CHRISTOPHER stava già urlando quando aprì gli occhi.
Alzò lo sguardo e vide il viso della signorina Lasko, che correva verso di lui. Non c’era tempo da perdere. Scattò in piedi e le diede una spinta.
«Lasciatemi stare!» strillò.
«Christopher, calmati!»
«Mi ucciderete!» fece lui, afferrandola per un braccio. La fronte gli divenne rovente per la febbre, e subito il calore gli percorse il braccio e le dita, che divennero dei piccoli forni accesi attraverso il tessuto della camicetta di cotone dell’insegnante.
«Christopher, smettila! Mi stai facendo male», gridò lei.
«La prego! Non gli permetta di mangiarmi!»
A farlo svegliare, alla fine, furono le risate.
Diede un’occhiata all’auditorium. Gli alunni erano seduti ai banchi, impegnati a sostenere il test. Non avevano più le bocche cucite. Anzi, adesso erano spalancate, e ridevano di lui.
«La prego! Non gli permetta di mangiarmi!» lo prese in giro Brady Collins.
«Sta’ zitto, Brady!» lo rimproverò SpecialEd.
«Se vogliono mangiarsi qualcuno, è SpecialEd il più succoso», notò Jenny Hertzog.
Gli altri risero ancora più forte. Christopher si voltò di nuovo verso l’insegnante. Aveva le unghie pulite. Niente più sporcizia. Niente più occhi verde vomito. La signora che sibilava era sparita. Quella era la vera signorina Lasko. Ed era…
Terrorizzata. Da lui.
«Christopher, hai avuto un incubo. Per favore, lasciami il braccio.»
Obbedì. Svelta, lei sollevò la manica e guardò la pelle, dove cominciavano a formarsi delle vesciche. Riportò lo sguardo sul bambino, che sembrava addirittura più spaventato di lei.
«Mi dispiace, signorina Lasko.»
«Non ti preoccupare. È solo un’ustione da sfregamento. Andiamo in infermeria.»
«Non ne ho bisogno», fece lui. «Sto bene, adesso.»
«Meglio far vedere il collo.»
Non capì a che cosa si riferisse, finché non notò le macchioline di sangue sulla camicetta della maestra, che avevano la forma delle sue dita. Abbassò gli occhi sulle unghie della mano, e vide la carne viva. Poi si toccò il collo. Il punto in cui la signora che sibilava l’aveva graffiato era lo stesso in cui – apparentemente – si era strappato via la pelle, da solo.
«Andiamo», disse ancora l’insegnante, gentile.
Nell’istante in cui Christopher si alzò dalla sedia, scoppiò un’altra risata collettiva. Cominciò con qualche risolino beffardo da parte dei bambini che occupavano i banchi attorno al suo. Pochi istanti dopo, si era diffusa all’intero auditorium, e i ragazzini lo indicavano e bisbigliavano. Christopher si guardò i pantaloni e la vide.
La macchia di urina.
Si era allargata sui pantaloni di velluto a coste, che da marrone rossiccio erano diventati marrone scuro. Se l’era fatta addosso davanti all’intera scuola. Guardò la maestra che, svelta, distolse l’attenzione dal lieve dolore al braccio per guardare quegli occhi mortificati. Lo prese per mano e lo accompagnò in infermeria.
La signorina Lasko mette…
La signorina Lasko mette… la vodka nel thermos.
La signorina Lasko usa… gomma da masticare per coprire l’odore di alcol.
Christopher si sdraiò sul lettino duro di plastica, in infermeria. Gli faceva male la testa, aveva la fronte bollente per la febbre. Cercò di leggere la temperatura sul termometro al di sopra del suo naso, ma gli si incrociarono gli occhi. Distingueva a malapena i numeri sempre più alti….
37. 37,5. 38.
Guardò l’infermiera, che si stava occupando dell’ustione al braccio della signorina Lasko. Lentamente, spalmò una crema sulle vesciche, e poi avvolse la zona con della garza.
«Tenga il braccio fasciato», le disse. «Le vesciche spariranno tra un paio di giorni.»
Il termometro emise un bip. L’infermiera tornò da lui, e glielo sfilò dalla bocca.
«Trentotto e nove», lesse. «Resta qui. Telefoniamo a tua madre.»
L’infermiera pensa…
L’infermiera pensa… che mi sono fatto male al collo di proposito.
Insegnante e infermiera si spostarono nell’ufficio adiacente, per chiamare sua madre. D’un tratto, Christopher si fece prendere dal panico. Se la mamma avesse saputo che era malato, non gli avrebbe mai permesso di uscire di casa. Niente scuola. Niente casa sull’albero. Non avrebbe avuto modo di aiutare l’uomo gentile. Ma non si trattava solo della febbre. La mamma avrebbe visto la chiazza di urina sui pantaloni di velluto a coste, e i tagli sul collo. Gli avrebbe fatto delle domande. Domande a cui non sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché adesso la signora che sibilava lo stava tenendo d’occhio.
