3.

Avevo appena preso Noemi dal nido e la stavo legando al seggiolino, quando Alessia ha acceso l’autoradio.

“Mamma, mi metti le canzoni dei cartoni?”

“Mamma, cartoni!”

Non ho risposto, non volevo sentire quelle canzoncine che fanno venire mal di testa, ma facevo prima a stare zitta che a dire di no. Alessia ha continuato a schiacciare a caso i pulsanti dell’autoradio, finché l’ha sintonizzata sul giornale radio.

E adesso ci spostiamo in Sardegna...

“Mamma, metti le canzoni?”

“Mamma, perché ha detto Sardegna?”

“Noi andiamo sempre in Sardegna, vero mamma?”

“Nonna è in Sardegna.”

“Silenzio!” ho urlato.

Cerco di non alzare mai la voce né di dare botte ma, per quanto mi impegni, è impossibile riuscirci. Uno scapaccione al giorno riescono a prenderselo, per non parlare delle urla. La radio continuava ad andare.

Non ci sono conferme, ma fonti comunque affidabili sostengono che l’assassino sia un parente delle vittime, un cagliaritano di trentacinque anni di nome Daniele Masala.

Mi è salito il cuore in gola. Ho guardato Alessia e Noemi, sperando che dallo sguardo capissero che dovevano stare zitte.

Adesso la linea a Carlo Righetti per gli aggiornamenti della borsa.

Ho spento la radio, le bambine hanno ripreso a parlare, insistendo per sentire le canzoni dei cartoni. Ho urlato, più forte di prima; si sono messe a singhiozzare e non me le hanno più chieste. Ho accostato davanti a un cassonetto, ho preso il cellulare dalla borsa e mandato un vocale su Whatsapp a Michele: “Vedi su internet Daniele Masala”.

Michele lavora in uno studio di assicurazioni e ha sempre il computer davanti.

“Cazzo” mi ha risposto.

Ho deciso di non tornare a casa, ma sono passata da lui in ufficio. Il pomeriggio sta quasi sempre solo, il collega fa la mattina e il titolare è spesso dai clienti, così ho potuto far scendere le bambine. Quelle due sarebbero capaci di distruggere qualunque cosa, per cui cerchiamo di portarle il meno possibile in luoghi in cui possano fare danni. Devono avere intuito che il motivo era importante e credo anche che le mie urla le avessero scosse, perché si sono comportate abbastanza bene. Io mi riprometto sempre di non stare appresso ai loro capricci – si diventa matti a seguirle! – ma non ci riesco. Vorrei essere come Michele: Alessia e Noemi piangono, si impuntano, e lui sorride finché smettono da sole.

Siamo entrate e Michele mi ha mostrato lo schermo del computer ancora prima di baciare le bambine. Sul sito de “L’Unione Sarda” c’era la foto, era lui. Daniele Masala. Non lo vedevo da vent’anni, ma non avevo dubbi. La didascalia diceva che la foto era tratta da Facebook. O Daniele Masala non era invecchiato, oppure era la foto a essere vecchia: comunque era brutto come da ragazzino. Voleva uscire con me, alle medie, o forse era il primo anno di superiori, e io ovviamente gli avevo detto di no. Ero abbastanza carina e i corteggiatori non mi mancavano. Di certo non si poteva dire lo stesso di lui. Era brutto e aveva la ricottina agli angoli della bocca.

“Lo chiamavamo Snorky, ti ricordi?”

No, il soprannome non me lo ricordavo. Tra medie e superiori i ragazzini se ne davano talmente tanti che era difficile starci dietro. Ogni tanto vedo Michele che ride da solo, sul divano, e poi mi mostra il cellulare. È su Whatsapp con gli amici che sono rimasti in Sardegna e sta ricordando nomi, soprannomi e storie notevoli di persone che io ho dimenticato.

Io, negli anni di scuola, Michele non lo consideravo nemmeno. Ci siamo fidanzati più tardi – e poi sposati, e poi le bambine – quando siamo andati a fare l’università a Roma. Nessuno dei due si è laureato, abbiamo trovato lavoro qua e qua siamo rimasti, anche se l’idea di trasferirci a Portoscuso per sempre c’è. Adesso ci accontentiamo di tornare ogni volta che possiamo e forse è proprio la nostalgia di casa a tenerci così attenti alle cose dell’isola. Per dire, io quando stavo dai miei penso di avere sfogliato tre volte in tutto “L’Unione Sarda”, eppure mio padre la comprava ogni giorno. Adesso è il primo sito che guardo quando mi connetto e, se capito in zona Termini, entro in stazione e ne prendo una copia.

