Capitolo 6
David Jacobson si appoggiò alla porta della cabina e bevve. Tutto d’un fiato. Per placare la rabbia, il senso di umiliazione. Seguì con lo sguardo Orgell raggiungere Arabelle. Si guardavano con occhi carichi di aspettativa, di sollievo. Di desiderio.
L’ufficiale aveva alzato appena una mano per sfiorare quella di Arabelle. Un contatto leggero, appena accennato, eppure carico di una forza quasi violenta. Il loro amore era ancora compresso nei limiti della decenza, della buona società, ma lui lo sapeva che prima o poi sarebbe esploso e nessuno dei due avrebbe potuto fare nulla per arginare la tempesta pronta a travolgerli.
Conosceva fin troppo bene come andavano quelle cose.
Per il momento, doveva ancora sfruttare le capacità di Orgell, e l’amore che provava verso Arabelle era un ottimo perno su cui fare leva. Poi si sarebbe occupato di trascinare via la figlia dal pericolo.
Rayan gli transitò davanti, pallido. Scosse il capo e bevve un altro sorso. Era convinto che sua moglie Rachel avesse rovinato un valente capitano, costringendolo a trasferire Rayan a Nassau per salvare quella pazza e senza futuro di Scarlett. L’uomo davanti a lui era preda di un sentimento che lo avrebbe consumato fino al midollo. Incredibile. Intorno a lui l’amore mieteva più vittime della febbre che soffiava dalle Blue Mountains.
«Rayan, venite con me.» Abbozzò un sorriso.
Il capitano s’incamminò verso di lui. «Ammiraglio.» Lo salutò prima di infilarsi in cabina.
«Sono davvero dispiaciuto di come sono andate le cose con vostra moglie, ma non potevo di certo attardarmi a cercarla.» Si scusò, versando anche a Rayan un buon bicchiere di rum. L’alcol era l’unico amico che rimaneva per mare.
«Lo so, ammiraglio. Lo capisco.»
Ma la rabbia transitò comunque nelle iridi volitive di fronte a lui.
«Non abbiamo avuto molto tempo per parlarne.» Assestò meglio la schiena contro la poltrona, sfuggendo a un’audace raggio di sole che entrava dalle finestre per puntare direttamente al volto. «Ma gradirei discutere con voi di come vanno le cose a Nassau. Con Rogers.»
L’istinto gli fece voltare gli occhi verso il plico di lettere nascosto sotto il diario di bordo, ma
non disse nulla. Erano voci di un passato troppo lontano. Che diavolo stesse passando nella mente di Rogers era abbastanza intuibile e sapeva come ripararsi dai vecchi scandali. Di sicuro non sarebbe rimasto con le mani in mano ad aspettare che il tanto blasonato governatore delle Bahamas gli mordesse le chiappe.
Rayan si scolò il bicchiere e aprì appena le braccia. «La sua casa è un continuo andirivieni di persone. Credo che stia continuando nel suo proficuo giro d’affari per tenere tutti a bada.»
«Capisco.» L’astro più fulgido degli intrighi decisi oltreoceano si stava dando parecchio da fare. «Ho saputo che ha diversi interessi a Londra. Una fitta corrispondenza con dei miei vecchi amici.» Scrutò con attenzione gli occhi di Rayan. «Mi chiedevo se nel periodo in cui siete stato al suo servizio avete visto o sentito qualcosa a riguardo.»
L’uomo davanti a lui era furbo. Molto sveglio. Aveva mosso appena il labbro per incurvarlo in una smorfia complice. «Volete mettere becco negli affari di Rogers?» L’espressione divenne avida. «Fare la spia su un uomo del genere, di questi tempi è poco conveniente.»
Si sporse in avanti, appoggiandosi sui gomiti. «Lo so che la mia reputazione si sta appassendo come un fottuto fiore, ma, mio caro Rayan, vi assicuro che posso essere ancora molto pericoloso.» Scoccò un sorriso accondiscendente. «E ho a disposizione ricchezze che Rogers si può solo sognare, affogato dai debiti com’è.» Tornò indietro sullo schienale. «Vi posso rovinare la carriera in un istante o posso garantirvi un posto di prestigio.» Tamburellò le dita sul tavolo. «Siete un uomo ambizioso e non vi ho chiesto altro se non qualche pettegolezzo.»
«Come Richard Lesley che è stato riassegnato alle Indie Occidentali su espressa richiesta di Rogers?»
Spalancò gli occhi, diede una sonora manata al diario di bordo, per placare i sussurri che provenivano dalle missive al di sotto. «Lesley? Sant’Iddio.» Cercò di calmarsi. «Dov’è ora?»
«Tra Nassau e Antigua, suppongo.»
«Diavolo.» Buttò giù altro liquore. La situazione stava sfuggendo di mano anche a suo padre. Il vecchio bastardo non si era accorto di nulla oltreoceano, altrimenti lo avrebbe di certo avvertito.
«Ditemi che conoscete qualcuno in grado di riportarmi i segreti di Rogers.»
