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Entrando in ufficio, Soneri ignorò volutamente le mazzette dei giornali, ma l’espressione preoccupata di Juvara riassumeva benissimo ciò che avevano scritto. Qualcuno aveva spifferato della nuova truffa e i cronisti c’avevano inzuppato il pane. Oltretutto, il caso era ormai approdato sulle pagine dei quotidiani nazionali e ciò aveva fatto imbestialire ancor più Capuozzo, che sentiva bollirgli la sedia sotto il culo ogni giorno di più. Ci si erano poi messi anche i parlamentari della città a sventagliare interpellanze in faccia al ministro degli Interni. Completavano il quadro alcune insinuazioni secondo le quali l’imprendibile truffatore risultava ben informato. Un giornale parlava di una presunta “talpa” dentro la questura. La Falchieri si era fatta viva poco dopo.

«Cos’è ’sta storia della talpa?»

«Non ne so niente» nicchiò Soneri. «Non nego di avere sospetti e ne ho parlato con Pasquariello. Quello colpisce sempre in zone lontane dai nostri appostamenti. Non può essere solo una coincidenza.»

«Se anche fosse, non si spiega com’è uscita la notizia.»

«Ho già troppe indagini da fare» reagì con lieve fastidio il commissario.

«Ma non veniamo a capo di niente» replicò il magistrato. «Non s’immagina il putiferio che si è scatenato. Capuozzo sente odore di rimozione e sta muovendo il mondo buttandoci la colpa addosso. In pratica va dicendo a tutti che siamo degli incapaci. E non dimentichi che sono io a condurre l’inchiesta.»

«Facciamo che lei scarica la colpa su di me e io a mia volta mi rifarò con gli ispettori e gli agenti.»

«No, no» tagliò corto la Falchieri, «ho già troppi isterici intorno e non mi va di fare la mamma che canta ninnenanne.»

Il commissario avvampò e stava per replicare quando udì il click. La rabbia gli restò in gola e si sentì come una pistola inceppata. Subito dopo cercò di calmarsi. Aprì a spicchio la finestra e si accese il sigaro. La giornata era appena cominciata e le disgrazie erano già quelle che avrebbe subito in una settimana. Il morale era a terra. Bastava guardare la faccia da penitente di Juvara incollata al video come alla grata di un confessionale. Soneri si sentiva impotente, irretito dentro una trappola che stava corrodendo la sua credibilità. Cercò di uscire da quella situazione. Ci voleva un balzo come quelli di Tinelli quando spuntava dalle botole.

«Controlliamo di nuovo i filmati delle telecamere nelle zone in cui quel tipo ha colpito, magari ci è sfuggito qualcosa» ordinò.

Juvara assentì rassegnato. «Proviamo.»

Era una mossa come un’altra, ma in realtà nessuno sapeva cosa fare.

Soneri richiuse la finestra e spense il sigaro. Stava per uscire alzandosi la mascherina sul viso quando dovette riabbassarla per rispondere al telefono. Era il comando dei vigili urbani che gli comunicava di aver rimosso una vettura la cui targa era tra quelle oggetto di ricerca: una Mercedes Classe A vecchio modello.

Il commissario uscì senza dir niente afferrando fiducioso l’indizio. L’entusiasmo svanì quando pensò che anche quello non era frutto della sua indagine, ma gli capitava addosso allo stesso modo in cui gli era capitato tutto, quasi casualmente. L’ispettore dei vigili completò la delusione quando gli riferì le circostanze del ritrovamento. L’auto era ferma a pochi passi dalla questura, in via Ventidue luglio. L’avevano rimossa perché sostava per metà sulla piazzola di carico e scarico impedendo ai furgoni di parcheggiare.

«Da quanto tempo era lì?» domandò Soneri.

«Da ieri, forse» rispose il vigile. «Siamo intervenuti stamattina perché alcuni commercianti hanno protestato.»

A quel punto Soneri pensò che si trattava davvero di una sfida. Lasciare l’auto a due passi dalla questura, in modo da farla notare e rimuovere, non poteva essere un fatto casuale. Telefonò alla Falchieri limitandosi a comunicare la necessità del sequestro dell’auto col tono di chi parla a una segreteria. Poi avvisò Nanetti per l’esame dell’interno con la speranza di trovare qualcosa di utile. Prima di lasciare la sede dei vigili si avvicinò all’ispettore.

«Non divulghi la notizia, almeno per qualche giorno» raccomandò il commissario.

