Capitolo 25

Emily

Spengo il computer, riordino la scrivania e mi dirigo verso l’ascensore. Sono una degli ultimi a lasciare l’ufficio. È stata una lunga giornata, ma ho raggiunto dei grandi risultati. È stranissimo, ma bloccare Jameson ieri è stata la cosa più soddisfacente che io abbia fatto da quando ho assassinato quelle rose.

In qualche modo perverso, essere cattiva con lui mi permette di sfogare una parte della rabbia. Ferirlo è la migliore terapia. Devo essere davvero messa male, oppure la vendetta è semplicemente molto appagante. Ieri sera ho guardato il film John Wick e ho sorriso per tutto il tempo… questa cosa dice molto sul mio attuale stato mentale.

Prendo l’ascensore ed esco in strada. È freddo e buio, e io alzo il colletto del pesante cappotto per stare più calda e riparata.

«Emily.»

Sento una voce dietro di me. Mi blocco sui miei passi… merda. Jameson… che ci fa qui? Abbasso la testa e continuo a camminare.

«Emily», ripete lui.

Mi volto di scatto. «Che c’è, Jameson?» esplodo.

«Posso parlare con te?»

«No. Vattene.» Mi giro e inizio a dirigermi a grandi passi verso la fermata dell’autobus.

Mentre cammino, Jameson mi segue. «Voglio solo cinque minuti del tuo tempo.»

Rimango in silenzio.

Corre per raggiungermi. «Lo so che ho fatto un casino… un grandissimo casino.»

Lo guardo di traverso, immaginando di prendere a pugni la sua stupida e bellissima faccia. Riesco a visualizzare la sua testa che scatta all’indietro quando lo colpisco.

«Ti prego», balbetta, continuando a seguirmi. «Devo spiegarti il perché.»

«Non sono interessata.» Procedo a passo di marcia.

Mi corre dietro ancora per un po’, come se non sapesse cosa dirmi. «Continuerò a venire con te fino a quando non mi parlerai. Possiamo bere qualcosa insieme?»

«No.»

«Una cena?»

«Va’. Via. Jameson.»

«Non ti lascerò», farfuglia, affrettando il passo per starmi dietro.

«Lo hai già fatto. Levati di torno.»

Mi si para davanti e si gira verso di me, cominciando a camminare all’indietro. «Intendo dire che non ti lascerò più… mai più.»

«Allora sarà una relazione a senso unico, perché non voglio avere più niente a che fare con te. Mai più.»

La sua espressione si intristisce. «Non dire così.»

Un uomo va a sbattere contro di lui, mentre Jameson continua a muoversi all’indietro. «Stai attento», sbotta il tizio, sorpassandolo.

«Voglio solo dieci minuti del tuo tempo», insiste ancora lui.

«No.» Arriviamo alla fermata, e io mi metto in fila. Jameson si ferma accanto a me.

«Alan può venire a prenderci, sai?» Guarda la lunga fila di persone. «Non dobbiamo per forza prendere l’autobus.»

Gli lancio un’occhiataccia, poco colpita.

Moccioso viziato.

Mi sorride. «Sei sempre bellissima quando sei arrabbiata… lo sai questo?» commenta ad alta voce, e il resto della fila inizia a voltarsi verso di noi.

Mi esce il fumo dalle orecchie di fronte a questo suo spettacolo. «Jameson, vattene a casa, cazzo», bisbiglio furiosa.

«No.» Incrocia le braccia al petto come un adolescente petulante. «Non me ne vado senza di te.»

La gente attorno a noi ci guarda. Tiro fuori il mio Kindle e lo accendo… qualsiasi cosa pur di ignorarlo.

«Che cosa stai leggendo?»

Rimango in silenzio, fingendomi concentrata sulle parole.

Maledetto… crede di poter venire qui e pretendere di vedermi… può baciarmi le chiappe.

