Capitolo 3
Michael Orgell fissava il profilo della piccola imbarcazione che si stagliava contro l’orizzonte. Teneva la mano ferma sull’elsa della spada, e tentava di ingoiare la preoccupazione. David Jacobson era in piedi accanto a lui, il volto teso e gli occhi piccoli a fissare la preda con cupidigia.
La Elizabeth solcava le acque con tutta la potenza della sua stazza, e gli affusti dei cinquanta cannoni rilucevano sotto il sole.
Non riuscì a resistere oltre. «Ammiraglio, forse avremmo dovuto fare da scorta alla Wind of Pride, invece che…»
«Perlustrare le acque in cerca di pirati?» Il tono era stato duro e l’occhiata che ricevette carica di biasimo.
«Capisco che sia importante catturare queste bestie, ma… Arabelle» si mangiò in fretta quel nome fuggito dal cuore. «Vostra figlia sta affrontando un lungo viaggio e…»
«Per caso avete qualcosa da ridire sulle mie decisioni?»
Deglutì, sempre più agitato dallo sguardo ostile con cui Jacobson lo stava osservando. «No, affatto.»
«Molto bene, perché i maligni potrebbero sempre pensare che la vostra preoccupazione derivi da attenzioni poco consone nei confronti di Lady Arabelle.»
Divenne pallido. «Affatto, ammiraglio.»
«Dunque, occupatevi di fare il vostro lavoro, ed evitate di mettere in discussione le mie decisioni. Fatelo ancora e potreste pentirvene.»
Michael ingoiò ogni altra recriminazione e tentò di ignorare la rabbia che strisciava, silenziosa e letale, sotto la pelle. Per lui era stata una pazzia mandare Arabelle per mare senza scorta, e uno spreco di risorse dare la caccia a una ciurma pirata, di appena quindici uomini, con un veliero imponente come la Elizabeth, ma non poteva fare nulla, se non obbedire.
L’ammiraglio dispensava disciplina in maniera fin troppo convincente.
Si occupò dei suoi compiti e poco tempo dopo raggiunsero il veliero pirata, un paio di cannonate di avvertimento e la ciurma si arrese.
Tutti e quindici furono messi ai ceppi e scortati a bordo.
L’ammiraglio si avvicinò al capitano pirata, un uomo di quarant’anni, dal viso levigato dalle intemperie e gli occhi annebbiati da anni di vizi.
«Sei tu quello che chiamano Red Bill?» ringhiò Jacobson.
Il pirata scosse i capelli grigi e lo fissò con aria spavalda. «Sì, ammiraglio » ripose, con ironia.
In risposta, ricevette un calcio di violenza inaudita in mezzo allo stomaco.
Orgell osservò l’uomo rantolare sulla tolda, un rivolo di saliva scese dalla bocca fino alla camicia sudata e sporca. Jacobson si chinò sul pirata e lo squadrò con uno sguardo carico d’odio.
«Parlami ancora in quel modo, e la pece bollente te la faccio colare addosso da vivo. Ci siamo capiti?»
L’altro annuì ancora, poi Jacobson lo costrinse ad alzarsi e lo trascinò nella propria cabina.
«Non voglio essere disturbato, sono stato chiaro?» ordinò l’ammiraglio.
Orgell fissò la porta richiudersi dietro agli innumerevoli segreti del comandante.
Segreti che più di una volta avevano già messo a repentaglio la vita di tutti loro.
***
Scarlett si avvicinò alla murata della Wind of Pride e gettò in acqua il contenuto nauseabondo del secchio. Il mare era placido eppure il vento infuriava tra le sartie e sbatacchiava le vele producendo un rumore quasi assordante, le gonne si attorcigliavano intorno alle gambe e i capelli faticavano a rimanere sotto la cuffia. Afferrò lʼennesima ciocca e la portò dietro le orecchie.
Provò a sporsi. A scrutare nella direzione dove fino a poco tempo prima c’era la Giamaica. Un’ombra nera contro quel miscuglio di blu e azzurro. Il contorno di una vita che non le apparteneva più. Ripensò alla casa nell’entroterra dove era vissuta con la famiglia e i due fratelli, a Rayan. A tutte le speranze e le paure. E ora non c’erano più.
