KRISTOFF lasciò Josef nel laboratorio e corse in casa. Si fermò un istante in cucina per riprendere fiato e fissò la mezza pagnotta di challah che era rimasta sul bancone dalla cena di qualche ora prima, quando con ogni probabilità Frederick era ancora incolume. Potrebbe essersi salvato, si disse. Forse era riuscito a scappare dal tempio o non ci era ancora arrivato, quando i tedeschi avevano appiccato il fuoco. Sudava, anche se in cucina l’aria era già fredda: la fiamma nel caminetto della sala da pranzo era ormai un cumulo di deboli braci gialle e azzurre.
Salì le scale in punta di piedi pregando di non svegliare Miriam o la signora Faber per non dover spiegare, nel cuore della notte, ciò che gli aveva detto Josef. Forse si è sbagliato, pensò mentre bussava piano alla porta di Elena.
La ragazza gli aprì subito – evidentemente non dormiva ancora – e gli lanciò un’occhiata torva. «Che c’è?» sibilò. «È notte fonda.» Come se lui non lo sapesse.
Quanto avrebbe voluto dirle di tornarsene a letto e, mentre lei dormiva sognando pacificamente, andare in città, trovare Frederick sano e salvo e, il mattino dopo, scoprire che l’accaduto non era stato altro che un terribile malinteso. Elena non avrebbe mai scoperto niente. Però non poteva certo lasciare sole in casa lei, Miriam e la signora Faber. E andare in città sarebbe stata una follia se, come affermava Josef, i tedeschi erano già arrivati. «C’è Josef», annunciò prima che il coraggio gli venisse meno.
«Cosa?» esclamò Elena con un tono di voce diverso. Non ce l’aveva più con lui per essersi presentato in camera sua. «Che c’è? Kristoff?» Gli afferrò la manica della camicia, aggrappandosi a un lembo di stoffa. «È successo qualcosa?»
Lui deglutì a fatica, incapace di pronunciare parole tanto difficili. «Vestiti e vieni nel laboratorio», disse a bassa voce. «Parleremo là.»
Nel laboratorio, trovarono Josef seduto sulla poltrona di Frederick accanto al camino.
«Che c’è?» gli domandò Elena appena varcò la soglia. «Cos’è successo?»
Kristoff chiuse la porta e Josef parlò con voce ferma, raccontandole dell’incendio al tempio esattamente come lo aveva raccontato a Kristoff.
«Ma mio padre è scappato», replicò Elena. «Non è vero? Dev’essere fuggito prima dell’incendio. Ne sono sicura. È un uomo pieno di risorse, lui.»
«Starà tornando a casa, vedrai», s’intromise Kristoff, e lei gli rivolse un sorriso riconoscente. Josef invece lo fulminò con gli occhi, si alzò e strinse Elena in un abbraccio. Kristoff distolse lo sguardo e si avvicinò al camino. In sua assenza, Josef aveva aggiunto della legna e ora la fiamma ardeva vivace. Kristoff finse di scaldarsi le mani quando, in realtà, teneva lo sguardo fisso sul fuoco per risparmiarsi lo spettacolo.
Josef sussurrò qualcosa a Elena, parole che lui non riuscì a cogliere.
«Non m’importa. Mio padre potrebbe essere ancora in pericolo», replicò la ragazza.
«Dai, Elena!» Josef alzò la voce. «A questo punto il nostro compito diventa ancora più importante. Stanno bruciando tutto.»
«Quale compito?» Kristoff si voltò di nuovo a guardarli e vide che Elena si era staccata da Josef. Adesso era appoggiata al tavolo da lavoro, con le braccia conserte.
«Non stavo parlando con te», replicò Josef. «Anzi, non so nemmeno che ci fai ancora qui.»
«Josef, smettila», lo redarguì Elena.
«Quale compito?» ripeté Kristoff, e questa volta interpellò direttamente Elena.