«Mi pare impossibile» rispose l’altro. «C’era un fotografo quando l’abbiamo caricata sul carro attrezzi.»

«L’avete avvisato voi?»

«Non credo, non lo facciamo mai.»

«Dico non ufficialmente.»

«Qui lavorano duecento persone» rispose sibillino l’ispettore.

Soneri previde un’altra sventagliata di ridicolo sverniciare la sua immagine già ammaccata.

Nel cortile del comando dei vigili comparve Nanetti.

«Nemmeno fosse l’auto di Al Capone!» esclamò. «Se chiamate la Scientifica anche per un ladro di polli, in futuro dovrete fare la fila come al CUP.»

«Non sai che casino…» si giustificò il commissario.

«Lo so, ti stanno rosolando. Devi saltar giù dalla graticola prima che ti mettano in tavola e ti affettino.»

«Se mi dai una mano tu…»

«Vorrei, ma cosa vuoi trovare in un’auto usata come un taxi?»

Nel frattempo era arrivato anche il rappresentante della ditta di leasing proprietaria della Mercedes, un tizio di mezz’età dall’aria severa. Quando apprese che non avrebbe potuto ritirarla subito, si indispettì. Giustificò la fretta col fatto che da alcuni mesi non veniva pagata la rata.

«Avevamo perso le tracce dell’auto anche noi» borbottò.

Soneri impiegò pochi minuti a tornare in ufficio, il tempo sufficiente a rendersi conto di essere di nuovo in balia degli accadimenti. Si sforzava di recuperare un ruolo, ma si sentiva come una cartaccia nel vento.

Appena giunto in questura arrivò la telefonata di Pasquariello.

«Un altro colpo?» si mise in guardia.

«Questa volta gli è andata male.»

«È il nostro?»

«Solo sospetti, ma se è lui ha cambiato obbiettivo. Questa volta ci ha provato con una vecchia, però non ci è cascata.»

«E i sospetti?»

«È uno alto e magro, tutto qui. Pare indossasse una divisa, però non si sa di che tipo. Ma visto l’allarme che c’è… D’altro canto è anche possibile che si dedichi a un altro genere di truffe, avrà sentito il fiato sul collo.»

«Dov’è successo?»

«Borgo Lalatta, al 15.»

Il commissario allontanò la cornetta dalla bocca e si rivolse a Juvara: «Controlla le telecamere nella zona di borgo Lalatta» ordinò.

«Non c’è granché» avvertì Pasquariello. «Solo tre locali hanno l’impianto di video sorveglianza, ma credo che inquadrino pochi metri di strada.»

Solo in quel momento Soneri si accorse che anche quella poteva essere vista come una sfida. Borgo Lalatta non era distante dalla questura. Mancava solo che quel tizio venisse a rubare negli spogliatoi degli agenti.

Doveva agire, sfuggire agli strattoni del caso e alle accelerazioni brutali dei fatti. Uscì senza dire niente e si diresse in borgo Lalatta. Al 15 salì dalla vecchia.

«Meno male che non è in divisa, sennò non le avrei aperto» disse lei.

«Brutta esperienza, lo so…» giustificò il commissario.

«Oh, non è per quello» riprese la donna, «a me le divise non mi hanno mai portato bene. Quand’ero operaia, carabinieri e poliziotti me le davano, poi ho sposato un postino che mi ha lasciata sola con due figli… Allora i postini avevano l’uniforme e il berretto.»

«Quindi non ha aperto a quel tizio… Che divisa aveva?»

«Mi è parso da Guardia di finanza, ma potrei sbagliarmi. Quando vedo quei berretti rigidi con la visiera, io giro alla larga. Però quello aveva un fare così gentile e divertente…»

«Cosa diceva? Scherzava?»

«Una roba del genere. Battute. Ne ha sparate una serie.»

«Ma lei non c’è cascata.»

«No, per fortuna. Stavo per farlo, ma poi m’è venuto un dubbio.»

«Che dubbio?»

«Non ha sentito dell’ultima ordinanza del sindaco? Sono vietate le visite, specie in casa di anziani, i più soggetti a buscarsi il covid. Anche le autorità non possono, a parte i medici e i parenti stretti.»

«E quindi s’è chiesta come mai quello volesse entrare?»

«Senta» si fece seria la vecchia, «intanto uno che scherza in quel modo dev’essere fuori posto dentro una caserma. E poi che ignori le disposizioni del sindaco mi pare paradossale. Siete voi che dovete farle rispettare.»