«Io sto leggendo un bel libro, al momento», ricomincia a parlare, mentre io continuo a leggere. «Si intitola…» Si interrompe, riflettendoci un momento. «Si intitola Come riprendersi la propria ragazza dopo una crisi di mezza età

Le ragazze dietro di me fanno un risolino.

Faccio una smorfia per cercare di nascondere un sorrisetto.

Ora non fare il carino, stronzo.

«Il primo capitolo si chiama Missione autobus», continua. Mi mordo l’interno della guancia. «Sì, dice di seguirla fino alla fermata del bus e di continuare a parlare a vanvera fino a quando non si stanca del suono della tua voce e deve per forza risponderti… anche se le prime parole sono Stai zitto… è sempre qualcosa, giusto?»

Giro le pagine sul mio Kindle per impedirmi di cascare nella sua trappola e intimargli di stare zitto. Le donne dietro di me ridacchiano di nuovo. Guardo in cagnesco il dispositivo che ho tra le mani. Non rimarrei sorpresa se lo schermo si frantumasse sotto quella pressione.

«Cosa dice il secondo capitolo?» gli chiede una delle donne alle mie spalle, mentre l’autobus arriva e si ferma. Salto a bordo.

«Di salire sull’autobus», lo sento dire dietro di me.

Continuo a camminare per fermarmi a un sedile in fondo accanto al finestrino, e lui si siede accanto a me. Mi prende in giro?

«È un ottimo posto», bisbiglia. «Mi piace.»

«Smettila di parlarmi», ringhio.

«Non posso. Vedi, finalmente l’ho capito. E ho bisogno che tu mi ascolti, così possiamo risolvere questo pasticcio.»

Fisso lo sguardo fuori dal finestrino.

«Voglio dire, come possiamo aggiustare le cose se tu non mi rivolgi la parola?»

«Non lo faremo. È questo il punto», borbotto con tono secco.

«Non dire così, FB.»

Lo guardo storto mentre un chiarore rossastro invade il cielo.

Non abboccare, non dargli questa soddisfazione.

Mi sorride con dolcezza, totalmente ignaro della mia ira. «È così bello rivederti…»

Roteo gli occhi e sposto di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino.

Non parlargli… nemmeno una parola… non cedere.

«Dio… quanto mi sei mancata, Em», mormora.

Qualcosa dentro di me si spezza.

«Non hai il diritto di dirlo», sbotto.

«Ma è vero.»

«Stai zitto, Jameson. Il tempo di parlare è finito.» Il veicolo raggiunge la mia fermata, e io mi alzo e lo supero. Lui mi corre dietro mentre avanzo a grandi passi sul marciapiede.

«Non me ne vado fino a quando non avrai parlato con me.»

Continuo a camminare.

«Aspetterò qui fuori tutta la notte.»

Continuo a camminare.

«Em, andiamo», sospira.

Continuo a camminare.

«Come puoi essere tanto fredda?» mi domanda.

Mi volto, come indemoniata. «Non osare definirmi fredda, ipocrita che non sei altro. Sei tu quello freddo, cazzo.»

«Ed eccola qui.» Mi sorride come se fosse orgoglioso di sé per avermi costretta a rispondergli.

Rimango sgomenta di fronte alla mia stessa debolezza. «Jameson», bisbiglio.

«Piccola.» Mi prende le mani nelle sue. «Ti prego, parla con me. Mi manchi e so che anche io ti manco. Devo risolvere questa situazione tra di noi, possiamo superarla.»

Al suo tocco le lacrime mi riempiono gli occhi, e sono furiosa con me stessa per avergli permesso di avvicinarsi tanto a me. «Non posso.» Lo sorpasso.

«Ti prego, Em», mi chiama, dietro di me. «Sono pronto a supplicarti.»

Continuo a camminare.

«Vuoi che mi metta in ginocchio proprio qui? Perché lo farò.»

