Capitolo 26

Emily

Ci incamminiamo verso il mio appartamento, mano nella mano. Jameson sembra su di giri e parla di continuo, mentre io rimango in silenzio. Mi irrita che sia bastato un incontro a cena per ritrovarmi qui con lui.

Sono ufficialmente una pappamolla.

Debole come un fuscello.

Il suo cellulare squilla per l’arrivo di un messaggio. Lui fruga in tasca per recuperarlo e sorride. «Tristan.» Legge il testo ad alta voce. «Com’è andata?»

Io roteo gli occhi. «Scrivigli: Non sono ancora fuori dai guai. C’è sempre il rischio che domani mi trovi morto in un fosso

Jameson sogghigna. «No, meglio di no. Non vorrei che finissi in prigione se succedesse per davvero.» Si volta verso di me e mi passa una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Non mi uccideresti mai.» Si china e mi bacia con dolcezza.

Sostengo il suo sguardo. «Dici di no?»

Mi sorride e, continuando a tenermi per mano, mi accompagna fino alla porta.

«Buonanotte», annuncio.

«Cosa?»

«Non puoi entrare.»

«Perché no?»

«Jameson, all’ottanta percento sono ancora arrabbiata con te.»

«Sì, lo so. Lasciami rimediare.» Mi rivolge un sorriso, lo sguardo annebbiato dal desiderio.

Mi libero dalla sua stretta e indietreggio. «Non mi puoi scopare per farmi dimenticare come mi hai trattata.» La sua espressione si rabbuia. «Quando ho accettato di riprovarci, è stato solo questo… un nuovo tentativo. Non ti prometto nulla e non so come andrà a finire. Sinceramente non sono sicura che riusciremo a tornare come prima. Quella mattina in cui mi hai lasciata, dopo il secondo scalo, hai distrutto qualcosa che c’era tra di noi. Non mi sono mai sentita tanto devastata in tutta la mia vita. È stato terribile. Venire a letto con te ora è l’ultima cosa che voglio fare.»

«Em», dice a bassa voce. «Non potevo parlartene perché essere costretto ad allontanarti mi uccideva. Ero in lotta con me stesso.»

«Buonanotte, Jameson.»

Lui si guarda attorno, in preda all’agitazione. «Beh, quando ti vedrò di nuovo?»

Scrollo le spalle. «È giovedì e questo weekend sono via, quindi direi la settimana prossima.»

«La settimana prossima?» sbuffa lui. «È tra quattro giorni.»

«Davvero?» rispondo impassibile, iniziando a cercare le chiavi nella borsa. Devo mettere più in ordine questa maledetta borsetta. È una specie di Triangolo delle Bermuda.

«Beh, è troppo tempo», farfuglia. «Non ti vedo da un mese. Ho bisogno di stare di più con te.»

«Prendere o lasciare», rispondo.

«Em?»

Mi volto e lo bacio sulle labbra, e lui mi stringe subito in un abbraccio passionale. Per qualche minuto, rimaniamo immobili l’una tra le braccia dell’altro, tenendoci forte, sentendo il bisogno della nostra reciproca vicinanza. Mi è mancato disperatamente e adesso sarebbe così semplice portarlo su da me…

No… Ho dei seri problemi di fiducia da risolvere. E anche lui.

«Dormirò sul divano», mormora. «Non posso stare lontano da te per un’altra notte. Non chiedermelo.»

Mi allontano, sapendo come andrebbe a finire se rimanessi tra le sue braccia. «Buonanotte, Jameson.»

Mi fissa negli occhi, supplicandomi silenziosamente di farlo salire con me.

Mi costringo a sorridere e apro la porta, mentre lui rimane sul marciapiede. Gli faccio un cenno di saluto e, ancora seguita dal suo sguardo, sparisco all’interno dell’ascensore. Le porte della cabina si chiudono, e io emetto un sospiro di sollievo.

Brava ragazza… continua a resistere.

* * *

Mi do una passata di rossetto e sorrido al mio riflesso nello specchio.

