Cinque

La via dei Breakstone era costantemente intasata dal traffico a causa dei lavori nel palazzo, e questo, insieme ai sacchi della spazzatura accumulati e alle foglie cadenti, aiutò Mark a nascondersi il giorno dopo, nei minuti di tensione in cui osservò gli andirivieni di Heather. Non sapeva bene cosa ci facesse lí, a parte tenersi pronto a correre in aiuto di Heather e naturalmente a raccogliere qualche tipo di prova, non da sbattere in faccia a Karen ma da mostrare alla polizia. Capí di dover fare qualcosa quando quel giorno vide sua figlia e l’Operaio incrociarsi due volte, silenziosi come statuine in un orologio medievale.

*

Karen gli aveva tenuto il broncio, ma Mark sapeva essere dolce e contrito come se avesse bevuto troppo a una festa. Quella sera, mentre andavano a letto, Karen ignorava che Mark stava immaginando di svitare l’impalcatura, di tagliare i cavi da 220 volt nella cantina bagnata, oppure, la possibilità piú allettante, di attirare l’Operaio nel loro appartamento e sparargli perché aveva molestato sua figlia, chiedetelo a chiunque, ed era entrato in casa sua con un coltello da cucina che lui gli avrebbe messo in mano a posteriori. Infine Mark riuscí ad addormentarsi, ma solo lasciandosi cullare da ripetute scene sulla morte dell’Operaio, di solito strangolato a mani nude.

Qualche giorno dopo Mark confidò alla sua assistente che stava cercando lavoro e le chiese di aiutarlo a nascondere i suoi strani orari. Aveva cominciato a tenere d’occhio il palazzo per due ore due volte al giorno e si era accorto che gli incontri rituali dell’Operaio erano organizzati senza attenzione e saltavano agli occhi di tutti tranne che di sua figlia, e che anche gli altri operai sembravano diffidare di quell’uomo. Andavano al lavoro insieme, ammassati su pick-up rugginosi con la targa del New Jersey, ma l’Operaio veniva sempre mandato ad accovacciarsi nel cassone. Ogni tanto facevano una pausa con caffè e sigarette per chiacchierare e ridere in gruppo, ma senza l’Operaio, che non era quasi mai nell’attico dove aveva luogo la maggior parte dei lavori, si sobbarcava tutte le mansioni peggiori e non veniva neppure invitato a pranzo.

Mark esercitava una sorveglianza costante, spinto dalla necessità di proteggere Heather e dalla paura di essere scoperto. Sapeva che avrebbe dovuto almeno prepararsi una scusa nell’eventualità che qualcuno lo vedesse: Karen, Heather, un vicino o uno di quelli che passavano di lí, turisti, bambinaie, fattorini, scolari e donne in pantaloni da yoga. Ma nessuno lo notò e la sua vigilanza venne ricompensata il giorno in cui vide Heather, di ritorno da scuola, fermarsi a parlare con l’Operaio.

Era stata lei ad avviare la conversazione, che durò poco e sembrò sbalordire l’Operaio tanto quanto Mark. Non importava di cosa avessero parlato, se si fossero già conosciuti o se l’Operaio avesse risposto con timidezza. Importava solo che sua figlia aveva messo la mano innocente sopra quel fuoco con un sorriso cordiale, e che l’Operaio non aveva visto Mark.

L’unica cosa che gli arginava un po’ il panico era la sensazione viscerale che si fosse presentata un’occasione. Fece un rapido calcolo. Davanti a lui c’era un operaio a giornata non giovanissimo, non qualificato e probabilmente non istruito, precariamente sospeso ai margini della società, senza sindacato, senza soldi né protezioni, in un ambiente di lavoro estremamente rischioso. Dopo avere visto Heather entrare nel palazzo, Mark rimase ad aspettare ancora due ore tremando nell’aria sempre piú fredda e grigia, finché la squadra smontò e l’Operaio salí sul pick-up.

Mark pensò di andare in un internet café per informarsi su dove poteva comprare una pistola senza lasciare tracce elettroniche sul telefono o sul computer, ma poi si chiese quando era stata l’ultima volta che aveva visto un internet café e decise di andare in biblioteca il mattino dopo. Gli sembrava che l’unica idea pratica fosse assumere una guardia privata come facevano i miliardari, per sorvegliare e proteggere la sua famiglia.

