«SEI fuori? Mio padre mi ha quasi tolto i canali HBO dal televisore in camera», disse SpecialEd sottovoce, mentre Christopher lo seguiva attraverso il parcheggio della chiesa, e i loro genitori si salutavano gridando.
«Tu non capisci. Dobbiamo finirla.»
«Me li dai tu i soldi per i canali HBO?»
«No.»
«Allora finiscitela da solo.»
Entrarono in chiesa e, dopo essere rimasti in punizione per tutto il weekend del Ringraziamento (e tutta la settimana successiva) i quattro amici dovettero assistere a una messa interminabile. Padre Tom parlò di Gesù, che amava i profughi del Medioriente. Ma Christopher riusciva solo a notare come la gente intorno a lui lo fissasse. E mormorasse.
«Quello è il bambino che ha trovato lo scheletro.»
«Quelli sono i bambini che erano al notiziario.»
«Erano sul giornale.»
«Quello ha vinto alla lotteria, un paio di mesi fa.»
Tutte quelle voci gli facevano venire il mal di testa. Ogni minuto che trascorreva lontano dall’albero serviva solo a peggiorare la sua emicrania. A un certo punto, padre Tom passò al latino. Quella lingua turbinava nella testa di Christopher. E dopo un po’ «diem» divenne «giorno». E le frasi cominciarono ad avere un senso. Ma gli procurarono un’ondata di dolore insopportabile.
O Deus ego amo te.
Sapeva che cosa significavano quelle parole. O Dio, io ti amo.
Al termine della funzione, la madre di SpecialEd uscì sul sagrato e si accese una sigaretta. Prese un respiro profondo e buttò fuori una nuvola di fumo.
«Cristo santo, non la finiva più», commentò. «Padre Tom non lo sa che dobbiamo fare spese per Natale?»
Lo disse senza nemmeno un briciolo di ironia, e Kate dovette ammettere che questo le faceva amare Betty ancora di più. Poi, dopo che quest’ultima ebbe fatto piazza pulita dei biscotti alla cannella, alla vendita di dolci per beneficenza, si offrì di pagare la pizza a tutti per festeggiare la bella notizia.
«Quale bella notizia?» chiese Kate.
«Eddie è stato promosso dalla classe degli stupidi!»
«Ehi!» fece l’interessato, mettendo il broncio.
«Scusa, tesoro. Però è la verità. Eri nella classe dei bambini un po’ tardi», disse lei, accarezzandogli i capelli. «Ma quella signora Henderson è un genio, perché adesso leggi libri adatti agli alunni di quarta. Siamo davvero orgogliosi. Non è vero, Big Eddie?»
«Davvero orgogliosi. Davvero orgogliosi», confermò il padre, mentre guardava i momenti clou dell’incontro dei Pittsburgh Steelers sul cellulare.
Osservando sua madre, Christopher capì che aveva archiviato l’informazione in un reparto della sua mente. Poi le due famiglie si unirono a Matt e Mike e alle loro due mamme, che avevano appena finito di fare «qualunque cosa facciano i luterani» (per usare un’espressione di Betty) nella loro chiesa in Route 19.
Religiosamente parlando avevano le loro differenze, ma ehi… credevano nello stesso Dio, e amavano la stessa pizza.
Mentre gli adulti si scolavano una caraffa di Iron City Beer, i bambini giocarono ai videogame.
«Mi serve aiuto solo con le finestre e il tetto», esordì Christopher. «Al resto penso io.»
«Mi dispiace, Chris. Le nostre mamme ci hanno messo in punizione», gli disse Matt.
«Già», fece Mike, che sperava di vedere ripristinato il diritto al dessert.
Ma Christopher non si arrese. Il mal di testa non gli permetteva di mollare così facilmente. Dopo che sua madre era andata a dormire, la sera prima, aveva provato a trasportare da solo le finestre su per la scaletta. Ma erano troppo pesanti. Così le aveva messe da parte e aveva provato a posare il tetto, ma era impossibile senza collaborazione. Aveva raggiunto il limite di quello che poteva fare un ragazzino della sua età senza aiuti. Nell’istante stesso in cui aveva smesso di lavorare, l’emicrania era tornata a farsi sentire con prepotenza.
