Come l’augello, intra l’amate fronde, →
posato al nido de’ suoi dolci nati →
la notte che le cose ci nasconde,
4 che, per veder li aspetti disïati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
7 previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l’alba nasca;
10 così la donna mïa stava eretta
e attenta, rivolta inver’ la plaga →
sotto la quale il sol mostra men fretta:
13 sì che, veggendola io sospesa e vaga,
fecimi qual è quei che disïando
altro vorria, e sperando s’appaga.
16 Ma poco fu tra uno e altro quando,
del mio attender, dico, e del vedere
lo ciel venir più e più rischiarando;
19 e Bëatrice disse: “Ecco le schiere →
del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
ricolto del girar di queste spere!”
22 Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,
e li occhi avea di letizia sì pieni,
che passarmen convien sanza costrutto.
25 Quale ne’ plenilunïi sereni →
Trivïa ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
28 vid’ i’ sopra migliaia di lucerne →
un sol che tutte quante l’accendea,
come fa ’l nostro le viste superne;
31 e per la viva luce trasparea →
la lucente sustanza tanto chiara
nel viso mio, che non la sostenea.
34 Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
Ella mi disse: “Quel che ti sobranza
è virtù da cui nulla si ripara.
37 Quivi è la sapïenza e la possanza →
ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,
onde fu già sì lunga disïanza.”
40 Come foco di nube si diserra →
per dilatarsi sì che non vi cape,
e fuor di sua natura in giù s’atterra,
43 la mente mia così, tra quelle dape
fatta più grande, di sé stessa uscìo,
e che si fesse rimembrar non sape.
46 “Apri li occhi e riguarda qual son io; →
tu hai vedute cose, che possente
se’ fatto a sostener lo riso mio.”
49 Io era come quei che si risente
di visïone oblita e che s’ingegna
indarno di ridurlasi a la mente,
52 quand’ io udi’ questa proferta, degna
di tanto grato, che mai non si stingue
del libro che ’l preterito rassegna. →
55 Se mo sonasser tutte quelle lingue →
che Polimnïa con le suore fero
del latte lor dolcissimo più pingue,
58 per aiutarmi, al millesmo del vero
non si verria, cantando il santo riso
e quanto il santo aspetto facea mero;
61 e così, figurando il paradiso, →
convien saltar lo sacrato poema,
come chi trova suo cammin riciso.
64 Ma chi pensasse il ponderoso tema
e l’omero mortal che se ne carca,
nol biasmerebbe se sott’ esso trema:
67 non è pareggio da picciola barca →
quel che fendendo va l’ardita prora,
né da nocchier ch’a sé medesmo parca.
70 “Perché la faccia mia sì t’innamora,
che tu non ti rivolgi al bel giardino
che sotto i raggi di Cristo s’infiora? →
73 Quivi è la rosa in che ’l verbo divino
carne si fece; quivi son li gigli
al cui odor si prese il buon cammino.”
76 Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli →
tutto era pronto, ancora mi rendei
a la battaglia de’ debili cigli.
79 Come a raggio di sol, che puro mei
per fratta nube, già prato di fiori
vider, coverti d’ombra, li occhi miei;
82 vid’ io così più turbe di splendori,
folgorate di sù da raggi ardenti,
sanza veder principio di folgóri.
85 O benigna vertù che sì li ’mprenti, →
sù t’essaltasti per largirmi loco
a li occhi lì che non t’eran possenti.
88 Il nome del bel fior ch’io sempre invoco →
e mane e sera, tutto mi ristrinse
l’animo ad avvisar lo maggior foco;
91 e come ambo le luci mi dipinse →
il quale e il quanto de la viva stella
che là sù vince come qua giù vinse,
94 per entro il cielo scese una facella,
formata in cerchio a guisa di corona,
e cinsela e girossi intorno ad ella.
97 Qualunque melodia più dolce suona
qua giù e più a sé l’anima tira,
parrebbe nube che squarciata tona,
100 comparata al sonar di quella lira
onde si coronava il bel zaffiro
del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.
103 “Io sono amore angelico, che giro
l’alta letizia che spira del ventre
che fu albergo del nostro disiro;
106 e girerommi, donna del ciel, mentre
che seguirai tuo figlio, e farai dia →
più la spera supprema perché li entre.”
112 Lo real manto di tutti i volumi →
del mondo, che più ferve e più s’avviva
ne l’alito di Dio e nei costumi,
115 avea sopra di noi l’interna riva
tanto distante, che la sua parvenza,
là dov’ io era, ancor non appariva:
118 però non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levò appresso sua semenza.
121 E come fantolin che ’nver’ la mamma
tende le braccia, poi che ’l latte prese,
per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
124 ciascun di quei candori in sù si stese
con la sua cima, sì che l’alto affetto
ch’elli avieno a Maria mi fu palese.
127 Indi rimaser lì nel mio cospetto,
“Regina celi” cantando sì dolce, →
che mai da me non si partì ’l diletto.
130 Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
in quelle arche ricchissime che fuoro
a seminar qua giù buone bobolce! →
133 Quivi si vive e gode del tesoro →
ch s’acquistò piangendo ne lo essilio
di Babillòn, ove si lasciò l’oro.