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Quando finalmente salí a casa, Mark abbracciò Heather, sorrise a Karen e pensò di chiedere al suo capo di consigliargli un’agenzia di sicurezza affidabile e discreta. Andò a letto pensando che lo avrebbe fatto al mattino, anche se ormai sapeva che non voleva chiedere aiuto a nessuno, anzi, non voleva domande di nessun tipo, e quella notte si addormentò con facilità, esausto dopo aver raggiunto una decisione.

Quella notte fece sogni cosí vividi che si chiese se stesse dormendo. Si arrampicava su per il palazzo usando la scala dell’impalcatura e si girava a guardare il quartiere verso gli alberi del parco e poi nell’altra direzione, la guglia di una chiesa e Park Avenue, le scie gialle dei taxi. Dopodiché sbirciava dentro la camera di Heather. Non c’era nessuno, cosí Mark guardava dentro la finestra della propria stanza e vedeva Heather sdraiata supina sul letto, con indosso solo i calzini e squarciata come un cervo, dissanguata sul loro piumino di ciniglia bianca.

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Stranamente non provava raccapriccio e si ritrovava ai piedi del letto mentre il cadavere mutilato di sua figlia gli parlava, con la faccia viva e normale. Diceva qualcosa tipo: «Papà, perché mi hai fatto questo?» Diceva proprio cosí, e a quella che gli sembrò la terza ripetizione del sogno Mark capí che era un sogno e si svegliò, prevedendo che forse non avrebbe mai piú voluto addormentarsi.

Mark non credeva nel soprannaturale o nelle qualità profetiche dei sogni. Sapeva che quell’immagine era solo una manifestazione di quel che pensava da sveglio e non era affatto difficile da interpretare. Esprimeva la preoccupazione per l’incolumità di Heather e il timore che, se le fosse successo qualcosa, anche lei lo avrebbe considerato responsabile. Seduto in corridoio davanti alla camera della figlia, mentre cercava di togliersi dalla mente le sue fantomatiche accuse, si rese conto che il sogno poteva avere un altro significato. E se Karen avesse avuto ragione? Se la sua mente fosse caduta preda dell’irrazionalità? Cosa aveva realmente visto, a parte un altro uomo, e dio quanti ce n’erano, che voleva sua figlia?

Si rifiutava di credere alle disgustose insinuazioni di Karen, ma forse lei gli aveva messo in testa quell’idea e forse lui si era lasciato trasportare e forse aveva fatto quel sogno perché negli ultimi giorni non si era permesso di pensare a nient’altro. Non era anormale, questo lo sapeva. Non era geloso di quegli uomini, non in quel senso, e non riusciva a immaginare che qualcuno penetrasse sua figlia, ma di certo non voleva essere il suo amante al loro posto. Voleva solo che Heather non smettesse mai di essere sua figlia come lo era adesso. Capiva che doveva lasciarla andare e lasciarla crescere, e che doveva accettare quel che sarebbe diventato il loro rapporto perché i genitori si comportavano cosí. Sapeva che gli avrebbe spezzato il cuore e che questo era normale.

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Karen non riusciva a scuotersi di dosso la pesante lite con Mark. Da principio si sentí in colpa, sapendo che era stata lei a cominciare con i suoi insicuri tentativi di indovinare i pensieri di lui e poi lo aveva attaccato per difendere quello stupido errore. Mark non aveva perso il lavoro. Non aveva un’altra donna. Era stato solo un malinteso, e Karen si mangiava le mani perché non riusciva a tenere nascosti i propri sentimenti quando veniva attaccata, però Mark le era sembrato davvero folle e magari alla fine anche lui aveva bisogno di una scusa per esprimere ciò che provava. Era crudele, quello che Mark le aveva detto, ma confermava la convinzione di Karen che lui non attribuiva alcun valore ai suoi sforzi. Però quello che Mark le aveva detto era anche un bene, perché dopo anni in cui si era sentita sempre meno apprezzata, ora Karen si rendeva conto di dover fare di piú per se stessa.

Aveva anche bisogno di frequentare piú persone. Stare soprattutto con estranei l’aveva spinta a isolarsi in se stessa e si sentiva spesso ansiosa e confusa. Aveva sempre desiderato delle amicizie intime ma per tutta la vita aveva visto la gente dare il peggio di sé per un qualche spirito di competizione, e i suoi rapporti con gli altri erano stati quasi sempre superficiali e pieni di vanterie. Karen sperava che fosse possibile trovare una confidente, adesso che le signore erano tutte ridotte a piú miti consigli da figli adolescenti ribelli, matrimoni asessuati, ossessioni alimentari e tribolazioni immobiliari.