Non mi fermo, e lui mi corre dietro. «Dimmi come aggiustare le cose. Dimmi cosa fare, e io ti obbedirò.»

Mi giro verso di lui. «Volta pagina… io l’ho fatto.»

Rimane senza parole. «Okay… me lo sono meritato.»

«Io no», dico tra le lacrime, oltrepassandolo e riprendendo a camminare.

«Lo so, Em», grida. «Mi dispiace davvero tanto. Quell’uomo… quell’uomo è stato un pazzo a lasciarti andare in quel modo. Ero completamente fuori di testa, cazzo.»

Raggiungo la mia palazzina, e lui mi arriva alle spalle proprio mentre inserisco la chiave nella serratura. Mi passa un braccio attorno alla vita e mi attira a sé. «Ti prego», mormora tra i miei capelli. «Io ti amo.»

Chiudo gli occhi per il dolore che il suo tocco scatena dentro di me… Mi manca.

Poi mi divincolo dalla sua presa. «Non toccarmi», sputo. «Che cosa ti fa pensare di poter tornare qui e dirmi una cosa del genere?»

Mi scruta dritto negli occhi. «Perché tu mi ami… e due torti non fanno una ragione. Se non mi permetterai di aggiustare questa situazione per pura testardaggine, cosa che è estremamente possibile…» si interrompe, cercando di trovare le parole giuste, «entrambi ce ne pentiremo per sempre. Sai che sarà così.»

Lo fisso per un momento, mentre quella dichiarazione aleggia nella mia mente. Mi volto, entro nel palazzo e chiudo la porta dietro di me. Lui mi guarda attraverso il vetro.

Premo il pulsante dell’ascensore, che si apre immediatamente. Mi affretto a entrare e premo i tasti per richiudere le porte, con gli occhi pieni di lacrime.

Bastardo.

* * *

Esco dal mio palazzo alle otto precise del mattino. Non ho dormito molto e continuo a vedere l’espressione triste che Jameson aveva ieri notte quando l’ho lasciato. Detesto essere preoccupata per lui. Le sue parole hanno continuato a risuonarmi in testa, ancora e ancora. Detesto che le abbia pronunciate. Detesto che abbiano senso.

“Perché tu mi ami… e due torti non fanno una ragione. Se non mi permetterai di aggiustare questa situazione per pura testardaggine, cosa che è estremamente possibile… entrambi ce ne pentiremo per sempre. Sai che sarà così.”

Dio, che disastro.

«Buongiorno.»

Sento una voce allegra dietro di me. Jameson è in piedi accanto alla porta, avvolto nel suo completo blu, tutto agghindato e niente affatto scoraggiato come invece dovrebbe essere.

«Che ci fai qui?»

«Ti stavo aspettando.» Mi sorride, afferrando la mia borsa della palestra per caricarsela su una spalla. «Prendiamo l’autobus oggi?»

Lo fisso, impassibile. «Io prendo l’autobus. Quello che fai tu… non posso proprio saperlo.»

«Ti seguirò fino a quando non accetterai di uscire a cena con me.»

«Non succederà, Jameson.»

«Okay», risponde lui, iniziando a incamminarsi verso la fermata. «Allora ti seguirò per sempre.» Lo fisso, e lui mi rivolge un sorrisetto sexy. «Sei bellissima oggi.»

«Smettila.»

«No.»

Mi dirigo verso la fermata, accompagnata da Jameson. Resto in silenzio, mentre lui continua a blaterare.

«Sei andata a correre questa mattina?» mi chiede. «Io l’ho fatto.» Lo guardo. «Sono piuttosto in forma, in questo momento. Tutta questa sofferenza mi spinge a correre a velocità record», continua.

Siamo in due… ma io tengo la bocca chiusa. Non voglio fargli sapere che anche io sto correndo perché spronata dalla rabbia nei suoi confronti.

