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Il giorno dopo furono ancora i giornali a infierire. Uscirono con la notizia di un altro colpo del truffatore, questa volta ai danni di un caseificio di Felino a quindici chilometri dalla città. Una finta vendita di caldaie e attrezzature casearie per le quali il titolare aveva sborsato trentamila euro di acconto. La descrizione coincideva con i connotati del ricercato: uno alto e magro. Ormai la gente non parlava che di lui. Al bar, sull’autobus, in fila alle Poste. C’era sempre un po’ di ammirazione per la sua scaltrezza e un po’ di disprezzo per la polizia. Capuozzo schiumava in silenzio ai piani alti e Soneri gli girava al largo. La Falchieri fungeva da parafulmine, l’unica che potesse parlare al questore al riparo dagli insulti.

«Sta andando per le lunghe» ammise il magistrato al telefono. «Anche lei non se lo aspettava, vero?»

«No» si limitò a dire il commissario corrucciato.

«Sta diventando tutto sempre più imbarazzante» continuò lei.

«Questo non dev’essere uno dei soliti» valutò Soneri. «Improvvisa e proprio per questo è imprevedibile. Può colpire ovunque. Scommetto che scorre gli indirizzi su internet e sceglie a caso.»

La Falchieri sospirò soffiando sulla cornetta.

«Sarà così» convenne. «Ma la trappola che avete preparato non è stata efficace.»

«Forse lo sarà» si augurò il commissario. «Ci vuole pazienza.»

«Lo so» disse il magistrato, «ma non è la nostra pazienza che dobbiamo considerare. Quella della gente è già esaurita.»

«Si sente braccato e colpisce fuori città» rifletté Soneri.

La donna sospirò di nuovo.

«Questa volta abbiamo un piccolo indizio in più» aggiunse. «I carabinieri hanno raccolto la testimonianza di una signora anziana, una di quelle che stanno sempre alla finestra a guardare chi passa. Ha notato una macchina allontanarsi guidata da un tizio che corrisponde alla nostra primula rossa.»

«Era una Mercedes Classe A?»

«Sì. I carabinieri le hanno mostrato vari modelli e lei ha riconosciuto quella.»

«Questo lo sapevamo già.»

«Ma forse non le iniziali della targa: BM1. Ha visto solo le prime due lettere e un numero.»

Soneri mugugnò qualcosa mentre già pensava come sfruttare l’informazione.

«Scommetto che non ha mai benedetto le anziane pettegole come in questo momento» disse la Falchieri.

«Per fortuna in provincia sopravvivono.»

Il commissario era sul punto di parlare del doppio DNA di Ferrari, ma si trattenne. La piemme avrebbe saputo tutto dal rapporto di Nanetti.

«Rattoppi la sua rete, ha troppi buchi» raccomandò sibillina la Falchieri con un tono che Soneri percepì come un rimprovero.

Subito dopo il commissario entrò in ufficio con l’impeto di un’irruzione.

«Le manca solo la pistola in pugno» commentò Juvara sorpreso.

«Cercavo giusto te» disse. «Interpella la Motorizzazione e fatti dare l’elenco di tutti i proprietari delle Mercedes Classe A con targa iniziale BM1.»

«Le volevo dire che sono entrato nella memoria del telefonino di Ferrari» tentò di informare l’ispettore, ma non ne ebbe il tempo.

«Molla tutto e occupati della targa» tagliò corto Soneri.

Juvara tacque e apparve mortificato. Afferrò la tastiera e cominciò a battere interrogando la banca dati del ministero. Lavorarono in silenzio quasi ignorandosi. Il commissario telefonò a Pasquariello per perfezionare la sorveglianza degli obbiettivi. Poi ebbe un colloquio con il reparto operativo dei carabinieri, nel corso del quale li informò del possibile spostamento del truffatore nei centri della provincia più vicini alla città. Chiamò anche Musumeci, che stava all’erta pronto a intervenire qualora le volanti gli segnalassero la presenza dell’uomo. Lavorava con frenesia. Sentiva incombere l’ombra del ridicolo su di sé: il commissario della Mobile sbertucciato da un volgare truffatore. Già molti in città la pensavano in questo modo. In consiglio comunale, erano già fioccate le interrogazioni. L’opposizione sfruttava il momento per attaccare il sindaco sul tema dell’ordine pubblico paventando una città in preda a ladri e spacciatori. In un angolo della scrivania c’era la mazzetta dei giornali, ma Soneri non osava sfogliarli. Pervaso dall’irritazione, rispose con fastidio al cellulare.

«Non voglio venderti niente, stai tranquillo!» cercò di addolcirlo Angela con ironia.