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Il giorno dopo la pesante lite con Mark, Karen si ricordò della madre di una compagna di Heather che era sparita quando sua figlia aveva preferito la squadra di tuffi a quella di dibattito. Karen l’aveva sempre trovata simpatica, cordiale e piena di storie divertenti che sentiva dal marito, un avvocato divorzista di alto profilo. La chiamò con la scusa di organizzare una raccolta fondi per finanziare le trasferte delle compagne di squadra meno abbienti delle loro figlie. Era nervosa mentre componeva il numero e inventava un nome per l’evento inesistente, e la sua mente professionale, risvegliatasi dopo tanti anni, scartò gli slogan piú banali fino ad arrivare a «Le concorrenti, la nostra risorsa!» Quel giorno pranzarono insieme e non si confidarono granché, ma Karen si divertí a fare quella che parlava di stelle del cinema e celebrità, soprattutto delle loro vite private e sentimentali, in tono critico e disgustato.

Il giorno dopo Karen trovò lavoro nel negozio di vestiti usati dell’ospedale in Second Avenue, come volontaria naturalmente, ma per cinque ore al giorno cinque giorni alla settimana, munita di chiavi d’ingresso. Tornare al lavoro le forní benefici immediati, perché il resto del personale era formato da donne, molte delle quali sopravvissute al cancro, che erano piú vecchie o sembravano piú vecchie di lei, e cosí gli uomini che entravano, di solito per comprare un Burberry, cercavano di attirare la sua attenzione e flirtavano con lei appena la moglie si girava. Anche il negozio ottenne benefici dalla sua presenza, poiché nel giro di due giorni Karen diventò la migliore cliente, assecondando il suo occhio allenato al lusso soprattutto con l’acquisto di alta moda usata, di cui la relativa giovinezza e il corpo tonico la rendevano l’unica acquirente.

Karen lasciava i vestiti nel retro del negozio insieme ai gioielli e alle valigie che aveva comprato e li provava durante le pause, valutando se avessero bisogno di ritocchi, quando avrebbe potuto indossarli e se quella particolare valigia stesse bene con il suo look nuovo-vecchio. Grazie a quel rituale apprezzò d’un tratto la propria privacy, chiedendosi perché avesse fatto cosí poco per se stessa cosí a lungo e dicendosi che Mark non aveva idea di quanto fosse fortunato. Lei era magra, piacente e lontana anni luce dalla bruttezza di lui come il giorno in cui si erano conosciuti.

Non era passata nemmeno una settimana da quando Mark le aveva urlato contro, e i suoi tentativi di scusarsi non risultavano piú convincenti della sua recente gentilezza. Heather poteva anche credere al suo sorriso solare, ma Karen vedeva le crepe agli angoli della bocca e le occhiaie scure che rivelavano la sua frustrazione. Quella notte rimase sveglia a letto, dispiaciuta per lui e per la piccineria che aveva dimostrato schierando la sua potenza declinante contro nemici immaginari.

Avrebbe potuto fare davvero quella raccolta di fondi, e forse avrebbe stuzzicato a sufficienza il senso di carità di Heather da indurla a presiedere il comitato studentesco. Karen era contentissima che la sua amica, a cui tra poco se ne sarebbero aggiunte molte altre, l’avesse considerata un’idea geniale e le avesse proposto di svilupparla meglio una sera a cena insieme al marito, l’avvocato divorzista che poteva aiutarle in tanti modi. Mentre Karen sorrideva fra sé al buio, Mark si svegliò di soprassalto, sudato e spaventato, e lei si girò dall’altra parte con freddezza, sicura che si fosse improvvisamente accorto della sua forza crescente: della sua mente che diventava sempre piú acuta ed escogitava idee, grandi idee, senza alcuno sforzo.