Ieri, non appena è tornato a casa, Jameson mi ha chiamata per augurarmi la buonanotte. Mi sento stranamente bene a riaverlo nella mia vita… ma quanto durerà? Nel mio cervello c’è una vocina irritante che continua a ricordarmi cosa mi ha fatto e quanto mi ha trattata male. Sto cercando di dare retta alle sue ragioni e di fidarmi delle sue parole, ma è difficile fingere che non sia successo niente tra di noi. Non è stato niente. È stata un’Apocalisse, e mi è crollato il mondo addosso. Non mi piace il modo in cui dipendo da Jameson per essere felice.

Non succederà più. Non lo permetterò… anche se dovesse significare tenerlo a distanza per il resto della mia vita… o per il tempo che trascorreremo insieme.

Ed eccoli di nuovo.

I pensieri negativi… uffa.

Scendo al piano terra, portando con me la valigia per il weekend, esco e vedo Jameson appoggiato al muro: completo grigio, splendido viso e un sorriso da mozzare il fiato… solo per me.

«Buongiorno, bellissima.»

«Ciao.» Gli sorrido.

Si china per prendermi il viso tra le mani e baciarmi, e io sento cedere le ginocchia. «Come ha dormito la mia ragazza?» Mi prende per mano e afferra la mia valigia.

«Bene, grazie.»

«Oggi possiamo farci portare al lavoro come persone civili?» mi chiede.

Mi guardo intorno e noto Alan con la limousine parcheggiata sul bordo del marciapiede, dall’altra parte della strada. «Ehm.» Aggrotto la fronte. «Tu vai pure con Alan. Io voglio prendere l’autobus.»

Lui inarca un sopracciglio con aria poco entusiasta. «Okay, vada per l’autobus.»

«Non sei costretto ad accompagnarmi al lavoro, Jameson. Sono perfettamente in grado di andarci da sola.»

«Lo so, voglio solo passare questi venti minuti con te. Non ti vedrò per tutto il weekend, ricordi?» Mi fa un occhiolino sexy, e il mio stomaco fa una capriola. Ci avviamo verso la fermata, mano nella mano.

«Hai saputo più niente su Lara Aspin e Hayden?»

«No. Sono stati incriminati, ma ci vorrà un po’ per il processo. Non riesco a credere che tu abbia risolto il caso. Non sai quanto ti sono grato.» Sorrido, sentendomi orgogliosa di me. «Come ti trovi al tuo nuovo posto di lavoro?» mi chiede.

Scrollo le spalle. «È fantastico.»

Jameson mi guarda negli occhi. «Sarebbe a dire davvero fantastico o accettabile

«Sarebbe a dire che mi ci sto abituando.»

«Perché non torni alla Miles Media

«No. Da adesso in avanti, terrò separate le nostre vite professionali.»

«Mmh.» Si acciglia, poco convinto. «Vedremo.»

L’autobus arriva e noi saliamo. Oggi è affollato, io trovo un sedile, ma Jameson deve restare in piedi. Si ritrova strizzato tra un tizio puzzolente e una donna che sembra avere la rabbia. Dal mio posto, ammiro lui e l’orrore dipinto sul suo viso mentre la gente gli si stringe attorno. Mi devo mordere il labbro per impedirmi di scoppiare a ridere. Finalmente l’autobus raggiunge la nostra fermata, e Jameson scende in fretta.

«Basta così», sbuffa, lisciandosi il completo come lo snob che è. «Basta con questi cazzo di autobus. Ora dovremo farci disinfettare. Hai visto che gente c’era là dentro?»

Ridacchio. «È stato solo un viaggio un po’ scomodo.»

«Dico sul serio, Emily», insiste. «Basta autobus. D’ora in avanti, Alan sarà il tuo autista. Dovrai uccidermi prima di convincermi a salire di nuovo là sopra.»

«Sì, capo.» Mi illumino quando mi prende di nuovo per mano e ci incamminiamo verso il mio ufficio.

«A che ora hai l’aereo?» mi chiede.

«Alle tre.»

Si immusonisce. «Vai via così presto?»

«Sì, oggi lavoro solo mezza giornata.»

«Avevo intenzione di accompagnarti in aeroporto.» Mi guarda con la fronte aggrottata. «Ho una riunione del consiglio alle quattro e non posso liberarmi.»

