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«Era destino che finisse così» balbettò mortificata l’agente Vicini in piedi di fronte al commissario che invece appariva del tutto rilassato.

«Per favore, non cominciamo coi fatalismi» dichiarò pensando alla discussione con Angela della sera prima.

«Vuol dire che è ancora peggio» disse la ragazza. «Significa che è colpa mia.»

«Se quella si è insospettita, è perché qualcuno le ha riempito la testa di raccomandazioni» spiegò Soneri.

«Se fossi riuscita a capire dov’è entrata…»

«Dove non sono gradite le visite di estranei» chiosò il commissario.

La Vicini assentì con aria contrita.

«Non te la prendere» la consolò Soneri, «anche le leonesse il più delle volte corrono a vuoto.»

«Io la preda l’avevo annusata» protestò l’agente. «Se posso essere ancora della partita…»

«Per ora no» rispose il commissario. «La carta è stata giocata e due volte non si può.»

Dopo qualche minuto entrò Musumeci.

«Cosa è successo alla Vicini?»

«Niente, è stata seminata e c’è rimasta male. Scommetto che sei intenzionato a consolarla.»

«Mi ha schivato come una pozzanghera.»

«Colpa mia. Ho sottovalutato Artenice Ferrari» ammise il commissario. «La pensavo un’innocua governante e invece è una faina. Non credo che ci abbia messo molto a capire che la Vicini la seguiva. Cosa poteva fare una con quella faccia da ragazzina sempre nei paraggi?»

«E così la traccia si è persa» concluse Musumeci.

«Non so» valutò pensoso Soneri. «Artenice potrebbe sospendere le visite. Oppure chi l’accoglie in via Carmignani potrebbe sloggiare sentendosi scoperto. Ma anche restare lì.»

«Dottore, ma lei vuole andarci in fondo o no?»

«No» rispose il commissario tranquillo. «In questa storia ci sono stato trascinato e i fatti mi hanno sempre preceduto. Proprio per quello aspetto che si facciano vivi loro. E se non lo fanno, non me la prenderò più di tanto.»

L’ispettore lo fissò incredulo. Non l’aveva mai visto così rinunciatario e disinteressato. Ma lo stupore lasciò presto il posto al sospetto.

«Dica la verità» sogghignò, «lei ha in mente qualcosa che non vuole dirmi. Intende stupire tutti?»

«Macché, lascio che sia il destino a decidere» ribatté pensando di nuovo alla discussione con Angela. Musumeci, di nuovo stupito, non disse niente e uscì. A quel punto il commissario indossò la mascherina e si preparò per uscire a sua volta. Il covid aveva steso Capuozzo, mentre Cantamessa si guardava bene dal prendere iniziative con la scusa che le riunioni in presenza non si potevano fare e quelle in video si scontravano con la cronica inefficienza dei computer della questura. Così, l’inerzia del questore vicario, in una città anestetizzata dal contagio, aveva indotto una provvidenziale bonaccia. E in quel mare piatto Soneri si apprestava a fare il morto.

Stava azzerando ogni incombenza cancellandola dalla lista, quando il destino si fece vivo nelle vesti di Nanetti che irruppe in ufficio con insospettata spavalderia.

«Posso completare lo studio» annunciò trionfante. «Dalla banca del midollo mi hanno mandato tutte le informazioni che ho chiesto.»

«Stavolta il Nobel non te lo leva nessuno» disse Soneri già in piedi pronto per uscire.

«Potresti provarci anche tu, se tirassi fuori le poesie che tieni nel cassetto» ribatté Nanetti.

«Scrivo solo verbali e relazioni, ma in buona prosa.»

Nanetti mostrò un CD: «La stampante del mio ufficio s’è inceppata, voi ne avete una qui o pagate un amanuense a ore?».

«Grazie a Juvara potremmo anche riprodurti in 3D, ma ne abbiamo già abbastanza di uno» sibilò il commissario.

«Ah! 3D! Complimenti! Stai facendo un corso serale?»

Soneri lasciò perdere, mentre Juvara, dopo aver inserito il CD, mise in moto la stampante che già sputava fuori i primi fogli.

«Ti costerà un tantino più della copisteria» avvertì il commissario.

Nanetti non lo ascoltava e verificava la stampata.

«Hanno fatto le fotocopie delle schede e non hanno nemmeno cancellato il nome» si stupì.

Il commissario si accostò: in alto a destra c’era scritto: “Donatore volontario esterno: Masetti Alfredo”.

«Cosa vuol dire “volontario esterno”?» domandò Soneri.

«Presumo che significhi uno che si offre per donare senza essere compreso nella lista della banca.»

«Forse per affinità genetica?» azzardò il commissario.

«È necessaria per il buon risultato del trapianto» confermò Nanetti.

«Dunque dev’essere uno della famiglia.»

«Non è detto. A volte si trova la compatibilità in soggetti lontani dalla cerchia dei parenti.»

