Capitolo 24

Emily

Ci sono momenti della tua vita che sai che non potrai mai dimenticare. Certe situazioni che sono fondamentali e determinano chi sei.

La notte scorsa è stato uno di quei momenti.

Che razza di psicopatica fa a pezzi un mazzo di rose a mani nude, gridando come una matta? Mi vergogno di me stessa. Questo… questo è il livello a cui mi sono abbassata.

Stranamente, la notte scorsa è anche stata la prima volta in cui ho dormito bene dopo settimane. Come se aver rilasciato un po’ di vapore dalla pentola a pressione mi avesse placato l’anima.

Non mi sento in colpa per essere stata tanto cattiva… di norma, ci starei male. Ma Jameson Miles, in sé e per sé, è un enigma… uno per cui non provo più compassione.

“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi l’ultima persona sul pianeta Terra”, gli ho detto… anzi, glielo ho urlato. È stata una cosa dura da dire, la peggiore, ma lui ha avuto quello che si meritava.

Le porte dell’ascensore del mio palazzo si aprono, così esco e raggiungo la strada.

«Che diavolo è successo qui?» sento borbottare sottovoce la donna davanti a me, che si è fermata per guardare il massacro.

Ci sono petali di rose gialle sparsi ovunque, boccioli ammaccati e rovinati gettati sull’asfalto. In strada giace la carcassa del bouquet schiacciato con il suo grande fiocco di seta color crema.

Gesù…

Abbasso la testa e supero quella carneficina. Lancio un’occhiata verso il tetto, per controllare le telecamere. Mi chiedo se qualcuno abbia visto quello spettacolo nelle riprese di sicurezza.

Spero di no… che imbarazzo.

Salgo sull’autobus e accendo il mio Kindle. Non sto leggendo uno dei miei soliti romanzi rosa. Non riuscirei a sopportare il pensiero di tutte quelle stronzate. Ho variato un po’ e sto leggendo Pet Semetary, e forse è colpa sua. Stephen King mi sta portando verso il lato oscuro. Quello in cui non accetti cazzate e la vendetta sulle rose gialle è doverosa.

Bene… Fatevi sotto. Ho voltato pagina.

Questo è il mio momento di gloria.

Jameson

Bevo il mio caffè seduto nel bar di fronte alla Miles Media. Da un paio di giorni vengo qui prima del lavoro. Alan mi ha detto che Emily era solita trovarsi qui con i suoi amici. Spero di incontrarli.

Perché? Non lo so.

Le parole che mi ha gridato l’altra notte continuano a risuonarmi nella mente.

“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi l’ultima persona sul pianeta Terra.” Nemmeno io vorrei essere mio amico, se mi trovassi al suo posto.

Non l’ho mai vista tanto arrabbiata… e magra. Ha perso molto peso. Odio averla fatta soffrire così tanto, non lo meritava.

Sorseggio il mio caffè e sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla.

«Ehi», dice Tristan, sedendosi su uno sgabello accanto a me.

«Ciao.»

«Stai cercando Emily?» mi chiede con aria noncurante.

«No.»

«Bugiardo», replica con un sorrisetto sfacciato. «Ehi, io e i ragazzi abbiamo organizzato un viaggio a Las Vegas per questo weekend. Il jet è già pronto.» Faccio una smorfia. Non riesco a pensare a niente di peggiore. «Sarà fantastico. Beviamo, giochiamo d’azzardo. Introduciamo qualche bella donna al Miles High Club. Devi riprenderti e tornare in sella. Ho in mente una bionda o due… per un po’ lasciamo perdere le more, e, oltretutto, dobbiamo festeggiare la tua assoluzione. Elliot e Christopher arrivano questo venerdì.» Mi fa l’occhiolino, cercando di rendermi appetibile la proposta.

«Sì, mi sembra una vera merda», borbotto con tono secco.

«Non mi importa cosa ne pensi. Tu ci vieni.»

Guardo fisso davanti a me. Ultimamente ho perso la capacità di entusiasmarmi per qualsiasi cosa.

Lui si fa serio. «Sono preoccupato per te, Jay.» Alzo gli occhi al cielo. «Lo siamo tutti. Non ti stai comportando da te.»

«Sto bene», mormoro con il viso rivolto verso il mio caffè. Mi guardo intorno ancora una volta, ricordandomi perché mi trovo qui.

«Perché non vai da lei, se la vuoi vedere?» mi chiede.

«Ci ho provato, la notte scorsa.»

«Com’è andata?»