«Fa lo stesso.»

«Merda… magari posso annullarla?»

«Jameson, va bene così. Non annullerai una riunione per portarmi in aeroporto. Smettila. Ci vedremo quando ci vedremo.»

Mi fissa, elaborando le mie parole. «Ti accompagnerà Alan.»

Annuisco, sapendo che, se non accetto, annullerà davvero la sua riunione. «Okay.»

Arriviamo al mio ufficio, e Jameson mi fa voltare verso di lui. «Mi chiamerai quando arrivi?»

«No.»

«Perché no?»

«Ti chiamerò prima di andare a letto.» Continua a fissarmi. «Che cosa farai questo weekend?» gli chiedo.

«Questa sera i miei fratelli andranno a Las Vegas.»

«E tu?»

«Io no.»

«Perché no?»

«Vanno a sbronzarsi e a correre dietro a donne disinibite.»

Faccio una smorfia, e Jameson mi avvolge in un abbraccio. «Io ne ho già una, non sono interessato a quello che andranno a cercare.»

Gli sorrido, sorprendentemente grata che rimanga a casa.

«Sentirai la mia mancanza?» mi domanda.

«Probabilmente no.»

«Magari potresti tentare di flirtare un po’ di più durante le nostre conversazioni, che ne dici?»

«Potrei?» Le nostre labbra si incontrano e lui mi bacia con tenerezza.

«Sei sicura che devi andare?» mormora contro la mia bocca.

«Sì, Jameson.»

«Ti amo», sussurra.

Mi sobbalza il cuore nel petto, sentendo quelle parole tanto preziose. «Passa una buona giornata.»

«Non è quello che volevo sentirmi dire.»

«Ma è tutto ciò che otterrai.» Gli poso un rapido bacio sulle labbra e mi libero dal suo abbraccio. «Ti prego, smettila di farmi pressioni. Ti chiamerò stasera.»

Jameson si infila le mani nelle tasche del completo e mi rivolge un’espressione sensuale mentre mi guarda entrare nel palazzo.

Salgo in ascensore con il cuore che mi martella nel petto e le guance arrossate. Perché è così maledettamente affascinante?

* * *

Esco dal lavoro appena dopo l’una del pomeriggio, trovando ad aspettarmi la limousine e Alan in piedi accanto all’auto. Lui mi rivolge un sorriso caloroso e apre la portiera posteriore, invitandomi a entrare. Lo ricambio mentre lo raggiungo. Non ho notizie di Jameson per tutta la giornata e non ero sicura che Alan sarebbe venuto a prendermi.

«Salve.»

Lui mi rivolge un’espressione affettuosa. «Salve, Emily. È bello rivederla.»

Salgo nel retro della limousine e vedo una singola rosa rossa ad aspettarmi sui sedili.

Oh.

Sorrido e inspiro a fondo, un dolce profumo riempie lo spazio attorno a me. L’auto si allontana dal marciapiede, e io mi rivedo mentalmente mentre distruggo le rose gialle, solo un paio di notti prima.

Che pazza.

Speravo quasi di ritrovarmi Jameson seduto nell’auto ad aspettarmi. Non sono neanche certa se adesso sia giusto che me ne vada. Non sarebbe più importante risolvere la situazione con lui?

No. Avevi fatto questo programma prima che Jameson decidesse di tornare nella tua vita… rispettalo.

Ma dovrei almeno chiamare per ringraziarlo. Compongo il suo numero.

«Pronto», mormora la sua voce sexy dall’altro capo della linea.

Quando sento quel suono, lo stomaco mi si stringe in una morsa. «Ciao», sussurro.

«Sei con Alan?»

«Sì. Grazie per la rosa.»

«Quindi è meglio rossa?»

«Sembra di sì.» Sento le mie guance avvampare per l’imbarazzo.

«Appunto mentale: non comprare mai più niente di giallo.» Io ridacchio, imbarazzata. «Passa un buon weekend», mi dice poi.

«Anche tu.»

«Non ti chiamerò in questi giorni.»

«Perché no?» gli domando.

«Le tue parole continuano a risuonarmi in testa.»

«Quali?»