Prendiamo l’autobus. Continuo a non dire niente, mentre lui chiacchiera come se fossimo due migliori amici che si sono ritrovati dopo molto tempo.

«Vuoi andare in campeggio questo weekend?» chiede, aprendo il giornale.

«No. Andrò dai miei genitori», rispondo impassibile.

«Oh.» La sua espressione perde tutto l’entusiasmo. «Beh, sarà imbarazzante.»

«Cosa?»

«Quando ti seguirò dai tuoi genitori.»

«Non verrai dai miei», sbuffo.

«Scommettiamo?» Gli brillano gli occhi di malizia. «Se non parli con me, continuerò a seguirti fino a quando non cambierai idea.»

«Non voglio che tu mi segua. In effetti, non voglio avere niente a che fare con te.»

«Non c’è bisogno di fare la bisbetica», dice lui, girando la pagina del giornale. «È sconveniente.»

Gli lancio un’occhiataccia. «Lo sai che cosa è sconveniente?» bisbiglio furiosa. «Gli stronzi che spezzano il cuore alle ragazze e credono di poterle riavere indietro in un batter d’occhio, solo schioccando le dita.»

Jameson mi fa un sorrisetto. «Sì, devo concordare. Ma se i due sono destinati a stare insieme, e lui era convinto di fare la cosa giusta…»

«Oh, ti prego», dico, irritata. «Ma ti senti?»

«Vieni a cena con me stasera?»

«No.»

L’autobus raggiunge la mia fermata, e lui si alza per prendere la mia borsa da palestra e mettersela in spalla. Lo guardo attraversare il veicolo per scendere, e sorrido tra me e me. Ha mai preso un autobus prima d’ora?

Idiota.

Ci incamminiamo in silenzio lungo la strada, e, quando mi volto, noto subito la limousine parcheggiata di fronte a noi. Alan è appoggiato al veicolo e mi sorride, facendomi un cenno.

«Alan sa che sei qui?» sussurro mortificata.

«Lo sanno tutti», dice lui con noncuranza, restituendomi la borsa. «Non è un segreto che ti rivoglio con me. Ho dichiarato le mie intenzioni.» Lo fisso. «Ci vediamo questo pomeriggio.»

«Jameson», sospiro.

«Non ho intenzione di rinunciare a noi, Em… mai.» Mi sorride con dolcezza. «Noi siamo fatti l’uno per l’altra.» Mi gratto la testa per la frustrazione. «Passa una bella giornata.» Mi guarda con le mani nelle tasche, a distanza di sicurezza.

«Ciao.» Mi volto ed entro nell’edificio. Subito dopo, il mio telefono notifica l’arrivo di un messaggio. Arriva da un numero sconosciuto.

Passa una bella giornata. Questo è il mio telefono usa e getta in caso di emergenza.

Jameson. Si è procurato un altro cellulare, uno che non ho bloccato. Salgo in ascensore e mi ritrovo a fare un sorrisetto verso terra.

Smettila… è uno stronzo… non dimenticarlo mai.

* * *

Sono le tre del pomeriggio e io sto finendo un’inchiesta che verrà pubblicata in settimana. Adoro questo lavoro. Voglio dire, non quanto amavo la Miles Media, ma quella nave ormai è salpata. Tanto vale approfittarne. Tutti i colleghi sono molto amichevoli e gentili, e mi hanno accolta a braccia aperte.

«Consegna per Emily Foster», sento dire a qualcuno.

Alzo lo sguardo e vedo un uomo attraversare il piano con una scatola bianca tra le mani. Ma che cavolo?

«Oh, è in quell’ufficio laggiù», lo informa uno dei miei colleghi.

Lui bussa alla mia porta. «È lei Emily Foster?»

«Sì.»

«Ho una consegna per lei.» Mi porge la scatola bianca.

La accetto. «Grazie.»

«Ehm.» L’uomo fa un sorrisetto, spostando il peso da un piede all’altro con fare imbarazzato. «È da parte di Kung Fu Panda.»

