CHE anno del cazzo.
A questo pensava Jerry mentre era a letto, sveglio. Guardò fuori dalla finestra. Mancava poco all’alba. L’alba del ventitré dicembre. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era alzato così presto. Non gli succedeva dall’ultimo sogno. Di recente faceva questi sogni perversi. Era sempre in casa sua o nel suo quartiere, o stava prendendo delle costolette da Bone Yard, e vedeva Kate Reese. Ogni volta era lievemente diversa, ma sempre bella. E aveva una chiave intorno al collo. E un sorrisetto malvagio. Si lasciava fare di tutto, da lui. Poteva essere violento. Arrabbiato. Osceno. Odioso. Non aveva importanza. A lei piaceva. Lo adorava. E lo amava. Ogni sera andava a dormire per incontrarla nei suoi sogni. E poi, ogni mattina, al risveglio, si girava e vedeva il lato del letto vuoto… quello dove prima dormiva la vera Kate. E quella fottuta voce gli risuonava nelle orecchie.
Lei ti manca, Jerry.
Ogni mattina, la mente gli pareva la sua auto parcheggiata nel cortile dopo una sbornia: così come il prato sembrava il vialetto, i sogni sembravano la vita vera. Ma non lo erano. Kate Reese se n’era andata, e non sarebbe più tornata. Aveva provato a lasciarla andare tante volte, ma poi sentiva una cazzo di canzone, o vedeva una dannata ragazza con un paio di jeans tagliati, e si ricordava che questa volta era riuscito a ingannare una brava donna, e a farla innamorare.
Finché non ti ha piantato nel cuore della notte, Jerry.
Si girò nel letto. Non era di turno, quindi pensò di andare da 8 Mile. I bar erano chiusi, ma conosceva un club after-hour che magari l’avrebbe fatto entrare dall’ingresso posteriore. Si sarebbe fatto un drink, e magari avrebbe rimorchiato una tipa facile. Okay, era mattina, ma ’fanculo. Non c’era più nessuna stronza a dirgli che cosa poteva fare. Venerdì aveva preso la paga. Che cosa gliene importava?
Si infilò i jeans e si mise al volante della sua Chevy. Venti minuti dopo era da 8 Mile. Parcheggiò fuori dalla bettola tristemente famosa ed entrò. Il jukebox suonava una canzone strafica, Hotel California degli Eagles. Il locale era pieno di fumo di sigaretta. Era talmente denso che gli sembrò di camminare dentro a una nuvola. Si sedette e ordinò un gin tonic. Lanciò un’occhiata alla ragazza seduta al bar e non riuscì a credere alla sua fortuna.
Era Sally.
La conosceva dai tempi delle superiori. Era sempre stata una brava ragazza cattolica, finché un giorno non lo era più stata. Decisamente. Come tante cattoliche, era passata da zero a cento in sei secondi, una volta che il primo aveva infilato la chiave nel blocchetto dell’accensione. Un anno dopo si era fatta beccare a fare sesso con due giocatori di football – che si erano dati allegramente il cambio – sul sedile posteriore della Ford di suo padre. Da lì era diventata «Mustang Sally»; in realtà l’auto era una Ford Focus, ma «Ford Focus Sally» non suonava allo stesso modo. Quale che fosse il modello, Sally non era esattamente una cima, ma le piaceva ancora divertirsi. E lui aveva bisogno di divertirsi. Aveva qualche dollaro in tasca. Era libero. Ancora piuttosto giovane. Poteva prendere Sally, salire sulla sua vecchia Chevy e guidare fino ai casinò del West Virginia, dove avrebbe cancellato Kate Reese dal suo cervello.
«West Virginia!» esclamò Sally. «Sei pazzo? Nevica di brutto, là fuori. Ci sono dei casinò anche a Detroit. Perché cazzo dovremmo andare fin là?»
Bella domanda.
Poteva chiamarlo istinto. O presentimento. O semplicemente gin and tonic. Ma qualcosa gli diceva che la sua fortuna sarebbe cambiata, là. Qualcosa gli diceva che quello poteva essere il suo giorno fortunato, se soltanto avesse dato retta alla voce nella sua testa.