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Il mattino dopo Mark fece la doccia e uscí, soddisfatto di avere una routine e contento di andare al lavoro, soprattutto perché era esausto e doveva lottare contro la nausea ogni volta che gli tornava in mente quel sogno orribile. Correre gli avrebbe fatto bene, ma non ne aveva la forza. Non riusciva a togliersi dalla mente l’Operaio, la faccia di Heather e naturalmente il giudizio di Karen, e si accorse che stava volutamente pensando a quelle cose per evitare la vera crisi. Certo, il lavoro era in una fase transitoria e il palazzo in ristrutturazione, ma il suo scontento precedeva quei fatti, e allora guardò fuori dalla finestra verso il profilo di Manhattan costellato di gru e scheletri d’acciaio e rifletté sulla sua solitudine. Un giorno Karen aveva smesso di ridere delle sue battute e di fare caso a lui, e Heather era diventata il suo pubblico.

Rimase lí a bere il caffè annacquato dell’ufficio, chiedendosi cos’altro aspettarsi dalla vita dopo aver cresciuto quella figlia. Aveva sacrificato la propria felicità per la loro? Di buon grado, naturalmente, ma ormai lui e Karen si erano allontanati e la maggior parte degli uomini avrebbe pensato a ripartire da zero con la metà dei soldi e un’altra donna. Heather aveva assistito alla loro infelicità ed era abbastanza grande da capire che un divorzio era la soluzione migliore. Eppure, malgrado tutti i sistemi escogitati dalla civiltà per separarsi e ricominciare da capo, Mark non riusciva a immaginare la forza necessaria per fare una cosa del genere.

Suo Padre, l’allenatore di football, era un uomo di grande fisicità, che dal giorno in cui Mark aveva sussultato sentendo il grugnito di un placcaggio durante una mischia lo aveva sempre considerato un pauroso. Certo che aveva paura. Suo Padre aveva avambracci enormi e un temperamento volubile e prendeva molto sul serio la sconfitta in ogni aspetto della vita, cosí Mark aveva imparato ad avere la peggio e a cercare di correggere il proprio comportamento per evitare quegli scontri impari. Mark aveva bisogno di correre, e non in cerchio, non da casa e ritorno ma da casa in una sola direzione finché non fosse piú riuscito a correre, finché la stanchezza non lo avesse costretto a cominciare una nuova vita lí dove si trovava.

Poco prima di pranzo decise di andare a casa a mettersi la tuta, e dopo aver indossato il cappotto cancellò la foto dell’Operaio dal telefono. Gli suscitava rabbia e disgusto, ma benché si fosse goduto la breve soddisfazione di quel gesto volutamente simbolico, si domandò se al giorno d’oggi si potesse davvero cancellare qualcosa.

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Era calmo quando uscí nella luce grigia di mezzogiorno, fermò un taxi e si sentí pizzicare il naso dall’odore della prima giornata invernale. Pensò a Heather e al fatto che se fosse stata un maschio nessuno di quei sentimenti sarebbe esistito. Inoltre ammise con se stesso che il divorzio dei genitori le avrebbe inflitto un danno terribile e che ultimamente si sentiva pieno di emozioni irrazionali a causa della mancanza di sonno e di esercizio.

Gli anni a venire sarebbero probabilmente andati come previsto, lui e Karen sarebbero rimasti insieme, entrambi nei limiti della propria aspettativa di vita, finché statisticamente uno dei due sarebbe rimasto solo. Dalla prospettiva della vecchiaia, Mark vide che Heather avrebbe avuto una vita straordinaria come avvocato o addirittura presidente e che grazie a lui non sarebbe finita come la sua povera Sorella, la perfezionista dell’inedia, che non era mai arrivata a scoprire quale promessa l’aspettava al termine della sua impresa.

Quando scese dal taxi vide con sollievo che i muratori erano a pranzo, ma mentre attraversava l’atrio per raggiungere l’ascensore notò che non c’era neppure il Portiere, e che l’Operaio era seduto sopra il copritermosifone a guardare il telefono e a bere da una bottiglia, probabilmente piena di liquore, nascosta dentro un sacchetto di carta. Mentre aspettava l’ascensore, la sua decisione di ignorare tutto venne annullata dalla sensazione dei capelli che gli si rizzavano sulla nuca. Si girò in tempo per sorprendere l’Operaio che lo stava fissando.

Fu un contatto breve ma totale, e Mark sentí le viscere spingere verso il basso come se stesse per farsela addosso. Ormai era evidente che in quell’atrio c’era un animale; palpebre pesanti di famelica indifferenza, spalle inarcate e tese, pronte al balzo. Il cuore gli batteva all’impazzata mentre si domandava per quanto tempo quella cosa sarebbe rimasta sulla soglia di casa sua, insoddisfatta finché non fosse arrivata a sua figlia.