Svanite nel nulla, in quella luce abbagliante che si rifletteva sulla distesa d’acqua.
Aspirò a pieni polmoni il vento che le graffiava la faccia, quasi a volerle strappare di dosso tutta la sofferenza degli ultimi tempi. Seguì il ritmo del veliero, il continuo alzarsi e abbassarsi sulle onde. Si sentiva calma, l’indole burrascosa che teneva racchiusa dentro di sé aveva infine trovato il suo elemento.
Le salì alle labbra una canzone e ritornò verso la cabina di Arabelle che era preda di un violento mal di mare. O forse di qualcos’altro. Passò una pezza bagnata su quella fronte pallida, scrutò negli occhi scuri e vi lesse un tormento fin troppo chiaro.
Un addio a un amore appena accennato.
«Mi dispiace» le mormorò.
Sopra la testa sentì risuonare la voce di Duncshire. Decise che non avrebbe detto nient’altro alla giovane stretta tra le sue braccia. Non c’erano parole di conforto adatte.
***
Jacobson fissò Red Bill, ancora ansimante per il calcio ricevuto. «Mi sono arrivate voci su una strana impresa» esordì, gli occhi che scrutavano le rughe d’ansia del pirata.
«Dell’ultima puttana che mi sono sbattuto?» Lo affrontò con un sorriso carico di sfrontatezza.
«Di un tesoro» rispose. «Qualche settimana fa, ho impiccato Charles Vane.»
Red Bill fremette, ma non disse nulla.
«Alcuni della sua ciurma, tempo fa, mi avevano aiutato con un recupero. Mi hanno confessato che uno di loro si era lasciato scappare ciò che era successo.» Fece una lunga pausa. «E che ti eri messo in testa di fare il colpo della vita.»
Il pirata divenne pallido. «Diavolo satanasso, pensate davvero di mettermi paura? Baciatemi il culo, morirò comunque.»
Gli sorrise, gentile. «Sì, questo lo sappiamo entrambi.» Poggiò sul tavolo la pistola e la polvere. «Però so anche che a voi altri interessa lasciare questo mondo in maniera dignitosa.» Iniziò a caricare l’arma. «E crepare impiccati non lo è. Di sicuro un colpo in testa ricevuto dall’ammiraglio che tanto odiate farà di voi un martire. Vi ucciderò così. Una morte pulita e senza umiliazioni, ma in cambio voglio qualcosa.»
Red Bill strinse i denti e divenne ancora più livido in volto. «Sapere a chi ho detto del mio piano?»
«Una richiesta semplice, in fondo.»
Il pirata chiuse gli occhi, stanco e afflitto. «Ammiraglio, ormai dovreste conoscerci. Siamo solo dei pazzi scatenati, ci interessa saccheggiare e divertirci. Non di andare d’accordo tra di noi. Se abbiamo un bottino lo teniamo stretto come se avessimo una donna bollente tra le cosce.»
Accarezzò il calcio della pistola, impaziente. «Questo vale per la maggior parte di voi» sibilò tra i denti. «Tranne che per uno.»
«Parlate del diavolo, non è così?» Red Bill scosse il capo. «Lo temiamo forse più di voi, e per questo non ho detto a nessuno del vostro tesoro. Gli uomini di quel bastardo di Vane me lo dissero solo perché volevano mettersi in proprio, e nessuno desiderava far brillare ancora di più l’inferno. A tutti piace avere un momento di gloria, in fondo. Un momento che ho tenuto tutto per me.»
«Shiver non sa niente, dunque?»
«No.»
David lasciò che quella sillaba aleggiasse un attimo nella cabina, il tempo di valutare l’autenticità della confessione appena ricevuta. Ormai aveva dimestichezza con minacce e torture, e riconobbe la verità negli occhi stanchi e ubriachi di Red Bill.
Afferrò il calcio della pistola e gli sparò, dritto in petto. Il vecchio pirata fece una smorfia di sorpresa, poi si accasciò in avanti imbrattando la scrivania con un fiotto rosso e caldo.
Michael Orgell fece irruzione nella cabina, allarmato.