Non puoi perdere, Jerry.
«Ci vieni o no?» chiese a Sally.
Sì.
Un’ora dopo, la Chevy stava scivolando lungo un’autostrada imbiancata di neve. Era la tempesta peggiore dopo quella del Ringraziamento. Riscaldamento globale un cazzo. Ovunque guardasse un’auto era in panne, oppure era rimasta coinvolta nell’ennesimo incidente. Ma per lui il viaggio procedeva senza intoppi. Sally continuava a girare la manopola della radio come una ladra alle prese con una cassaforte. Top 40. Hip Hop. Una stazione di pezzi vintage trasmetteva Blue Moon. Cominciò a pentirsi di essersela portata dietro. Non sapeva fare altro che cazzeggiare con l’autoradio e lagnarsi delle colleghe che complottavano contro di lei. Lavorava da JCPenney, cazzo. Le donne non hanno di meglio da fare che fingere che al mondo importi di loro?
«Sally, scegli una fottuta stazione.»
«Okay. Okay. Coglione.»
Alla fine optò per una stazione di pezzi rock classici che stava trasmettendo Hotel California. Due volte in un giorno.
Gli parve di buon auspicio.
Arrivati al casinò, superarono il parcheggiatore, diretti al parcheggio fai da te. Sally gli lanciò un’occhiataccia, per questo. Ehi, scuuuuuusaaaaa se voglio risparmiare qualche dollaro. Attraversarono lo spiazzo gelido e il cielo sopra di loro si aprì grazie a un vento furioso che faceva turbinare la neve attorno alle loro teste… Sembrava il tornado di Dorothy. Quante volte aveva visto Il mago di Oz, il venerdì, quando c’era la serata film del cazzo, con Kate e quello strambo di suo figlio?
Lei ti manca, Jerry.
Ma la cosa non è reciproca.
Quella voce. Quella voce rompicoglioni. Gli diceva, va’. Bevi tutta la notte. Gioca. Mettiti in macchina. Va’ a pescare con i ragazzi. E a caccia con i tuoi cugini. Ma niente ti toglierà quel pensiero dalla testa.
Lei è il meglio che tu possa avere, Jerry. E se n’è andata.
Sapeva che Kate Reese era là fuori, da qualche parte. Probabilmente con un altro. A cui concedeva il suo corpo. Che la toccava ovunque. Quella sensazione gli diede la nausea. Gli provocò una rabbia violenta nello stomaco. Doveva entrare nel casinò. Bere sul serio. E far tacere quella voce.
«Sally, datti una mossa, cazzo», urlò.
«Provaci tu a camminare su questa merda con i tacchi», sbraitò lei.
Le porte si aprirono su una nube di fumo di sigaretta, sospesa sul rumore delle slot e dei video poker. Sally doveva fare pipì. Ovviamente. Erano solo le dieci del mattino, ma Jerry si sedette al bar e buttò giù un doppio Tanqueray, con un goccio d’acqua tonica. Il drink gli procurò lo stesso bruciore di un allenamento fatto bene, ma ancora non bastava. Gli serviva una distrazione, se voleva sbarazzarsi di quella voce. Si diede un’occhiata intorno e scoprì che qualcuno aveva lasciato un quotidiano sul bancone.
Un giornale di Pittsburgh.
Di un paio di mesi prima.
Cercò la pagina sportiva, ma naturalmente qualche farabutto se l’era già presa. Così, sfogliò il resto di quel quotidiano da due soldi. La crisi in Medioriente non accenna a placarsi. Cristo. Viene ancora considerata una notizia? Ditemi quando finisce. Allora comprerò un giornale. E i profughi? Ho una mia idea. Alzatevi e cominciate a camminare verso nord. È così difficile arrivarci, cazzo? Chi è che se ne sta seduto quando il mondo tutt’intorno va a rotoli? Dei fottuti idioti, ecco chi.