Mi concedo un lungo respiro. «È andata fuori di testa e…» Mi interrompo, cercando le parole giuste per spiegare la situazione. «Le ho portato delle rose gialle, e lei le ha fatte a pezzi come una matta.»

«Ah, davvero?» Mio fratello sogghigna, e poi il suo sorrisetto si allarga, come se fosse colpito. «Perché portarle rose gialle e non rosse?»

«Ho pensato…» Espiro profondamente. «Ho pensato che quelle gialle fossero più sicure perché sono un simbolo di amicizia. Così Emily avrebbe acconsentito a parlare con me. Volevo solo scambiare due parole.»

«Ma questo non glielo hai detto, vero?»

«Sì, invece.»

Lui scuote piano la testa, come se io fossi uno stupido. «E lei come l’ha presa?»

«È stato a quel punto che si è trasformata in Hulk.»

«A dire la verità, non la biasimo.» Gli lancio un’occhiata interrogativa. «L’hai fottuta alla grande.»

«Non l’ho fottuta», sibilo. «Sto cercando di proteggerla.»

«Ascolta, puoi mentire a te stesso quanto ti pare, ma non disturbarti a raccontare queste cazzate a me. Sei un pessimo bugiardo… il peggiore.»

«Vaffanculo, Tris, è troppo presto per queste stupidaggini.» Sospiro.

«Tristan», lo chiama la ragazza dietro il bancone.

Lui si alza, va a prendere il suo caffè. Quando torna verso di me, mi dà una pacca sulla spalla. «Rimani qui a fare il cazzone depresso?»

«Fottiti», grugnisco. Lui mi sorride e se ne va senza un’altra parola.

Faccio un lungo sospiro e abbasso lo sguardo sul mio caffè. Ripenso alla sofferenza che c’era sul viso di Emily la notte scorsa, e mi si stringe il petto. Continuo a rivederla nella mia mente, vorrei solo sapere se sta bene. Forse così riuscirei a perdonare me stesso e a smettere di pensare a lei in ogni istante della giornata. Tiro fuori il telefono. La chiamerò.

No, riattaccherebbe e basta. Meglio scriverle… ma cosa?

Io: Buongiorno. Hai assassinato qualche rosa oggi?

Premo Invio e aspetto. Bevo il mio caffè e fisso il telefono, in attesa che mi risponda… ma non lo fa.

Io: Ti prego, rispondimi.

Ordino un altro caffè mentre rimango in attesa. Sono le otto e un quarto del mattino e so che non ha ancora iniziato a lavorare. So anche che deve avere il telefono con sé e che sta ignorando di proposito i miei messaggi.

Fanculo. Compongo il suo numero. Il cellulare squilla… Aspetto con gli occhi chiusi, ma quello squilla fino a spegnersi.

Cazzo. Ha rifiutato la chiamata.

Le scrivo ancora una volta.

Io: Rispondi al telefono o vengo lì.

Il messaggio non parte… Eh? La chiamo di nuovo, ma il telefono non squilla nemmeno. Che sta succedendo? Ci provo ancora una volta… niente. Per dieci minuti, tento di connettermi. Non ci riesco. Cosa succede?

Digito su Google: “Perché non posso scrivere a qualcuno o chiamarlo?” La risposta che ricevo mi ferisce quasi a morte: “Sei stato bloccato”.

Ha bloccato il mio numero? Ma che cazzo?

La rabbia mi monta dentro, nessuno mi ha mai bloccato prima. Non nella vita professionale, né in quella privata… né tantomeno una donna. È proprio vero che non vuole essere mia amica… in nessun modo.

Mi sprofonda il cuore nel petto. Come diavolo ho fatto a sbagliare tanto?

Fisso il palazzo della Miles Media attraverso la vetrina del locale, e il pensiero di entrare lì e di fingere che vada tutto bene rischia di sopraffarmi.

Scrivo a Tristan.

Io: Mi prendo il giorno libero. Ci vediamo domani.

Rimango seduto a finire il mio caffè, e in quel momento inizia una canzone: Bad Liar, “Pessimo bugiardo”, degli Imagine Dragons.

La ascolto… Mio fratello mi ha detto che non so mentire e, ironicamente, i versi della canzone risuonano veritieri. Con un’imprecazione, mi trascino fuori dal bar per prendere un taxi.

«Dove la porto?» mi chiede il tassista.

«A Park Avenue.»

L’auto si immette nel traffico, mentre io mi infilo le cuffie, accendo Spotify e ascolto di nuovo la canzone.