La porta dell’ascensore si aprí e Mark, invece di andare di sopra, mettersi la tuta e uscire, la tenne aperta con l’avambraccio. Aveva la bocca quasi troppo secca per parlare e sperò di non sembrare impaurito quando chiese all’Operaio se fossero tutti a pranzo. Non riusciva a credere di avere parlato, con una voce forte che proiettò ogni sillaba colpevole contro le pareti di marmo. L’Operaio annuí, e Mark capí che quel mattino, quando aveva cancellato la foto, la sua mente era già proiettata nel futuro. Anzi, doveva aver deciso cosa fare già da diverse ore, cominciando a crearsi una copertura in attesa dell’occasione giusta.

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– Potrebbe aiutarmi di sopra a spostare una cosa? – chiese il Papà di Heather. Bobby si era un po’ innervosito vedendolo entrare piú irascibile e infastidito del solito, e poiché i muratori non potevano mangiare e di certo neanche bere birra nell’atrio, aveva pensato che il vecchio gli avrebbe rotto le scatole o avrebbe fatto la spia con il Capomastro. Bobby non lo aveva mai guardato bene, non era interessante e quando accompagnava Heather era solo d’impiccio, le girava intorno come una mosca fastidiosa. Adesso, da vicino, era proprio come Bobby se lo aspettava, uno di quegli stronzi convinti che tutto il mondo lavorasse per loro, e malgrado quella voce da re nel castello era solo una checca fifona con la faccia grassa, soprattutto quel giorno senza la sua costosa valigetta.

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Questo non impedí a Bobby di pregustare il piacere di entrare in casa di Heather, e cosí si affrettò verso l’ascensore abbassando la testa per nascondere l’impazienza. Arrivati di sopra, il Papà di Heather corse verso la porta dell’appartamento, ma non trovò subito la chiave e continuò a girarsi a guardare Bobby, tanto da fargli pensare che avesse bisogno di aiuto. Finalmente la porta si aprí e ne uscí un muro di calore cosí intriso degli odori di Heather che per poco Bobby non perse l’equilibrio.

Seguí il Papà di Heather nell’ingresso soffocante e oltre il lussuoso soggiorno, fino allo stretto corridoio dove sapeva che c’erano le camere da letto. Si guardò intorno in cerca di qualche traccia di lei, una scarpa, un maglione, e fu tentato di piantare lí il vecchio o magari metterlo al tappeto e farsi trovare pronto in camera di Heather al suo ritorno da scuola. Invece si limitò a seguire il Papà di Heather senza ascoltare le sue chiacchiere presuntuose, mentre lui, madido di sudore, lo conduceva verso la cucina dove la finestra aperta lasciava entrare l’aria.

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Bobby aveva visto molti appartamenti altrettanto belli ma solo da un’impalcatura, e non era mai entrato in uno che non fosse demolito o in costruzione. Sarebbe sembrato piú grande senza tutta quella roba, ma Bobby era comunque estasiato dalle pareti bianche, dalla moquette verde, da tutte quelle tv e dai gingilli di ottone, e voleva sedersi sulle poltrone imbottite rosse e bere un whisky in quel bicchiere di cristallo. Sapeva che quella era la gente che andava sempre al cinema, mangiava al ristorante, prendeva l’aereo e aveva immagini di cavalli dappertutto.

Guardò la schiena del Padre di Heather e pensò che probabilmente quel poveraccio non era cattivo; aveva una moglie con le tette grosse e loro due insieme avevano fatto Heather. Anzi, avevano fatto tutto questo, e volenti o nolenti lo avevano fatto per lui.

Bobby entrò in cucina dove gli armadietti e persino il frigorifero avevano gli sportelli di vetro ed erano zeppi di cibo, e cercò di immaginare come sarebbe andata a finire. Per la prima volta superò l’idea di ucciderla. La vide davanti ai fornelli con un accappatoio celeste, impegnata a friggergli un uovo.