«Ammiraglio, cosa…» farfugliò, osservando il corpo steso sul tavolo.
«Uccidete tutti gli altri e date fuoco all’imbarcazione» ordinò, mentre si occupava di ricaricare l’arma.
«Signore!» Il giovane era diventato pallido. «Dovremmo portarli a Kingston, fare loro un processo.»
«Perdio, le risorse della colonia vanno sprecate per cose più interessanti. Eseguite l’ordine.»
«Mi rifiuto!» Orgell lo fissò, scuro in volto. «Non sono un assassino.»
Gli sorrise, freddo. «No, ma vi interessa fare carriera.» Si avvicinò all’orecchio. «Volete diventare importante e sappiamo entrambi perché.» Gli strinse il braccio. «State dalla mia parte, Michael. Harrison Duncshire non vivrà in eterno.» Stavolta diede un vigore più violento alla stretta. «Ma se preferite farvi impiccare per ammutinamento la scelta sta solo a voi.»
Un istante dopo l’intera ciurma di Red Bill era morta e il piccolo veliero colò a picco con uno sbuffo di fuoco e cenere.
***
Scarlett osservò la luce lunare infiltrasi nella cabina. Arabelle sembrava aver trovato pace e lei fantasticava su Hatwood. Non riusciva a capire perché il ricordo di quell’uomo continuasse a saltare fuori, cogliendola di sorpresa. Una morsa allo stomaco, l’unico pensiero che le faceva ripensare alla Giamaica con nostalgia.
La porta cigolò. Le bastò annusarne lʼodore per precipitare nell’incubo. Si tirò a sedere ma la mano grassoccia di Harrison Duncshire le tappò la bocca.
«Che state facendo?» Arabelle si era destata.
«Non vʼimpicciate, moglie. Stasera voglio la vostra domestica.»
Scarlett chiuse gli occhi mentre la tirava per i capelli. Lo seguì, costretta, con la paura che le mozzava il respiro e il disgusto a ribaltarle le viscere. La spinse sul tavolo e lei si stese, cedevole, anche se avrebbe voluto uccidere quel maiale con le sue stesse mani. Non sopportava lʼodore, il tocco delle dita flaccide, il modo in cui il cuore cercava un varco per uscirle dal petto. Lʼimpotenza. Lʼimpossibilità di ribellarsi allo scempio. Stava per farlo. Per lʼennesima volta sarebbe entrato in lei senza permesso.
Chiuse gli occhi. Cercò di rilassarsi. La nave oscillava. Sentiva lo sciabordio delle onde oltre la finestra, immaginò di essere di nuovo sul ponte con il vento a sferzarle il viso e lʼoceano davanti. Le tornò alla mente il bacio con Hatwood, la sensazione eccitante che le percorreva la pelle. Tentò di aggrapparsi a quel ricordo nel tentativo di non sentire le dita grassocce farsi largo tra le cosce, la calda eccitazione del conte premerle contro.
L’urlo degli ufficiali fuori dalla cabina le fece spalancare gli occhi. Si ritrovò a fissare quelli di Duncshire. Nelle iridi slavate si rifletteva il terrore puro.
Le voci tornarono più forti. «Aye, veliero a tribordo. Si avvicina
Duncshire la lasciò. Si risistemò e uscì. La chiave girò nella toppa insieme alla raccomandazione di proteggere Arabelle.
«Che diavolo sta succedendo, Scarlett?»
«Non ne ho idea. Sarà solo un altro veliero. Non vi preoccupate.»
Ma ordini di guerra e difesa risuonarono oltre il legno, sempre più forti e concitati. Il veliero che si muoveva più veloce.
Un tuono. Un rimbombo che fece vibrare l’intera Wind of Pride. E le loro anime.
Afferrò le mani fredde di Arabelle e il cuore si mangiò tutto il resto. Non c’era nient’altro in quella cabina. Solo un battito furioso che scandiva un’attesa verso l’ignoto. Ricordò i racconti di Rayan e delle donne al mercato. Gli arrembaggi cruenti dei pirati con le loro sciabole tinte di rosso, pronti a sbranare chiunque si trovassero di fronte.
