in ginocchio di fronte a me, completamente vestito… a godersela come non mai.

La sua lingua trova un ritmo, e il mio corpo inizia a muoversi da solo, guidandolo nel punto giusto. Inizio a tremare, e chiudo gli occhi per cercare di bloccarlo. Mi sta toccando da soli quattro minuti e sto già per venire…

Resisti.

Mi cedono le ginocchia e vacillo contro di lui. Lo sento sorridere su di me. Mi lecca e poi mi spinge sul letto. Mi fa sistemare come vuole lui, spalancando le mie gambe per godersi ogni parte di me.

«Sei così… maledettamente perfetta», bisbiglia tra sé e sé.

Con urgenza, si sfila via la maglia da sopra la testa e si abbassa i jeans. Il suo cazzo è duro e pronto tra le sue gambe.

È così bello… il tipico esemplare di uomo.

Gli sorrido, e lui infila una mano in tasca per tirare fuori un preservativo. Sono colta dall’inquietudine.

«Che cosa stai facendo?»

«Ti voglio più di una volta, e non voglio perdere la sensibilità.»

Mi acciglio, guardandolo mentre se lo infila… È strano, in passato lo ha sempre fatto fare a me, come se lui non potesse.

Si stende sul letto al mio fianco e mi passa le dita tra i capelli, guardandomi. Questa notte non riesco a capirlo per niente. Ha un’aria… più intensa del solito.

«Mi sembra molto sentimentale questa sera, signor Miles», bisbiglio.

«Forse lo sono.»

Allungo una mano verso di lui e gliela appoggio sul viso. Sembra quasi sperduto. «Stai bene?»

«Questa notte sì.»

Si china e mi bacia, e io sento l’emozione che c’è dietro quel tocco. È come se stesse incanalando tutto il suo amore nelle labbra, cancellando ogni mio pensiero coerente. Si sdraia su di me e i nostri corpi si muovono come se avessero una propria mente, prendendo forma l’uno sull’altro. Il nostro bacio si fa frenetico, e lui mi solleva una gamba per scivolare dentro di me. Mi sento quasi lacerata dalla sua invasione. È impossibile dimenticare quanto sia grosso. È osceno.

Entrambi gemiamo per il piacere. Jameson scivola fuori e poi rientra lentamente dentro di me. Sono bagnata, davvero bagnata, e il suono della mia eccitazione riecheggia nell’aria.

«Gesù Cristo, Emily», sussurra, perdendo il controllo. Affonda dentro di me e mi lascia senza fiato.

E poi cominciamo a darci dentro. Il letto colpisce il muro con forza, mentre noi ci fissiamo in silenzio… con reciproca ammirazione. Questa è tutta un’altra storia. I nostri corpi sono fatti per stare insieme. Noi siamo fatti per stare insieme.

Jameson fa una smorfia, come se stesse soffrendo. «Non riesco a trattenermi, piccola», ansima.

Sorrido. Mi piace sapere che non può resistermi.

«Lasciati andare», sussurro contro le sue labbra. «Abbiamo l’intera notte. Dammi tutto.»

* * *

Mi giro e sussulto quando sento un dolore sordo esplodermi dentro.

Oh, accidenti. Sono distrutta. Jameson Miles mi ha scopata per tutta la notte. Con forza e in ogni modo, e oggi ne pagherò le conseguenze.

Mi volto verso di lui. È sdraiato su un fianco, puntellato su un gomito, e mi sta guardando.

«Ciao.» Gli sorrido dolcemente, imbarazzata da ciò che deve aver visto.

«Ciao.» Si china e mi bacia, prima di prendermi tra le braccia e stringermi forte.

«Sono tutta dolorante», bisbiglio.

«Siamo in due.» Sogghigna.

Chiudo gli occhi contro il suo petto, e rimaniamo sdraiati in pace per un’altra mezz’ora, sonnecchiando.

Più tardi, quando mi alzo per andare in bagno, noto il cestino dei rifiuti pieno di preservativi… mmh, li ha usati per tutta la notte. Sul momento, non me ne sono accorta.

