Sono seduta a gambe incrociate sulla moquette, con la schiena appoggiata al divano, e sto facendo roteare il telefono. Lo guardo girare fino a quando non perde lo slancio, e poi gli do un altro colpetto.
Oggi è stata una giornata strana, durante la quale ho tratto delle conclusioni ben precise e ho chiuso un capitolo della mia vita.
Non sto piangendo. Non mi rimangono più lacrime da versare per Jameson Miles.
A essere sincera, sono solo arrabbiata, soprattutto con me stessa, per averlo incontrato la notte scorsa e per essermi fatta trattare come una marionetta per l’ennesima volta.
Su Netflix c’è Magic Mike XXL, e io lo sto guardando di nuovo. È davvero ironico che abbiamo iniziato la nostra relazione davanti a questo film e che ora lo stia riguardando dopo la fine della nostra relazione.
Ho riflettuto a lungo. Devo prendere alcune decisioni, delle decisioni molto importanti. Su cosa voglio fare della mia vita… con la mia carriera e il mio futuro alla Miles Media. Ma so già cosa devo fare. Alzo lo sguardo verso il televisore. C’è una scena di un falò in spiaggia, e gli uomini stanno parlando di una donna di cui uno di loro era innamorato.
“Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.”
Mi si stringe il cuore pensando alle implicazioni di questa frase. Ho passato settimane a rifiutarmi di credere che Jameson Miles avesse un cuore di ghiaccio. Ma è così. A prescindere da come l’uomo che credevo di conoscere si presentava… la sua realtà è una menzogna.
“Jim non esiste”, mi ha detto.
Il mio telefono squilla e il nome Tristan illumina lo schermo. Mi acciglio. «Pronto.»
«Oh mio Dio, Em. Pensano di averle trovate.»
Mi raddrizzo a sedere. «Cosa?»
«Il computer di Lara Aspin… dentro ci sono le prove che è stato usato per accedere ai nostri conti bancari.»
«Che cosa?» ripeto piano, sgranando gli occhi.
«Non abbiamo ancora i dettagli, ma gli analisti dei computer hanno appena chiamato per farci sapere che la sua cronologia sembra molto promettente.»
Sorrido. «È fantastico.»
«Ci vediamo in ufficio domani mattina? Sali all’ultimo piano appena arrivi.»
«Sì, certo.» Rimango un attimo in silenzio, poi aggiungo: «Ehi, grazie per avermi informata».
«Ci vediamo domani», dice lui con tono allegro.
Chiudo e mi perdo a fissare il vuoto per un momento, un sorriso triste sul mio viso. Mi alzo e accendo il portatile sul tavolo della cucina per iniziare a scrivere.
Ti credo, Jameson… Finalmente ti credo.
* * *
«Oh mio Dio, Em, lo hai saputo?» Aaron mi rivolge un sorriso entusiasta, girando la sedia verso di me.
È mattina, sono appena arrivata al lavoro e sto appoggiando la borsa sulla scrivania. «Cosa?»
«I giornali di oggi dicono che è stato fatto un arresto per il caso di appropriazione indebita.»
«Davvero?» Fingo un sorriso. «È fantastico.» Mi guardo intorno. «Molly è già qui?»
«No, ma arriverà presto.» Torna a voltarsi verso il suo computer.
«Okay. Torno tra un momento.» Prendo una busta dalla mia borsa e poi striscio il mio tesserino nell’ascensore per salire all’ultimo piano. Stranamente, oggi funziona.
Le porte si aprono e Sammia mi fa un gran sorriso, come se fosse felice di vedermi. «Buongiorno, Emily.»
«Ciao.» Mi guardo intorno. «Tristan c’è?»
«Sì, è nell’ufficio di Jameson. Vai pure.»