«Mi hai detto di non farti pressioni.» Lo ascolto. «Quindi farò un passo indietro.»

Mi sprofonda il cuore nel petto. «Ti stai arrendendo?»

«No. Proprio il contrario: sto facendo dei piani per il nostro futuro. Ma capisco che ti serva del tempo. Non è una mossa furba spingerti a perdonarmi prima che tu sia pronta a farlo davvero.»

Sorrido dolcemente, sentendo quelle parole, e la speranza mi sboccia di nuovo dentro.

«Chiamami ogni volta che vorrai parlare con me», mi dice.

«Okay.»

«E può anche essere cinquanta volte al giorno. Aspetterò le tue telefonate come un ragazzino innamorato.»

Continuo a sorridere, rimanendo in linea… Questo weekend vorrei davvero vederlo.

No.

«Okay.»

«Ciao, Emily.»

«Ciao», sussurro.

Riattacco, poi annuso la rosa e sorrido in modo malinconico, mentre New York sfreccia fuori dal mio finestrino. Mi sento sospesa in un limbo, intrappolata tra due uomini. E di entrambi ho dei ricordi ben precisi: la freddezza con cui mi ha respinta Jameson e l’amore con cui mi ha travolta Jim. Ogni volta che mi ritrovo ad avvicinarmi a uno dei due, l’altro si mette nel mezzo. Non sono sicura di come risolvere la situazione, ma devo trovare un modo… il prima possibile.

Mezz’ora dopo, la limousine si ferma in aeroporto, e Alan apre lo sportello per farmi scendere. Stringo forte la rosa, sapendo di non poterla portare con me.

L’autista recupera la mia valigia dal bagagliaio. «Vuole che la porti per lei?» mi chiede.

«No, grazie.» Abbasso gli occhi sul fiore. Mi sento stranamente legata a esso e non riesco a sopportare il pensiero che muoia. «Riusciresti a metterla nell’acqua per me, per favore?» gli domando.

Mi fa un sorriso pieno di calore. «Ma certo.» La prende. «La metterò in un vaso nell’appartamento del signor Miles per lei.»

«Grazie.» Scrollo le spalle, sentendomi stupida all’improvviso. «Arrivederci, Alan.»

«Ci vediamo domenica, quando la verremo a prendere.»

«Okay.» Con un debole cenno di saluto, mi dirigo verso il banco del check-in, e sorprendentemente non trovo fila. «Salve. Ho una prenotazione a nome Emily Foster.» Spingo la patente sul ripiano verso l’impiegata.

«Salve.» La donna scrive il mio nome nel suo computer. «Ah, sì, signorina Foster. Vedo che si è fatta spostare in prima classe.»

Mi acciglio. «No, deve esserci un errore.»

Ricontrolla le informazioni. «Sì, i suoi due biglietti sono stati modificati ieri notte.»

«Due biglietti?»

«Sì, ne è stato prenotato un altro, ed entrambi sono stati spostati in prima classe.»

Jameson.

«Oh, capisco. Okay, grazie.» Prendo il mio biglietto e attraverso il controllo di sicurezza per recarmi al bar. Ho quasi due ore prima che il mio aereo parta.

«Cosa le servo?» mi chiede il barista mentre mi accomodo.

«Un Margarita, grazie.»

Scrivo a Jameson.

Io: Signor Miles, grazie per avermi spostata in prima classe. L’ho davvero apprezzato. Dimmi, il secondo posto è per te o è per essere sicuro che non mi sieda accanto a nessun altro?

Il cameriere mi serve il mio drink, e intanto ricevo un messaggio in risposta.

J: Mia cara signorina Foster, mi indigna pensare che tu mi creda tanto calcolatore. È ovvio: non voglio che tu ti sieda accanto a nessun altro. So quanto sei irresistibile.

xoxoxo

Sorrido, bevendo un sorso del mio Margarita, e ricevo un altro messaggio.

J: Ma, se non stessi facendo il gioco duro e non mi fossi deciso a non insistere, ti avrei portata dalla tua famiglia con il jet della compagnia e ti avrei introdotta al vero Miles High Club. Non avresti camminato per una settimana. Goditi la calma e il silenzio.

xoxoxo

Stringo le labbra per nascondere un sorrisetto e gli rispondo.