«Cosa?»

«Mi è stato detto di dirle che la manda Kung Fu Panda.»

Cerco di nascondere un sorriso, ma fallisco miseramente. «Grazie.»

Se ne va, così io ne approfitto per aprire la scatola: all’interno trovo un’enorme cheesecake al caramello con un bigliettino bianco lì accanto.

Una cheesecake per la mia cheesecake.

xoxoxo

La richiudo e sogghigno. È un idiota, e io non sono una cheesecake. Se crede di poter tornare nelle mie grazie facendo il carino, ha capito male. Kung Fu Panda… da dove gli escono queste cazzate?

Una ragazza dell’ufficio accanto fa capolino sulla soglia. «Cos’è quella?»

«Una cheesecake, ne vuoi una fetta?»

«Certo che sì, prendo i piatti.» Sparisce in cucina.

Fisso il telefono per un momento. Dovrei scrivergli per ringraziarlo? No, è per questo che lo ha fatto, per ottenere una reazione. Sa che sono una persona educata e che non accetterei mai un regalo senza ringraziare il mittente. Starà aspettando la mia chiamata. Beh, peccato per quello stupido Kung Fu Panda. Peggio per lui. Ha creato questa bestia e può vivere con la mia scortesia. Mi ha fatta incazzare.

* * *

Alle sei di sera mi dirigo verso il piano terra. È possibile che mi sia sistemata i capelli e mi sia data il rossetto… non che lo ammetterei mai, certo.

Lascio l’edificio per uscire in strada, e vedo Jameson appoggiato al muro. Indossa il suo completo grigio, quello che mi piace tanto. I capelli scuri gli ricadono sulla fronte, e rivedere la sua mascella scolpita risveglia delle sensazioni nascoste dentro di me. Mi fa un ampio sorriso e si stacca dalla parete con una spinta non appena nota che sto arrivando. Da quanto tempo è lì?

«Buon pomeriggio, signorina Foster.»

«Non sapevo che conoscessi il kung fu», dico, superandolo.

«Oh, sì», risponde, seguendomi a ruota. «Ci sono molte cose su di me che non sai. Ti ho detto che sto diventando un grande appassionato di sport estremi?»

Rimango in silenzio mentre camminiamo. È difficile mantenere un’espressione seria quando lui è di questo umore.

«Sì, ho pensato che potrei iniziare a scalare montagne e ad andare in campeggio. Potrei accendere un fuoco a mani nude e fare altre cose così.»

Sogghigno, non riuscendo a trattenermi, e continuo a camminare di fianco a lui. «Davvero?»

«Già. Vedi? Sto diventando un tutt’uno con la natura.»

«Tu. Un tutt’uno con la natura. Mi piacerebbe vederlo», borbotto con tono secco.

«Okay, possiamo fare un’escursione in montagna questo weekend, allora. Che ne dici del monte Kosciuszko?»

«Sono impegnata», replico, continuando a procedere.

«Giusto, hai ragione, questo weekend andiamo dai tuoi genitori.»

«Tu non verrai con me, Jameson.»

«Quando ho chiamato tua madre, mi ha detto che posso, invece.»

Mi volto verso di lui, incredula. «Hai chiamato mia madre?»

«No, ma lo farò se non vieni a cena con me.» Mi sorride con fare speranzoso.

Lo fisso. «Jameson, se secondo te basta che Kung Fu Panda mi mandi una torta e mi chiami cheesecake per riparare i danni che hai causato, allora sei proprio un illuso.»

Mi prende le mani tra le sue. «Non è così, Em, ma, ti prego… permettimi solo di dirti quello che devo.» Lo guardo. «E poi, se non vorrai vedermi mai più, smetterò di seguirti.» Sostiene il mio sguardo. «Dobbiamo parlarne, sai che è così.» Roteo gli occhi. «Ti prego.» Sbatte le ciglia per cercare di fare il carino, ed è piuttosto irritante che riesca nel suo intento.