«Non fa una piega. Ma poi lei ha anche chiamato la questura.»

«Per forza» alzò la voce la donna, «se non era un vero finanziere, come ho sospettato, chi poteva essere se non un ladro?»

«Anche in questo caso non fa una piega» convenne il commissario. «Ha notato qualcosa di particolare in quell’uomo?»

«Che era alto e magro. Poi che aveva una gran parlantina. Anche questo è un po’ strano, non trova?»

«A dire il vero no.»

«Chi è abituato a controllare e a chiedere parla poco. Ha mai visto un’intervista in cui le domande sono più lunghe delle risposte?»

«In effetti è difficile.»

«No, impossibile. Voi siete quelli che domandano.»

La vecchia aveva due occhi pungenti, segno di una intelligenza ancora vivissima, un viso scarno e un caschetto di capelli bianchi come la cima di un monte innevato. Guardava il commissario ondeggiando il capo come una maestra che rimprovera l’allievo zuccone.

«Ha visto dove si è diretto andandosene?» domandò Soneri distogliendo gli occhi da quello sguardo.

«Verso via Repubblica. Ho sbirciato dalla finestra e ho visto che era solo, per di più senza macchina. I finanzieri sono come i carabinieri, vanno sempre in due e la macchina ce l’hanno» stabilì la vecchia, che ormai doveva sentirsi come Miss Marple.

«Dovremmo assumerla in questura» disse Soneri.

«Le ho detto che odio le divise.»

«Avrà facoltà di restare in borghese» concluse il commissario congedandosi. Quando fu sul pianerottolo lei disse: «A una mia amica di novantatré anni è successa una cosa simile e ha chiamato i carabinieri».

Soneri si fermò prima di imboccare la rampa.

«Quando?»

«Ieri. Anche lei un finanziere. O forse un vigile. Poveretta, poi s’è confusa e ha avuto un malore, tanto che l’hanno dovuta ricoverare.»

«Uno alto e magro?»

«Non lo so. Mi ha informato la figlia dall’ospedale.»

Quando uscì camminò facendo un giro largo per riflettere. Si rese conto di non aver acquisito niente di nuovo. L’indagine era al palo e forse si era complicata. Se il truffatore era lo stesso che aveva raggirato commercianti e imprenditori, significava che aveva cambiato strategia e tutto avrebbe dovuto ripartire quasi dall’inizio.

Pasquariello aveva stabilito che l’uomo doveva essere sempre più disperato se ora si dedicava agli anziani, con la prospettiva di grattare qualche gioiello o una mesata di pensione. L’unica cosa certa era che la rete predisposta per catturarlo non doveva essere semplicemente rattoppata come diceva la Falchieri, ma rifatta del tutto.

Uscendo dalla casa della vecchia, si immedesimò nei panni del truffatore. Se era andato verso via Repubblica, doveva essere passato sotto l’occhio di qualche telecamera. Gli venne in mente che ce n’era una nel bar quasi in angolo col borgo. Telefonò a Juvara per chiedergli di sequestrare la registrazione.

«Ci è passato Musumeci» rispose l’ispettore, «io sto visionando altri tre obbiettivi.»

«Quali?»

«In via padre Onorio, in borgo Regale e in borgo Onorato.»

«Trovato qualcosa?»

«Solo una stranezza.»

«Spiegati meglio.»

«In borgo Regale, la telecamera ha inquadrato per un attimo un tizio con la nostra divisa, ma con un particolare che la fa sembrare fasulla.»

«Sarebbe?»

«La cintura. L’ho osservata molto bene e non è delle nostre. Questa è più sottile, come quella dei vigili urbani. Ma è solo un fotogramma un po’ sfocato perché la telecamera non copriva che per un attimo.»

«Un particolare che poteva notare solo un dandy come te.»

Juvara mugugnò qualcosa che sembrava un riso soffocato.

«E poi» aggiunse, «anche questo dell’immagine mi sembra piuttosto alto e magro.»

Soneri riattaccò e si rifugiò negli uffici della Scientifica. Nanetti lavorava in locali defilati dove i clamori della questura arrivavano attutiti.

«Cosa mi dici dell’auto?» chiese Soneri.

«Ho poco da dire» rispose il collega che ancora indossava i guanti di lattice. «È stata guidata l’ultima volta da un tizio di alta statura, come si può capire dalla posizione del sedile. Ci sono impronte prevalenti di un individuo solo, forse proprio questo che l’ha usata e abbandonata in via Ventidue luglio.»

