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Soneri si svegliò tardi e fu subito colto dall’affanno. L’idea di essere in ritardo su tutto lo riprese assieme a un generico senso di colpa. Vide che la segreteria telefonica lampeggiava. Sospettò che Angela lo avesse chiamato incassando di nuovo il suo silenzio. Così compose precipitosamente il numero della compagna senza ascoltare il messaggio. Lei gli rispose assonnata.

«Stavo bene finché non mi hai svegliata, ma adesso sto di nuovo bene perché mi hai chiamata» disse lei ingarbugliandosi nelle parole. «La stampa ti ha maltrattato anche oggi?» domandò.

«Sai che la evito.»

«Tra voi in questura c’è qualcuno che spiffera.»

«Chi te l’ha detto?»

«Un collega con cui sono in confidenza.»

«Facile che quel truffatore abbia buone fonti.»

«Facile? Mi sembri nel paese delle meraviglie! La questura ha più falle del Titanic. Certi pappagalli parlano con tutti, anche coi miei colleghi. Basta frequentare i posti giusti e concedere qualche favore.»

«Per posti giusti intendi il Copacabana?» suggerì Soneri.

«Quello e altri. Chi parla lo fa per soldi o per avere qualche piccolo privilegio, ma anche per screditare quelli che fanno bene il loro lavoro, perché sono una minaccia.»

«Con me non hanno appigli.»

«Appunto. Se tu avessi qualche scheletro nascosto non esiterebbero a tirarlo fuori, ma in mancanza di ciò l’unica arma che hanno è sputtanarti, farti parere un incapace. Darti questa patente, con un questore come Capuozzo che non ti può vedere, è facile.»

Di colpo gli sembrava tutto chiaro. Angela aveva passato un colpo di spugna sul suo sguardo appannato. Si sentì di nuovo un ingenuo nel non cogliere segnali che agli altri apparivano evidenti.

«Sono troppo vecchio per rintuzzare anche le beghe d’ufficio» reagì Soneri con tono afflitto. «Già non sto dietro alle indagini.»

«Non fare il piagnone!» gli intimò Angela. «Stasera potrò uscire, così ti darò una lezione di spregiudicatezza. O giochiamo ancora a fare i passeggeri notturni?»

«Non è più necessario. Alla Mariani è partita la brocca. Ritorna nei posti che ricorda e, non trovando quel che cerca, si mette a piangere.»

«Da un certo punto di vista è meglio così: almeno non si rende conto di aver sprecato la sua vita.»

Diede appuntamento ad Angela per la sera e riattaccò. Subito dopo premette il pulsante della segreteria per ascoltare il messaggio. La voce di Juvara gli giunse affannata e precipitosa come stesse correndo: “Dottore, un altro colpo stamattina alle 8.20. Un anziano derubato della pensione appena ritirata. È stato un tizio alto e magro travestito da postino. L’anziano ha avuto un malore ed è in ospedale”.

Il messaggio si interrompeva bruscamente. Gli accadimenti lo incalzavano senza dargli il tempo di ragionare. Si sentì in colpa per essersi attardato a letto mentre quel tizio si lavorava il vecchio.

Si vestì in fretta e si diresse in ufficio. Questa volta non era stata una truffa, ma una rapina vera e propria. L’anziano, prima di cadere in un deliquio di incoscienza, aveva balbettato qualcosa a un’inquilina del palazzo che l’aveva soccorso e che era stata sentita dagli agenti. Da ciò che aveva detto, si era capito che la vittima stava aprendo il portone della sua casa in borgo Riccio, quando un tipo con la divisa delle Poste l’aveva seguito nell’androne chiedendogli di controllare le banconote, con la scusa che c’era stato un errore nel conteggio. L’anziano si era rifiutato e a quel punto il falso postino l’aveva strattonato, spinto contro il muro e minacciato con un taglierino. Dopo avergli sottratto i soldi era scappato.