Strinse al petto la testa di Arabelle e chiuse gli occhi. Non era mai stata una brava ragazza, sapeva di essersi lasciata alle spalle una serie infinita di errori, di comportamenti che non ci si aspettava da una donna. Aveva sempre fatto di testa sua, diventando il tormento del padre. Chissà, forse aveva corrotto il cuore di Rayan, o forse no, semplicemente non si era arresa a una vita che non le piaceva. Ma sapeva di non meritare una fine tanto orribile e ignominiosa. Voleva solo andarsene, ricominciare da capo.
Quei pensieri sbattevano nella sua testa, esplodevano come i colpi di cannone oltre le mura della cabina. Bestemmie e urla, moschetti che sparavano, scalpiccio di stivali, e ancora grida. Una spinta violenta le fece sussultare entrambe: scivolarono sul pavimento e decise di rannicchiarsi sotto il tavolo, consapevole che era finita.
La porta si spalancò. Due stivali comparvero, erano sbiaditi e rovinati, si muovevano lenti. Scarlett trattenne il respiro. Sperò di diventare invisibile, ma i piedi continuavano ad avanzare verso di loro. La punta di una lama sporca di sangue fece capolino.
«Eccovi qua!»
Trasalì, ritrovandosi a fissare la faccia sporca e abbronzata di un pirata. Lo stesso uomo che l’aveva aggredita a Kingston poche sere addietro. Che diavolo ci faceva lì? Com’era possibile che fosse di nuovo di fronte a lei, pronta ad aggredirla?
Le fece un grosso sorriso, prima di agguantarla e trascinarla fuori dal nascondiglio improvvisato. Un altro uomo fece lo stesso con Arabelle e tra manate e insulti furono trascinate fuori, ai piedi di un incredulo Harrison Duncshire.
Delle lanterne illuminavano l’intero equipaggio ammutolito. Scarlett trovò la forza di alzare la testa. Lasciò scivolare gli occhi lungo la murata dell’aggressore. Giallo e blu sbiadito dall’arsura a ricordare che un tempo era stato un veliero della flotta britannica. Le bocche scure dei cannoni a fissarla, i grappini che divoravano il legno della Wind of Pride. Spostò le iridi più su, verso prua, per fissare il volto bellissimo e un poʼ civettuolo della donna intagliata nel legno. Quegli occhi allungati erano cristallizzati in unʼespressione carica di fascino e compiacimento: parevano vantarsi dellʼinsolito gioiello scolpito sul collo. Una stella. Verde. Fatta di giada.
Sentì la gola diventare così secca da farle male. Un rumore di stoffa strattonata attirò l’attenzione, su, lungo tutto l’albero maestro fino a seguire la danza di un drappo nero, squarciato dalle intemperie. Il bianco con cui era cucito il teschio risplendeva contro la notte, appena illuminato dalle lanterne che continuavano ad ardere.
«Cristo santo e tu che diavolo ci fai qui?» Duncshire era esploso in un grido isterico. Boccheggiava, pallido, e a Scarlett ricordò un pesce che spirava nella cesta di un pescatore. Un pensiero stupido, un modo come un altro per cancellare la fitta al cuore.
«Sono dove devo essere, bastardo. Ho solo finto di essere il nipote di Taylor Ferd, e vi ho fottuto alla grande.» Il calcio della pistola si abbatté contro la tempia del conte, il sangue gli colò sull’occhio.
Scarlett rimase qualche istante a fissare quella lenta cascata prima di trovare la forza di farlo. Di girarsi per guardarlo in faccia.
Era cambiato. Nessuna traccia dell’uomo che aveva conosciuto a Kingston. Due spade assicurate alla vita da una fusciacca, capelli biondi legati in un codino, una camicia nera aperta sul torace. George Hatwood non era altro che una maschera. Nel verde profondo di quegli occhi ora brillava, senza alcuna remora, la cupidigia, la ferocia, lʼautorità di chi era abituato a fare quella vita. A prendersi ciò che voleva, quando voleva.
Ed ebbe paura perché un brivido di assurdo, illogico desiderio s’insinuò lungo la schiena prima di esplodere in un moto di rabbia per aver provato qualcosa per un bastardo. L’ennesimo.