Arrivò alla pagina della cronaca e lesse un titolo: «Bambini trovano uno scheletro nel bosco». Stava per abbassare lo sguardo sulla foto, quando arrivò Sally con il cerone sul viso e la vescica vuota.
«Dio, c’è un odore infernale, qui dentro.»
Jerry gettò il giornale e si buttò nel blackjack. Di solito non era il suo gioco, ma qualcosa gli diceva di sedersi e cominciare con piccole puntate. Una voce, forse. Divise una coppia di regine e si rammentò di quando Kate Reese gli aveva detto che il volto della regina sulle carte da gioco era il ritratto di Elisabetta. Ottenne due assi e si intascò cento dollari. Ordinò un gin tonic. Kate diceva che l’avevano inventato i soldati inglesi, in una guerra. L’acqua tonica in qualche modo preveniva la malaria.
Lei ti manca, Jerry.
Si sta scopando un altro, Jerry.
Ordinò altri due drink, mentre Sally obiettava che non era nemmeno mezzogiorno, e lui si stava già ubriacando. Ma non gli importava. Perché quella voce rompipalle aveva una nota diversa, quel giorno. Aveva un qualcosa che non sapeva indicare con precisione. Qualcosa che lo faceva sentire invincibile.
Così, decise di tentare.
Guardò le carte sul tavolo. Il banco gli servì un fottuto tredici. Ma per qualche motivo sapeva che sarebbe andata bene. ’Fanculo. Ci sono quattro otto nel mazzo, giusto? Giocò, ed ebbe il suo otto. Un altro ventuno. Altri cinquanta dollari. Lo fece di nuovo con un dodici. E poi vinse ancora con un diciotto. Attorno a lui cominciò a radunarsi una folla di persone. Sapeva qual era il pensiero di tutti. Chi è questo bastardo con il berretto dei Lions, e con la puttana sciatta che deve aver imparato a truccarsi a un college per clown?
Ve lo dico io chi sono, stronzi.
Sono il figlio di puttana che oggi non può perdere.
La voce gli disse di puntare solo dieci dollari, alla mano successiva. E naturalmente sballò. L’istinto gli suggerì di giocarsi cinquecento verdoni, adesso. Blackjack. Una ragazza dietro di lui applaudì, un’indiana molto bella – indiana pellerossa, non di Bombay – con in mano la copia dello stesso, vecchio quotidiano di Pittsburgh, sotto le unghie lunghe e laccate di rosso. Jerry si domandò perché avessero tutti quel vecchio giornale, quando una voce lo riportò al presente.
«Blackjack!»
E andò avanti così per ore. Il pit boss del casinò provò a cambiare l’uomo al banco per interrompere la serie fortunata. Chiusero il tavolo e lo fecero spostare. Usarono sei mazzi invece di uno, pensando che magari stesse contando le carte. Ma, qualunque cosa facessero, non funzionava.
Non puoi perdere, Jerry.
Alle cinque del pomeriggio, Jerry si alzò sulle gambe ubriache e andò alla roulette. Sally gli disse di non sfidare troppo la fortuna, ma lui aveva smesso di ascoltare qualunque cosa, al di fuori della voce nella sua testa. Il primo numero che giocò fu il nove. Quando la pallina si fermò su quella casella, persino Sally si tappò quella cazzo di bocca. I tizi del bar gli dissero che avevano già visto quella serie di vittorie. Ma lui no, mai vista, nemmeno dove si puntava poco. Adesso però sembrava imbattibile. La voce gli disse di puntare venti sul nero. Dieci sul rosso. Di aspettare un giro. La pallina finì sul verde. L’indiana sexy si mise a cavalcioni della sedia accanto alla sua. Posò il giornale sul pavimento e agganciò le scarpe col tacco alle gambe della sedia, preparandosi ad assistere a una partita seria.
«Ti dispiace se leggo il giornale?» fece Sally, annoiata come una liceale che guardava il suo ragazzo giocare con i videogame.