Lo stomaco mi sprofonda fino ai piedi. «Okay, grazie.» Attraverso il pavimento piastrellato e prendo mentalmente nota del rumore. Ora le mie scarpe non ticchettano più sul marmo, e ripenso a quando lo facevano. Lancio un’occhiata attorno a me e scatto una fotografia mentale. Amo questo palazzo… ho tanti ricordi emozionanti di quando ho iniziato a salire fino a questo piano.
Busso alla porta e sento la voce autorevole di Jameson dire: «Avanti».
Ci siamo.
Cerco di tenere a bada i nervi e apro la porta. Quando Tristan si accorge di me, il suo volto si illumina. «Eccola qui. L’eroina della giornata.»
«Ciao.» Incontro lo sguardo di Jameson dall’altra parte della stanza.
«Buongiorno.» Lui china il capo come se si vergognasse per qualcosa.
«Tutte le prove erano su quel computer, Em.» Tristan è entusiasta. «Ce l’hai fatta, hai risolto il caso. Non so perché tu abbia continuato a seguirla, ma, accidenti, ti sono incredibilmente grato per averlo fatto.»
«Sono felice di essere stata d’aiuto.»
«Grazie.» Jameson aggrotta la fronte come se vedermi qui lo facesse soffrire. «Ti sono molto riconoscente per il tuo impegno nella risoluzione del caso.»
Tristan guarda prima lui e poi me, e sembra accorgersi della tensione tra di noi. «Vi lascio da soli. Dobbiamo festeggiare… stasera», ci grida, lasciando la stanza in un turbine di eccitazione. Per lui la conclusione dell’indagine contro Jameson deve essere un vero sollievo.
Chiudo gli occhi. Dannazione, devo farla finita. Porgo la busta a Jameson, e lui la fissa con aria confusa. «Che cos’è?» mi domanda.
«La mia lettera di dimissioni.»
Mi guarda con la fronte aggrottata. «No, Em.» Scuote la testa. «Non posso accettarle.»
Le emozioni mi travolgono, e sbatto le palpebre un paio di volte per non piangere. «Non posso più lavorare qui, Jameson.»
«Tu ami la Miles Media… lavorare qui era il tuo sogno», bisbiglia.
«No. Ti sbagli. Io amavo te… eri tu il mio sogno. Ho accettato un’offerta di lavoro da Athena, nel posto in cui ho fatto il tirocinio. Inizio lunedì prossimo.»
Mi scruta dritto negli occhi. «Em…»
Mi sfugge una lacrima lungo la guancia, e la asciugo con un sorriso nervoso. «Sai, ho guardato Magic Mike XXL ieri sera.» Mi ascolta. «E nel film c’è una frase toccante che mi ha aiutata a dare un senso a tutto quanto.»
«Quale frase?»
«Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.» Lui si acciglia, senza capire. «Finalmente ti credo, Jameson.»
«Credi a cosa?»
«Che sei un codardo.» Lui serra la mascella. «Che hai troppa paura di amarmi.» Ci fissiamo negli occhi, mentre tra di noi scorre una corrente di rabbia. «E io merito qualcuno che sappia che valgo il rischio.» Jameson mi fissa, serrando la mascella. «È solo che tu non sei abbastanza coraggioso da amarmi.»
«Questo non è giusto», sussurra.
«No.» Scuoto piano la testa. «Innamorarmi di te non è stato giusto. Non ho mai avuto alcuna possibilità… e tu lo hai sempre saputo. Il tuo cuore è in un congelatore ermeticamente chiuso di marca Miles-High, e si può solo ammirare dall’esterno.»
La sua espressione si incupisce, e io mi volto per lasciare il suo ufficio. Chiudo piano la porta quando esco, e la fisso per un momento mentre raccolgo il coraggio che mi serve per allontanarmi da lì per l’ultima volta. In qualche strano e assurdo modo, questo è stato il periodo migliore e peggiore della mia vita.
Addio, signor Miles. Mi mancherai per sempre.
