LA chiave era a terra. Ambrose guardò con orrore le nuvole che si abbassavano. Vide l’uomo gentile, attraverso gli aloni, nascosto nella nebbia. Lo vide saltare in aria e atterrare senza far rumore. Vicino alla chiave. Ambrose provò a usare tutta la forza che aveva per colpire l’uomo che gli aveva portato via il fratellino. E che l’aveva torturato per cinquant’anni.
Ma era uno scontro ad armi impari.
L’uomo gentile lo afferrò per le braccia e gli premette gli occhi con i pollici. Ambrose sentì il corpo abbandonarlo. Le dita avvizzite e artritiche. La schiena. Le ginocchia. I piedi che avevano perso sensibilità in trincea. Qualunque guarigione gli avesse offerto Christopher, era stata annullata. Era di nuovo un vecchio, cieco e impotente.
L’uomo gentile fece per afferrare la chiave.
Ambrose udì la signora che sibilava lanciare via i cervi e bloccare il suo nemico inchiodandolo al suolo. Lottarono, le loro grida riempirono la notte di rosso. Lui non poté fare altro che ascoltare, impotente, mentre i dannati si scagliavano su Christopher e sua madre. Gli scheletri dei bambini, che ancora ridacchiavano, stavano trascinando lo sceriffo verso la sua tomba.
Alla cieca, l’anziano provò a recuperare la chiave. Affondò le dita nella terra finché non la trovò, sotto il sangue. Sollevò di peso il corpicino del fratello e andò alla porta, camminando sulle ginocchia fragili. Strinse la chiave nella mano artritica e cercò la serratura con le nubi negli occhi.
«noN lA troveraI maI, vecchiO!» lo schernì il vento.
«So come comportarmi da cieco, bastardo», replicò lui.
Con le mani, la trovò. Vi infilò la chiave e la girò con un clic. Poi aprì la porta e fece uscire…
Luce.
«Andiamo, David!» gridò.
Con il fratellino tra le braccia, si lanciò nella luce: passo dopo passo, gli aloni tornavano. Insieme con una sensazione di gioia. Aveva trovato il suo fratellino. L’avrebbe salvato. Lo avrebbe portato via da quel luogo orribile. D’un tratto, però, si sentì fermare da un muro invisibile. Una recinzione. David gli cadde dalle braccia. Si girò, e lo trovò, che cercava di rialzarsi sulle gambe malferme. Disperato.
«Andiamo, David!»
Il bambino fece no con la testa.
«Non puoi andare via?»
David annuì. Spinse il fratello verso la luce, per salvarlo.
«Mi ci sono voluti cinquant’anni per trovarti. Io non ti lascio qui», dichiarò Ambrose.
David scoppiò a piangere. Spingeva il fratello, quasi fosse una quercia. Lui però non voleva cedere.
«David, smettila. Non ti lascio un’altra volta.»
Con delicatezza, gli abbassò le mani, finché il ragazzino non smise di spingere. Ambrose s’inginocchiò e gli mise le mani sulle spalle. Sentì la luce dentro di lui. E guardò attraverso gli aloni negli occhi.
«David… puoi andare in paradiso?» gli chiese.
David annuì. Sì.
«Allora perché non sei già lì?»
Il bambino lo guardò.
«Sei rimasto per me?»
David annuì ancora. Sì.
«Mi stavi proteggendo?»
Un altro sì. Ambrose si voltò a guardare un’ultima volta la radura. Vide la signora che sibilava mentre veniva fatta a pezzi dall’uomo gentile. Le ombre e gli scheletri che strisciavano sullo sceriffo. I dannati che strappavano Christopher da sua madre, mentre i cervi si lanciavano all’attacco. Era tutto perduto.
«David, vuoi vedere mamma e papà?»
Il ragazzino si fermò. Sapeva che cosa gli stava chiedendo il suo fratellone. Annuì. Sì.
«Coraggio», fece Ambrose. «Andiamo a casa.»
Lo prese per mano, e insieme corsero verso l’uomo gentile. A ogni passo, il suo corpo diventava sempre più simile a quello che aveva avuto quella notte, a diciassette anni. Le ginocchia malandate. L’artrite. Le cicatrici di guerra. Dolori e acciacchi. Se ne andò tutto. Non c’era più sofferenza perché non c’era più un corpo a sopportarla.
I fratelli Olson sfrecciarono attraverso la radura.
E poi… l’impatto.
Andarono addosso all’uomo gentile, che cadde a terra sofferente. La loro luce si sparpagliò come una raffica di pallettoni, attraversando la sua pelle. Brillava a tal punto che le ombre divennero vapore. I cervi che stavano attaccando Kate ne furono accecati. Scheletri e dannati vennero spinti via dallo sceriffo e da Christopher, come un castello di carte.
Il tempo sembrò rallentare. Ambrose aprì gli occhi. Non c’erano aloni. Era tutto un alone. Il dolore. La preoccupazione. Cinquant’anni di quella camera vuota. Tutto sparito. Finalmente aveva ritrovato il suo fratellino. Poteva smettere di essere perduto, adesso. In un batter di ciglia vide David voltarsi verso la signora che sibilava. La sua protettrice. La sua custode. La donna che lo aveva tenuto al sicuro per quel mezzo secolo in cui lui non aveva potuto farlo. La salutò con la mano e con il suo sorriso senza i due incisivi. Lei gridò di gioia, mentre lo vedeva lasciare quel posto per sempre. Il suo David finalmente sarebbe tornato a casa. I due Olson si levarono in volo. Due soli. Sun. Son. Due figli. La luce era più forte di qualunque cosa Ambrose avesse mai visto, ma non gli faceva male agli occhi. Le luci in camera sua si accesero. Ambrose alzò lo sguardo dal letto e vide il suo fratellino vicino all’interruttore.
«Ehi, Ambrose. Ti va di fare qualche lancio?»