Una morte che si poteva
evitare?
Trentacinquenne suicida in carcere.
“Sono anni che denunciamo la situazione carceraria alle autorità competenti”, spiega Aurora Maria Casu, vicepresidente vicario per la Provincia di Cagliari dell’Associazione Homo Sum, “ma non abbiamo mai ricevuto risposte concrete, solo generiche prese d’atto. Nel caso di Daniele Masala, come del resto accade per gli altri suicidi in carcere, che io fatico a non definire omicidi di Stato, ci pare di capire che non sia stata intrapresa alcuna iniziativa per evitare che succedesse ciò che purtroppo è successo”.
Secondo Aurora Maria Casu, il fatto che Daniele Masala si sia suicidato utilizzando un lenzuolo, che fa parte della normale dotazione di ogni cella, deve far riflettere. “Al detenuto è stata concessa la necessaria assistenza psicologica? Perché è stato lasciato solo? Esistono dei controlli sulla salute mentale dei detenuti e, se sì, tali controlli vengono implementati oppure figurano solo sulla carta? Inoltre, e so bene che questa è una provocazione, se non riusciamo a sostenere i detenuti che ne hanno bisogno, non potremmo evitare di avere in cella qualunque oggetto che possa essere utilizzato per procurare violenza a sé stessi e agli altri?”
Il suicidio, prosegue la dottoressa Casu, è oggi la prima causa dei decessi all’interno delle carceri. “Non è possibile che un luogo gestito dallo Stato diventi luogo di morte, dal momento che la nostra Costituzione prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”
Da un’altra prospettiva, ma sulla stessa lunghezza d’onda, si colloca Nunzio Iannacone, segretario generale del Sindacato Unitario di Polizia Penitenziaria, che però ci tiene a sottolineare anche un diverso aspetto. “Il suicidio di un detenuto”, sostiene Iannacone, “è un forte elemento stressogeno per gli altri detenuti e per gli agenti di Polizia Penitenziaria che, lo ricordiamo, sono costantemente chiamati a operare in un contesto che li vede sottodimensionati in termini di organico. Come si può garantire la necessaria sicurezza all’interno di un carcere se i preposti alla sorveglianza non sono in numero sufficiente a coprire i turni di lavoro?”
A queste e ad altre domande dovranno rispondere gli ispettori del Ministero della Giustizia, mandati dal guardasigilli Carlo Sibilia per verificare l’esatta dinamica dei fatti e l’eventuale situazione soggiacente.
T. C.
© Riproduzione riservata