Jameson
Guardo Emily uscire dall’ufficio con il cuore in gola. Richiude piano la porta, e le pareti iniziano a stringersi attorno a me. In automatico, mi verso un bicchiere di scotch e vado alla finestra. Fisso New York, lottando contro un’ondata travolgente di tristezza.
Se ne è andata.
Toc, toc. Tristan appare e fa un ampio sorriso vedendo il mio drink. «Stiamo già festeggiando?»
«Sembra di sì.»
Si guarda intorno. «Dov’è Emily?»
«Se ne è andata.» Sorseggio il mio scotch e sento il calore del liquido ambrato scorrermi nella gola. Lo ammiro dentro al bicchiere. «Si è licenziata. Con effetto immediato.»
«Cosa?» Tristan rimane sbalordito. «Non puoi dire sul serio.»
«È la cosa migliore.»
«Ma che cazzo dici? Come fa a essere la cosa migliore?»
«Le cose tra di noi non avrebbero mai funzionato, Tris, lo sapevi.» Mi interrompo. «Ci sarà sempre uno stronzo come Ferrara pronto a sfruttarla per distruggermi. Non voglio che venga trascinata di nuovo nel fango.»
«È questo che ti stai raccontando?» Sbuffa. Io guardo fuori dalla finestra, senza rispondere. «Cazzo, non ti capisco. Sei follemente innamorato di lei. Perché la stai lasciando andare?»
Mi fermo, riflettendo sulla domanda. «Si merita di meglio della vita che le posso dare io.»
«Ma vaffanculo», sbotta mio fratello. «Non potrebbe mai avere una vita migliore di quella che le potresti dare tu. Non le mancherebbe nulla.»
«Non le interessano i soldi», borbotto con tono secco.
«E cosa vuole?»
«Cose…» Mi acciglio, cercando di esprimere i miei pensieri. «Cose… che non sono in grado di darle.»
«Tipo quali?»
«Il tempo.»
Tristan mi fissa, smarrito. «Ma ti sei impegnato senza problemi con Claudia.»
Sollevo le sopracciglia mentre sorseggio il mio scotch.
«Che cosa significa?»
«Non mi importava se Claudia era a casa ad aspettarmi. Non mi importava di quanto tempo passavo lontano da lei. Potevo viaggiare, lavorare, concentrarmi… ero soddisfatto di metterla in quarta o quinta posizione, e lei non si è mai aspettata niente di diverso.» Espiro profondamente, sentendo il peso del mondo sulla mia schiena. «Stare con Claudia era semplice.»
«Perché non la amavi veramente?»
Faccio spallucce, non riuscendo a dare un nome ai miei sentimenti.
Lui mi appoggia una mano sulla spalla. «Tu non sei solo un amministratore delegato, Jameson. Anche tu meriti di essere felice. Perché credi che debba essere o l’una o l’altra cosa?» Mi acciglio, addolorato. «Non permettere all’amore della tua vita di andarsene perché hai paura di perderlo.»
«È inevitabile, Tristan… presto o tardi, lei se ne sarebbe andata comunque. Sarebbe stata costretta.»
«E cosa ne sarà di te?» sbotta. «Diventerai il classico amministratore delegato solo, stressato e alcolizzato?» Alzo lo sguardo per incontrare il suo. «Oh, aspetta.» Indica il mio drink. «Sta già succedendo.» Scuote la testa, disgustato. «Quando troverò la donna adatta a me, smuoverò mari e monti per tenerla al mio fianco.»
«Vattene», sospiro. «Non hai nessuna idea di cosa stai dicendo.»
«In realtà, sono quasi felice di vederti mandare a puttane la tua vita», grida, dirigendosi verso l’uscita. «Ora so cosa non dovrò fare.»
Bevo un sorso del mio scotch, mentre lui sbatte la porta dietro di sé. L’interfono sulla mia scrivania emette un trillo, e io premo un pulsante.
«Sì, Sammia.»
