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CHRISTOPHER stava guardando fuori dalla finestra quando Kate rientrò nella stanza. Aveva visto suo padre fare la stessa cosa, tanto tempo prima. Per un attimo si scordò dell’ospedale e pensò al futuro del suo bambino. La somiglianza con suo padre sarebbe diventata sempre più evidente, giorno dopo giorno, e poi Christopher avrebbe cambiato voce. E l’avrebbe superata in altezza. Era irreale pensare che di lì a sei anni avrebbe cominciato a radersi. Ma sarebbe successo. Come accadeva a tutti i ragazzi. Ed era compito suo assicurarsi che continuasse a essere una brava persona, anche da adulto.

Così com’era compito suo proteggerlo.

Christopher si voltò e le sorrise. Lei gli prese la mano e gli parlò in un sussurro, quasi gli stesse rivelando un segreto.

«Ehi, tesoro. Ho una sorpresa per te.»

Mentre infilava una mano nella borsa, vide gli occhi di lui illuminarsi. Lo conosceva abbastanza da sapere che stava silenziosamente pregando Gesù e la Madonna di vederle tirare fuori una confezione di Froot Loops. Da due giorni mangiava il cibo dell’ospedale. Due giorni con la sua peggiore nemica, l’avena.

«Arriva dalla scuola», continuò notando la sua espressione delusa.

Invece dei Froot Loops, tirò fuori una grossa busta bianca, che gli passò. La aprirono insieme, e videro Bad Cat che si mangiava le parole «Rimettiti presto» da un enorme biglietto.

«Lo ha firmato tutta la classe. Non è carino?»

Christopher non rispose, ma qualcosa nei suoi occhi le disse che aveva intuito che i suoi compagni erano stati costretti a farlo, così come ogni anno venivano costretti a dare biglietti di San Valentino a tutti, affinché nessuno si sentisse escluso. Sorrise comunque.

«Padre Tom ha fatto recitare una preghiera per te, domenica. Gentile da parte sua, no?»

Il suo bambino annuì.

«Oh, quasi dimenticavo», disse. «Ho anch’io qualcosa da darti.»

E poi rimise la mano nella borsa e prese una confezione piccola di Froot Loops.

«Grazie, mamma!»

Era una di quelle scatolette cerate che potevano essere usate come scodella. Christopher la aprì con avidità, mentre lei andava a prendere un cucchiaino di plastica e un po’ di latte in mensa. A guardarlo mangiare, sembrava che si stesse gustando un’aragosta del Maine.

«I dottori hanno detto che puoi tornare a casa, domani», disse. «Che giorno è domani? Non ricordo. Mercoledì o giovedì?»

«Domani è venerdì, c’è la serata cinema.»

La sua espressione quasi la fece piangere. Era così felice. Non gli avrebbe mai detto della parcella di quarantacinquemila dollari dell’ospedale. Dell’assicurazione sanitaria che negava il rimborso, perché non lavorava a Shady Pines da abbastanza tempo. Della settimana senza paga, perché era andata a cercarlo. E del fatto che adesso erano ufficialmente rovinati.

«Allora, che cosa ti va di fare, domani?»

«Prendiamo dei film in biblioteca.»

«Che noia… perché non facciamo qualcosa di diverso?»

«Per esempio?»

«Ho sentito che c’è la prima di Bad Cat in 3D.»

Silenzio. Christopher smise di masticare e la guardò. Non andavano mai a vedere un film quando usciva al cinema. Mai.

«Ho parlato con la madre di Eddie. Abbiamo appuntamento domani sera per andarci insieme.»

Lui l’abbracciò con così tanta forza che sentì la sua stretta nella spina dorsale. I medici le avevano detto che non c’erano segni di trauma. Nessuna traccia di abusi sessuali o di altro tipo. Fisicamente, stava bene. Quindi, che male c’era se suo figlio aveva bisogno di una figura paterna, o di un amico immaginario, che lo facessero sentire al sicuro? C’era chi vedeva il volto di Gesù su un sandwich al formaggio grigliato, quindi a sette anni il suo bambino poteva credere in qualunque cosa in cui avesse bisogno di credere. Era vivo. Era questa l’unica cosa che contava.

«Christopher», gli disse, «la pioggia veniva giù a secchiate… Ci sono stati diversi incidenti. E un cervo è balzato di fronte al camion che viaggiava davanti a me. Non ti avrei mai lasciato fuori da scuola. Non ti farei mai una cosa del genere. Lo sai.»

«Lo so.»

«Tesoro, siamo tu e io, adesso. Niente dottori. Ti è successo qualcosa? Qualcuno ti ha fatto del male?»

«No, mamma. Nessuno. Giuro.»

«Avrei dovuto essere là, a prenderti. Perdonami.»

E poi lo strinse così forte da impedirgli di respirare.

Più tardi, quella sera, si sdraiarono l’una accanto all’altro, come facevano prima che lei avesse cominciato a dirgli che era diventato abbastanza grande da combattere da solo i suoi mostri. Quando la mamma si addormentò, lui ascoltò il respiro che gli aveva donato e notò che, anche in quella stanza d’ospedale, aveva odore di casa.

Si voltò verso la finestra, aspettando di sentire le palpebre pesanti. Guardò il cielo senza nubi e si domandò che cosa gli fosse successo in quei sei giorni. Sapeva che gli adulti non credevano che l’uomo gentile esistesse davvero. Forse avevano ragione. Forse era solo frutto della sua immaginazione, come diceva SpecialEd.

O forse no.

Sapeva solo che si era svegliato in mezzo al bosco. In una radura gigantesca. Con un albero. Non aveva idea di come ci fosse arrivato, o di come sarebbe riuscito a uscire. Ed era stato allora che, in lontananza, aveva visto quello che aveva descritto come l’uomo gentile, che aveva seguito fino alla strada.

Il sole si era trasformato nei fari dell’auto di quella ragazza.

Che aveva urlato: «Dio, ti ringrazio!»

E lo aveva portato di corsa in ospedale.

Gli si stavano chiudendo le palpebre, quando guardò ancora verso la finestra e vide arrivare le nuvole, che oscurarono la luna. C’era qualcosa di familiare, in esse, ma non ricordava cosa… Nel silenzio, si rese conto di avere un lieve mal di testa. E si abbandonò a un sonno tranquillo.