11.
Lei l’ho trovata su WithYou, quel sito che permette di conoscere persone nuove, fare amicizia, chiacchierare. Lo slogan dice che si tratta del modo più divertente per incontrare l’anima gemella, di certo è quello più semplice per rimediare una scopata, ma questo non lo dicono, anche se lo fanno capire. Oppure potete usarlo come faccio io, per trovare clienti.
Fin da piccolo mi dicevano che ero un bel bambino e da adolescente hanno continuato a lodarmi, ma non mi interessava. Le femmine erano una roba noiosa, preferivo giocare a pallone e storpiarmi le ginocchia in bicicletta. Poi, crescendo, sono cambiato. Del pallone me n’è importato sempre meno, la bici l’ho lasciata in cortile per un più comodo scooter e le femmine hanno cominciato a piacermi. Non ho mai avuto difficoltà ad attaccare bottone e tante volte non ho dovuto fare nemmeno quello: erano le ragazze a cercarmi e io mi concedevo senza alcuna difficoltà. A partire dai sedici, diciassette anni, ho cercato di farmi quante più ragazze possibile. Aspettavo che mi cercassero e, se non succedeva, mi proponevo io. Se non ci stava la mora, puntavo la bionda, se quella alta non mi voleva, mi accontentavo della piccoletta. Mai stato schizzinoso, per fortuna.
Un giorno avevo bevuto più del solito – ero al Cadillac – e mi si avvicina una tizia parecchio in là con gli anni, o almeno così a me sembrava, tenuto conto che ne avevo solo ventitré.
“Come sei carino...”
“Se mi paghi vengo a letto con te.”
Mica ci credevo veramente, l’alcol fa dire parecchie sciocchezze. Mi era venuta così, quella risposta, ci sarei andato anche gratis con lei.
“Quanto vuoi?”
“Duecento euro e sto con te tutta la notte.”
Che ne sapevo io di prezzi, non avevo fatto mai niente di simile prima di allora, nemmeno in veste di cliente. Non avevo proprio idea.
In modo un po’ cafone, la signora aveva infilato la mano nella borsa, tirato fuori il portafoglio e preso un biglietto da cento euro.
“Intanto ti do questi, poi ci fermiamo in un bancomat e prendo il resto.”
Insomma, quella è stata la prima. Poi ci ho preso gusto, ho continuato con lei, ho iniziato con altre. Belle, brutte, giovani, anziane, grasse, magre, ci passano tutte, basta che paghino. Durante il giorno lavoro in una palestra, faccio il personal trainer e sto attento a non mischiare le due professioni: detto in altre parole, significa che le tizie della palestra me le faccio gratis. Poi, una o due volte alla settimana, arrotondo le entrate con prestazioni private.
Lei, dicevo, l’ho conosciuta su WithYou. È un ottimo sito per trovare clienti, soprattutto perché non nasce con questo scopo e quindi non richiede provvigioni, come invece fanno altri portali. Ha visto le mie foto, mi ha contattato e abbiamo iniziato a chattare.
“Prima di proseguire, premetto che andrò avanti a parlare con te e accetterò di incontrarti solo in cambio di un regalino.”
“In che senso?”
“Accetto solo contanti.”
Bisogna essere diretti, se non accettano, pazienza.
Lei, mi ricordo, la chiuse lì. Salvo poi ricontattarmi qualche giorno dopo, informarsi sulle tariffe e insistere per incontrarci. Vedendola dal vivo, poi, capii perché avesse insistito tanto. Non doveva avere molte occasioni. Ma io, l’ho già detto, non sono schizzinoso. E la mia è una professione come un’altra: non credo che esistano meccanici che si rifiutino di sistemare una Dacia e restringano il loro mercato alle Ferrari. Sono andato a casa sua per la prima volta un anno prima che morisse e ho continuato a frequentarla almeno due volte al mese, tre a giugno. Mi è dispiaciuto quando è morta, alla fine con le clienti di vecchia data si crea un bel rapporto, non è solo sesso, diventiamo amici. O almeno, credono così, e io sono contento di farglielo credere, anche se dubito che riserverei loro un attimo del mio tempo se non mi pagassero.
“Ti posso incontrare solo a casa mia, non posso uscire.”
Io preferisco giocare in campo neutro. Mai a casa mia, ovviamente, meno cose sanno di me e meglio è, ma nemmeno a casa loro. Non si sa mai cosa c’è dietro, magari sono pazze psicopatiche che mi vogliono ammazzare, oppure sono solo povere donne succubi del marito che si diverte a vederle scopare mentre lui guarda con la bava alla bocca. Ecco, io vedo il sesso più come il completamento di una serata galante, diversa: una bella cena in un ristorante di classe, una chiacchierata, due coccole e poi – perché no? – una degna conclusione in albergo. Con questo non voglio dire che se ci sia da trasgredire io mi tiri indietro, figuriamoci, però ho sempre il timore di finire invischiato in mezzo a perversioni che non mi appartengono e che non riuscirei a gestire.
“Niente casa tua, non posso. Ti ho spiegato le regole.”