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Quando si trovò davanti alla porta di casa, Mark si era già pentito di avere rivolto la parola all’Operaio. Gli era stato cosí vicino sull’ascensore che gli era venuto da vomitare per la puzza di birra e sigarette e vestiti sporchi, e aveva visto chiaramente una vena pulsare sotto i capelli grigi rasati sulle tempie. Dopo aver chiuso la porta, l’Operaio ci si era appoggiato contro e aveva inspirato profondamente dal naso come per inalare l’intero appartamento. Mark non voleva girargli le spalle ma non poteva rischiare di incontrare il suo sguardo e rivelare la propria paura, e si ritrovò a camminare all’indietro mentre blaterava come un agente immobiliare sui diversi spazi che componevano l’appartamento.

Mark aveva immaginato tante volte di ucciderlo, ma ora nella realtà non aveva una pistola né una grossa chiave inglese e chiaramente neppure un vantaggio fisico. Non sarebbe mai riuscito a mettere le mani intorno a quel collo taurino. Sentí un brivido lungo la schiena quando si rese conto di aver invitato il pericolo in casa propria, dove poteva morire per mano di quello scimmione basso e curvo che non aveva ancora detto una parola.

Doveva continuare a camminare e intanto faceva l’inventario di ogni arma a cui passava accanto, il portaombrelli di ceramica, l’attizzatoio del camino e quel portasigari di mogano; stavano andando verso la cucina. Là c’erano i coltelli. Se fosse arrivato in cucina per primo avrebbe afferrato il coltello da chef e lo avrebbe colto di sorpresa. O, magari, si sarebbe lanciato verso la porta e sarebbe scappato giú per le scale.

Si affrettò quando sentí i pesanti scarponi dietro di sé, ma poi rimase a guardare mentre l’Operaio lo superava e metteva piede nello spazio aperto della cucina, girandosi verso di lui. Il suo cuore si fermò e accelerò nello stesso tempo. L’Operaio era a due metri da lui e fuori portata, una sagoma massiccia contro la vivida luce grigia che entrava dalla finestra alle sue spalle.

Bobby si guardò intorno ma ora non vedeva nulla, aveva la mente e il corpo troppo occupati dal futuro. Non poteva tornare a scuola, però era bravo a risparmiare e poteva comprare una casa per Heather. Lei era nata ricca, cosí i suoi genitori non avrebbero voluto che rimanesse senza casa e li avrebbero aiutati, e di buon grado, perché Bobby avrebbe lavorato sodo e questa era una cosa che tutti rispettavano. E le si sarebbe avvicinato da dietro mentre cucinava, le avrebbe passato le braccia intorno alla vita e lei avrebbe ricambiato il suo sorriso come facevano gli innamorati in tv.

Quando l’Operaio fece un passo verso i fornelli, nella sua faccia in ombra spiccavano solo gli occhi azzurri. Mark sentí contrarsi i quadricipiti mentre si abbassava in posizione di placcaggio e si lanciava di peso contro di lui, spingendolo indietro verso la bassa finestra aperta, e Bobby, sbilanciato, si piegò in due e cadde giú per i dieci piani senza nemmeno un grido, il tonfo bagnato del corpo coperto dal rumore di un clacson.

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Quel giorno Karen aveva organizzato un pranzo con una vecchia amica dei suoi giorni da pr, che adesso era segretaria di direzione della caporedattrice di una rivista femminile. Karen voleva comunicarle le sue rinnovate ambizioni, invece si limitarono perlopiú a ricordare il passato, e quell’amica, benché non l’avesse surclassata, le raccontò molte storie di loro ex subalterni che ora dirigevano il mondo dei media. Karen ricordò perché l’aveva persa di vista quando l’amica chiarí che non c’era posto per lei nell’editoria e forse non c’era mai stato, e che era piú adatta per il volontariato da mamma nelle associazioni di beneficenza e nei negozi dell’usato.

Entrando in casa sentí gli anni di rimpianti accumulati nello stomaco e un’ondata di calore che poteva essere l’inizio della menopausa, e attraversò stancamente l’ingresso torrido verso l’aria fresca della cucina. Mark era seduto al tavolo in maglietta, la testa appoggiata sulle braccia conserte, la schiena esposta alla corrente gelida che entrava dalla finestra spalancata. Karen lo chiamò e lui alzò la testa con un’espressione piena di malessere, la faccia rugosa piú vecchia di come le sembrava di averla vista al mattino, sempre che l’avesse guardata.