«Ah! Sei tu?»

«Solo ieri sera sussurravi come un assolo di flauto e adesso ringhi.»

«Leggi i giornali e capirai.»

«Lo so, sei sulla graticola. Volevo darti un’informazione, ma in questo momento non credo ti interessi. Sento che hai da fare dell’altro.»

«Riguarda Ferrari?» chiese Soneri. Senza volere la sua voce aveva ripreso tono per la curiosità.

«Non proprio, ma la Mariani.»

«Hai capito perché viaggia di notte?»

«Quello no, ma penso di sapere perché è così curiosa di quell’angolo tra via Verdi e via Affò: c’era lo studio di Malvisi.»

Il commissario trasalì. Non aveva mai controllato l’indirizzo dell’ufficio precedente al trasferimento in via Carmignani.

«Un errore che nemmeno un vigile urbano…» biascicò tra sé.

«Quale errore?» domandò Angela che non capiva.

«Non aver controllato il precedente indirizzo dell’ufficio di Malvisi. Avrei capito subito.»

«Te lo dico io. Il mio collega sapeva tutto» cercò di tranquillizzarlo lei, aggravando ulteriormente la frustrazione del commissario. «Il vecchio Venanzio aveva lì lo studio principale, ma possedeva altri due uffici a Fidenza e Collecchio dove si recava il martedì e il venerdì per essere più vicino ai clienti di quelle zone. Il figlio ha lasciato via Affò perché sfrattato e si è trasferito in periferia.»

«Quand’è successo?»

«Un anno e mezzo fa.»

«Era già strozzato.»

«Non pensare che fosse uno studio lussuoso» avvertì Angela. «Il mio collega ha parlato di tre stanze in tutto. Il vecchio Venanzio era uno che badava poco all’apparenza.»

Soneri pensò per contrasto a ciò che era James.

«Volevo solo riferirti questo particolare, ma adesso hai la testa altrove» riprese Angela.

In realtà il commissario rifletteva sulla vicenda di Malvisi con molta più insistenza che su quella del truffatore. Forse era la ragione per cui non riusciva a venire a capo di una faccenda apparentemente banale. Così finse quando rispose ad Angela: «Sì, sì, adesso ho la testa altrove».

Invece, quando la compagna riattaccò, non riuscì a scacciare dai suoi pensieri i viaggi notturni della Mariani, via Affò e i Malvisi.

«Ecco qua!» lo sorprese la voce di Juvara. «Sono solo tre le Mercedes Classe A con le iniziali di targa BM1.»

«Finalmente una buona notizia!» esclamò Soneri. «Di chi sono?»

«Aspetti a esultare» avvertì l’ispettore scrutando lo schermo, «non sarà così facile.»

«Niente è mai facile. E se lo è, c’è da sospettare un trucco» disse il commissario pensando ancora al caso Malvisi.

«Una delle auto appartiene a una signora di Salsomaggiore, tal Cristina Manenti di anni sessantotto» cominciò a leggere Juvara.

«Non mi pare il nostro caso» mugugnò Soneri.

«Non lo escluderei. A volte l’intestatario non è colui che ha in uso la macchina» fece presente l’ispettore. Che poi proseguì: «La seconda è di un ragazzo di Parma, Giulio Raschi, anni ventinove».

«Proviamo con l’ultima cartuccia» disse Soneri.

«Dottore, questa è a salve.»

«Cosa significa?»

«La vettura è concessa in leasing.»

«E non si sa a chi?»

«Alla Motorizzazione si sono limitati a dirmi il proprietario: è la New Car, con sede in via Carra. La mia fonte mi ha dato solo informazioni sommarie al telefono. Mi ha detto che devo passare di persona per saperne di più. Mi ha fatto capire che c’è qualche problema.»

«Dovranno pur dirci a chi hanno concesso il leasing.»

«Ho riscontrato una certa reticenza. Pare che l’utilizzatore abbia comunicato alla società un nome falso. Così adesso la Motorizzazione minaccia di denunciare la società stessa, ma c’è grande imbarazzo. Anche loro hanno agito con leggerezza.»

Juvara allargò le braccia e si nascose dietro lo schermo. Tutto procedeva a piccoli tratti, come le code in autostrada.

Dopo un po’, l’ispettore riprese: «Non vuole sapere del telefono di Malvisi?» chiese dando l’idea di essersi ricordato solo in quel momento.

Il commissario stava per rispondergli quando un altro telefono, il suo, lo interruppe.

«Stiamo tenendo d’occhio un tizio sospetto» avvisò Musumeci.

«Dove siete?»

«Alla Crocetta.»