«Va bene, hai dieci minuti», sospiro.

«Dove vuoi andare?» Mi sorride.

«Va bene qualsiasi posto, basta che sia vicino.»

«Okay.» Si guarda intorno. «Che ne dici di quel ristorante italiano dall’altra parte della strada.»

«Va bene.» Cerca di prendermi per mano, e io lo allontano di colpo. «Vorrai scherzare», sbotto.

«Gesù, calmati», borbotta lui.

Lo seguo attraverso la strada e all’interno del ristorante, e ci accomodiamo in fondo al locale. È piccolo e buio, e ci sono delle candele sopra ai tavoli coperti da tovaglie rosse. È tutta un’altra cosa rispetto agli esclusivi ristoranti italiani in cui andavamo di solito, ma andrà bene.

«Posso portarvi da bere?» chiede il cameriere.

Jameson fa un sorrisetto e mi indica. «Prendo quello che prende lei.»

Lo fisso per un momento e apro il menù. «Va bene, vorremmo una bottiglia dell’Henscheke Hill of Grace, per favore.»

«Sì, signora.» Il cameriere sparisce in fondo al bar.

Jameson sposta lo sguardo su di me e, con un sorrisetto, mi prende le mani sopra il tavolo.

«Lo sai quanto mi sei mancata?» sussurra. Lo guardo con uno strano senso di distacco. «Io ti sono mancato?»

All’improvviso, sono travolta dai sentimenti che provo. Rimango in silenzio, lottando contro il groppo che ho in gola. Detesto quanto debole e vulnerabile lui mi faccia sentire. Tiro via le mani dalla sua presa. Ho bisogno di creare un po’ di distanza tra di noi.

«Em.» Aggrotta le sopracciglia. «Io…» È chiaro che non abbia la minima idea di cosa voglia dire. «Quando ho visto la tua foto mentre baciavi Jake…»

«Jameson…» balbetto io.

Alza una mano per chiedermi di fare silenzio, e io chiudo la bocca. «Qualcosa si è spezzato dentro di me. Ero così sconcertato da quanto profondamente fossi sconvolto che io…» Si acciglia, ripensandoci. «Ero furioso… innanzitutto con te, ma poi con me stesso.» Ci fissiamo negli occhi. «Stavo avendo così tanti problemi sul lavoro, e l’ultima persona sulla Terra che credevo mi avrebbe mentito… eri tu.» Chino la testa per la vergogna. «Ma poi, quando qualche giorno più tardi, mi sono calmato, mi sono reso conto che ti avevano teso una trappola e ho capito che il futuro era già segnato.» Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Ci sarà sempre qualcuno come Ferrara, pronto ad attaccarti per ferire me.» Mi sprofonda il cuore nel petto. «E non è ciò che voglio per te.»

«Jay», bisbiglio con tono triste.

«Non voglio che tu sia sposata con un maniaco del lavoro costantemente in viaggio e fuori di sé per lo stress, che tu debba ricordare a tuo marito di non bere troppo o di non essere scortese con gli altri solo perché è troppo impegnato per pensarci, né che tu debba fargli presente che ti sta trascurando.»

«La vostra bottiglia.» Il cameriere appare dal nulla. La apre e versa il vino a entrambi.

«Grazie», rispondo, poi riporto lo sguardo su Jameson.

Il cameriere ci lascia soli.

«Non voglio che tu sia meno importante della Miles Media, né di qualsiasi altra cosa.»

«Ma…»

«Lasciami finire, per favore», mi chiede.

Mi appoggio allo schienale, irritata dal fatto che voglia parlare per primo.

«Il punto è che, se starai con me, se diventerai mia moglie, è così che andrà la tua vita.» Il groppo che ho in gola si fa più pesante. «Ti amo troppo per farti vivere così, Em.»

