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Le canzoni

«Ragazzi, mi dispiace, ma adesso è arrivato il momento di andare via» interviene la prof, «la premiazione ci aspetta.»

«No, prof, altri cinque minuti, per favoreee» imploriamo.

«Ma quali cinque minuti e cinque minuti! Siamo qui da un’ora, è arrivato il momento di salutare Alessandro e Luciano.»

«Uffa» esclamo io. «Ma possiamo salutarli con una canzone?»

«Una canzone?» chiede la prof.

«Sì, prof, una canzone breve.»

«Vabbè, ma non urlate troppo…»

«No, assolutamente. Ragazzi, siete pronti?» chiedo ai miei compagni.

E parte il coro:

«O mama, mama, mama,

«o mama, mama, mama,

«sai perché mi batte il corazon?

«Ho visto Alessandro

«Ho visto poi Luciano

«eh, mammà, innamorato son.»

«Braviii e in bocca al lupo per la premiazione» ci salutano Luciano e Alessandro applaudendo.

«Grazie» risponde Pierfederico tutto emozionato.

«Vabbè, andiamo» intervengo io. «Grazie Alessà, grazie Lucià, siete T R O P P O F O R T I

«Luciano, ma tu li hai sentiti?»

«Ovvio, non sono certo sordo!»

«No, dicevo, li hai sentiti come hanno subito improvvisato una canzone?»

«Mio caro Alessandro, ma Napoli è la città del canto, e i napoletani, in quanto suoi cittadini, sono musicalmente predisposti sin dall’infanzia.»

«Luciano, pur volendo, non potrei darti torto. La differenza tra napoletani e milanesi si può evidenziare dalle piccole cose, anche dalla musica. Un Maestro di musica milanese si esibisce alla Scala, alla fine del concerto dice agli amici: “È stato un successo strepitoso, si sono emozionati tutti, addirittura, non vi dico bugie, è scesa la Madonnina dal Duomo, mi ha abbracciato e si è messa a piangere. Avete capito bene, la Madonnina si è messa a piangere!”. Un Maestro di musica napoletano si esibisce al San Carlo, alla fine del concerto dice agli amici: “Guagliù amm’ scassat’, è stato ’nu successo esagerato, pensate, no’ vi dico bugie, a ’nu cert’ punto, nel camerino è trasut’ Gesù Cristo in persona, mi ha abbracciato e mi ha detto ‘Tu si’ ’o nummer’ uno, no comm’ e chillu scem’ ’e Milano ca ha fatt’ chiagnere a Mammà!’”. Insomma, scrivere e cantare canzoni in una città come Napoli è talmente facile che diventa la cosa più difficile del mondo. Sembra un controsenso, ma è così.»

«E perché, secondo te, è sia facile che difficile?»

«Innanzitutto, è facile, perché tutto ispira musica: l’aria, i profumi, i sapori, la gente. È difficile, perché vai a confrontarti con un passato così pieno di grandi artisti e di grandi opere che puoi apparire come un piccolo uomo davanti a un grattacielo di cui non vedi nemmeno la fine. Però questo non vuol dire che la musica si sia fermata, ma anzi la musica va avanti ed è in continua evoluzione. Una delle poche certezze sul futuro è che la musica ci sarà sempre e comunque.»

«Alessandro, la vuoi sapere qual è la mia canzone preferita?»

«Qual è?»

«Se ti dico: “E diceva: ‘Core, core! Core mio, luntano vaje…’”?»

«Io ti rispondo Era de maggio

«Bravo, vedo che sei preparato.»

«Perché, esiste un napoletano che non lo è?»

«Chissà, forse tra i più giovani c’è qualcuno che probabilmente non la conosce.»

«Vedi, Luciano, evolvendosi la musica ha trovato nuovi linguaggi, nuove espressioni, nuovi generi, nuovi artisti. Racconta ancora d’amore ma in altri termini, con altre musiche. Se prima si facevano scelte sempre a favore della melodia e del sentimento, adesso, molto spesso, si sentono canzoni che hanno uno stesso suono ripetuto. Tant’è che gli anziani ogni volta che sentono una canzone di oggi, dicono: “Ma ch’è ’sto rummore?!”.»

«Non sempre, ma non posso negare che qualche volta lo penso anch’io.»

«Lo vedi? Intanto su questo “rumore” oggi i giovani ballano, si commuovono e si innamorano. Sì, perché nonostante le melodie diverse, i temi delle canzoni restano quelli, anche se i linguaggi si sono evoluti al passo con il tempo. Grazie a generi musicali come il rap, anche una dichiarazione d’amore in musica è diventata molto più diretta. Se prima si cantavano poesie e si paragonavano i propri amori a figure celestiali, oggi artisti come Rocco Hunt cantano canzoni in cui il protagonista non porta i suoi dubbi e i suoi dolori davanti al mare, ma se li tiene dentro e li nasconde agli amici per non fare la figura dell’uomo che soffre per amore.»

«Un atteggiamento, questo, che mi sembra immutato nel tempo. Se ci pensi, Alessandro, anche le canzoni della tradizione popolare napoletana raccontano di dolori struggenti che il diretto interessato cerca di nascondere.»