Io: Ciao, Jameson. È bello sapere che il tuo comportamento deviato è sempre presente. Mi stavo preoccupando.

xoxoxo

Ricevo subito un altro messaggio da parte sua.

J: Non ne hai idea. E niente Magic Mike. Guarda invece Vecchi Uomini Brontoloni, così io ti sembrerò più affascinante.

xoxoxo

Sorseggio il mio drink e mi ritrovo a sorridere come una sciocca guardando nel vuoto. Le cose si stanno mettendo bene… per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento più emozionata per il futuro. Vedremo cosa succederà.

* * *

Fisso il soffitto buio, stesa sul mio letto. È mezzanotte. La mia vecchia camera mi dà un conforto sorprendente, di cui non sapevo di avere bisogno. È fantastico essere qui con la mia famiglia, ma New York mi sembra così lontana…

Non ho chiamato Jameson come avevo detto che avrei fatto; in effetti, non ho parlato con lui per tutta la sera.

Stare qui, insieme a delle persone che mi vogliono bene, mi ha fatto capire quanto sono stata fragile. Ero completamente sola e affranta a New York. Voglio dire, ho Molly e Aaron, certo, ma li conosco da appena tre mesi. Non è come avere attorno la propria famiglia, disposta a starti accanto nel bene e nel male.

Non so cosa succederà con Jameson, so solo che questa sera non volevo parlare con lui. Perché?

Forse non mi libererò mai di questo dolore, magari mi ha inflitto un danno irreversibile. Forse sono troppo per lui e per le sue cazzate… e non dovrebbe esserci un forse in questa frase, perché so che è così.

Il telefono vibra sul comodino, e io mi acciglio vedendo la lettera J illuminare lo schermo.

Espiro a fondo e rispondo: «Pronto».

«Ciao.» Fa una breve pausa. «Non dovevi chiamarmi questa sera?»

«Sono stata occupata.»

Silenzio lungo la linea. Alla fine parla: «Em».

«Sì.»

«Sei andata dai tuoi per allontanarti da me?»

Alzo gli occhi al cielo per la frustrazione. «No, Jameson», bisbiglio con tono rabbioso. «Perché deve riguardare tutto quanto te? Ho organizzato questo viaggio due settimane fa.»

«Okay. Ho solo chiesto. Gesù. Perché sei così arrabbiata?»

Sento le lacrime pungermi gli occhi. «Devi davvero chiedermelo?»

«Dimmi tu il perché.»

All’improvviso, un vulcano, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza, esplode dentro di me. «Perché sono innamorata di uno stronzo egoista, non so come smetterla e sto aspettando che succeda qualcos’altro e che tu te ne vada via di nuovo», sbotto di colpo. Rimane in silenzio. «E il modo in cui sei tornato indietro e pretendi il mio perdono mi fa incazzare.» Mi sta ascoltando. «Potresti avere qualsiasi donna al mondo, sono tutte in fila per te. Quindi perché mi stai facendo passare questo inferno? Non voglio più soffrire, Jameson.»

«È questo che pensi? Che io voglia una donna qualsiasi?»

Le lacrime mi scivolano lungo il viso, e me le asciugo con rabbia. «Non ho più idea di che cosa tu voglia.»

«Basta con queste stronzate, Emily», esplode lui. «Ascoltami, e stai bene attenta. Io non voglio nessun’altra. Faccio sesso da quando ho diciotto anni. Sono andato a letto con un mucchio di donne… e intendo davvero tante. Tu sei l’unica con cui abbia mai sentito questo legame. L’unica donna che abbia mai amato così. Quindi non osare gettarmi in faccia queste idiozie sul volere qualcun altro. Ti ho mai dato ragione per dubitare di me?»

«La tua massaggiatrice», dico con tono secco.

«È stato prima che ti incontrassi, cazzo», ringhia lui. Riesco a sentire l’ira nella sua voce. «Se non mi vuoi, allora va bene, ti lascerò in pace. Ma non tenermi in sospeso a cercare disperatamente di far funzionare le cose, se sai già che non hai intenzione di tornare con me.» Contorco il viso in una smorfia mentre piango. «Solo tu puoi decidere se lo vuoi, Emily. Il perdono è una scelta.» Rimango in silenzio. «Vuoi allontanarti per sempre da me o vuoi provare a far funzionare la nostra relazione?»