E l’uomo gentile non si era fatto vedere.
Il giorno dopo, a scuola, incontrò i suoi amici.
«Per il tetto bisogna essere in quattro. Non posso terminarlo da solo», li supplicò.
«Amico, te l’abbiamo detto. Siamo in punizione», ribadì Mike.
«Sì, Chris. Lasciaci in pace. Ti stai comportando da matto», gli disse SpecialEd. «E hai un aspetto orribile. Dormi un po’.»
Christopher guardò Matt, l’unico su cui sapeva di poter contare. E lui, in silenzio, abbassò gli occhi sul banco.
«Matt?» lo chiamò.
«Lascia stare mio fratello», intervenne Mike.
«Può rispondere da solo.»
Mike aveva dieci chili in più dalla sua, ma a Christopher non importava. I due alzarono la guardia, pronti a battersi. Ma Matt non voleva una rissa.
«E dai, sedetevi. Siamo già in guai abbastanza seri.»
Christopher si voltò e lo guardò dritto negli occhi.
«Mi aiuti o no?»
Matt rimase in silenzio, e sollevò lo sguardo verso il fratello.
«No, Chris, mi dispiace.»
Il mal di testa fece uscire le parole dalle sue labbra, prima ancora che le avesse pensate: «Allora fottetevi», disse.
E subito si vergognò. Non sapeva più che cosa stava facendo. A fine giornata, la testa gli scoppiava. E non aveva importanza se si era portato a scuola, di nascosto, le compresse di Excedrin di sua madre che aveva sgranocchiato come fossero caramelle. O se l’ultima ora era stata cancellata per permettere a tutti gli alunni di andare al parco giochi per l’evento speciale. Il dolore non accennava a passare.
Nemmeno durante il Balloon Derby.
Diede un’occhiata intorno, vide i bambini con i giacconi invernali e i berretti. Ciascuno di loro aveva un palloncino di colore diverso, con un biglietto legato all’estremità del cordino. La signora Henderson disse loro di scrivervi il nome e le informazioni per contattare la scuola. Avrebbe vinto un premio il bambino o la bambina il cui palloncino fosse arrivato più lontano. Lo avrebbero scoperto l’ultimo giorno di lezione, prima della chiusura per le vacanze di Natale. D’un tratto, a Christopher tornò in mente la signora Keizer che arrivava di soppiatto alle sue spalle, in ospedale, urlando: «La morte sta arrivando. La morte è qui. Moriremo tutti il giorno di Natale!»
Non piangere.
Il mal di testa era terrificante. Non avrebbe mai finito la casa sull’albero. Quindi, o Bad Cat avrebbe fatto del male a sua madre, o lui era completamente pazzo.
Non piangere.
Provò a scrollarsi di dosso il dolore, e scrisse il suo nome. Ma la prima lacrima finì sul foglietto sbavando le parole.
Smettila di piangere, piccolo.
Ma non ci riusciva. Così andò a nascondersi dietro lo scivolo, si prese tra le mani la testa che gli pulsava per il dolore e si abbandonò ai singhiozzi. Dopo un momento, avvertì un’ombra sulle palpebre. Aprì gli occhi, li alzò e vide Matt, che gli mise una mano sulla spalla.
«Che cosa c’è che non va, Chris?»
Lui non era in grado di parlare. Continuava a piangere, e basta. Un attimo dopo arrivarono Mike e SpecialEd.
«Cos’è successo?» chiese il primo. «È stato Brady? Io lo ammazzo.»
Christopher scosse la testa. No, non era stato Brady. SpecialEd si guardò intorno un po’ paranoico.
«Be’, allora alzati. Non vorrai che quello ti veda piangere, eh?»
