16

«ACQUA in casa! Acqua in casa!» La voce di Jenny risuonò in tutto il corridoio.

Ma questa volta Christopher non vi badò. Provava tristezza per Jenny, così come poteva provarla per sua madre. Non aveva molto senso. Ma era così che si sentiva. Pensava soltanto che quella bambina doveva subire trattamenti peggiori di quello. O magari il suo papà aveva un sacco di bollette da pagare ed era sempre irascibile. In ogni caso, era felice di aver dato quei soldi a sua madre. E non vedeva l’ora che la signorina Lasko restituisse loro i compiti, prima della fine della giornata, così da poterle mostrare il suo primo successo.

Quando arrivò l’ora di matematica, l’insegnante distribuì i test corretti. Christopher diede un’occhiata ai compagni. Vide che Kevin Dorwart aveva centrato 7 risposte su 7. Brady 6 su 7. SpecialEd 2 su 7. Matt e Mike 5 su 7. A lui, però, il compito non venne restituito. E non capiva il perché. Quando suonò la campanella e tutti uscirono per l’intervallo, la signorina Lasko lo trattenne.

«Christopher», gli disse, seria. «So che sei stato assente per due settimane e che non volevi rimanere indietro. Quindi… per caso hai sbirciato le risposte di qualcun altro, durante il test?»

Lui deglutì. E fece no con la testa.

«Non mi arrabbierò. Ma non voglio che copi invece di imparare a risolvere i quesiti da solo. Quindi, te lo chiederò di nuovo: hai sbirciato le risposte di qualche tuo compagno? Magari di Kevin Dorwart?»

«No, signorina Lasko.»

La maestra lo guardò attentamente negli occhi. Christopher si sentì come una rana sul tavolo del laboratorio, pronta a essere vivisezionata.

«Sai, ho visto studenti che avvertono così tanto la pressione di fare bene, nei test, che sbagliano sempre. E, la volta in cui è stato detto loro che il voto non era importante, hanno ottenuto un punteggio eccellente.»

Poi sorrise e gli restituì il compito.

«Sono orgogliosa di te. Continua così.»

Sopra c’era un 7/7 scritto con un pennarello rosso dalla punta grossa. E accanto c’era una stella d’oro. Oltre a un grande adesivo di Bad Cat che diceva «Prrrrrrfetto!»

«Grazie, signorina Lasko!»

Il sorriso si allargava su tutto il suo viso: non riusciva a contenere la gioia. Non riuscì nemmeno ad aspettare il venerdì. Non appena sua madre entrò nel parcheggio, e gli fece segno con la mano, la salutò sventolando il foglio.

«Si può sapere che cosa ti prende? Sembri un gatto che si è appena mangiato un canarino.»

E in quel momento le mostrò il compito.

«Che cos’è?»

Non le rispose. Lei aprì il foglio. E lesse. E rimase di sasso. Ammutolita. Il suo primo test senza errori. 7 su 7. Lo studiò ancora per un momento e poi si voltò a guardarlo. Nei suoi occhi adesso c’era orgoglio, non preoccupazione.

«Visto? Te l’avevo detto che ci saresti arrivato!»

E allora lui le fece vedere L’isola del tesoro.

«Sono al capitolo tre.»

Era così fiera che lanciò un urlo e lo abbracciò.

«È questo che succede a chi non si arrende.»

Come aveva previsto, gli propose di tornare a vedere Bad Cat.

«No, grazie. Prendiamo qualcosa dalla biblioteca.»

All’inizio Kate sembrò confusa, poi sollevata. Soprattutto quando Christopher aggiunse che non aveva voglia di McDonald’s, o di cibo del ristorante. Invece, gli andavano i suoi sandwich al formaggio. Così andarono in biblioteca e uscirono con una copia di Bad Cat 2 («Questa volta è prrrrsonale») e con una de La regina d’Africa per mamma.

Poi andarono a fare la spesa da Giant Eagle, per la festicciola con i panini al formaggio. Christopher vide sua madre infilare una mano nella borsa. Ecco! La vide tirare fuori i soldi che vi aveva nascosto lui. Corrugò la fronte, confusa. Non capiva da dove arrivassero. Ma era felice che ci fossero. Stava per rimetterli dentro, per un momento difficile, quando Christopher la fermò.

«Mamma, dovresti prendere qualcosa per te.»

«No, non mi serve niente.»

«Invece dovresti», insisté lui.

Le strinse la mano, con delicatezza. Come faceva lei quando tastava i pomodori prima di comprarli. Sembrava sorpresa. Christopher non era un bambino insistente. Aspettò un momento, e poi alzò le spalle.

«Al diavolo», disse. «Un pretzel Sarris. E un biglietto della lotteria.»

