STRINGEVO forte le lettere, attenta a non sciupare i francobolli. Incurante della nevicata e dei piedi intirizziti, fradici negli stivali dalle suole consumate, attraversavo imperterrita il bosco diretta in città, con le buste all’asciutto sotto il cappotto. Ancora pochi passi, ripetevo tra me e me. E, pur consapevole che fosse una menzogna, continuavo ad avanzare.
Ancora pochi passi. Pochissimi.
Dovevo soltanto entrare in città e inviare le lettere dall’ufficio postale di Wien Allee. Soltanto spedire quelle lettere e non sarebbe successo niente.
Finalmente raggiunsi la radura ai margini del bosco e lì, attraverso il turbinio dei fiocchi, nell’azzurro rosato dell’alba, scorsi in lontananza i tetti rossi dei pochi edifici rimasti.
Ecco Wien Allee. Ero quasi arrivata.
Il gelido calcio della pistola contro la tempia mi colse talmente di sorpresa che non mi sfuggì nemmeno un grido, prima che l’uomo mi afferrasse per il braccio e le lettere mi cadessero di mano, sulla neve immacolata.
Stavo per essere uccisa, e a un tratto capii di non voler morire. Ci tenevo a restare in vita. Non volevo lasciare questa Terra, l’Austria, mia madre e Kristoff. Non così.
Cercai di divincolarmi e con la coda dell’occhio vidi l’uomo che mi puntava la pistola alla testa. «Josef?»
Lui abbassò l’arma, fece un passo indietro e si chinò a raccogliere le lettere.
«Josef, mi hai spaventata a morte. Che stai facendo?»
«Dovevo attirare la tua attenzione. Impedirti di andare in città. I soldati tedeschi sono dappertutto. Hanno già raggiunto casa tua.»
«E allora? Saranno venuti a prendere l’ultima matrice realizzata da Kristoff.»
Avevo lasciato Kristoff a casa, beatamente addormentato. L’avevo baciato sulla guancia e gli avevo sussurrato quanto l’amavo. Lui si era mosso appena: persino nel sonno aveva avvertito il mio amore, ma non si era svegliato.
Quella notte gli avevo promesso che di lì a poco saremmo partiti per Brema. E che non avrei fatto stupidaggini. Ma non avevo intenzione di andare in America con lui, adesso che stavamo facendo un buon lavoro e che avevamo finalmente scoperto dove si trovava mia madre. Per mesi Josef aveva cercato di convincermi a far espatriare Kristoff. Io ero abbastanza brava da poter incidere i documenti da sola. E sapevamo entrambi che Kristoff non era tagliato per il genere di attività che svolgevamo. Josef continuava a dirmi che l’unico modo per salvargli la vita era lasciarlo andare. E aveva ragione, lo sapevo anch’io. Eppure non ero ancora riuscita a farlo. Quella mattina mi ero messa in testa di consegnare io le lettere e poi di tornare a casa e di portare Kristoff a Brema, ripromettendomi di accompagnarlo io stessa per accertarmi che si mettesse in salvo, come avevo fatto con Miriam.
«No», tagliò corto Josef. «Cercano noi.» Scossi la testa. Non gli credevo, non potevo credergli. «So quello che hai fatto», proseguì lui. «E lo sanno anche loro.»
«Nessuno farà caso a una ragazza con un plico di lettere, nemmeno se è ebrea. E Kristoff è nel panico, troppo nervoso per andare all’ufficio postale.»
«No», ripeté Josef. «Non mi riferisco a queste lettere, ma al francobollo. Ne hai spedito uno a tua madre, vero?»
Era vero. Alcune settimane prima avevo spedito a mia madre una lettera con uno dei nostri francobolli. Josef sollevò la pistola e per un attimo temetti che mi sparasse. «Io… no», replicai senza convinzione.
«Accidenti, Elena, non mentirmi. Ne mancava uno. Li ho contati, ieri sera. E mi sono chiesto dove potesse essere finito, che cosa potesse averci fatto Kristoff. Ma poi ho capito che Kristoff non c’entrava. Sei stata tu.»
Era tutto vero. Inutile mentire. «Ho spedito una lettera sola, con un solo francobollo», ammisi. «E nella lettera non ho scritto niente che i tedeschi potessero decifrare. Ho solo nominato il libro preferito di mio padre sull’edelweiss. Nient’altro. Ma lei capirà. Guarderà il francobollo, leggerà le mie parole e capirà che siamo tutti salvi.»
«È finita. Nell’attimo in cui quella lettera è arrivata al campo e i censori tedeschi l’hanno esaminata, hanno scoperto il francobollo. Sono già venuti a cercare Kristoff e presto verranno a cercare anche noi.» Josef si sforzò di non alzare la voce, ma il suo viso si tinse di un rosso inquietante.
«No.» Scossi la testa. «Era una lettera sola. Un francobollo solo», ripetei flebilmente.
«Andiamo», mi esortò Josef. «Schwann è a casa mia. Può portarci via in macchina. È possibile che i tedeschi non sappiano ancora che sono coinvolto pure io. Perciò potremmo anche riuscire a lasciare il Paese. Ma dobbiamo andare. Adesso.» Josef mi prese per un braccio e mi attirò a sé con un movimento brusco.
«Non posso lasciare Kristoff.» Mi divincolai con uno strattone e mi avviai svelta verso casa. Non potevo abbandonarlo così. Non potevo permettere che i tedeschi lo catturassero, gli facessero del male. Dovevo salvarlo.
«Elena, fermati o sparo», esclamò Josef in tono brusco. Mi fermai e, nel girarmi, lo vidi puntarmi di nuovo contro la pistola.
«Non lo faresti mai.» Incrociai le braccia al petto, sprezzante. Josef mi conosceva da tutta la vita. Praticamente eravamo cresciuti insieme. Ma se c’era qualcuno capace di spararmi senza remore, quel qualcuno era lui.
«Se sarò costretto a ferirti al braccio per salvarti la vita, lo farò, che Dio m’assista», disse in tono duro e inflessibile. E io gli credetti.
Tentai di valutare a che velocità sarei riuscita a correre verso casa. Verso Kristoff. Se sarei riuscita a seminare Josef e la sua pistola…
«Elena», esclamò lui. «Non fare stupidaggini. Magari i tedeschi non uccideranno Kristoff, ma ammazzeranno di sicuro te, se torni a casa adesso.»
Ero convinta che Josef si sbagliasse: avrebbero di sicuro ucciso anche lui. A un tratto vidi di fronte a me l’immagine di Kristoff, il mio bel Kristoff, del suo corpo alto e snello dilaniato da una pallottola, con il sangue che gli sgorgava dal petto. Era solo. E sarebbe morto solo. Ed era tutta colpa mia. Avrei voluto fermarli, salvarlo, ma se i tedeschi erano già arrivati a casa, era davvero troppo tardi. E tornare indietro sarebbe stato un suicidio per me.
Mi lasciai sfuggire un grido che soffocai nella manica del cappotto.
«Andiamo», ripeté Josef con più garbo. Abbassò l’arma e mi posò una mano sulla spalla. «Kristoff che cosa vorrebbe che facessi? Che ti mettessi in salvo.»
Aveva ragione. Lo sapevo. Quella verità mi penetrò fin nelle ossa, un gelo che non mi avrebbe abbandonato per molto tempo.
Josef agganciò la pistola alla cintura, senza più lasciarmi il braccio. Attraversammo il bosco diretti alla sua fattoria. Lì salii in macchina con lui e Schwann, e insieme partimmo abbandonando la nostra casa.