Il commissario corse fuori dall’ufficio, quasi travolgendo un agente che stava passando in corridoio. Salì in macchina, sgommò sulla preferenziale e arrivò in pochi minuti. Parcheggiò ai lati del parco Ducale e s’avviò a piedi. Vide Musumeci far finta di passeggiare davanti a una gelateria di via Emilia ovest, ma non si avvicinò. Preferì telefonargli.

«Vedi il nostro uomo?»

«È appena entrato nel negozio di computer che ha di fronte.»

Soneri inquadrò un’insegna: SILICON VALLEY. Pensò a quanto fosse provinciale una città che usava l’inglese per darsi un tono.

«Cosa facciamo?» domandò Musumeci.

«Aspettiamo che esca.»

Attesero una decina di minuti che parvero ore. Quando il tizio s’incamminò sul marciapiede, Musumeci lo fermò mostrandogli il distintivo. L’uomo era alto e magro, ma dall’espressione di sorpresa che mostrò pareva davvero non aspettarsi nulla.

Il commissario si mosse per avvicinarsi, mentre l’uomo estraeva con calma i documenti dal portafoglio. Poi, lui e Musumeci tornarono verso il negozio parlottando. Soneri lasciò che entrassero e dopo qualche minuto la porta si riaprì e i due ricomparvero prendendo due strade diverse.

«Un equivoco» brontolò l’ispettore. «Non c’entra niente, un cliente che ha ordinato delle stampanti per l’ufficio.»

Soneri pensò alla sua fuga precipitosa dall’ufficio e s’immaginò le malignità che ne sarebbero scaturite. Un altro passo falso, un altro buco nell’acqua. Mai come in quel frangente sentiva la fiducia in se stesso scivolare via giorno dopo giorno. Un omicidio irrisolto lo si poteva perdonare, ma una vicenda come quella l’avrebbe trasformato nel bersaglio del tirassegno.

Videro il torracchio all’ingresso del parco Ducale dov’era la sede del circolo La Giovane Italia.

«Andiamo a consolarci là» decise il commissario.

L’interno, buio ed essenziale, dava l’idea di aver appena ospitato una cospirazione. Era uno degli ultimi lasciti della Parma risorgimentale e garibaldina. Musumeci si guardò intorno incuriosito.

«Non conoscevo questo posto» disse.

«Ti dice niente Mazzini?»

«Sì, certo» rispose l’ispettore un po’ infastidito.

Soneri si accorse di averlo offeso e si scusò. La frustrazione lo rendeva antipatico.

«In centro trovi solo vie intestate a eroi del Risorgimento. È la cifra laica e anticlericale della città.»

«Be’, qui in Emilia l’anticlericalismo…» replicò Musumeci.

«Non è detto. Bologna papalina ha vie di santi e il suo colore è il porpora del cardinal legato.»

Musumeci sorrise sorpreso e lievemente ammirato. Non quanto lo fu di fronte alla giovane cameriera che servì un piatto di tortelli con un sorriso che pareva un’alba di maggio. Soneri gli lanciò un’occhiata complice e comprensiva. A quel punto l’ispettore cercò di rientrare nel ruolo.

«Lo prenderemo prima o poi?» domandò

«Ne va della nostra reputazione» rispose Soneri.

«Sono allo stremo, non ci dormo» confessò.

«Tu non rischi nulla, sarò io il bersaglio e quindi il tuo scudo.»

«Siamo sicuri che qualcuno non lo informi?»

«Cosa intendi dire?»

«Ho guardato la cartina e ho messo delle crocette sugli obbiettivi che teniamo sott’occhio. Poi ho cerchiato i luoghi in cui quell’uomo ha colpito: quasi tutti sono circa a metà strada tra un punto sorvegliato e l’altro. È come se quel tizio sapesse dove siamo e agisse a debita distanza, per avere il tempo di fuggire nel caso destasse sospetti.»

Il commissario passò in rassegna a mente la geografia della città e si accorse che il ragionamento di Musumeci non era peregrino.

«Inoltre, come possiamo essere sicuri che non abbia agito in questi giorni? Magari qualche commerciante ha abboccato convinto dall’affare e scoprirà della truffa solo tra qualche giorno» aggiunse l’ispettore.

«Con tutto il cancan che è stato fatto dovrebbe essere proprio scemo.»

«Non dimentichi che c’è ancora chi perde lo stipendio col gioco delle tre carte o alle macchinette» avvertì Musumeci.

«Hai ragione, non bisogna mai essere troppo ottimisti riguardo all’umanità.»

Musumeci sogghignò: «Noi abbiamo a che fare con i diavoli».

«E può essere che tu abbia ragione: forse ne abbiamo uno in casa» concluse il commissario.