«I detective sono qui per vederla, signore.»
Scolo il mio bicchiere… bene, una distrazione.
«Grazie, mandali dentro.»
Emily
«Un brindisi.» Molly sorride, sollevando il suo bicchiere.
Aaron ed io alziamo i nostri e li facciamo tintinnare contro il suo.
«Ai nuovi inizi.»
«Ai nuovi inizi», ripetiamo.
«Te la caverai benissimo», mi garantisce Aaron. «Dammi retta, conquisterai la redazione in un batter d’occhio.»
Siamo in un bar per cenare e festeggiare. Domani inizio il mio nuovo lavoro. È passata una settimana da quando ho lasciato la Miles Media.
Mi sembra sia stato una vita fa.
Avevo intenzione di tornare in California per andare a trovare i miei genitori, ma mi è mancata l’energia mentale per farlo. Invece sono rimasta a casa per prendermi cura di me. Avevo bisogno di trascorrere un po’ di tempo da sola per leccarmi le ferite e guarire. Mi sono fatta fare qualche massaggio e qualche seduta di Reiki per lenire il dolore, ho mangiato cibi sani e sono andata a correre due volte al giorno per sfogare l’energia in eccesso, in modo che la notte il mio corpo non potesse far altro che dormire.
Sto bene… sono svuotata, ma me la cavo bene.
Ho smesso di leggere i giornali, così non devo vedere il suo nome. Durante la corsa, vado nella direzione opposta per non vedere il palazzo della Miles Media, i ristoranti o qualsiasi luogo che mi ricordi lui o il tempo che abbiamo trascorso insieme.
Lui…
Non riesco nemmeno a costringermi a dire il suo nome.
L’ho chiuso in una cassaforte, e nessuno osa parlarne quando sono nei paraggi. È come se non fosse mai esistito… e magari è così.
«Che cosa indosserai domani?» mi chiede Molly, iniziando a tagliare la sua bistecca.
«Stavo pensando al completo blu.» Prendo un boccone della mia cena. «Voglio sembrare professionale ed elegante.»
«Niente gonna grigia?» domanda Aaron con un sorrisetto.
Mi pulisco la bocca con il tovagliolo. «Ho gettato via quella robaccia.»
«Cosa?» strilla Molly. «Adoravo quella gonna! L’avrei presa io.»
«Era un oggetto sfortunato», replico. «Fidati di me, non vuoi quel tipo di negatività nella tua vita.»
«Parole sante.» Aaron alza il bicchiere e brindiamo di nuovo.
«Michael mi ha invitata a uscire sabato sera», ci informa Molly con noncuranza.
Per lo stupore, lascio cadere le posate, che colpiscono il piatto con fragore, e alzo gli occhi per incontrare i suoi. «Cosa?»
Lei scrolla le spalle. «Non so davvero cosa pensare.»
«Ti ha semplicemente invitata fuori a cena? Sei sicura che sia un appuntamento?» le domanda Aaron, accigliandosi.
«Beh, le sue parole esatte sono state: Sabato sera ti va di uscire con me per un appuntamento?»
Le sorrido. «Ci andrai?»
«Non lo so.» La mia amica sospira. «È passata talmente tanta acqua sotto i ponti da quando ci siamo lasciati… Siamo riusciti a ricostruire un rapporto di amicizia e di fiducia. Non voglio rovinarlo…»
«Scopandotelo?» sogghigna Aaron prendendo un boccone del suo pasto.
«Beh, se lo scopassi e lui non si esibisse nel trucchetto del doppio Viagra, rimarrei mortalmente offesa. Ora so quali assi ha nella manica.»
Tutti e tre ridacchiamo.
«Dio, quanto è stata divertente quella notte», aggiungo, ricordando quando era svenuto per il troppo sangue affluito al suo membro.
Molly rotea gli occhi. «Forse per te.»
Torniamo in silenzio mentre mangiamo.