L’indiana sexy glielo passò. Lei gli diede una scorsa. Niente su Hollywood. Solo una storia pallosa sul ritrovamento di uno scheletro da parte di quattro ragazzini, in un bosco della Pennsylvania.
«Oh, che carino questo bambino», commentò, indicando la foto. «Guarda, Jerry.»
«Sally, vuoi stare zitta, cazzo?» fece lui, mentre puntava i suoi soldi sul trentatré.
«Trentatré!» gridò la squaw.
Non puoi perdere, Jerry.
Lui chiuse gli occhi, mentre la pallina correva per la ruota. Nella sua mente, vedeva il volto di Kate Reese. L’appartamento vuoto, la mattina dopo la sua fuga. Che cos’aveva fatto di così terribile, quella notte? Le aveva mollato due pugni sugli occhi, ma le aveva chiesto scusa, ed era sincero. Quindi, che si fottesse, se non gli aveva creduto. Che si fottesse quella troia.
Lei ti manca, Jerry.
Vuoi trovarla.
«Quattro!» gridò l’indiana.
A mezzanotte, il pit boss chiamò il direttore, che offrì a Jerry una stanza con un sorriso da politico e una stretta di mano da pezzo di merda. L’indiana sexy si alzò e si congratulò con lui per la serie più fortunata di sempre. Aveva perso tutto il tempo, ma per qualche motivo aveva continuato a giocare, seduta accanto a lui. Tutto il giorno. Con una fornitura di patatine apparentemente infinita. Forse era un’altra spia del casinò. Oppure una prostituta. Sapeva soltanto che era sexy da far paura. Si alzò dal tavolo, lasciando il giornale ai suoi piedi. Lui lo prese, e la chiamò.
«Signorina? Scusi, ha dimenticato questo.»
Lei tornò indietro, e gli rivolse un sorriso, guardandolo con occhi lascivi.
«Jerry, lo sai che numero ottieni sommando tutti i numeri sul tavolo della roulette?» gli chiese.
«No. Perché non me lo dici a colazione?»
Non riusciva a credere di aver avuto le palle di farlo. E invece. L’invito era lì, sospeso nell’aria, come la nube di fumo di sigaretta. Pensò che Sally gli avrebbe cavato gli occhi con le unghie finte. Ma «Mustang Sally» era stranamente silenziosa. La sexy indiana gli fece un sorriso talmente largo che Jerry pensò non le sarebbero bastati i denti.
Non puoi perdere, Jerry.
Andarono tutti e tre nella suite offerta dal direttore e stapparono una bottiglia di champagne, anche quella offerta. L’indiana sexy accese il televisore, perché sarebbe stata «un po’ rumorosa», disse. Erano circa le tre, e la TV locale cominciò a dare le notizie relativa all’area dei tre Stati. Jerry sentiva la giornalista che parlava bla bla bla del terribile incidente che aveva coinvolto il ragazzino che aveva vinto la lotteria per la mamma, a settembre, e che a novembre aveva rinvenuto lo scheletro nel bosco, ma non si voltò mai a guardare le immagini. Era troppo occupato a fissare le ragazze che si leccavano lo champagne l’una dall’altra, mentre il vento batteva sul lato delle grandi vetrate con vista sul centro di Wheeling. Jerry mise quanto più sesso possibile in quella nottata, ma, ogni volta che rallentava il ritmo, anche solo per un istante, la voce tornava.
Lei ti manca, Jerry.
Devi trovarla, Jerry.
Si svegliò trenta minuti prima dell’alba. Doveva aver dormito al massimo un’ora, ma per qualche motivo era sveglissimo. Bevve l’ultimo goccio di champagne, caldo e sgasato, per liberarsi del mal di testa lancinante. Aveva già sofferto i postumi di una sbornia. A volte quando era ancora sbronzo. Ma quest’emicrania era diversa. Sembrava avercela con lui… come se si fosse scopato sua moglie. Sentì Sally sotto la doccia, ma la ragazza indiana era andata via da un pezzo. Si aspettava che lo avesse derubato di tutto, o che si fosse presa un migliaio di dollari per i «servizi resi», se davvero era una professionista, invece non aveva portato via nemmeno una fiche.