Mi sta lasciando di nuovo. Mi si riempiono gli occhi di lacrime.

Mi prende una mano da sopra il tavolo e se la porta alle labbra per baciarla. «Non piangere. Detesto il pensiero che tu abbia pianto per colpa mia.» Sbatto le palpebre per cercare di scacciare quelle stupide lacrime. «Ho preso la decisione di proteggerti da quella vita. Di allontanarti. Perché sapevo che, un giorno, avresti finito per essere infelice… e non posso sopportarlo.»

«Non stava a te prendere quella decisione», bisbiglio con tono rabbioso.

Lui aggrotta la fronte. «Il mio compito è prendermi cura di te e compiere le scelte difficili che non riesci a prendere tu stessa.»

«Jameson.» Lo guardo tra le lacrime.

«Ma è successo qualcosa mentre ero lontano da te.» Si china in avanti e mi appoggia una mano sul viso. «Mi sono reso conto che neanche io volevo vivere in quel modo.» Lo scruto dritto negli occhi. «Non posso vivere senza di te, Em. Sono stato tanto miserabile da non riuscire a sopportarlo.» Si china su di me e mi bacia con delicatezza, poi mi fissa, sfiorandomi il labbro inferiore con il pollice. «Se non mi vuoi come sono adesso, mi licenzierò subito dalla Miles Media e poi potremo trasferirci in mezzo al nulla e, non lo so, vivere in una cazzo di tenda chissà dove.»

Faccio un sorrisetto. «Che idiota», mormoro.

Mi sorride, continuando a tenere il mio viso tra le mani.

«Ti amo così come sei. Non voglio che cambi niente.»

«Davvero?»

«Ma non…» Mi interrompo, cercando di esprimere quello che provo. «Come posso dimenticare il modo in cui mi hai trattata?»

«Non lo so.»

«Non posso fingere che non sia mai successo, Jameson. Mi hai ferita troppo in profondità.»

«Lo so, e non voglio che tu lo faccia», balbetta. «Ma non possiamo solo…» scrolla le spalle, «iniziare a frequentarci da capo? Prenderla con calma?» Lo fisso con aria confusa. «Lo so che ci vorrà del tempo per tornare come prima, ma abbiamo il resto delle nostre vite. Questa volta potremmo uscire insieme e imparare a conoscerci davvero.»

Mi appoggio all’indietro contro lo schienale, riflettendo sulla sua proposta e bevendo un sorso del mio vino. «Lo sai, ho sempre sognato di incontrare l’uomo dei miei sogni, di innamorarmi e di vivere un finale smielato.»

Lui arriccia il naso. «Un finale smielato? Sembra noioso.»

Ridacchio, immaginando a cosa stia pensando. «No, intendo una proposta.»

«Vuoi una proposta sdolcinata?» Si acciglia. «Non ne preferiresti una semplicemente romantica?»

«In realtà no. Ma quello che voglio dire è che non mi aspettavo che le cose andassero così.»

«Neanche io.» Prende una delle mie mani tra le sue. «Anzi, pensavo proprio il contrario. Sono ufficialmente un idiota. Concedimi un’altra occasione, Em. Non farò un casino, te lo prometto.» Lo fisso. «Io ti amo e tu ami me.» Scrolla le spalle. «Possiamo superare questa situazione, e forse, con il tempo, riuscirai a dimenticarti che sia mai avvenuta, per vivere per sempre felice e contenta con un Kung Fu Panda amante degli spazi aperti e della natura.» Mi sorride fiducioso.

«Sei un idiota, signor Miles.»

«Un idiota che è perdutamente innamorato di te.» Si sporge verso di me per baciarmi ancora una volta con dolcezza, e io sento svanire le mie resistenze. «Ti amo, cheesecake», mi sussurra.

«Non osare chiamarmi così.»

Ridacchia contro le mie labbra. «Esagerato?»

«Decisamente.»