«Buona fortuna per domani, tesoro», mi augura Aaron.
«Grazie, ragazzi.» Gli sorrido. «Siete le due cose migliori di New York.»
«Dio, hai proprio ragione», borbotta Molly, le labbra accostate al bicchiere. «E anche questi Margarita non sono da meno.» Solleva il suo drink verso di me. «Quindi dovrei uscire con Mike?»
«Certo», esclamiamo io e Aaron. «Vai.»
* * *
«Emily.» Athena mi sorride, stringendomi tra le braccia. «È bello vederti. Benvenuta.»
«Ciao.» Ricambio nervosamente il suo sorriso.
«Ti piacerà moltissimo qui.» Dopo avermi presa per mano, mi trascina attraverso la stanza. «Ecco il tuo ufficio.»
Mi illumino, sorpresa. «Ne ho uno tutto mio?»
«Certo che sì.»
Mi guardo intorno nel piccolo spazio. Non è un ufficio da manager ai piani alti, ma per me è perfetto. Ha una finestra e in un angolo c’è una scrivania con una sedia. È piuttosto accogliente. Mi giro verso di lei.
«Grazie per avermi assunta. Te ne sono davvero grata.»
Athena mi sorride, carezzandomi un braccio. Quando l’ho chiamata per avere un lavoro, non mi ha nemmeno domandato che cosa fosse successo con la Miles Media o alla mia relazione con Jameson. In ogni caso, doveva sapere che ero a pezzi e che non avevo nessun altro posto dove andare, ma che correre a casa con la coda tra le gambe non era un’opzione praticabile.
E aveva ragione.
Ho intenzione di ripagarla: sarò la migliore giornalista che abbia mai avuto.
«Ti lascio», mi dice con gentilezza. «Alle dieci ci sarà una riunione con lo staff per presentarti agli altri. Abbiamo delle ciambelle di benvenuto.»
Le sorrido. «Grazie, sarà fantastico.»
Lei sparisce lungo il corridoio, e io mi accomodo alla mia nuova scrivania, guardandomi intorno in quello spazio vuoto. Mi mancano Molly e Aaron… e il fermento della Miles Media.
Jameson
«Con questa proiezione, la previsione è di una crescita del dieci percento nei prossimi dieci mesi.» Harrison del dipartimento finanziario tamburella sul grafico sullo schermo di proiezione mentre si rivolge al consiglio di amministrazione.
Il tavolo si anima di un chiacchiericcio entusiasta. Dopo i problemi degli ultimi quattro mesi, la strategia per la rimonta è in atto.
Ma io… sono a chilometri di distanza. Non riesco a concentrarmi… non riesco a pensare… Mi sento come se non potessi respirare. Forse non sto bene.
Oggi Emily ha iniziato il suo nuovo lavoro, e io avrei voluto chiamarla per augurarle buona fortuna. Ci ho pensato così tanto che non sono riuscito a dormire, e ho persino preso il telefono un paio di volte. Chino il capo.
Ma che senso ha…
Mi chiedo se questa mattina sia andata a correre. Ha messo le scarpe con le rotelle di cui mi ha parlato? Sorrido tra me e me, ricordando che Elliot aveva pensato che stessi parlando di scarpe con Zuckerberg. Idiota…
Mi sistemo sulla sedia per raddrizzare la schiena. Avrei proprio bisogno di un massaggio.
A Emily non piace che me li faccia fare. Ripenso al tipo di massaggi che ricevevo un tempo, e mi sembra un’altra vita. PE: Prima di Emily…
Smettila.
«Jameson ve ne parlerà questa mattina.»
Alzo lo sguardo, smarrito. Di che cosa stanno parlando?
Tutti i membri del consiglio attorno al tavolo mi fissano, aspettando la mia risposta, e io getto uno sguardo a Tristan perché mi dia una mano.
«Quando questa sera andrai a Seattle…» mi suggerisce gentilmente mio fratello, sollevando le sopracciglia.