Però, gli aveva lasciato quel vecchio quotidiano.
Lei ti manca, Jerry.
Tu vuoi trovarla, Jerry.
Si sta scopando un altro, Jerry.
Quella troia sta ridendo di te, in questo momento, Jerry.
Dopo la serie fortunata più incredibile di sempre, la voce era tornata, cattiva come un serpente. L’unica cosa che potesse fare, per togliersi Kate dalla testa, era leggere quel vecchio giornale. Diede una scorsa al meteo, che prevedeva un inverno stranamente mite. Ottimo lavoro, Kreskin. Stava per passare alla cronaca, quando pensò di saltare allo sport. Fortuna per lui, il quotidiano dell’indiana era intatto.
Era a metà di un articolo sui Pittsburgh Steelers, a caccia di un altro SuperBowl (provate a essere fan dei Lions, idioti), quando Sally uscì dalla doccia, piangendo disperatamente. Jerry si rese conto che la sbornia era passata e con essa se n’era andata la parte «Mustang». E la parte di lei bi-curiosa, qualunque essa fosse, non poteva reggere il confronto con l’educazione cattolica che aveva ricevuto a Flint.
«Oggi è la vigilia di Natale. Devo andare a casa.»
«Okay, Sally. Andiamo.»
Lasciò lì il giornale, a faccia in giù.
Mentre passava in mezzo alla nuvola di fumo di sigarette, attraversando il casinò per l’ultima volta, si guardò intorno alla ricerca dell’indiana sexy. Si rese conto di non sapere nemmeno il suo nome. Forse era stata un miraggio, come in quella canzone… Hotel California. Canticchiò la sua versione. Welcome to the Hotel West Virginia. Such a shitty place. Such a shitty face.
Le porte del casinò si aprirono e li vomitarono fuori. L’aria fresca era dolce. Pura, asciutta e pulita, come la luce della luna che faceva capolino tra le nuvole.
Attraversò il parcheggio, lentamente. Il vento gli investì il viso. E portò con sé un odore… Probabilmente non si era ancora ripreso dall’alcol, ma per qualche motivo gli venne in mente quando, da bambino, era andato a caccia per la prima volta. L’odore dei boschi si mescolava a quello della polvere da sparo bruciata e a quello della birra. Non riusciva a smettere di pensare al vecchio compagno di mamma, che gli aveva insegnato a sparare. Quello cattivo, che gli aveva insegnato anche a non avere paura delle mazze da baseball, dandogliele sulla testa.
Si lagnò, quando vide la Chevy. Qualche idiota aveva messo uno di quegli stupidi volantini sotto il tergicristallo. Quando fu un po’ più vicino, si rese conto che non era un coupon di Jiffy Lube, o una pubblicità di Compriamo-Auto-Vecchie. Era una serie di quattro bigliettini. Ciascuno di essi era attaccato a qualcosa che penzolava da uno spago. Il vento lo sollevò e Jerry vide quattro pezzi di gomma sgonfi, che schiaffeggiarono la fiancata dell’auto. Quattro palloncini scoppiati.
Diede un’occhiata.
Signore o signora,
Lei ha trovato un palloncino della Scuola Elementare di Mill Grove, lanciato in occasione del Balloon Derby. La preghiamo di contattarci non appena le sarà possibile, così che i nostri studenti possano sapere dove sono arrivati i loro palloncini. Grazie.
Jerry girò i bigliettini e vide dei nomi che non gli dicevano nulla. Matt qualcosa. Mike qualcosa. Eddie chissenefrega. Stava per gettarli via, quando il vento gli trapassò il giaccone con una raffica gelida. L’odore della battuta di caccia lo avvolse di nuovo. E quella vocina dentro la sua testa gli disse di dare un’occhiata all’ultimo biglietto, prima di buttarli via tutti. Gli tremavano le mani, quando la girò e lesse il nome.
Christopher Reese.
È la tua giornata fortunata, Jerry.