«Juvara, vedi se trovi qualcosa su questo Masetti» ordinò Soneri.

L’ispettore si scatenò battendo sui tasti con una velocità che lasciava sempre stupito il commissario.

«Su Facebook ci sono tre profili omonimi» annunciò Juvara, mentre Soneri si avvicinava per guardare lo schermo. «Direi di provare con questo che è di Parma» aggiunse.

Nemmeno il tempo di un “sì” e già comparve il viso dell’uomo. La voce “informazioni” riportava solo l’indicazione della città accanto alla foto che ritraeva un tipo robusto dal viso squadrato e l’aspetto tranquillo. Juvara aprì la pagina delle foto. Ce n’erano una ventina, compresi un paio di primi piani. Poi cani, una casa di campagna, alcuni scorci di città visitate, un rifugio in montagna e un banco di caldarroste. La penultima foto ritraeva un gruppo di persone. Quando Juvara l’aprì, Soneri sussultò: al centro, Masetti sorrideva in tutta la sua stazza a stento contenuta da una gran camicia a quadrettoni, ma il terzo alla sua sinistra era Ferrari.

«Ingrandisci per favore» ordinò all’ispettore.

L’operazione sgranò leggermente la foto senza però lasciare dubbi.

«Forse è un parente, o un amico stretto» rifletté tra sé Soneri che immediatamente dopo chiese a Juvara di scoprirne il grado.

Nanetti sollevò lo sguardo dai fogli. «Pensi che possa c’entrare con…» disse interrompendosi subito senza riuscire a concludere.

«Penso che tu sia l’uomo del destino» ridacchiò il commissario battendogli le mani sulle spalle e lasciandolo impalato in mezzo alla stanza avviandosi in corridoio.

Appena fuori si accese il sigaro e camminò placidamente sul Lungoparma osservando l’andirivieni di nutrie nel greto. Tra i pioppi si udiva ogni tanto un grido di fagiano. Un percorso familiare che si mostrava a poco a poco, tanto consentiva la nebbia. Arrivato al ponte Dattaro, svoltò in via Langhirano ed entrò nel quartiere Montanara. Pochi minuti dopo suonava a Gastaldi.

«Stai ancora interessandoti al caso di quello là?» fece l’uomo con un cenno in direzione dell’altra parte della via dov’era l’ufficio di Malvisi.

«M’informo» rispose distrattamente Soneri. «Conosci un tal Masetti che abita all’1?» domandò di rimando scostando le tende per osservare il pianterreno dov’era avvenuto l’omicidio.

«Non mi dice niente quel nome» rispose scuotendo il capo l’uomo. «E poi all’1 ci abita un mucchio di gente che cambia in continuazione.»

«Se non lo sai tu non lo sa nessuno.»

«Una volta sì. Adesso non c’è più il partito. Tutto finito. Sai che fino agli anni Ottanta avevamo un compagno in ogni palazzo che ci raccontava ogni avvenimento? Non c’erano fermento, disagio o inquietudine che non venissero registrati.»

«Forse è un parente dell’assassino di Malvisi.»

«Questo è un quartiere che ogni anno sbiadisce un po’. I vecchi muoiono, bambini ne nascono pochi, molti vanno ad abitare in campagna per avere la villetta e tutto tende ad assomigliare al palazzone dell’1: un gran mischione.»

«Speravo che lo conoscessi» si rammaricò Soneri.

«Provo a telefonare a una persona che abita lì, uno dei pochi che conosco» promise Gastaldi avviandosi in corridoio con passo ciondolante. Quando tornò aveva un foglietto in mano.

«Abita nella scala B al quarto piano. Il mio conoscente dice che è venuto ad abitare lì da poco, forse un anno, e che prima stava a Calestano. Da quel che ne sa vive da solo.»

L’uomo porse il biglietto al commissario. Era tutto segnato con ordine come fosse la scheda anagrafica di una tessera di partito.

«Sei stato molto utile» lo ringraziò Soneri. «Tu e il prete siete rimasti gli unici a conoscere quel che vi sta intorno.»

«Il prete no» rise Gastaldi, «hanno mandato un angolano che appena mastica la nostra lingua.»

Il commissario lo salutò: «Tieni botta, eh!».

L’altro scosse la testa incredulo. «Sto in piedi ed è già molto» disse nel vano della porta mentre Soneri già scendeva la prima rampa.

Attraversando la via lo colse il presentimento che fosse l’ultima volta che vedeva Gastaldi. Poi quel pensiero si dissolse per lasciare il posto alla tentazione di salire al quarto piano del palazzo all’1. Non era sicuro che fosse il momento giusto. Mentre rifletteva, telefonò Juvara.

«È il cugino» annunciò. «Precisamente, è il figlio del fratello della madre di Ferrari. Vuole sapere altro?»

«No, è sufficiente» ringraziò Soneri. «Un affare di famiglia» aggiunse.

«Come ha detto?»

«No, niente» tagliò corto il commissario riprendendo a camminare.