La commessa – era un’adolescente – le diede il miglior pretzel al cioccolato e una scheda da compilare. Per rendere onore a suo figlio, Kate decise di giocare le risposte del suo primo compito senza errori. Diede alla ragazza cinque dollari ed ebbe diciassette centesimi di resto. Christopher non vide nient’altro, dentro al portafoglio. Mamma notò il barattolo di un’associazione di beneficenza. Sopra c’era un bambino in un campo profughi, nel Medioriente. Vi mise il resto, e poi uscirono dal negozio senza un soldo.

Tornando a casa, Christopher la vide guardare il serbatoio. Pieno per un quarto. Grazie al cielo toccava alla madre di SpecialEd portarli a catechismo, altrimenti non sarebbero riusciti a tirare fino al giorno di paga.

Arrivarono al motel che era già sera, una serata tranquilla e fresca. Erano l’uno accanto all’altra, nel cucinino, Christopher guardò sua madre che faceva cadere il formaggio sulla piastra rovente, e sorrise quando sentì sfrigolare il burro. Ascoltò il rumore dei cubetti che cadevano tintinnando nel bicchiere, mentre preparava a mamma la sua birra on the rocks. E, come sempre, giocarono a fare progetti da realizzare con le loro segrete ricchezze; lui aggiunse un’auto sportiva per mamma nel vialetto della casa dei sogni, come quella della signorina Lasko. Da parte sua, Kate era talmente impressionata dalla scelta del romanzo di Stevenson che si impegnò a procurargli una libreria per la sua biblioteca personale.

Christopher accese il televisore e il notiziario riempì la stanza. Sua madre stava girando i sandwich quando finì la rubrica sportiva e giunse il momento dell’estrazione. Era concentrata, quindi quasi non sentì il primo numero.

Era un nove.

Christopher tirò fuori i vassoi che avevano comprato a una vendita di quartiere, e li trascinò davanti ai letti. Lanciò un’occhiata al test di matematica, attaccato al mini frigo con un paio di calamite a forma di lettera.

«Mamma, vuoi…»

Lei alzò una mano per zittirlo. E lui tacque e la guardò staccare il compito dal frigo, e avvicinarsi al televisore. Le palline danzavano nell’urna di vetro. Christopher non vi stava prestando attenzione.

Secondo numero estratto: 33.

«Mamma?»

«Shh.»

Kate si lasciò cadere sulle ginocchia. Gli occhi fissi sul presentatore. L’aveva già vista centrare due numeri. Era già successo. Ma adesso si stava torcendo le mani. La terza pallina scivolò nel canale.

45.

«Oh, Dio», sussurrò Kate.

Christopher non aveva mai visto sua madre pregare, ma ora stringeva così forte le dita che aveva le nocche bianche. Il quarto numero venne estratto. L’uomo lo annunciò.

19.

«Oh, Gesù, ti prego.»

Christopher guardò il test senza errori nelle sue mani tremanti. La risposta successiva era sessantasei. Sua madre aveva smesso di respirare, in attesa di sentire il numero seguente.

«Sessantasei!» disse il presentatore.

Lei non se n’era resa conto, ma aveva cominciato a dondolare avanti e indietro. Lo stava stringendo con tanta forza da togliergli il respiro. Ma lui non disse niente. Non osava.

Kate era tesa come una tavola. Guardò la risposta che veniva dopo, sul test. Sei.

Il numero era stato estratto.

9.

«No!» disse ansimando.

Sembrò passare un’eternità, prima che il presentatore girasse la sfera così che la lineetta stesse sotto.

«Sei!»

«Oh, mio Dio», esclamò sua madre.

Mancava soltanto un numero. Uno solo. Le palline danzavano nell’urna. Christopher guardò il suo compito perfetto. L’ultima risposta era quarantotto. Sua madre chiuse gli occhi. Non ce la faceva a guardare. Non avrebbe retto a un’altra delusione.

«Dimmelo tu.»

«Mamma, hai vinto.»

Non vide i suoi occhi, ma sentì le lacrime sul collo. Sua madre lo strinse con tanta forza che pensò che gli avrebbe spezzato la spina dorsale. Sarebbero rimasti lì tutta la notte, se non fosse scattato l’allarme antincendio. Andarono di corsa alla piastra rovente, e constatarono che i loro sandwich al formaggio grigliato erano neri come uva passa. La mamma spense il fornello e aprì la finestra per far uscire il fumo.

«Va bene, possiamo mangiarli lo stesso. Il formaggio non è così bruciato», fece lui.

«’Fanculo i sandwich», gli rispose la mamma. «Prendi il giubbotto, andiamo a mangiarci una bistecca.»

Andarono da Ruth’s Chris, in centro. E, anche se sua madre gli disse di ordinare qualunque cosa gli andasse di mangiare, lui scelse l’aragosta, perché sul menu c’era scritto che la vendevano al prezzo di mercato.