Il vero nome di Hatwood fu pronunciato da un pirata. Chris. Diminutivo di Christopher conosciuto da tutti come Redblade, il sanguinario quartiermastro di Johnny Shiver.
«Dio ti prego. Aiutaci. Ti prego. Ti Prego, abbi pietà di noi.» Uno dei marinai aveva iniziato a mormorare con le lacrime che gli solcavano il viso e le mani che si contorcevano tra di loro. Gli occhi sbarrati erano fissi sulla Stella di Giada.
«Per l’amor di Dio» continuò, con il moccio a colargli dal naso. «Risparmiateci! Risp…»
Un colpo di pistola, e il marinaio rimase riverso sulla tolda, in una pozza di sangue. La Wind of Pride divenne silenziosa, priva di quella improvvisata preghiera.
Scarlett si fece coraggio e lo guardò. Vide degli stivali a sbuffo, dei calzoni, una bella giacca scura dal buon taglio. Le dita che ancora tenevano la pistola puntata verso il marinaio erano cariche di anelli d’oro. Sciabola e pistole infilate nella fusciacca, minacciose.
Osservò il viso. Un semplice, normale volto di un uomo. Nessun paio di corna, niente pelle incandescente e raggrinzita o fumo a uscire dalle orecchie.
Solo un pizzo ramato, una cicatrice sullo zigomo destro e sulla testa un cappello a tesa larga con le piume bianche che danzavano nell’aria.
E l’inferno a emergere dagli occhi.
Zaffiri lucenti sotto le lanterne. Buchi neri e profondi in cui ballavano scatenati demoni senza morale né pietà.
Scarlett percepì la saliva scenderle lungo la gola con un brivido così freddo da scacciare tutti gli anni passati al sole dei Caraibi.
Johnny Shiver ripose la pistola, si accese la pipa e scavalcò il cadavere del marinaio per raggiungere il conte.
Era la fine. Questo Duncshire lo sapeva fin da quando aveva incrociato lo sguardo con la polena della Stella di Giada, ma ora, mentre osservava Shiver togliersi il cappello e venire verso di lui, sentiva già il gelo dellʼoblio farsi strada nelle vene. Ma unʼassurda, testarda voglia di sopravvivenza lo costrinse a spalancare le labbra secche.
«Non cʼè nulla di prezioso a bordo… stavo solo andando a Londra» piagnucolò, osando appena alzare gli occhi.
Le iridi azzurre furono attraversate da un lampo dʼilarità, una risata cristallina gli assordò le orecchie. Il pirata rimise il cappello in testa, poi, con tutta calma, prese qualche boccata di fumo.
Glielo sbuffò addosso, costringendolo a tossire. «Sì, lo so che stavi andando a Londra per convincere il re ad accettare lʼoro che quel bastardo di Jacobson ha preso agli spagnoli.»
Avvertì il disperato, inutile bisogno di pregare. Non voleva tradire Jacobson, ma sapeva che cosa Shiver fosse pronto a riversargli addosso. Fissò la tolda del veliero, il legno levigato dagli anni e dalla salsedine, osservò graffi e buchi. Ingoiò la saliva, amara di terrore. Il loro piano era stato scoperto in maniera misera.
Cercò di salvare il possibile. «Ti sbagli, lʼoro lo abbiamo già venduto!»
Seguì un lungo, interminabile momento di silenzio, in cui ogni rumore gli arrivò amplificato alle orecchie: le vele strattonate dal vento, le onde che si abbattevano contro lo scafo, il rollio dei due velieri abbracciati insieme.
Rinvenne sotto l’impeto di un suono sordo. Legno che sʼabbatteva contro la sua mascella. Il sangue gli invase la bocca, insieme al dolore, alla nausea. Aprì le labbra sotto un violento colpo di tosse e sputò saliva vermiglia. Un dente che rimbalzò sulla tolda.
«Cristo.» Le mani di Shiver gli afferrarono i capelli fino a tendergli il collo. «Secondo te per quale motivo ho mandato il mio quartiermastro a rischiare il culo?» Ridacchiò. «Chris, spiegagli tu la situazione.»