“Non posso uscire, ti prego.”
Non c’è niente che non si possa comprare. E così, se in quel periodo per una cena – pagata dalla cliente, ovviamente – e una notte in albergo prendevo cinquecento euro, decisi che avrei usato la stessa tariffa con lei, ma solo per due ore al mattino.
“Ci sono i miei genitori in casa.”
Ecco, un marito guardone potrei anche accettarlo, dietro lautissimo pagamento, ma una donna con due anziani genitori no, sarebbe troppo anche per me. A meno che non paghino benissimo, ovviamente, magari moltiplicando per tre la voce del listino.
“Non faccio queste cose.”
“Ma cosa hai capito, scemo.”
Mi spiegò che i genitori abitavano al piano di sotto, ma che gli appartamenti erano comunicanti e che spesso la madre saliva da lei. Io sarei dovuto andare e presentarmi come medico, massaggiatore, dottore, fisioterapista, qualunque cosa mi fosse venuta in mente. Sarebbe bastato quello a lasciarci soli per due ore.
“E tuo marito dov’è? Non sei sposata?”
“È al lavoro, ma anche se fosse a casa non sarebbe un problema.”
Mi aveva mandato alcune foto – due o tre abbastanza spinte – ma non si vedeva mai il corpo al completo. Erano selfie fatti con il cellulare, sempre da troppo vicino. Sembrava carina, di viso dico, mentre di fisico lasciava presagire di essere in carne.
“Perché non puoi uscire di casa?”
“Non fare troppe domande.”
Cominciavo a pensare che fosse paralitica o che avesse un’altra malattia invalidante. Non mi ero sbagliato di tanto. Povera stella, quanto mi dispiace che sia morta così, per mano di quell’assassino vigliacco del marito. Sarà stata un metro e cinquanta per centoventi chili, centotrenta, che ne so, era un barile. Riusciva a camminare, ma si affannava subito, faceva tre passi e aveva bisogno di fermarsi a riprendere fiato. Fortuna che non camminammo tanto, insieme: giusto dal bagno al letto e viceversa, senza deviazioni.
Prima di incontrarla mi diede le regole. Dovevo vestirmi elegante senza essere appariscente – ordinaria amministrazione, per me – e avrei dovuto dire di essere il dottor Piga, specializzato in fisioterapia. Lei avrebbe informato i genitori della visita e saremmo potuti restare assieme senza essere disturbati. Inutile dire che tutte quelle istruzioni, lungi dall’infastidirmi, non facevano altro che accrescere il mio interesse.
Mi accolse la madre, una donna minuta e gentile e si presentò anche il padre, un uomo che aveva l’espressione di chi la sa lunga.
“Mi raccomando, si prenda cura di Anna Maria, sta tanto male, le abbiamo provate tutte.”
“Non vi preoccupate, signori, farò quanto mi è possibile per farla stare meglio.”
Mi dispiace anche per loro. La madre la vidi sempre, a ogni incontro, mentre il padre ricordo di averlo incrociato solo altre due o tre volte. Il marito, invece, lui non lo vidi mai. Ho anche pensato di mandare un’email a “L’Unione Sarda”, dopo che sono morti, ovviamente in forma anonima: in fondo la conoscevo, avrei aggiunto un tassello alla storia che raccontavano ogni giorno. Però poi ci ho pensato: perché immischiarmi in storie che non mi riguardano? Io non lo so perché lui ha ammazzato tutti, non lo so davvero. In TV non ne parlano, ma mettiamo il caso che gli omicidi siano scaturiti da una scenata di gelosia, magari perché lui si è accorto che lei lo tradiva con me… e mettiamo anche che i poliziotti lo sappiano e aspettino di incontrarlo, questo amante… no, non posso rischiare, ne andrebbe della mia reputazione. Meglio stare zitti.
Insomma, arrivavo, suonavo il campanello, stringevo la mano alla madre e salivo in camera. Pagamento anticipato, come di consueto, e via con il lavoro, secondo i suoi desideri. Ora che è morta non mi va di parlarne, – inoltre sono riservato di carattere – per cui non mi dilungo su ciò che facevamo in quella stanza. Sappiate solo che mostrava un’agilità che non mi sarei mai aspettato da una donna con quella mole e lavorare con lei mi divertiva. Non era una bellezza, è vero, ma era pulita e la frequentavo con piacere. Certo, ogni tanto cercava di coinvolgermi, parlava, mi raccontava di sé. Io ascoltavo e, come al solito, mi dimenticavo di tutto appena andavo via. Non posso permettere che i sentimenti, l’amicizia o l’amore, interferiscano con la professione che esercito. Credo che lei volesse qualcosa di più – tutte le clienti vogliono qualcosa di più – e più di una volta mi ha chiesto come mai non rispondessi al telefono. Accampavo scuse, inutile dirle che ne utilizzo uno per il lavoro e uno per la mia vita.
Mi dispiace com’è finita, povera donna: per quanto mi riguarda, spero di averle allietato l’esistenza, non meritava di morire così giovane.