«Mi scusi, signorina Lasko… Posso andare a darmi una pulita, ai servizi?» chiese.
«Ma certo, vai pure.» Gli sorrise.
La signorina Lasko sta…
La signorina Lasko sta pensando alla vodka nel thermos.
La signorina Lasko è… sempre ubriaca a scuola, sempre sempre sempre.
Sgattaiolò nel corridoio e corse al bagno dei maschietti al primo piano. Non c’era nessuno. Niente ragazzini che giocavano a centrare gli orinatoi. Finalmente solo. Alzò lo sguardo verso l’orologio appeso alla parete. Il test non sarebbe finito prima di cinque minuti. C’era tempo. Svelto, si tolse i pantaloni e aprì il rubinetto dell’acqua fredda. Immerse i pantaloni e cominciò a strofinarli. Aggiunse un po’ di sapone. Provò a eliminare la macchia di urina. Ma non voleva venire via. Sfregò, ancora e ancora. Lavava e sciacquava, lavava e sciacquava, con movimenti maniacali. Ma non c’era niente che funzionasse. I pantaloni si bagnavano sempre di più. E intanto le sue guance diventavano sempre più rosse. Era paonazzo per la vergogna.
Non funziona. Mamma vedrà i pantaloni.
Vedrà il collo.
Non mi permetterà di andare alla casa sull’albero.
Doveva tornare là, lo sapeva. Promessa o no, doveva trovare l’uomo gentile prima che la signora che sibilava lo uccidesse. E se fosse stato già troppo tardi? Se l’uomo gentile fosse stato come le foglie del bosco in autunno? Una volta che i rami fossero rimasti spogli, se ne sarebbe andato. E lui, Christopher, sarebbe rimasto solo.
Guardò l’orologio. Gli rimanevano due minuti. Chiuse il rubinetto e strizzò i pantaloni. Quindi li tenne vicino all’asciugamani. Premette il pulsante e lasciò che l’aria calda li riempisse come i palloncini del Balloon Derby. Si guardò allo specchio e srotolò il collo del dolcevita per coprirsi, come faceva quando aveva paura dei vampiri. Premette ancora il pulsante dell’asciugamani e vide il marrone scuro schiarirsi un po’. Ma le chiazze bagnate non si stavano asciugando rapidamente come aveva sperato.
Serve più calore.
Dove posso trovarlo?
Chiuse gli occhi e sentì la febbre salirgli alla fronte. Visualizzò il bosco di Mission Street. I rami erano spogli, a parte quelli dei sempreverdi, come gli abeti. Alberi di Natale tutti in fila.
Ed erano in fiamme.
Guardò l’orologio. Due minuti erano passati mentre lui si era abbandonato al suo sogno a occhi aperti, ed era ancora in mutande, i pantaloni sotto l’aria. Erano talmente caldi, gli scottavano le mani. Brady Collins e la sua cricca scelsero proprio quel momento per entrare in bagno, mentre Christopher stava cercando di infilarseli.
«No, quelli li prendiamo noi!» esclamò Collins, strappandoglieli dalle mani.
«Ridammeli, Brady.»
«‘Ridammeli, Brady’», lo prese in giro quest’ultimo, imitato dagli amici che si lanciarono in un coro di «Vi prego, non mangiatemi!»; «Vi prego, non uccidetemi!» Avanzarono, e con una spinta spedirono Christopher fuori, nel corridoio, dove cadde a terra davanti a Jenny Hertzog e a un gruppetto di bambine, che scoppiarono a ridere.
«Avevo sentito parlare di gente che ha l’acqua in casa, ma questo è ridicolo», lo prese in giro.
Jenny Hertzog ha paura…
Jenny Hertzog ha paura… della stanza del suo fratellastro.
«Brady, dalli a me!» gridò la ragazzina. «Acqua in casa! Acqua in casa!»
Brady l’accontentò, e lei se li infilò sotto la gonna. Christopher sentì il viso farsi bollente per la febbre. Ebbe a malapena il tempo di pensare, prima che il prurito gli facesse pronunciare quelle parole.
«Perché non dormi in camera tua, Jenny?»
Lo disse in modo innocente. Come un bambino che chiede alla mamma perché il cielo è azzurro. Ma Jenny smise di ridere. I suoi occhi si ridussero a due fessure. Sentì gli sguardi di tutti spostarsi da Christopher a lei, in attesa di una risposta. Lo fissò, gli occhi che ardevano d’odio.
«Vaffanculo», gli disse.
Brady fece qualche passo verso di lui, e lo bloccò contro un armadietto. Il prurito di Christopher tornò, e gli fece uscire queste parole dalla mente.
Brady Collins ha paura…
Brady Collins ha paura… della cuccia del cane.
«Che cosa c’è nella cuccia, Brady?» gli chiese.