La ragazza lo ignorò e si rivolse di nuovo a Josef. «Dobbiamo andare a cercare mio padre. Con questi discorsi stiamo solo perdendo tempo.»
Josef annuì e le poggiò per un attimo la mano sulla spalla. «D’accordo», le disse. «Vado io.»
«Vengo con te», replicò lei.
«No, tu resta qui, nel caso tuo padre torni a casa prima che io riesca a trovarlo. Sarò di ritorno il prima possibile.» Josef si voltò verso Kristoff e lo guardò dritto negli occhi. «Se le succede qualcosa in mia assenza», gli disse, «ti ammazzo.»
«Non far caso a lui», commentò Elena appena Josef se ne fu andato. «È un po’ rude, ma ha un cuore d’oro.»
«Come no», borbottò Kristoff. «Ecco perché ha minacciato di uccidermi.»
«Non diceva sul serio», insistette Elena.
Kristoff era convinto che fosse serissimo, invece. Ma in ogni caso non avrebbe mai permesso che accadesse qualcosa a Elena, a Miriam o alla signora Faber. D’altronde, lo aveva promesso a Frederick. E se anche non glielo avesse promesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa per garantire la salvezza dei Faber.
«A quale compito si riferiva Josef?» le domandò. «Che cosa fate insieme?» Elena aveva finito la scuola in primavera e, anche se in famiglia avevano parlato di una sua iscrizione all’università a Vienna – Frederick si augurava che proseguisse gli studi accademici e ampliasse ulteriormente le sue conoscenze –, all’indomani dell’annessione la decisione era rimasta in sospeso. Non sapendo bene che cosa facesse tutto il giorno, Kristoff presumeva che Elena aiutasse la madre nelle faccende domestiche mentre Miriam era a scuola.
La ragazza si mise a sedere sul tavolo da lavoro, con gli stivali penzoloni dal bordo, e Kristoff si spostò leggermente, attento a non sfiorarla. «Io e Josef stiamo cercando un modo per fermare i tedeschi», gli rispose. «E per aiutare gli ebrei a lasciare l’Austria. Restare qui è diventato rischioso. Si sono già presi tutto e ora appiccano incendi ovunque.» Sospirò. «Qui dentro abbiamo strumenti da incisione di ogni tipo.» E passò la mano sul tavolo da lavoro. «Stiamo discutendo su come usarli per falsificare delle carte. Dei documenti…»
«Ecco perché non volevi che tuo padre ti sorprendesse mentre ti esercitavi.» Kristoff era convinto che Frederick non avrebbe approvato che la figlia imparasse a incidere solo per sfruttare il mestiere a scopi illegali.
Elena annuì e saltò giù dal tavolo. «Papà starà congelando. Mi converrà portarmi dietro una coperta e vedere se riesco a raggiungerlo nel bosco. Non vorrei che fosse sfuggito all’incendio per poi morire di freddo.» Prese la vecchia coperta appoggiata sullo schienale della poltrona e ne fece un fagotto.
«Non puoi andarci adesso», protestò Kristoff mentre lei già si avviava alla porta. «Josef ha detto di aspettare. E poi i tedeschi…»
«Non m’importa dei tedeschi», replicò Elena. «Conosco questi boschi meglio di loro. Me la caverò. E poi non posso restare qui a parlare con te mentre mio padre è là fuori. Non m’importa di quello che ha detto Josef.»
Aprì la porta e si lanciò nell’aria gelida della notte prima che Kristoff potesse fermarla. E a lui non rimase altra scelta che afferrare la lanterna e correrle dietro.