Lo aiutarono a tirarsi su. Poi, Christopher si asciugò gli occhi con la manica del giaccone.
«Mi dispiace», disse. «Non volevo dirvi quelle cose. E non volevo che finiste nei guai.»
«Ehi, di questo non ti devi preoccupare », fece Matt.
«Già. Le nostre mamme non sono più così infuriate», aggiunse Mike.
«Infatti. Mia madre adesso pensa che io sia un genio», esclamò SpecialEd. «E in più abbiamo passato una notte all’aperto, da soli. Siamo tutti contenti.»
«Quindi mi aiuterete a finirla?»
«Perché è così importante, per te?» volle sapere Matt.
«Perché è il nostro posto. Perché noi siamo gli Avengers», rispose Christopher, sapendo che non gli avrebbero mai creduto se avesse detto loro la verità.
Sul parco giochi scese il silenzio. Ci pensarono un minuto.
«Okay, Chris», disse SpecialEd. «Ti daremo una mano.»
«Ma certo», concordò Matt. «Ma dobbiamo capire come. Siamo ancora in punizione.»
«Se marinassimo la scuola?» propose Mike.
«Io non posso», disse SpecialEd, attaccandosi al suo nuovo successo scolastico. «Se prendo una A in un compito, quest’anno, papà ha detto che mi farà avere Showtime in camera. Su quel canale a pagamento ci sono un sacco di donne nude.»
«E se ci fingessimo tutti malati?» suggerì Matt.
«Troppo sospetto», obiettò SpecialEd.
Più ci pensavano, più si rendevano conto che nessun piano poteva funzionare. Christopher era l’unico che vivesse abbastanza vicino al bosco da poterci andare di notte, uscendo di nascosto. Le loro mamme non li mollavano mai dopo scuola e durante il weekend, e non avrebbero mai dato loro il permesso di fare un altro pigiama party…
«Bambini, bambine, pronti con i palloncini!» disse a gran voce la signora Henderson.
«Andiamo, amici», fece SpecialEd. «Abbiamo un Balloon Derby da vincere.»
I tre porsero i loro palloncini a Christopher, che annodò il filo agli altri. Poi si voltarono a guardare Brady Collins e Jenny Hertzog, i cui amici popolari avevano tantissimi palloncini legati insieme, come nel film di animazione Up. Ma a Christopher e agli Avengers non importava. Erano di nuovo amici per la pelle.
«Uno. Due. Tre! Via!» gridò la signora Henderson, esultante.
E tutti lasciarono andare i cordini. Il cielo bianco si riempì di minuscoli puntini colorati, come un quadro. Il cielo era bello, e vasto, e sereno come una preghiera. Christopher guardò su, verso la nuvola che fluttuava sopra di lui. Bianca, come il sacchetto di plastica. E le parole gli arrivarono in una frazione di secondo.
Un giorno di neve.
L’emicrania passò con la risposta. Non si era reso conto di quanto fosse stata lancinante fino a quando non cessò.
«E se nevicasse?» chiese.
«Sì, farebbe al caso nostro!» commentò SpecialEd. «Peccato che tu non possa controllare il tempo, Chris.»
Quella sera, dopo che sua madre si fu addormentata, Christopher andò nel bosco dal sacchetto di plastica bianco.
«Non so se tu sia reale o no. Ma, se esisti, devi aiutarmi a finire la casa sull’albero. Se invece non esisti, smetterò di costruirla. Non m’importa se mi scoppia la testa. Perché non ho più intenzione di fare questa cosa da solo. Mi servono delle prove. Quindi, per favore, parlami. Parlami, ti prego.»
Nel silenzio che seguì, fissò il sacchetto di plastica bianco che svolazzava silenzioso appeso al ramo basso. Christopher alzò la voce.
«Questa è la tua ultima possibilità. Ho bisogno di un giorno di neve, per finire la casa. Quindi, è meglio che fai nevicare, o giuro che non ti crederò mai più.»