Il ragazzino si fermò. Lo guardarono tutti, mentre diventava rosso in viso per l’imbarazzo. Christopher osservò quei bambini. Vide che erano spaventati. E, in qualche modo, non riuscì a prendersela con loro. In qualche modo, sapeva che avevano più paura di lui.
Brady non disse nulla. Si limitò a fulminarlo con un’occhiata assassina.
«È tutto okay, Brady. Andrà tutto bene», gli disse Christopher.
L’altro lo colpì sulla bocca. E non fu un pugno leggero. Non voleva essere un avvertimento. Era reale. Ma la cosa più strana fu che… quando lo colpì, non sentì davvero male. Sentì piuttosto solletico. Brady però non aveva intenzione di fermarsi. Era furioso, voleva ucciderlo. Si lanciò su di lui con entrambi i pugni alti, pronto a causargli danni seri. Christopher non si mise in guardia. Rimase dov’era, semplicemente, aspettando di incassare.
Una statua che aspettava l’impatto di una piuma.
Brady prese lo slancio, preparandosi a sferrare un altro pugno con tutta la forza che aveva, quando all’improvviso qualcuno gli assestò un cazzotto alla mandibola. Si voltò e vide SpecialEd.
«Levagli le mani di dosso!» gli ordinò quest’ultimo.
Gli occhi di Brady si accesero di rabbia. Mike spuntò da dietro la folla con il fratello minore, per spalleggiare l’amico.
«Fatti indietro, Collins!»
E, pochi secondi dopo, era scoppiata una rissa.
La gang di Brady e Jenny era numericamente superiore – tre bambini per ciascun membro del quartetto – ma ciò non influì granché su quello che avvenne dopo. SpecialEd e M&M’s si misero schiena contro schiena, come gli Avengers. Brady si lanciò prima su SpecialEd, menando pugni. Mike afferrò lo zaino e lo fece oscillare, colpendolo allo stomaco. Brady cadde sul pavimento di fronte a Jenny, che saltò addosso a Mike e gli morsicò una mano. Matt la prese per i capelli e la trascinò a terra. Tutti mordevano, scalciavano, strillavano.
Era guerra.
Christopher osservò la scena in silenzio, la testa che gli pulsava a causa della febbre, che doveva avere lo stesso effetto della loro rabbia. Dopo un momento si costrinse ad alzarsi. E poi, con calma, si avvicinò alla mischia. Allungò una mano e afferrò un braccio di Brady con le dita febbricitanti.
«Andrà tutto bene», gli disse ancora sottovoce.
Il calore attraversò il suo braccio, procurandogli un solletico… era come avere tanti piccoli aghi che dai polpastrelli toccavano la punta del gomito.
Aghi che divennero roventi.
«Smettila! Mi fai male!»
Christopher lo guardò negli occhi. Era terrorizzato. Lo lasciò andare, e Brady vide le piccole vesciche che gli aveva lasciato. Allora lui si spostò verso Jenny Hertzog, che stava graffiando il viso di Matt. Aveva infilato le dita sotto la benda, quando l’afferrò per il braccio.
«Andrà meglio, Jenny. Vedrai», le assicurò.
Il calore gli schizzò nei polpastrelli e attraversò il tessuto della camicia a maniche lunghe della ragazzina, che si strinse il braccio destro, dolorante. Si strofinò le vesciche, urlando.
Poi Christopher si chinò per aiutare i suoi amici a rialzarsi.
«Andiamo, ragazzi.»
SpecialEd ed M&M’s accettarono l’offerta. Dalle mani di lui, il calore passò alle loro braccia, sulle quali però non si formarono vesciche. Anzi, l’effetto fu calmante, come quello del Vix VapoRub massaggiato sul petto quando si ha il raffreddore. Salì ai volti, tingendo le guance di rosa. Il cervello di SpecialEd divenne leggero ed effervescente, come una bibita gassata. Il braccio di Mike acquisì improvvisamente più forza. Matt avvertì una sorta di solletico all’occhio. La fronte di Christopher stava cuocendo. Il dolore era accecante.
«Che succede, qui?» si udì una voce dalla porta.
Christopher alzò gli occhi e vide la signora Henderson, la bibliotecaria, che arrivava di corsa. Il prurito faceva arrivare le informazioni nella sua mente pulsante a una velocità vertiginosa.
La signora Henderson è… triste.
Il signor Henderson… non la ama più.
Il signor Henderson… esce sempre, la sera.
Il signor Henderson… non rientra mai prima di colazione.
Si voltò verso la donna e sorrise.
«Andrà tutto bene, signora Henderson, ha la mia parola.»
L’ultima cosa che in seguito avrebbe ricordato sarebbe stata il momento in cui le afferrò il braccio con una mano. Fece del suo meglio per trattenere il calore, che però fuoriuscì come acqua da un gavettone pieno di fori di spillo. Pochi secondi dopo, sentì il liquido bagnargli i polpastrelli. Ritrasse le dita e lo vide.
Perdeva sangue dal naso, a fiotti.