«Tutto qui?»

«No, stiamo esaminando il navigatore, riporta gli ultimi itinerari. Ce ne sono tre che potrebbero esserti utili.»

«Era così sprovveduto da usare il navigatore per girare in città? O forse è uno in trasferta?»

«No, l’apparecchio non è stato programmato. I navigatori hanno inclusa la geolocalizzazione e, anche se non lo programmi, uno esperto ci cava fuori i percorsi. Quindi abbiamo scoperto che quell’auto una settimana fa è stata in via Carmignani più di una volta.»

«Il luogo dell’omicidio? E dove altro è andata?»

«In un mucchio di posti, ma come tutte le macchine. Via Carmignani non è una via dove ci si va se non con un’intenzione. Non ci sono uffici, solo residenze. Ho controllato: una pasticceria, un fruttivendolo e un negozio di alimentari. E la sera sono chiusi.»

«So bene cosa c’è in via Carmignani» tagliò corto contrariato Soneri.

Subito dopo si pentì di quello scatto e cercò di rimediare con un invito.

«Ti porto da Bruno e dalla tua cameriera preferita.»

Nanetti lo squadrò bonariamente minaccioso, poi prese il cappotto e lo seguì.

«Sapevo che non avresti resistito» disse il commissario quando furono seduti sui soliti sgabelli.

«Dici alla fame o alla cameriera?»

«La fame viene più volte al giorno. Con la cameriera non so se ce la faresti.»

«Morirei volentieri soffocato lì in mezzo» sussurrò sognante Nanetti mentre la ragazza si chinava leggermente per sistemare i piatti nel tavolo di fronte.

Il commissario invece era distratto.

«Devi avere guai grossi se una scollatura così ti lascia indifferente» fece notare il collega.

«Per questo ti ho chiesto aiuto.»

«Potessi fare di più… Credo che quel tizio sfugga perché ha buone entrature.»

«Dici la talpa?»

«Ieri ho portato alla Falchieri alcuni risultati di analisi che mi aveva chiesto. A un certo punto le ha telefonato il procuratore e ho intuito che ragionavano di mettere sotto controllo alcuni numeri. Le è scappato detto che era una faccenda delicata e che riguardava la nostra famiglia. Ha detto proprio così» concluse Nanetti.

«Nostri colleghi di sicuro.»

«Senti, quando mai uno così riesce a farla franca per oltre venti volte? È chiaro che è ben informato.»

«Sì, ma da chi?»

«Io qualche sospetto ce l’ho.»

«Calabritti?»

«Potrebbe essere ma è un pesce piccolo. Conosci Magliaro?»

«Quel fighetto profumato che se la tira? Il vice della Digos?»

«Proprio lui. Gira con auto di lusso e fa la bella vita.»

«Sono tanti in questa città» annotò Soneri.

«Poteva farlo Malvisi, consumando il grano che gli ha lasciato il padre, ma un poliziotto come Magliaro? Tutte le sere è al Copacabana e il menù è donne, alcol e cocaina. Nessuno ci mette il becco perché è il locale della Parma-bene.»

«Il naso ce lo mettono loro» ironizzò Soneri alludendo alla cocaina.

«Calabritti va a rimorchio di Magliaro e altri due colleghi. Uno della Narcotici.»

«Quei due mi hanno sempre fatto schifo, ma cosa c’entra con questa storia?»

«C’entra perché al Copacabana erano di casa Malvisi e i suoi soci.»

Il commissario fu di nuovo sorpreso. Rimase sopra pensiero per qualche istante, al punto che non lo distolsero nemmeno la spalla cotta e la cameriera che si era avvicinata col piatto.

«La stessa ghenga di gaudenti pronta a spendere anche cinquecento euro a serata» continuò Nanetti. «Le voci in questura sono ormai tante.»

Soneri persisteva nel silenzio. Sentiva di pagare la sua vita professionale da cane sciolto e quel vivere appartato che non gli permetteva di conoscere la città del divertimento, quella da bere e ingoiare ogni notte vivendo di pancia. Un poliziotto doveva avvoltolarsi nella melma per sentirne l’odore e capirne la consistenza.

«Quindi pensi che l’informatore sia uno di questi nottambuli?»

Nanetti strinse le spalle: «Tra compagni di merende…».