Bad Liar… il mio nuovo inno.

Cerco su Google le foto di alcuni posti all’estero. Voglio andare a sciare. Penso alla Svizzera. Ho bisogno di allontanarmi. New York è troppo piccola… o soffocante… o minacciosa… o qualcosa che non riesco a comprendere del tutto. In ogni caso, devo andarmene da qui.

Mi ha bloccato.

Potrei lavorare da Londra per un po’… sì, potrei fare così. Avrebbe senso. Avrei l’occasione di passare più tempo con Elliot e Christopher. Mi si stringe il petto quando mi ricordo che anche qualcun altro vive lì. Sarei più vicino a Claudia, ma proprio qualche giorno fa ho spezzato il cuore anche a lei. Voleva tornare insieme a me, e io le ho detto che probabilmente non l’avevo mai amata per davvero… Lei si è arrabbiata, e di base è una situazione del cazzo su tutti i fronti.

No, non posso lavorare da Londra… troppo complicato. Idea cancellata.

Per quanto tempo potrei rimanere in Svizzera? Rifletto sulle date. Magari un mese? Mmh… Apro la mia agenda del lavoro e inizio a sfogliarla. Mi spettano un mucchio di ferie arretrate e tanto vale che me ne faccia un po’.

Non appena entro nel mio appartamento, l’interfono di sicurezza squilla, e io rispondo. «Pronto?»

«Buon pomeriggio, signor Miles. La signora Miles è qui all’ingresso per vederla.»

Chiudo gli occhi. Merda.

«La faccia pure salire, grazie.»

Qualche istante più tardi, le porte dell’ascensore si aprono, ed esce mia madre. Il suo volto si illumina non appena mi vede. «Ciao, caro.»

«Ciao, mamma.»

Mi prende tra le braccia e mi stringe a sé per un momento, come percependo che c’è qualcosa che non va.

«Che ci fai qui?» Le sorrido, liberandomi dal suo abbraccio.

«Dovrei farti la stessa domanda», risponde lei, seguendomi per accomodarsi sul divano.

«È solo che…» Mi interrompo, mentre cerco di delineare la bugia adatta da propinarle. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per me dopo tutto quel casino dell’appropriazione indebita.»

Mia madre incrocia il mio sguardo. «Bene, ne sono felice.»

«Posso offrirti qualcosa?» Mi alzo, sentendomi a disagio all’idea di continuare a mentirle.

«Un po’ di tè, caro, grazie.»

Vado in cucina e inizio a prepararlo. Tiro fuori la sua teiera di porcellana rosa e oro e una tazza, quella da cui beve sempre quando è qui. Lei mi segue e si siede al bancone in mezzo alla cucina.

«Ti ha mandato Tristan?» le chiedo, dandole la schiena.

«È preoccupato per te.»

«Sto bene, mamma.»

«Questo lo giudicherò io. Che cosa sta succedendo con Emily?»

«Niente.»

«Perché?»

«Non stiamo più insieme.»

«Per quale motivo?» Continuo a preparare il tè. «Guardami, Jameson.» Trascino lo sguardo fino a lei. «Perché non stai più insieme a Emily?» mi chiede ancora.

«Merita di meglio.» Mia madre mi osserva. «Ferrara.» Corrugo la fronte, per cercare di trovare le parole giuste. «Non voglio questa vita per lei.»

«Cioè, non vuoi che stia con un maniaco del lavoro?»

Scrollo le spalle, porgendole la tazza.

«Quindi, l’hai lasciata… per il suo bene?» Serro le labbra, rimanendo in silenzio. «Beh, questa ne è la dimostrazione, Jameson.»

«Di cosa?»

«Del fatto che è quella giusta.» Mi acciglio. «Sai, è da quando eri un bambino che fai così.»

«Che faccio cosa?»

Di che cosa sta parlando?

«Quando eri molto piccolo, forse a tre o quattro anni, avevi questo piccolo pick-up giocattolo azzurro chiaro.» La ascolto. «Lo adoravi. Stava nel palmo della tua mano, e te lo portavi sempre in giro. Era il tuo orgoglio e la tua gioia.» Sorrido appena. «Il fatto è che anche a Tristan piaceva. Ne aveva uno tutto suo, ma il tuo era speciale. E, anche se tu adoravi quel giocattolo con tutto il tuo cuore, non appena Tristan si arrabbiava per qualche motivo… lo davi a lui. Non riuscivi a sopportare di vederlo turbato e ti sentivi responsabile per la sua felicità.» Mi acciglio. «A mano a mano che sei cresciuto, te l’ho visto fare molte volte, Jameson, e con tante cose diverse. Per il mondo esterno tu sei sempre stato un uomo freddo e distante, ma per i tuoi cari faresti qualsiasi cosa pur di renderli felici. Hai più cuore che buon senso.» Sostengo il suo sguardo. «Perché credi che Emily non sarebbe felice con te?»

