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LA signora che sibilava si tirò su dalla vasca. Era nuda. Cosparsa di fori di proiettile, coltellate e ustioni. Christopher urlò. Corse alla porta. La signora scese sulle piastrelle bagnate. Lui allungò una mano ad afferrare il pomello. Chiusa a chiave.

Era una trappola.

Lei lo prese da dietro. Lo sollevò, mentre si dimenava come un pesce. Aprì la porta con un calcio e lo lanciò sul ramo. Christopher provò ad allontanarsi strisciando, ma le mani gli restarono attaccate al ramo, come fosse carta moschicida. Si voltò, mentre lei usciva dalla casa sull’albero. Aveva indossato il vestito della domenica, striato di sangue, stracciato. Poi chiuse la porta dietro di sé. Lo studiò con gli occhi morti da bambola.

«Chrissstopppherrrrr. Èèèèè oraaaaaaaaa», disse.

Lentamente, si incamminò sul ramo, verso di lui. Christopher si mise a gridare.

«NO! PER FAVORE!»

Lei sorrise e lo afferrò per le orecchie. Lo prese tra le braccia e scese lungo il tronco come un serpente.

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Christopher diede un’occhiata alla radura, lì sotto. C’era il suo esercito al completo. Che lo fissava, in silenzio. Lei continuava a scendere. Sempre più. Superarono decine di case sull’albero. Le porte erano chiuse. Le tende tirate. Christopher non riusciva a guardare dentro, ma sentiva delle voci. Bambini che ridacchiavano. Un pomello cominciò a girare.

«Non ancora. Cogliamolo di sorpresa», sussurrò la vocina.

Il pomello si fermò. La signora che sibilava continuò a scendere, superarono un’altra casa. Con la porta rosa. Da dietro, giungevano dei respiri.

«Sarà un cucciolo stupendo», sussurrò una bambina.

Le sue unghie graffiarono la porta, quasi fosse una lavagna. Superò un’altra casa. Con le tendine bianche e blu, come il vestito di Dorothy.

«Lo sa dove si trova?» mormorò una voce maschile.

«Lo saprà presto», rispose una donna.

La signora che sibilava atterrò ai piedi dell’albero. Proprio di fronte alla grossa porta intagliata nel tronco. Fissò il suo esercito, trionfante. Sollevò le braccia di Christopher. La folla esplose in un boato come a Times Square all’ultimo dell’anno. Il ragazzino udì dei tamburi in lontananza. Quattro persone-cassetta lo afferrarono per braccia e gambe, e lo bloccarono contro l’albero. Non era corteccia, quella che sentì, era carne. Sudata, calda. Si mise a urlare.

«Per favore! Non uccidetemi, vi prego!»

«Io non ti ucciderò», gli disse la signora, calma.

«Cosa vuoi farmi?» chiese, terrorizzato.

«Non te lo posso dire.» Sorrise.

Scavò nel proprio collo con le unghie lunghe e sporche e si strappò la chiave. Poi ficcò la mano nella carne dell’albero: sembrò frugare in un tritarifiuti. Sangue. Carne. Trovò la serratura, nella carne putrefatta dell’albero. Girò la chiave e fece scattare la serratura con un…

Clic.

Un coro di grida si levò dalle persone nella casa sull’albero, sopra. Le voci squarciarono la mente di Christopher, che con lo sguardo percorse la radura. Alla ricerca di una via di fuga. Le persone-cassetta stavano di guardia a tutti i sentieri in uscita.

«È ora! È ora!» urlavano.

La signora si rimise la chiave sotto la carne del collo, quasi stesse immergendo una mano nel cemento fresco. Un istante dopo, la piaga era guarita. La chiave era di nuovo al sicuro. Lei aprì la porta. Una luce si riversò dall’interno del tronco. Christopher la guardò. Un brivido freddo gli attraversò il corpo.

«Che cos’è questo posto? Dove mi trovo?» strillò.

«Pensavo te ne saresti ricordato», disse lei.

Il ragazzino avvertì l’energia che usciva dal tronco. L’elettricità statica di un milione di palloncini. Si rammentò di aver seguito le impronte. Dell’albero che sembrava fatto di carne. Sì, ricordava tutto. Era rimasto su quell’albero per sei giorni. A cuocere. Come in un’incubatrice. Era diventato intelligente. Era stato lasciato lassù per assorbire tutto quanto.

Ma non era mai entrato.

«Christopher», gli disse la signora che sibilava, «è per il tuo bene.»

Lo fece avanzare verso la luce. Era accecante. Dal tronco usciva un vapore che somigliava a delle nuvole bianche e morbide. Christopher urlò, piantando i piedi. Graffiò. Lei lo sollevò per le gambe, e allora prese a scalciare. Dalla luce giungeva un odore. Di cucina. Di coltelli arrugginiti. Di acqua della vasca da bagno di suo padre. Di ospedale.

