Già si godeva solo del suo verbo →
quello specchio beato, e io gustava →
lo mio, temprando col dolce l’acerbo;
4 e quella donna ch’a Dio mi menava
disse: “Muta pensier; pensa ch’i’ sono
presso a colui ch’ogne torto disgrava.”
7 Io mi rivolsi a l’amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:
10 non perch’ io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire →
sovra sé tanto, s’altri non la guidi.
13 Tanto poss’ io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,
16 fin che ’l piacere etterno, che diretto
raggiava in Bëatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.
19 Vincendo me col lume d’un sorriso,
ella mi disse: “Volgiti e ascolta;
ché non pur ne’ miei occhi è paradiso.”
22 Come si vede qui alcuna volta
l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,
che da lui sia tutta l’anima tolta,
25 così nel fiammeggiar del folgór santo,
a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.
28 El cominciò: “In questa quinta soglia →
de l’albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,
31 spiriti son beati, che giù, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
sì ch’ogne musa ne sarebbe opima.
34 Però mira ne’ corni de la croce: →
quello ch’io nomerò, lì farà l’atto
che fa in nube il suo foco veloce.”
37 Io vidi per la croce un lume tratto →
dal nomar Iosuè, com’ el si feo;
né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
43 Così per Carlo Magno e per Orlando →
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com’ occhio segue suo falcon volando.
46 Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo →
e ’l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
49 Indi, tra l’altre luci mota e mista,
mostrommi l’alma che m’avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.
52 Io mi rivolsi dal mio destro lato →
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;
55 e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l’ultimo solere.
58 E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l’uom di giorno in giorno
s’accorge che la sua virtute avanza,
61 sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
veggendo quel miracol più addorno.
64 E qual è ’l trasmutare in picciol varco →
di tempo in bianca donna, quando ’l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,
67 tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
70 Io vidi in quella giovïal facella
lo sfavillar de l’amor che lì era
segnare a li occhi miei nostra favella. →
73 E come augelli surti di rivera, →
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,
76 sì dentro ai lumi sante creature →
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.
79 Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l’un di questi segni,
un poco s’arrestavano e taciensi.
82 O diva Pegasëa che li ’ngegni →
fai glorïosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ’ regni,
85 illustrami di te, sì ch’io rilevi
le lor figure com’ io l’ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
88 Mostrarsi dunque in cinque volte sette →
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.
91 “DILIGETE IUSTITIAM,” primai →
fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
“QUI IUDICATIS TERRAM,” fur sezzai.
94 Poscia ne l’emme del vocabol quinto →
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d’oro distinto.
97 E vidi scendere altre luci dove →
era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
cantando, credo, il ben ch’a sé le move.
100 Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,
103 resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
sì come ’l sol che l’accende sortille;
106 e quïetata ciascuna in suo loco,
la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.
109 Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; →
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù ch’è forma per li nidi.
112 L’altra bëatitudo, che contenta
pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
con poco moto seguitò la ’mprenta.
115 O dolce stella, quali e quante gemme →
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!
118 Per ch’io prego la mente in che s’inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;
121 sì ch’un’altra fïata omai s’adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri.
124 O milizia del ciel cu’ io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti svïati dietro al malo essemplo!
127 Già si solea con le spade far guerra; →
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.
130 Ma tu che sol per cancellare scrivi, →
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.