Camminavano in silenzio fra gli alberi, con la sensazione che persino i gufi e i cervi fiutassero il pericolo nella città oltre il bosco. Kristoff non aveva mai visto una notte tanto silenziosa e immobile. Né tanto fredda. L’unico rumore che sentiva mentre camminavano era lo scricchiolio degli stivali sui ramoscelli e sulle foglie secche. Ma il lieve odore di fumo gli invadeva le narici. Cercò di escogitare un piano da mettere in atto nel caso in cui i soldati tedeschi li avessero sorpresi a camminare per i boschi di notte. Più della minaccia di Josef lo spaventava l’idea di perdere Elena, così la prese a braccetto nel futile tentativo di aggrapparsi a lei, di tenerla vicina, al sicuro. Se i tedeschi li avessero scovati, il fatto che lui l’avesse presa sottobraccio non avrebbe significato niente. Ma, per fortuna, nel bosco non c’erano soldati: erano tutti in città.
Quando finalmente raggiunsero il margine della foresta, Elena si staccò e corse verso gli ultimi alberi di fronte a lui. La città si estendeva davanti a loro ai piedi della collina, in fondo alla radura. Pur nell’oscurità, la videro tutta distintamente, con i suoi bagliori rossi e arancioni, le colonne di fiamme e di fumo.
Elena si portò una mano alla bocca, inorridita. «Non hanno incendiato solo il tempio. Sta bruciando tutto», disse. Forse non aveva creduto fino in fondo al racconto di Josef prima di verificarlo con i propri occhi. «Hanno distrutto ogni cosa.»
Kristoff avrebbe voluto parlare, ma cominciarono a bruciargli gli occhi e la gola per via del fumo. D’istinto afferrò la mano di Elena per paura che la ragazza potesse mettersi a correre in direzione della città, del fuoco… di suo padre. Invece lei non si mosse.
Il ragazzo avrebbe voluto distogliere lo sguardo dalle lingue di fuoco che si protendevano verso il cielo notturno. Avrebbe tanto voluto farlo, ma per parecchio tempo non ci riuscì.
Quella notte non dormì. Dopo aver convinto Elena a tornare indietro e ad attendere il ritorno di Frederick e qualche notizia da parte di Josef, si sedette con lei nel laboratorio, in silenzio.
Non toccarono gli attrezzi né si esercitarono con le lastre come avevano già fatto a notte fonda in passato.
Elena sedeva accanto al focolare e fissava le fiamme senza dire una parola, mentre Kristoff si chiedeva se anche lei continuasse a vedere in quelle lingue di fuoco l’immagine della città che bruciava.
Alla fine, quasi d’istinto, con le dita che fremevano dalla voglia di afferrare il carboncino, prese il blocco da disegno e cominciò a ritrarla. Elena, la ragazza che conosceva, che amava, era ancora lì. Ancora perfetta. Le linee che tracciava sul foglio bianco confermavano la sua incolumità e contribuivano a tranquillizzarlo.
Quando nel caminetto del laboratorio rimasero solo le braci, il sole si affacciò sopra la collina. Aveva cominciato a nevicare, e i soffici fiocchi bianchi che ricoprivano il cortile parevano fuori luogo.
Finalmente Elena si alzò. Aveva i capelli arruffati, l’abito sporco, sgualcito, strappato in fondo, e le occhiaie a riprova che non aveva dormito. Il tempio si trovava a soli venti minuti di cammino da casa Faber. Se Frederick fosse riuscito a fuggire, a quell’ora avrebbe dovuto essere già lì. «Devo dirlo a mia madre», annunciò Elena.
«Vuoi che venga con te?» le domandò Kristoff.
Impassibile, lei alzò il mento mostrando uno stoicismo straordinario, già splendido di per sé. Una caratteristica che Kristoff si augurava di essere riuscito a cogliere nel ritratto che le aveva fatto e che invece, a ben guardare, risultava inespressivo.
«Elena», mormorò afferrandole la mano come aveva fatto poche ore prima, ai margini del bosco. Era sul punto di piangere, ma s’impose di non farlo davanti a lei.
«No», replicò la ragazza sfuggendo alla sua presa. «Tu resta qui ad aspettare Josef. Voglio parlarle da sola.»