«Sì.» Annuisco. «Giusto.»
In questo momento, Tristan mi sta puntellando sul lavoro, ben consapevole del mio stato mentale.
La riunione prosegue, e io bevo un sorso d’acqua per cercare di riportare la mente dove deve essere.
Così non basta, Jameson. Concentrati.
* * *
Salgo sull’aereo.
«Buonasera, signor Miles. La sua poltrona è da questa parte, signore. Posto A1.»
«Grazie.» Mi lascio cadere sul sedile in prima fila nella prima classe.
L’aereo si riempie lentamente, mentre io guardo fuori dal finestrino. Volare non mi ha mai dato fastidio, ma ora lo odio. Detesto che mi ricordi lei… e il modo in cui ci siamo conosciuti. La notte che abbiamo passato insieme. E quanto sono andate male le cose alla fine.
Con un gomito appoggiato sul bracciolo, mi stringo la base del naso. Voglio solo arrivare a destinazione, raggiungere il mio albergo e dormire. Sono stanco e non sono dell’umore giusto per queste cazzate.
«Posso portarle qualcosa, signor Miles?»
«Uno scotch, per favore.»
Un uomo anziano si accomoda sul sedile di fronte a me. Mi fa un cenno con il capo. «Salve.»
«Buonasera», lo saluto con un sorriso.
Riporto l’attenzione fuori dal finestrino, verso l’equipaggio che si sta occupando dei bagagli sulla pista; sono tutti impegnati a svolgere il loro lavoro e a correre in giro per fare gli ultimi controlli di sicurezza.
Si muovono a bordo di carrelli, fanno segnali luminosi e agitano bandiere.
A me non importerebbe niente se l’aereo si schiantasse.
Bruciare all’inferno deve essere meglio di questa vita.
Quattro giorni dopo
Sorrido ad Alan, che è in piedi accanto alla limousine in aeroporto. «Salve, signore. Ha fatto buon viaggio?»
«Tutto tranquillo, grazie», rispondo, salendo sui sedili posteriori.
«Vuole prendere la solita strada, signore?» mi domanda lui dalla portiera.
«Sì, per favore.»
Mi sorride. «Molto bene.» Chiude lo sportello, e qualche istante più tardi l’auto si avvia in mezzo al traffico.
Mezz’ora dopo, rallenta mentre passiamo di fronte all’appartamento di Emily, e io scruto fuori dal finestrino.
Sarà qui?
Lo faccio ogni sera prima di tornare a casa. È il mio stupido modo per augurarle la buonanotte… Se non lo faccio, più tardi finisco per tornare fino a qui di corsa. Chi voglio prendere in giro? In realtà corro fino a casa sua quasi tutte le sere.
Trattengo il fiato mentre superiamo la palazzina, sperando di scorgerla… Non mi è mai successo. Mi sprofonda il cuore nel petto. Non è qui.
Guardo indietro attraverso il lunotto posteriore, mentre avanziamo lungo la strada.
Emily… dove sei?
Emily
Sto tornando a casa in autobus e sono seduta a leggere un libro sul mio Kindle. È buio e sono appena le sei di sera. Sono più felice… più forte. Ormai ho iniziato il mio nuovo lavoro da tre settimane e lo adoro. Ho fatto la scelta giusta. Le persone sono tutte fantastiche, fortunatamente non sono più l’oggetto delle chiacchiere in ufficio, e ho un ruolo più importante rispetto a quello che ricoprivo alla Miles Media. Mi vedo ancora spesso con Molly e Aaron per bere e cenare insieme, e ho in programma di tornare dai miei genitori nel weekend.
Sto correndo molto… e stranamente non devo fingere di essere inseguita da un maniaco armato di ascia. Sono così arrabbiata che non posso fare a meno di sfrecciare con tutte le mie forze. Il jogging pacifico non fa più parte del mio repertorio.