«NO! NO!» urlò ancora più forte.

Affondò le mani nella carne dell’albero, calda come la pelle quando brucia per la febbre. La signora che sibilava gli liberò le mani con uno strattone. Christopher si divincolò, piantò i piedi ai lati della porta. In un attimo le persone-cassetta furono intorno a lui, come uno sciame. Resistette con tutte le sue forze. Le spinse via. Era troppo potente per loro. La signora lo afferrò con le mani piene di cicatrici, ruvide come carta vetrata. Lo strinse a sé e avvicinò il viso al suo, finché i loro nasi non si toccarono. Lo guardò dritto negli occhi. Furiosa, folle.

«È ORA!!!!!!!»

Christopher guardò la radura, in basso. Vide materializzarsi decine di impronte. Le persone erano invisibili ai suoi occhi. Ma c’erano. Le sentiva. Gli abitanti della cittadina, dalla parte reale. I loro occhi venivano cuciti, per la trasformazione in persone-cassetta. Il mondo urlava di dolore. Accecante. I confini tra i due mondi si stavano facendo confusi. L’immaginario e il reale. Il vetro stava per infrangersi.

Alzò gli occhi al cielo. Vide le stelle cadenti. Costellazioni che si dividevano come un puzzle lasciato cadere sul pavimento, finendo in un milione di pezzi. Mancavano sei minuti a mezzanotte. Sei minuti a Natale. Christopher chiuse gli occhi. Lasciò che la sua mente si calmasse. E sussurrò: «Dio, ti prego. Aiutami».

D’un tratto vide una nuvola all’orizzonte. Faccia di nuvola. Grande come il cielo. E in quell’istante una grande tranquillità investì le sue membra. Era come se qualcuno avesse premuto il tasto MUTO, mettendo a tacere l’ambiente intorno a lui: non c’erano più grida. Udiva solo il battito del suo cuore. I bip delle macchine dell’ospedale. Una voce portata dal vento.

«Christopherrrrr», sussurrava.

La signora che sibilava gli diede una spinta, e il piede sinistro di Christopher finì nella luce.

«Non entrare nella luce, Christopher. Combattila», gli disse il sussurro.

Non posso. È troppo forte.

Le braccia erano tanto pesanti. Anche il piede destro finì nella luce. Adesso aveva solo voglia di dormire. Aveva tanto sonno.

«Devi ucciderla entro la mezzanotte!» urlò il vento.

Non posso farcela da solo.

«Sì che puoi, un incubo è soltanto un sogno malato. Dillo, Christopher!»

«Un incubo è soltanto un sogno malato», ripeté ad alta voce.

Vide gli occhi di lei spostarsi.

«Con chi stai parlando?» gli chiese

«Dillo ancora!» sussurrò il vento.

«Un incubo è soltanto un sogno malato», gridò.

Lei si mise a strillare: «Con chi stai parlando?» e continuò a ripeterlo, ma lui non la sentiva. La sua voce si annullò. C’erano solo silenzio, e pace. L’aria era fresca, fragrante. Alle sue orecchie giungeva soltanto il sussurro del vento.

«E in sogno posso fare tutto quello che voglio!» gli disse quest’ultimo.

«E in sogno posso fare tutto quello che voglio», ripeté.

«Perché qui dentro…»

Christopher abbassò le palpebre. Con gli occhi della mente si immaginò mentre cercava a tentoni, nell’oscurità dietro le palpebre, fino a trovare l’interruttore. Lo premette, e quello che apparve davanti a lui era molto più che conoscenza. Era potere. Crudo, furioso. Aprì gli occhi e guardò la signora che sibilava. La vide muovere gli occhi. Era terrorizzata.

«… io sono Dio», concluse.

La spinse via con tutta la sua forza e lei volò all’indietro, atterrando al margine della radura, un centinaio di metri più in là. Cervi e persone-cassetta assistettero alla scena, attoniti. Christopher si guardò le mani, come se appartenessero a qualcun altro. Non riusciva a credere di essere tanto potente.

La signora che sibilava si sedette. Folle di rabbia. O forse era sorpresa? I suoi seguaci si voltarono verso Christopher. Mille occhi lo fissavano pieni di odio perché aveva osato fare del male alla loro regina. Lui però non batté ciglio. Non scappò. Non si nascose. Lentamente, infilò una mano in tasca e tirò fuori il fodero di pelle. Poi lo aprì, rivelando la lama d’argento.

«Non sei in strada», disse calmo.

Guardò la chiave seppellita nella carne attorno al collo della signora che sibilava. Poi sollevò la lama sopra la testa e si lanciò su di lei.