Torno a letto accanto a lui e mi accoccolo contro il suo petto. «Perché ieri notte hai usato i preservativi?» Lo sento irrigidirsi sotto di me, e capisco subito che lo ha fatto di proposito, ma lui non mi risponde. «Jim?» Mi alzo a sedere, con la fronte aggrottata.

«Non farlo.» Fa per attirarmi di nuovo contro il suo petto. «Godiamoci una mattinata tranquilla insieme.»

Lo fisso. «Perché li hai usati quando so quanto li detesti?»

Lui espira profondamente, come se fosse irritato, e si alza dal letto. «Non voglio incidenti.»

«Cosa?»

Emette un lungo sospiro, con aria frustrata.

Mi raddrizzo. «Credi che sarei in grado di intrappolarti di proposito con una gravidanza?» Jameson rotea gli occhi. «Ma che cavolo!» sbotto, saltando giù dal letto. «Fai sul serio?»

«Non stiamo insieme, Emily. Sarei un idiota se non prendessi precauzioni.»

La mia espressione si riempie di sgomento. «Che cos’è stato per te ieri notte?»

Jameson sostiene il mio sguardo. «Un addio.»

«Cosa?» Sento i miei occhi riempirsi di lacrime per lo shock.

«Non prendertela», dice lui.

«Non prendertela?» grido, iniziando a perdere il controllo. «Mi hai chiesto di incontrarci qui anche se non avevi nessuna intenzione di tornare insieme a me?» Mi fissa. «È così?» strillo.

«Non sono l’uomo per te, Emily», risponde con calma, e io capisco che questo è un discorso che si è preparato.

Mi acciglio e ho l’impressione che le pareti inizino a chiudersi attorno a me. «Cosa?» sussurro.

«Tu sei innamorata di Jim.»

Con un gesto rabbioso mi asciugo le lacrime che iniziano a scendere lungo le mie guance.

«Io sono Jameson. Jim non esiste, Emily. È frutto della tua immaginazione, è l’uomo che vorresti che io fossi.»

«Di che cazzo stai parlando?» ribatto.

«Del fatto che starai meglio senza di me.»

«Se è per Jake…» balbetto.

«Non si tratta di lui, anche se odio che tu mi abbia mentito.»

«Ti giuro che non è successo niente!» esclamo.

«So che è così.»

«Allora perché?» bisbiglio. «Non capisco. Noi ci apparteniamo, Jay.»

«Non posso.» Chiude gli occhi e si interrompe per un istante, come se si stesse preparando a spingere quelle parole fuori dalla sua bocca. «Io non voglio sposarmi, né voglio avere dei figli. Non voglio le stesse cose che vuoi tu. Non sono fatto per essere normale, Emily. Sono sposato con il mio lavoro, e questo non cambierà mai. Ci ho riflettuto molto a lungo.» Mi allontano da lui mentre l’orrore mi pervade. Riesco a sentire i battiti del mio cuore nel silenzio. «Ti amerò per sempre», mormora.

Lo guardo tra le lacrime… che cazzo sta succedendo?

Mi sorpassa per andare in bagno e chiude la porta. Fisso un frammento della moquette per terra, sconvolta fino al midollo. Dopo la splendida notte che abbiamo passato insieme… è così che mi tratta?

Riappare completamente vestito e mi guarda negli occhi. «Posso accompagnarti da qualche parte?»

«Se ora esci da quella porta, noi avremo chiuso per sempre», sussurro.

Sostiene il mio sguardo. «Lo so.» Fa un passo verso di me e mi bacia con dolcezza, tenendomi il viso tra le mani. Sul suo volto scorgo la medesima smorfia di dolore che so troverei sul mio. «È meglio così, soprattutto per te, un altro uomo potrà renderti più felice.»

Faccio un passo indietro, furiosa. «Non osare propinarmi queste cazzate.»

«Vuoi un passaggio o no?»

«Vai all’inferno», sibilo.

Mi guarda con gli occhi fiammeggianti. «Ci sono già.» Si volta ed esce dalla porta, richiudendola piano alle sue spalle.

Singhiozzo nel silenzio. Mi ha spezzato il cuore. Di nuovo.