Non gli rispondo.

«Beh?» insiste lui.

«Lo sai che voglio provarci», bisbiglio.

«Allora smettila di pensare alle cose negative e pensa a ciò che c’è di buono tra di noi.»

«Non posso.»

«Perché no?»

«Perché tu mi spaventi.»

Jameson ammutolisce. «Hai paura di me?»

«Sì.» Annuisco tra le lacrime.

«Piccola», mormora, la sua voce si riempie di compassione. «Non devi. Ti prego, non avere mai paura di me. Io ti amo.»

«Ci sto provando», singhiozzo. «Ma non posso farci niente.»

Rimaniamo entrambi senza parlare per un po’, persi nei nostri pensieri.

«Voglio che tu ti prenda questo weekend per pensare a noi. L’altra sera dicevo sul serio: se non vuoi vivere a New York, possiamo andarcene in qualsiasi posto desideri. Mi dimetterò immediatamente dalla mia posizione.»

«Jameson», sospiro. «Perché faresti una cosa del genere?»

«Perché voglio che tu sappia che ora sei la mia priorità. Tutte queste stronzate, i miei soldi, il mio appartamento, il mio lavoro, New York, non significano un cazzo se sono infelice, Emily. E, credimi, sono davvero infelice senza di te. Se vuoi vivere in una tenda nel bel mezzo del nulla, allora possiamo farlo.»

Vengo colpita da un’immagine di Jameson in una tenda, mangiato vivo ogni giorno dalle zanzare. «Che idiota.» Sorrido. «Non voglio vivere in una tenda. Adoro New York. Adoro che tu gestisca la Miles Media. Non cambierei niente di te. Perché pensi che lo voglia?»

«Perché so che è difficile accettarmi. Una volta mi hai detto che amare significa essere coraggiosi. E io ho bisogno che tu sia coraggiosa, Emily, e che superi tutto questo. Ti prego, pensaci. Torna a New York e a me al cento per cento, così potremo iniziare una nuova vita insieme. Tenermi a distanza non è il modo giusto per affrontare la situazione. Non riusciremo a risolverla se non siamo insieme.»

«Lo so», sussurro.

«Penserai a cosa vuoi davvero?»

Ancora una volta, non gli rispondo.

«Ti prego, Em.»

«Sì, okay. Lo farò. Te lo prometto.» Per un momento, il silenzio aleggia tra di noi, e io sento il bisogno di cambiare argomento. «Che cosa farai domani?» gli chiedo.

«Vado a fare compere.»

«Compere? Tu? Che cosa devi comprare?»

«Beh, dove si comprano le tende con dentro il bagno?»

Sorrido. «Nel bel mezzo del nulla.»

Lui ridacchia, ed è un suono bellissimo, che mi smuove qualcosa dentro. È passato molto tempo da quando l’ho sentito ridere.

«Em… non ho intenzione di chiamarti più fino a quando non ti verrò a prendere in aeroporto domenica sera. Voglio che rifletti davvero sul tuo futuro e su chi vuoi che ci sia con te. O torni da me a braccia aperte, e ci impegniamo con tutti noi stessi, o mi lasci definitivamente.» Mi sprofonda il cuore nel petto. «Deve essere così. Se non posso avere tutto di te, preferisco non averti per niente.»

Lo ascolto e la mia mente va in sovraccarico… mi sta dando un ultimatum.

Tutto o niente.

Sinceramente, non so se posso dargli il mio tutto. Non credo che il mio tutto esista più.

«Ci vediamo lì, allora?» mi chiede speranzoso.

«Okay.»

«Ti amo.» Chiude la telefonata.

Mi giro nell’oscurità e faccio un profondo sospiro. Che cosa voglio per il mio futuro? Voglio lasciare Jameson? O voglio dargli tutta me stessa? Quantomeno ciò che resta del mio cuore, che è stato ridotto in mille pezzi.

Non ne ho davvero idea.