La fisso per un momento, attraversato da una miriade di emozioni confuse. «Perché prima o poi la deluderei», sussurro.

La sua espressione si addolcisce. «Jameson, caro, come? Lavorando troppo? Comportandoti con troppo onore nei confronti della compagnia della famiglia?» Chiudo gli occhi. «Io sono innamorata di un uomo che è fatto proprio come te. Tu lo conosci bene, visto che si tratta di tuo padre. Come te, anche lui è uno stacanovista.»

«Come…» Aggrotto la fronte. «Non so come tu riesca a farcela, mamma.»

«Cerca di capirlo.» La fisso. «Emily ama te, Jameson, non i tuoi soldi… o la tua società. Ama te… per quello che sei.» Abbasso la testa. «Smettila di essere così maledettamente altruista e fai quello che vuoi.»

«Non so più che cosa voglio», bisbiglio.

«Oh, sciocchezze», sbotta lei. «Dimmi una cosa. Se fossi su un’isola deserta, chi vorresti al tuo fianco?»

«Emily», mormoro senza alcuna esitazione.

«Essere innamorati è come trovarsi su un’isola deserta, Jameson. Puoi concentrarti solo e unicamente sull’altra persona, e devi fare in modo che tutto il resto le si adegui.» Inspiro profondamente. «Se non vuoi affrontare il tuo futuro con lei, allora non farlo. Ma non osare allontanarti dalla felicità per proteggerla.» La ascolto, serrando i denti. «Non capirò mai come fa un uomo a essere tanto spietato negli affari e così generoso con chi ama… ma il fatto è che tuo padre è come te, e io so che è fattibile.» Mi prende il viso tra le mani. «L’uomo che io amo e quello che il mondo conosce sono due persone molto diverse… ed è così che mi piace. Mi piace essere l’unica a vedere la sua parte più tenera.» Le rivolgo un sorriso dolce. «Per tuo padre io sono tutto il suo mondo, ha fatto funzionare la nostra relazione nonostante la compagnia. Non mi sono mai sentita ignorata o trascurata. Per lui sono sempre stata una priorità.» La guardo mentre quelle parole aleggiano nella mia mente. «L’uomo che Emily ama e quello che tu credi di essere sono due individui molto diversi. Devi permetterti di essere la persona che sei davvero con Emily e anche il Jameson Miles che il mondo conosce. Non devi scegliere tra l’uno e l’altro come pensi. Il fatto che tu abbia messo la felicità di Emily davanti alla tua è la prova che lei è la donna giusta per te.»

«Non vuole parlarmi», sussurro.

Si alza. «Allora convincila a starti a sentire.» Mi stringe tra le braccia. «Vai a riprenderti la tua innamorata, afferrala con entrambe le mani… e non lasciarla mai più andare.» Mi dà un bacio sulla guancia e, senza dire altro, esce dal mio appartamento.

Le parole di mia madre mi risuonano dentro, forti e chiare.

“Devi permetterti di essere la persona che sei davvero con Emily e anche il Jameson Miles che il mondo conosce. Non devi scegliere tra l’uno e l’altro come pensi.”

* * *

Sono le cinque del mattino e sono steso sul divano a fissare il soffitto del mio salotto. Ho ancora indosso i vestiti che portavo ieri. Non ho dormito per tutta la notte. Continuo a ripetermi nella testa le parole di mia madre. È convinta che io possa diventare l’uomo che Emily desidera e allo stesso tempo quello che devo essere.

Per come la vedo io, ho tre possibilità: la prima è lasciare la Miles Media per diventare un uomo con cui valga la pena di stare; la seconda è lasciare che Emily esca per sempre dalla mia vita, ma mi si stringe lo stomaco al solo pensiero di trascorrere la mia esistenza senza di lei; la terza è provare a essere entrambi… ma è davvero possibile vivere come due persone diverse?

Mi alzo e, per la prima volta da molto tempo, mi ritrovo a essere completamente lucido.

Vaffanculo.

Ci proverò e, se non riuscirò a farlo funzionare, lascerò la Miles Media.

Mi riprenderò la mia ragazza.

È lei la mia priorità.