Davanti a lui comparve Redblade, tronfio. «Non mi sono limitato a prendervi per il naso, fesso. Ho scoperto dove lʼammiraglio lo teneva, lʼho visto. Come vedo questo.» Il pirata sfilò dalla giacca una barra di oro lucido. «Il campione che stavate mandando al re.»
Riprese fiato e si passò la lingua sulle labbra umide di sangue. Non ebbe la forza di aggiungere nient’altro. Alzò gli occhi verso Arabelle: era finita, Jacobson avrebbe dovuto dare a Shiver fino allʼultima oncia di oro.
Duncshire sentì le forti dita del suo aguzzino infilarsi tra il collo della camicia e la schiena. Un momento dopo, un violento strattone lo costrinse a piegarsi in avanti e strusciare sulla tolda come un verme.
«Marinai della Wind of Pride. Sarò breve. Ho intenzione di inchiodare questo bastardo all’albero maestro e lasciarlo morire dissanguato, arso dal sole.»
Era così afflitto che non riuscì a dire nulla. Nemmeno a sospirare.
«La scelta che vi do è semplice. Se vi arruolate con me avrete monete, donne, e libertà. Se rimanete fedeli al Re, creperete alla stessa maniera.»
Vide la maggior parte dell’equipaggio camminare alla svelta e portarsi dietro Shiver, solo una manciata di uomini, per lo più ufficiali della nave, rimasero dov’erano con i visi pallidi e gli occhi a cercare il coraggio di affrontare la morte.
Osservò parte del suo equipaggio salire a bordo della Stella, i pirati svuotare il veliero di ogni cosa utile. Infine, livido in volto, si fece legare e portare verso lʼalbero maestro.
Un pirata gli alzò le mani oltre la testa. L’istinto fu quello di chiudere le dita in un pugno ma un altro uomo lo costrinse a tenerle aperte. Un terzo lo raggiunse con un lungo chiodo e un martello.
Shiver era di fronte a lui e lo osservava, compiaciuto. La punta fu appoggiata sulla pelle tesa dei palmi. Chiuse gli occhi. Il martello colpì e la sua bocca si spalancò in un grido disperato quando il ferro gli perforò la mano, gli spezzò le ossa e si conficcò nel legno. Ansimò, folle di dolore. Senza nemmeno dargli il tempo di riprendersi, fecero lo stesso con lʼaltra mano. Quando ebbero finito, era sul punto di svenire. Il sangue che colava lungo i polsi, sugli avambracci, fino a imbrattargli il viso.
Shiver ordinò a tutti di abbandonare il veliero e di metterlo alla fonda. Rimasero soli, il silenzio rotto dalle preghiere sommesse degli uomini legati e dal suo respiro ansimante.
«Non so quanto tempo ci metterai a morire, così conciato, con il sole a picco sulla testa. Tutto sommato, potresti metterci giorni. Ogni volta che muoverai le braccia, ti lacererai la pelle contro i chiodi.» Il pirata tirò fuori la sciabola. «Vorrei poter rimanere qui a godermi questo spettacolo.»
La punta della lama premette contro il fianco e il volto di Shiver era a un soffio dal suo.
Con gli occhi annebbiati dal dolore, scrutò lʼazzurro intenso e allo stesso tempo gelido come la neve che cadeva a Londra, dʼinverno. Tanti su quei mari avevano osservato gli occhi che gli stavano di fronte. Li avevano pregati, implorati, e se li erano portati con sé allʼaltro mondo. In pochi, tuttavia, conoscevano cosa si celava sotto la superficie.
Qualcosa di oscuro. E senza riposo.
Strinse i denti sotto la fitta di dolore.
«So come ci si sente a implorare una morte veloce. A desiderare di lasciare questo mondo alla svelta, per mettere fine alle sofferenze.» La voce di Shiver era calma, la lama bucò la pelle, penetrò lenta, poco per volta, senza infierire.
Chiuse gli occhi. Il fiotto caldo di sangue che inondava la gamba. Il dolore che non accennava a diminuire, la prospettiva di rimanere in quello stato per interi giorni.
«Vuoi che ti implori?» balbettò. «Che te lo chieda?»
«Tu che cosa ne dici?»