«Che fosse o no il nostro uomo, anche questa volta ci è sfuggito» constatò Soneri.

Juvara si limitò ad assentire.

«Telecamere? Testimonianze oltre alla signora? Tracce? Segnali?» elencò il commissario.

«Abbiamo otto secondi di immagini della telecamera di una banca» confermò l’ispettore.

«Si vede qualcosa di significativo?»

«Il viso è quasi completamente coperto dalla mascherina, e la divisa è quella che indossavano i postini fino al ’92. Il resto lo sa e ormai è un ritornello.»

«La divisa non è più in uso?»

«I postini oggi non viaggiano quasi più in divisa, e molti hanno le casacche arancioni di aziende di recapiti a cui viene appaltato il lavoro» spiegò Juvara.

Il commissario si ricordò delle parole di Sbarazza e del suo invito a usare l’immaginazione. Obbedendo a un impulso, si alzò, prese il cappotto e si avviò per uscire mentre Juvara lo guardava senza capire. Quando fu sulla soglia lo fermò con un gesto.

«Ho controllato quell’azienda di cui è titolare la Merighi, ricorda?»

«La Ribalta, mica si dimentica un nome a presa di culo come quello.»

«Ecco, sì…» balbettò l’ispettore. «Non so se sia importante, ma ha emesso solo una fattura, finora.»

«A chi?»

«Alla Corale Verdi.»

Soneri si bloccò per qualche istante e si appoggiò allo stipite. Rifletté su quell’informazione, quindi scattò in avanti nel corridoio come se avesse improvvisamente trovato la soluzione.

Sul cartoncino che gli aveva consegnato Sbarazza, lesse l’indirizzo: VIA PO 38. Conosceva bene quella striscia di case di mattoni a vista costruite per i ferrovieri negli anni Venti sul modello inglese: villette monofamiliari con giardino e rimessa a fianco. Sul retro guardavano il greto del torrente Parma là dove si abbracciava col gemello Baganza, appena dopo il ponte Nuovo. Suonò e immediatamente un cane diede l’allarme dall’interno. La porta si aprì e sulla soglia apparve la Scognamiglio. Aveva un vestito lungo molto colorato, i capelli rossi mossi e un piglio da sfilata. Doveva essere stata bellissima e ancora lo si capiva dal portamento. Era quel tipo di donna sicura del proprio fascino che tratta gli uomini timidi con la dimestichezza con cui maneggia uno strumento. La casa aveva stanze colorate con gusto e molti quadri alle pareti. Il commissario si presentò e lei lo condusse in un salotto pieno di drappi e oggetti, ciascuno dei quali aveva l’aria di un ricordo. Soneri osservò le opere appese.

«Alcune sono mie» informò la donna, «se una passa la vita a mettere assieme forme e colori, non può sfuggire alla voglia di dipingere.»

Soneri approvò con un gesto e, visto che si soffermava a guardare, lei indicò uno dei quadri: «Quello è mio».

Era la scena di un carnevale veneziano dall’impronta vagamente surreale.

«Molto attuale» constatò il commissario. E siccome la donna lo fissò perplessa, aggiunse: «Le maschere, dico».

Lei sorrise. «Se dovessi dipingerlo oggi, metterei quelle chirurgiche.»

«Qualcuno si maschera da lei?» chiese bruscamente Soneri.

La Scognamiglio accusò il colpo, poi dissimulò fingendo sorpresa.

«Non capisco.»

«I costumi. Lei noleggia costumi.»

«Anche abiti, se è per quello.»

«A me interessano i costumi. Anzi, le divise.»

La Scognamiglio si fece seria e tacque. Aspettava che il commissario facesse una mossa pronta a balzare fuori da quella che le pareva una trappola.

«Ha affittato delle divise negli ultimi quindici giorni?»

«Da me viene tanta gente, non ricordo.»

«Un tizio alto, magro…»La donna sporse il mento per dire che non sapeva.

