SE Benjamin ha ragione, se non può essere una coincidenza che mio padre abbia questo francobollo nella sua collezione, allora deve in qualche modo aver saputo del legame fra la nonna e nonno Gid e Frederick Faber. E quel ricordo dev’essere ancora radicato nella sua memoria, un frammento di passato che resiste al vaglio della malattia, anche se quasi tutto il resto si perde. Per quale altro motivo avrebbe dovuto collocare l’edelweiss nel suo dipinto?
Sto andando a Willows, armata del ritratto che mi ha portato Daniel, quello della sconosciuta con la stella alpina nascosta fra i capelli. Spero che oggi mio padre mi dia qualche risposta. Spero che in qualche oscuro recesso della mente custodisca la chiave di ciò che è accaduto a Kristoff ed Elena.
«Ah, bene, l’hai ricevuto.» Al mio arrivo, Sally indica il dipinto che tengo sottobraccio. «L’ho dato a tuo marito quando è stato qui la scorsa settimana.»
«Ex marito», puntualizzo io. Dire la verità è liberatorio e Karen aveva ragione, mi sento davvero meglio ora che è finita.
Sally accoglie la mia precisazione con un semplice cenno del capo e non indaga oltre. D’altronde, perché dovrebbe? «Stamattina Ted è in ottima forma», mi annuncia. Sollevata, mi scuoto di dosso un po’ dell’agitazione che avevo per strada. È assurdo che io sia sempre così nervosa quando vengo a trovarlo, visto che è mio padre. Ma non so se riuscirò mai ad accettare il fatto di non poter prevedere se il nostro incontro avrà un esito disastroso. «Ah.» Mi accorgo che Sally sta ancora parlando. «Ne ho altri cinque o sei, se li vuoi», mi informa indicando di nuovo il dipinto.
«Altri disegni di mio padre?»
Sally annuisce. «Comunque, sono tutti uguali. Ultimamente al corso di arte ritrae sempre tua madre», mi spiega. «Che cosa tenera.»
«Questa donna non è mia madre.»
«Davvero? Ah… Io. Be’, era per quello che te li avevo conservati tutti.»
«Per quale motivo pensavi che fosse mia madre?» le domando incuriosita. È strano che lei e Daniel abbiano preso lo stesso abbaglio a proposito del dipinto.
Sally si mostra esitante. «Continuava a ripetere che stava ritraendo ‘il suo amore’ e io ho immaginato che… Ma forse…» Balbetta un po’, come se si fosse scavata la fossa da sola e non sapesse come uscirne. Poi mi rivolge un sorriso mesto. «Ti conviene andare da lui», taglia corto. «Io vado a prendere gli altri dipinti nell’armadio, così prima di andartene potrai decidere se li vuoi o no.»
Mentre percorro il corridoio per raggiungere la stanza di mio padre, osservo di nuovo il ritratto. Il suo amore. Davvero ha perso a tal punto la memoria da non ricordare il viso di mia madre? Mi spezza il cuore sapere che ormai a tenerla in vita siamo solo io e la nonna, con i nostri ricordi fumosi. Possibile che mio padre, quest’uomo che ho sempre amato e rispettato, e in cui ho riposto tutta la mia fiducia, avesse una relazione? Che amasse una donna che non era mia madre?
«Caterina la Grande!» esclama in tono vivace, scorgendomi sulla porta. L’uomo che conosco da sempre. È ancora qui.
«Ciao, papà.» Entro in camera ostentando una certa allegria, ma il mio tono di voce è piatto come le decorazioni natalizie di cartone appese nel corridoio.
«Qualcosa non va, tesoro?» mi domanda lui. Vorrei tanto raccontargli ogni cosa. In questo suo breve momento di apparente lucidità vorrei raccontargli gli ultimi mesi della mia vita: la rottura con Daniel e le scoperte che abbiamo fatto io e Benjamin. Chissà perché, più di tutto vorrei raccontargli del colore dei mattoni a Oxford, dell’odore di fango che aleggiava nell’aria e del fatto che Benjamin si sia affezionato quanto me a quel francobollo e alla sua storia.
Invece mi limito a dirgli: «Io e Daniel abbiamo divorziato».
Lui annuisce, per niente sorpreso dalla notizia. Cerco di capire se sia stato Daniel a dirglielo quando è venuto a trovarlo (e se sia possibile che se lo ricordi ancora a distanza di una settimana) o, piuttosto, se lo aspettasse da sempre come qualcosa di inevitabile. «Stai bene?» si decide a chiedermi.