«Quello che resta immutato, però, che le canzoni appartengano al passato o al presente, è il dolore per un amore non ricambiato. Infatti, il nostro ragazzo innamorato ci racconta di come non riesca a dormire per colpa del pensiero fisso di lei, di come continui a mentire e di quanto abbia voglia di vendicarsi. E qui entra in scena un altro elemento che nelle canzoni del passato non trovava molto spazio. Il desiderio di vendetta, il cruccio delle telefonate senza risposta, la voglia di ribellione che esce prepotente e supera anche il dolore di un amore non ricambiato. Questo prima non esisteva: un uomo innamorato, anche se aveva subito il più cattivo dei tradimenti, anche se avrebbe solo dovuto odiare la donna che l’aveva rifiutato, stava lì a cantare a squarciagola “mi manchi”.»

«Anche se mi piacerebbe darti ragione, qui mi sento di contraddirti, Alessandro. La sceneggiata è un dramma d’amore che spesso si basa proprio sul desiderio di vendetta. Nella sceneggiata, infatti, c’è sempre un lui vittima di un tradimento che deve riscattare il proprio onore, ed è pronto a tutto pur di riuscirci.»

«In effetti hai ragione, Luciano, alla sceneggiata non avevo proprio pensato. Che poi c’è una cosa che non ho mai capito: il tradimento c’è in tutto il mondo, così come la vendetta e la gelosia, e allora perché quando si parla di sceneggiata si pensa subito a Napoli? Sarà pure napoletana d’origine, ma la si ritrova negli attimi della vita di tutti. Comunque il problema non è, come dicono in tanti, nel decadimento della poesia o nella mancanza di sentimenti dei nuovi autori. È che i rapper raccontano il presente, ciò che accade in strada, raccontano di una Napoli complicata. Insomma, cantano ciò che vedono, per questo è difficile che qualcuno oggi scriva una frase del tipo: “Ah! Che bell’aria fresca… fresca… Che profumo di malvarosa”. Pensa per esempio a una delle più celebri canzoni napoletane: Funiculì Funiculà. Questa canzone si ispira all’inaugurazione della funicolare del Vesuvio che consentiva di raggiungere appunto la cima del vulcano. Tanti nuovi autori napoletani avevano pensato di riproporre l’idea e scrivere un testo ispirato all’inaugurazione della metropolitana di via Duomo… Se tutto va bene la canzone uscirà nel 2046!»

«Tu dici? In effetti, Napoli è anche la città delle cose fatte fino a un certo punto. A Napoli tutto è relativo, anche Dio. Alessandro, non tu, ma Dumas, cita la storia di un popolano che pregava Gesù perché lo raccomandasse a san Gennaro.»

«Da non confondersi con san Siro, il santo protettore della malinconia. E comunque, di solito non sono i santi che fanno da tramite con Gesù?»

«Sì, ma san Gennaro è nobile, è più ammanigliato con il potere. Gesù per i napoletani è più proletario.»

«Luciano, tornando a noi, cercare di riprodurre canzoni di così tanto successo è davvero difficile. Tutt’oggi canzoni della vecchia Napoli fanno parte delle nostre giornate e fanno da colonna sonora alla nostra vita e alle nostre passioni. Basti pensare a ’O surdato ’nnammurato, che ancora oggi fa da inno alla squadra calcistica del Napoli. Il motivo per cui la tifoseria ha preso questa decisione va ricercato nel fatto che la canzone descrive la tristezza di un soldato – in cui il tifoso si rivede – che combatte al fronte durante la prima guerra mondiale – che equivale a una partita di calcio – e che soffre per la mancanza della donna di cui è innamorato. Pura poesia. Se pensiamo che oggi, invece, l’innamoramento viene sostituito dal divorzio, il senso della canzone sarebbe totalmente diverso. Sarà, infatti, all’assegno mensile per gli alimenti che il marito tifoso dedicherà la strofa “’o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me!”.»

«Sai, Alessandro, io credo che l’innamoramento è semplicemente cambiato, e con lui è cambiato il modo di raccontarlo. Pensa a quanto saremmo fortunati se i momenti della nostra vita fossero scanditi da una colonna sonora, che ci avvisi in tempo quando stiamo per correre un pericolo o per innamorarci. Per i pericoli basterebbe anche solo un grido, ma per l’amore, invece, penserei alle note suonate da un violino. Ora ciò che mi domando è: riusciranno artisti contemporanei a rimanere impressi nella memoria collettiva così come è accaduto per le canzoni della tradizione napoletana?»