L’autobus rallenta. Spengo il Kindle e mi alzo, aspettando che il mezzo si fermi. Scendo i gradini e inizio la camminata di due isolati per raggiungere il mio appartamento. La stagione si sta facendo fredda. Ogni mio respiro crea una nuvoletta di condensa, e io mi stringo nell’ampio cappotto per tenermi al caldo mentre avanzo.
Potrei prendere del cibo indiano per cena.
No… attieniti al budget, nel frigo hai gli avanzi dell’altra sera.
Raggiungo il mio palazzo e frugo nella borsa alla ricerca delle chiavi.
«Ciao, Em», dice una voce familiare alle mie spalle.
Mi volto, sorpresa. Jameson è di fronte a me, e, non appena lo vedo, mi si stringe il petto come in una morsa. «Che ci fai qui?»
Mi scruta dritto negli occhi. «Avevo bisogno di vederti.»
La sua apparizione risveglia un’ondata inaspettata di emozione, che in precedenza avevo creduto di avere sotto controllo. Lo fisso tra le lacrime che minacciano di iniziare a scendere.
Lui fa un cauto passo in avanti. «Come stai?»
All’improvviso, sono furiosa… come un toro scatenato, e chino la testa per armeggiare dentro la borsa. Devo allontanarmi da lui.
Dove cazzo sono le chiavi?
«Bene», sbotto. Finalmente le trovo e mi giro verso la porta.
«Mi manchi.»
Mi fermo e chiudo gli occhi.
«Non riesco…» Si interrompe. «Non riesco a voltare pagina se non so che siamo a posto.»
Corrugo la fronte e torno a guardarlo. La sua espressione è addolorata, sembra nervoso. I nostri occhi si incontrano, i miei pieni di lacrime… i suoi pieni di rimpianto. Si gira per lanciare un’occhiata verso la sua macchina, che non avevo notato, parcheggiata nel buio.
«Ti ho portato una cosa.»
Praticamente corre fino all’automobile per prendere un enorme bouquet di rose gialle, poi torna da me per consegnarmelo.
Lo fisso confusa. «Rose gialle?»
Mi sorride con dolcezza. «Dovrebbero essere un simbolo di amicizia.»
«Vuoi essere mio amico?»
Lui annuisce speranzoso. «Possiamo ricominciare da capo?»
Qualcosa dentro di me si spezza. «Hai un bel coraggio, cazzo.» La sua espressione si intristisce. «Torni qui dopo avermi spezzato il cuore e mi porti delle cazzo di rose gialle?» grido. Jameson fa un passo indietro, sconvolto dall’astio nel mio tono di voce. «Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi l’ultima persona sul pianeta Terra!» urlo, mentre le lacrime di rabbia iniziano a scendermi sul volto.
Perdo del tutto il controllo e inizio a fare a brandelli le rose, strappo i fiori, li distruggo, poi li getto a terra e ci salto sopra. Voglio ferire queste stupide piante tanto quanto lui ha ferito me.
Jameson mi guarda con gli occhi sgranati.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e, ancora insoddisfatta dallo stato delle rose, sollevo il mazzo da terra e scendo in strada per gettarlo con più forza possibile sull’asfalto. Un autobus gli passa sopra.
«Ecco cosa puoi farci con la tua amicizia», gli dico con il tono carico di disprezzo, superandolo.
Apro il portone ed entro nel mio palazzo senza guardarmi indietro. Premo con forza il pulsante dell’ascensore e, con la coda dell’occhio, vedo Jameson al di là della porta a vetri, che ancora mi guarda. Le lacrime mi scorrono giù per il viso, e sono furibonda per avergli lasciato vedere quanto sono fuori di me.
L’ascensore si apre, così entro e premo di nuovo il pulsante.
Le porte si richiudono, mentre il mio viso si contorce per il pianto, e io inizio a singhiozzare.
Che tu sia maledetto, Jameson Miles…