Vedendolo debole e bisognoso di conforto Karen si accovacciò accanto a lui, e Mark le disse con voce bassa ma ferma che aveva spinto l’Operaio fuori dalla finestra e il suo cadavere giaceva nello spazio fra i due edifici. Karen corse alla finestra e vide il corpo di Bobby, una pozza di sangue sotto la testa, una gamba piegata all’indietro in una posizione impossibile con il piede sotto la spalla.

Si sedette accanto a Mark e ascoltò la sua confessione balbettante ma chiara, incriminante in ogni dettaglio, e quando si rese conto che aveva rovinato la loro vita lo schiaffeggiò con tutte le sue forze. Mark non reagí, ma le prese le mani una per volta e la guardò negli occhi: – Non ho il minimo dubbio –. Poi aggiunse: – Quali che siano i problemi della nostra famiglia, senza di lei non esiste nessuna famiglia.

Karen lo ascoltò e per un istante guardò la scena dall’alto e vide che erano piccoli e soli. In quel momento non era in grado di pensare e l’intero appartamento le chiedeva cosa fare, e alla fine scoppiò in lacrime con le mani abbandonate in grembo.

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Poi, sotto lo sguardo fisso di Mark, Karen riprese fiato, si asciugò gli occhi e gli parlò in tono severo, suggerendo di andare a prendere Heather alle prove di dibattito, cenare fuori e tornare a casa abbastanza tardi da potersi fingere sorpresi per l’accaduto. Mark abbassò di nuovo lo sguardo e annuí, e allora lei si alzò e si avvicinò alla macchina del caffè, e nei minuti successivi il silenzio venne rotto solo dal tintinnio della porcellana e dal sibilo del vapore mentre Karen preparava un cappuccino e lo metteva davanti al marito, che lo sorseggiò come se fosse una medicina.

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Quando la famiglia Breakstone tornò a casa qualche ora dopo, Karen si aspettava di trovare la strada illuminata dalle macchine della polizia e l’edificio circondato dal nastro giallo, e di dover scuotere Mark dallo stordimento per fargli assumere un atteggiamento sconvolto mentre cercavano di fendere la folla di curiosi per entrare. Il poliziotto avrebbe avuto poche informazioni, era in corso un’indagine e tutti dovevano o potevano rientrare in casa e affrontare l’idea che c’era stato un incidente ed erano cose che capitavano e per fortuna stavano tutti bene. Allora Karen avrebbe suggerito di passare la notte in albergo e finalmente avrebbe convinto Mark ad allontanarsi da lí, e lui avrebbe passato un braccio consolatorio intorno alle spalle della figlia, che camminava con lo zaino che le ciondolava dalla mano e sfregava sul marmo polveroso del pavimento.

Ma quando arrivarono a casa il palazzo era buio, piú silenzioso del solito e apparentemente abbandonato, cosí salirono di sopra e andarono a letto. Mark andò per primo, perché aveva bevuto parecchio senza mangiare al bistrot dove avevano spontaneamente festeggiato la promozione di Heather nella squadra di dibattito dell’università, anche se era ancora matricola. Karen aspettò che Heather spegnesse la luce e poi si svestí e andò a letto senza lavarsi i denti, resistendo all’impulso di guardare se il corpo dell’Operaio era ancora lí.

Rimase a fissare Mark profondamente addormentato, con la paura che le attanagliava lo stomaco come un crampo. Si rese conto che nei giorni a venire e forse per molto tempo sarebbe toccato a lei impedirgli di correre a confessare. Avrebbe dovuto frapporsi tra il suo senso di colpa e il fantasma che in quel momento stava sorgendo dal vicolo.

Nella camera buia, Karen lo guardò e pensò che doveva avere avuto le sue ragioni, che lo conosceva bene e non poteva aver paura di lui, e d’un tratto smise di sentirsi in ansia perché capí che erano legati per sempre. Lo toccò finché non riuscí a svegliarlo e poi fece l’amore con lui e fu aggressiva e dominante, e Mark era abbastanza ubriaco da dimenticare se stesso e reagire con la forza di un nuovo desiderio.

Il corpo di Bobby venne ritrovato solo il mattino dopo quando il suo sostituto andò a pisciare nel vicolo, e i giornali e poi il medico legale lo definirono un incidente sul lavoro. Heather si commosse e lasciò dei fiori sul luogo della tragedia, e Mark e Karen aspettarono un mese intero prima di mettere in vendita l’appartamento.