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LE parole viaggiarono nel vento. Attraversarono le nuvole espandendosi dal mondo immaginario a quello reale.

La signora Keizer era al centro della radura. Pensò di aver visto suo marito, nella nebbia.

«Per favore», supplicò. «Come mi chiamavo prima di incontrare te? Non posso vivere senza saperlo.»

«Sicura di non voler più essere la signora KeiZer?» chiese la voce.

«Sì!» gridò lei.

Suo marito si fermò, sorrise e schioccò le dita.

«Okay. Non sei la signora KeiZer.»

In un istante le portò via quel cognome, Keizer, senza lasciargliene un altro. Non si era mai sposata. Non aveva mai avuto la sua bella Kathy. Il suo corpo cominciò ad avvizzire. Le mani artritiche. L’anca fratturata. Sentì di essere invecchiata di cinquant’anni in cinquanta secondi. Il suo udito cominciò a indebolirsi. La mente. La memoria. Era in mezzo alla radura. Pensò di vedere suo marito nella nebbia.

«Ti prego», lo supplicò. «Come mi chiamavo prima di incontrarti? Non posso vivere senza saperlo.»

«Sicura di non voler più essere la signora KeiZer?» chiese la voce.

Ma questa volta lei non la sentì. Sentì qualcos’altro. Parole trasportate dal vento. O forse erano nella sua mente?

«Sei libera adesso.»

Si fermò. C’era qualcosa di estremamente familiare, in quel momento. Era sicura di averlo già vissuto solo cinque minuti prima. Aveva detto di sì, e suo marito si era portato via il suo cognome, Keizer. Non si era mai sposata. Non aveva mai avuto la sua bella Kathy.

«Sicura di non voler più essere la signorA KeiZer?» le chiese ancora lui.

Lei si voltò. Guardò verso la radura, verso la sua bambina che moriva di freddo nel cortile dietro casa.

«No. Voglio essere la signora Keizer», rispose. «Mia figlia ha freddo.»

Poi si tirò su e tornò verso Kathy.

«cosA? sE lA faI entrarE iN cucinA, tI spezzO l’ossO del collO, lynN!»

La signora Keizer non lo ascoltò. Poteva picchiarla finché voleva, questa volta. Non le importava più. Sua figlia stava morendo di freddo in cortile. E non avrebbe provato mai più quella sensazione.

«sE lA faI entrarE in cucinA, tI sbattO fuorI di casA. tornA purE a esserE unA stupidA puttanA buonA a nullA, lynN…»

«Wilkinson», disse lei ad alta voce. «Io mi chiamo Lynn Wilkinson.»

Aprì la porta e andò a prendere la sua bambina, congelata, facendola entrare in cucina, al caldo.

«Kathy», le disse, «sei libera, adesso.»

La signora Collins guardò sua madre. D’un tratto si sentì di nuovo una bambina. Rammentò la sensazione di quando mamma la avvolgeva in un telo, dopo averle fatto il bagno. Il vapore che si levava dalla doccia e copriva lo specchio come nebbia. La signora Collins non aveva più freddo. Qualcun altro sì, però. Qualcuno che stava nel giardino dietro la sua casa.

Si voltò e vide suo figlio Brady nella cuccia, che tremava, al freddo. Aprì la porta e andò a prendere il suo bambino, facendolo entrare in cucina, al caldo. Suo marito la raggiunse. Erano di nuovo una famiglia.

«Brady, scusami. Sei libero, adesso.»

Le parole si sparsero per la radura. La signora Henderson lasciò cadere il coltello e abbracciò il marito. La signorina Lasko posò il bicchiere. Jerry smise di far oscillare le braccia e di colpirsi.

Jenny Hertzog udì la voce dolce di sua madre. «Basta, Jenny! Smettila di affogarlo!» Lei smise di tenere giù il fratellastro, e usò le mani per togliersi il filo dalle labbra, invece. In un istante, la verità sgorgò dalla sua bocca a suo padre, come un fiume in piena. Lei si tolse i fili dagli occhi. Il silenzio era finito. Era cominciato il processo di guarigione.

Le parole attraversarono la radura, andarono da SpecialEd a Matt e Mike, ai loro genitori, alla città intera.

Liberarono le loro menti. E i corpi a seguire. La febbre passò. Il prurito cessò. La paura si sciolse con la follia.

Le rane erano al sicuro, lontano dalla pentola d’acqua bollente che ciascuno aveva sotto la pelle. L’influenza era passata.

«Siete liberi, adesso.»