«Luciano, in effetti, in tutto il mondo sentirai sempre qualcuno cantare versi in napoletano, ti capiterà sempre di ascoltare un americano, un russo, un australiano, un asiatico che intona ’O sole mio. E a proposito di questa canzone, ho scoperto che Eduardo Di Capua, il musicista che ne ha scritto la melodia, la concepì quando si trovava in soggiorno a Odessa, in Ucraina. E pare che la musica sia stata ispirata da una splendida alba sul mar Nero! Ma ti rendi conto? Pino Daniele scriveva che “Napule è mille culure”, e la canzone napoletana più famosa di tutti i tempi, cantata in tutto il mondo, è stata scritta sul mar Nero! È assurdo! È come se Mameli la sua Fratelli d’Italia l’avesse scritta in Turchia! A questo punto mi viene da pensare che se Di Capua avesse ammirato un’alba sul nostro golfo, invece che sul mar Nero, oggi ’O sole mio sarebbe ancora più bella. Ma questo non lo sapremo mai.»

«Sai, Alessandro, ’O sole mio è forse la canzone che più di tutte esprime il concetto di napolitudine. Immagina di essere un napoletano in viaggio nella Russia di fine Ottocento. E dopo giorni terribili, scanditi tutti dal maltempo, immagina di svegliarti e ritrovarti di fronte un’alba che ti riporta per un attimo nella tua lontana città. Credo che sia stato proprio questo tipo di nostalgia a dare vita alla melodia scritta da Di Capua. È come se Napoli lo avesse seguito fin lì, portando con sé le emozioni che la rendono unica.»

«Una cosa è certa, Luciano: è chiaro che queste canzoni fanno parte della tradizione, che tutti le amano e le conoscono, ma che non trovano posto nelle librerie musicali, negli iPod e nelle chiavette USB dei giovani. Lì ci trovi altri artisti che hanno il compito arduo di dare continuità a queste tradizioni arricchendole di nuovi suoni e nuove parole. Lo sai, anch’io mi sono cimentato, scrivendo un testo con il mio amico rapper Clementino, che strizza un po’ l’occhio al passato, ma che racconta in maniera sempre ironica uno spaccato della nostra modernità.»

«Davvero? E come si intitola questa canzone?»

«Il pezzo si chiama Cos Cos Cos

«Purtroppo non l’ho mai sentita…»

«Se vuoi te ne recito qualche verso.»

«Sentiamo!»

«Viviamo tra pareti che si chiudono e tu in mezzo

«uso il rap apposta per non fare il tipo grezzo

«super funk in una busta: sound pittoresco,

«un lavoratore col datore disonesto.

«Ma ’sta metropolitana a vint’ann’ scavat’

«ma ’a stat’ facenn’ o ’a stat’ cercann’?»

«Un pezzo di denuncia…»

«Come ho detto prima, non bisogna far affidamento sui tempi di consegna dei lavori della metropolitana! La verità è che Napoli è stanca di essere sfruttata, di essere sottostimata, di essere diffamata. Napoli è stanca di affidarsi sempre a san Gennaro!»

«Alessandro, ma tu hai mai fatto caso al politeismo tutto partenopeo?»

«In che senso?»

«Nel senso che a Napoli non c’è Dio, ci sono i santi. Come sull’Olimpo degli dei, ciascun santo ha la relativa specializzazione. Santa Lucia per gli occhi, san Ciro è piuttosto medico internista e così via. A Napoli, quando uno chiede soccorso alla divinità non dice mai “Dio mio!”, ma “Madonna mia, san Gennaro!”. Non riescono a rappresentarsi Dio, non l’hanno visto mai.»

«Vedi, Luciano, la musica non può essere sempre quella… sempre ’a solita tarantella. Ridiamo speranza alle famiglie, ridiamo fiducia alle scuole, ridiamo possibilità alle istituzioni, ridiamo i sogni ai ragazzi… Ridiamo! Che è meglio. Perché una risata ci ha sempre salvato!»

«Se la metti così, questo è il momento giusto per ridere. Più siamo inguaiati, più dovremmo ridere. Che altro potremmo fare? Sai, Alessandro, all’inizio della mia carriera i critici mi definivano “umorista” quasi come a disprezzarmi, ma io la penso come te sul ridere, e credo che sia stato proprio l’umorismo ad avvicinarmi a così tanti lettori. Non a caso è stato scritto che l’umorista è un signore che fischia nel buio per darsi coraggio.»

«Cosa pensi, Luciano, fischio prima io o fischi prima tu? A parte gli scherzi, si è sempre pronti a sminuire, ma per grazia di Dio noi napoletani siamo autoironici. Nel film Benvenuti al Sud Mattia, il personaggio interpretato da me, dice alla nordista interpretata da Angela Finocchiaro: “Se venite a Napoli portatevi una bella telecamerina perché ci sono cose che non rivedrete mai più, e la prima cosa è la telecamerina”.»

«Detto questo, Alessandro, ti andrebbe di fare due passi?»

«Certo, dove vuoi andare?»

«C’è un posticino, una panchina, non lontano da qui, dove mi piace fermarmi a osservare i Fori Imperiali al tramonto e vorrei mostrartela.»

«Ah, per questo dobbiamo fare due passi? Perché non stanno qui, stanno fori…»

«Alessandro, così mi fai cadere le braccia.»

«Vabbè, tanto cammini con i piedi, aropp’ ’e venimm’ a piglià

«Alessà, cammina… faccio finta di non aver sentito.»