“Ma cos’ha fatto?”

“Sembra che abbia ammazzato la famiglia. In un altro sito dicono anche che abbia cercato di suicidarsi.”

“Daniele Masala?”

“Direi che è lui” ha detto Michele indicando la foto con un righello.

Lo sapevo che era lui, era una domanda retorica. Daniele Masala assassino? Come se chiederlo ancora avesse potuto cambiare la notizia che stavo leggendo. Le bambine nel frattempo si erano impossessate della scrivania del capo di Michele e disegnavano con gli evidenziatori. Almeno avevano preso dei fogli bianchi.

“Bimbe, fate piano che se il signor Caia se ne accorge si arrabbia e io gli dico che siete state voi!”

“È cattivo il signor Caia?” ha chiesto Alessia.

Michele si è alzato ed è andato a controllare le bimbe. Ha messo a posto gli evidenziatori, ha piegato i fogli colorati, li ha strappati e infilato i pezzi in un bidone, nel frattempo io pensavo a Daniele Masala. Non ci avevo mai parlato granché, credo, era un ragazzo strano. Avevamo fatto l’asilo assieme – a casa dei miei ho una foto in cui ci siamo entrambi, io con il grembiulino rosa e lui con quello verde – le elementari no, le medie di nuovo assieme e anche il primo anno delle superiori. Poi lui si è trasferito a Cagliari e io non l’ho mai più visto né sentito. Nemmeno Michele, credo. Quando alla radio hanno detto che era cagliaritano, mi è venuto da sorridere. Lo ripeteva sempre, quando eravamo piccoli, che lui era nato a Cagliari, mica come noi che eravamo di paese. E Cagliari, quando sei un bambino, è lontano da Portoscuso ed esotica quanto New York.

Quando si era sposato? Perché aveva ammazzato la moglie? Quanti altri ne aveva ammazzati? E perché? Non mi ricordo fosse particolarmente violento a scuola. Per dire, Michele lo era molto di più. Non si lasciava sfuggire una rissa ed era sempre pronto a menare le mani, sembra impossibile a guardarlo adesso, che coccola le bambine e risponde con un sorriso a chi lo manda a quel paese in mezzo al traffico.

E Daniele Masala? Si era innamorato? Era cambiato anche lui come Michele? Aveva trovato una donna e l’aveva uccisa, solo questo sapevo. Sul sito de “L’Unione Sarda” c’era una foto della moglie, non si capiva se vecchia o recente. Una donna in carne, con un bel viso e uno sguardo attento. Al contrario di Daniele, che aveva gli occhi di fuori e un po’ a palla. Ogni volta che vedo Gasparri in TV penso a lui e, insomma, non è un complimento. La moglie lo trovava bello? Perché lo aveva sposato? Di lui sapevo – so – pochissimo: era nato a Cagliari, era brutto e nient’altro mi era rimasto impresso. A scuola stava nella media, lontano dai secchioni, dai casinisti e dai cretini. Fissato con il calcio, ecco, quello sì, e forse con la musica. Mi sembra di ricordarlo con la maglietta di un gruppo, alle superiori: credo metallara, qualcosa del genere, era tutta nera con delle scritte inquietanti, ma può essere benissimo che mi stia confondendo.

“Giocavate a calcio assieme?” ho chiesto a Michele.

“Sì, alle elementari, alle medie e anche alle superiori, prima che si trasferisse.”

Perché aveva ammazzato tutti quanti? La notizia mi stava sconvolgendo, rimestando i ricordi e accrescendo la nostalgia. Probabilmente lo avevo anche visto giocare. Andavamo spesso, io, Alessandra, Martina, Eleonora, a vedere le partite. Non ce ne fregava niente del calcio, frequentavamo il campo giusto perché da qualche parte, a tredici anni, bisogna pur andare.

Dietro gli spogliatoi ho dato il primo bacio in bocca a un ragazzo. Si chiamava Christian Perdisci e le ultime notizie che ho di lui è che sta agli arresti domiciliari per spaccio di sostanze stupefacenti. Era bello, muscoloso, baciava bene e allungava troppo le mani. Cercò di infilarmene una sotto la maglietta e io mi scostai. Ho ancora in mente la sua reazione. Guardò a terra, poi la mano che gli avevo cacciato via, si sistemò il ciuffo, fece un sorriso e disse: “Allora vaffanculo”.

Daniele Masala non avrebbe potuto semplicemente dire vaffanculo alla moglie?