Il commissario mostrò di non essere convinto.

«Perché non controlla se dalla sua collezione manca una vecchia divisa da postino?»

La Scognamiglio capì di non poter più sottrarsi e piegò la testa all’indietro, lasciandosi andare contro lo schienale. Anche nell’arrendersi conservava una gran disinvoltura.

«Immagino che qualunque cosa le dicessi lei vorrebbe controllare. O piantonerebbe la casa per aspettare la riconsegna, magari mettendomi il telefono sotto controllo?»

«Vedo che conosce le procedure» annotò Soneri.

«Ho avuto a che fare con dei poliziotti che le hanno applicate su di me.»

«Lei è un’abile spadaccina, avrà sicuramente rintuzzato le accuse.»

«Lasci stare» disse la donna con un sorriso triste, «quelle erano tutt’altre faccende di competenza di un altro tribunale. Comunque non mi sono mai sentita colpevole.»

«E in questa, di faccenda, come si sente?» insistette il commissario.

«Qui tutt’al più posso essere una testimone.»

«E come tale la tratto» confermò Soneri.

«Su quale argomento vorrebbe che deponessi?»

«A chi ha affittato le divise?» chiese alla fine perentorio il commissario, stanco di quella schermaglia.

«A Renzo Zerbini.»

«Uno alto e magro?»

«Sì, non passa inosservato.»

«Che rapporti ha con lui?»

«Niente di particolare. Da quel che ne so fa l’attore e l’animatore di serate nei locali, quindi viene a prendere abiti in base ai personaggi che interpreta.»

«Non sarà facile trovare le sue taglie.»

«Infatti spesso devo arrangiare i costumi per non farlo apparire improbabile.»

«Quando ha preso la divisa da postino?»

«Due giorni fa.»

«E sa a cosa gli è servita?»

La donna aprì le braccia: «Penso per una parte delle sue».

«Ha rapinato della pensione un anziano.»

Lei rimase colpita. Tirò fuori una sigaretta e se l’accese.

«Quella divisa non è più in uso, e per le altre sono autorizzata» precisò cautelandosi.

«Dove trovo Zerbini?» cambiò discorso Soneri ignorando la preoccupazione della donna.

«Non lo so» rispose la Scognamiglio. «Mica sono in confidenza. Me lo presentò Giacomo Malvisi.»

«Di Malvisi era amica?»

«Per un certo periodo ci siamo frequentati, anche se lui era più giovane. Suo padre gestiva la mia azienda sotto il profilo patrimoniale e finanziario.»

«Poi è stata cliente anche di Giacomo?»

«No, ho cambiato. Allora avevo un uomo che mi consigliava.»

«Solo per quello?»

La donna ondeggiò il capo: «A dire il vero è stato per un altro motivo».

«Quale?»

«Riguarda il privato» spiegò titubante. «Insomma, una sera mi aveva convocata nello studio di via Affò per parlare di affari e invece ci provò pesantemente. Sono scappata e non ho più voluto averci a che fare.»

Soneri fece cenno d’avere capito. Entrambi tacquero per qualche secondo, poi la donna riprese improvvisamente.

«Giacomo non poteva che finire così. Fin da piccolo non ha mai avuto esperienza di un rifiuto e per questo non esitava a calpestare chiunque pur di avere quello che voleva. Non era cattiveria la sua, ma incoscienza del limite. Provocava sofferenza con l’ingenuità di un bambino che gioca con una pistola vera.»

Il commissario si alzò nel momento in cui il fox terrier della costumista entrò nella stanza abbaiando. La donna lo zittì e si mosse a sua volta per accompagnare Soneri all’uscita.

«Non le conviene avvertirlo» l’ammonì lui aprendo la porta. «Se lo facesse, questa volta dovrebbe davvero trovarsi un avvocato.»

La Scognamiglio assentì con un cenno d’intesa.