«Credo di sì», rispondo con sincerità. «Forse sono fatta per stare da sola.»
Quando mi posa una mano sulla spalla, mi rendo conto che questa è la prima vera conversazione che abbiamo da mesi. Voglio gustarmela, assorbirla, dilatarla e conservarne il ricordo per giorni.
«Sai che ti dico, tesoro? Troverai qualcun altro.» Mi stringo nelle spalle, e lui prosegue: «Non esiste un unico vero amore per ciascuno di noi. Personalmente, non ci ho mai creduto. Ci possiamo innamorare e, quando quell’amore finisce, possiamo innamorarci di nuovo, di qualcun altro».
«Come è successo a te con la mamma?» Srotolo il ritratto e glielo avvicino. «Il tuo amore?» gli chiedo puntando il dito sulla donna che ha dipinto. «A un certo punto hai smesso di amare la mamma e ti sei innamorato di lei?»
Lui s’incupisce e percorre con il dito i lineamenti della donna. «È una storia che risale a molto tempo fa», si decide a dirmi. «Ci sono cose di me che non hai mai saputo. Cose che sono accadute molto prima della tua nascita.»
Mentre cerco di comprendere le sue parole, mi appare tutto perfettamente ovvio, eppure così inaspettato. Non avevo mai pensato che mio padre potesse aver avuto un’altra vita, un altro amore, prima di me e di mia madre. Che potesse essere stato un’altra persona, non semplicemente il mio papà. Molto tempo fa. Non c’è da stupirsi che stia rivivendo il suo lontano passato proprio ora che la sua memoria a breve termine ha cominciato a svanire. Con il progredire della malattia, sta tornando indietro nel tempo per riviverlo, quel passato. «Quali cose?» gli domando. Voglio conoscere la sua storia finché ne conserva il ricordo. Voglio comprenderlo prima di perderlo del tutto. Principalmente è per questo che ho voluto far valutare i francobolli. Non sono ancora pronta a lasciarlo andare.
«Ci sono cose di me che non sai, Rissa», prosegue, con la voce che s’incrina quando pronuncia il nome di mia madre. Non lo correggo perché voglio ascoltarlo, voglio sapere che cosa sta ricordando. «Un tempo ero un’altra persona», mi rivela.
La nonna mi aveva detto di non aver mai conosciuto Frederick Faber, ma solo Charlie. Qui era un’altra persona, mi aveva spiegato.
«E non puoi arrabbiarti per questo.» Aveva fatto arrabbiare mia madre? Possibile che le avesse raccontato dell’altra donna, e che lei avesse reagito malamente?
«Non sono arrabbiata», replico io. Le sue dita si soffermano sui capelli della donna. Ne percorre ogni tratto, ogni minimo dettaglio, i petali che ho notato ieri sera. «Una stella alpina?» mi azzardo a dire.
«Prova di singolare audacia», ribatte lui.
«Prova di singolare audacia, diceva sempre mio padre.» Erano state quelle le parole pronunciate da Miriam nella sua squallida stanza di Raintree. «Come hai detto?» gli domando.
Lui cerca di spiegarsi: «Era la prova che l’amavo».
Elena amava Kristoff, ci aveva raccontato Miriam. E l’unica donna che avesse mai conquistato Kristoff era Elena… Poteva darsi che quel francobollo fosse proprio di Kristoff.
Non può essere una coincidenza, ha insistito Benjamin ieri sera.
Lo guardo di nuovo, quest’uomo che conosco da tutta la vita. Mio padre. Ted. E se tutto ciò che ero convinta di sapere sul suo passato, su ciò che ha vissuto prima della mia nascita, non fosse vero? Quanti anni aveva nel 1939? Mi sforzo di fare un rapido calcolo mentale. Venti. Ventuno? Lo vedo fissare il ritratto con nostalgia, con struggimento, con… amore? Un tempo ero un’altra persona. E poi non vedo più mio padre.
«Kristoff?» Quel nome mi sfugge e, nel pronunciarlo, resto incredula. A dire il vero, non mi aspetto alcuna reazione da parte sua. La nonna è convinta che sia nato in Germania, a Brema. Era un professore di storia e collezionava francobolli, non li incideva.
Invece lui alza lo sguardo incrociando il mio e accenna un sorriso, come se attendesse da sempre questo momento.