«Non lo farò.»
«Non mi aspettavo nulla di diverso, in fondo.»
Shiver sorrise, soddisfatto. Gli infilò nella tasca un pezzo di carta e gli diede un leggero buffetto sulla spalla. «Buona morte, bastardo.»
Johnny Shiver assunse unʼaria quasi malinconica mentre lo abbandonava all’oblio.
***
Scarlett fissò il capitano percorrere lʼasse sistemato tra i due velieri, intento a ripulire la sciabola dal sangue con un fazzoletto. Una smorfia confusa tra pietà e soddisfazione le imporporò le guance mentre voltava il capo oltre il sartiame, per fissare la mole di Harrison Duncshire, appena lambita dall’alba imminente. Si udivano i lamenti di dolore che il vento trascinava con sé.
«Molto bene!» la voce di Shiver riecheggiò decisa, una nota di evidente trionfo ne colorava i toni. «Riprendiamo il largo e fate accomodare le nostre due signore nella cabina ufficiali.»
La ciurma si mise allʼopera e sganciò la Stella di Giada dalla Wind of Pride, ridotta a un guscio vuoto, desolato e denso di morte.
Scarlett fu afferrata da un uomo che la trascinò verso poppa in malo modo, facendo scorrere la mano lungo il suo sedere.
«A Kingston non ho potuto fare niente, ma le cose sono cambiate bellezza!» le alitò in faccia.
La mano era ancora salda sulla natica, emise uno strano verso, una specie di ringhio. Non ne poteva davvero più. Ignorò la paura di trovarsi a bordo del veliero pirata più temuto e gli pestò il piede. Non gli aveva fatto male, ma quellʼatto dʼinsubordinazione le costò una lunga tirata di capelli che la costrinse ad allungare il collo e a esporlo alla mercé del pirata. Temette il peggio quando le dita accarezzarono la pelle, scesero verso i seni e ne strinsero uno con forza, le scappò un gemito di dolore, cercò di ribellarsi, il pirata la spinse a terra e la sovrastò.
Si guardò intorno, in cerca di un aiuto. Finì per fissare Christopher, impegnato accanto al timone, per poi scontrarsi ancora una volta con lʼazzurro di Johnny Shiver, più intenso ora che il sole si faceva arrogante.
Il capitano aveva bloccato il suo uomo con una presa ferrea al braccio. «Che stai facendo, Scrub?»
«Mi prendo il bottino, capitano. Come sempre.»
«Non ho detto che era tua.» Shiver diede un lungo sguardo al pirata che la lasciò libera.
Il capitano le offrì il braccio per aiutarla ad alzarsi, tremava, mentre tendeva la mano verso quelle dita riarse dal sole. Lʼoro degli anelli luccicava e il tatuaggio di un diavolo dalla testa di scheletro, risaltava sul polso. Per un attimo, pensò a tutto il sangue che aveva imbratto il palmo stretto intorno al suo e la sua vita le parve la cosa più effimera del mondo.
Un attimo dopo entrò nella cabina ufficiali. Un luogo spartano, con tre brande, una scrivania, un paio di bauli. Unica decorazione, la tenda rossa che serviva a schermare la finestra. Chiusero la porta a chiave e Scarlett rimase sola con Arabelle. La padrona era pallida, provata, ma uno strano luccichio brillava negli occhi, la speranza, la certezza di essere una vedova.
«Immagino dovremo solo pazientare. Qualche giorno di patimento e poi torneremo a casa.» Arabelle sedette su una branda che ondeggiò, una nuvola di polvere si alzò dalla stoffa.
Chiuse gli occhi. «Non rientrerò con voi, milady. Non posso.» Fece un lungo sospiro. «Non credo mi lasceranno andare. Voi valete l’oro di vostro padre, io sono parte del bottino.»
Arabelle le tese una mano. Lei gliela strinse, un gesto che sciolse la sua angoscia. Le lacrime presero a scivolarle lungo le guance.
Uno sguardo all’oceano pallido d’alba oltre le finestre. Aveva desiderato solcarlo con tutto l’ardore possibile in cerca di libertà. E ora era in balia dei suoi capricci più oscuri.