L’altro sorrise, compiaciuto. «Ma certo che sì, ammiraglio.»
***
Cantava. Senza neanche rendersene conto aveva imparato in fretta le parole. Scarlett le
seguiva, respirava con loro, cancellando il battito accelerato di fatica dal cuore. Cadenzavano il lavoro, strofe cariche di oscenità o di vecchi racconti per mare. Il coro era deciso e colorava tutto di una strana velatura di sogno. Come se fosse finita in un’assurda invenzione della sua mente.
Il sole, però, era fin troppo vero. Una presenza costante. Penetrava ogni cosa, sʼintroduceva tra la camicia e il cappello, mordeva e bruciava. La pelle ardeva, la testa esplodeva sotto quei raggi che cadevano a picco su una tolda esposta alla natura. Le uniche zone dʼombra erano i profili degli alberi e delle vele. Il vento era assordante. Produceva un sibilo monotono, un continuo sbatacchiare, e seccava forse anche più del sole stesso.
Scarlett vide lʼennesima goccia di sudore cadere dalla fronte e schiantarsi sul legno, immerse la pezza nel catino e continuò a lavare. Teneva la testa bassa e ignorava gli stivali che le giravano intorno, le occhiate che sentiva appiccarsi alla schiena, le risate e le provocazioni. Era circondata da squali pronti a sbranarla.
Li osservava di nascosto. Erano in tanti. Almeno un centinaio di pirati vivevano nel ventre del veliero. Se da fuori la Stella di Giada appariva enorme, dentro gli spazi erano stretti, e sempre occupati. I pirati erano dovunque: camminavano veloci, con le braccia muscolose e abbronzate. Si arrampicavano con agilità, inchiodavano, muovevano casse, oppure fumavano e giocavano a dadi, imprecavano.
E la guardavano. La spolpavano viva, le inveivano contro. Più di una volta li aveva visti toccarsi con lascivia, una presa giro per ricordarle dove avrebbero voluto infilare ciò che tenevano in mano.
I loro muscoli allenati parlavano di violenza e più di una volta aveva rabbrividito quando gli occhi erano finiti sulle schiene d’ebano dei neri d’Africa. A bordo ce n’erano parecchi. Ex schiavi liberati che si aggiravano con le loro cicatrici e gli occhi neri, ardenti. Iridi che parlavano di terre selvagge e sconosciute. Non era abituata a vederli parlare, ridere e scherzare al pari dei bianchi. A bordo della Stella non erano più bestie sottomesse al padrone, ma uomini liberi che testimoniavano la rottura di ogni regola decisa dalla cosiddetta civiltà.
Tentava di resistere, ma era terrorizzata.
Shiver l’aveva portata a bordo come sollazzo. Un gioco per placare gli animi sempre assetati intorno a lei. Se in un primo momento la sfida le era parsa come un’opportunità, ora si rivelava per ciò che era. Una trappola. Uno di quei giorni il capitano avrebbe detto che gli uomini potevano fare ciò che volevano di lei, e non sarebbe potuta scappare da nessuna parte.
Si chiese perché non lo avesse fatto subito. Almeno tentare di sfuggire alla presa di Shiver
quando l’aveva ritrovata. Invece era rimasta, abbindolata dalla voce calda e seria, da quei profondi occhi azzurri che parevano inchiodare al suolo, anche quando non esprimevano alcuna condanna di morte.
E poi c’era l’altra questione. Il quartiermastro. Dannazione, era una stupida. Si concentrò di nuovo sul lavoro per cancellare le angosce. Lavò con perizia le venature del legno, i graffi di schegge e proiettili, le macchie rossastre, sbiadite dall’arsura.
Sangue. La Stella di Giada pareva averne assorbito molto. In più punti il legno aveva perso il naturale colore. Pensò alle vittime, alle urla, si augurò di non essere la prossima che avrebbe fatto bere il veliero.
Rapita dai suoi stessi pensieri, Scarlett si accorse di aver fermato le mani un momento di troppo. Unʼombra calava su di lei. Roteò gli occhi, fino a fissare di sottecchi la figura del quartiermastro. Teneva la camicia slacciata, il fischietto che pendeva sul petto sudato. La bandana gli avvolgeva il capo e faceva emergere la mascella e le iridi limpide. Se ne stava lì impalato, senza dire niente.
Scarlett infilò la pezza nel secchio e la lanciò contro il legno, nel tentativo di sfogare lʼassurdo senso di rabbia che solo Christopher era in grado di provocarle. Ma il suo modo di mettere in mostra i muscoli e di fissarla come se fossero ancora avvinghiati su quella maledetta spiaggia, le dava suoi nervi.
«Ti conviene darti una rinfrescata» le sussurrò. «O finirai per svenire.»
Le parole erano appena percettibili, gli occhi che scrutavano attenti gli altri pirati. Aveva capito che il quartiermastro dirigeva i lavori del veliero, il braccio del capitano che si allungava tra la ciurma con il compito di capirne a fondo gli umori e le necessità. Il filo che teneva unito Shiver, spesso rinchiuso nella cabina a occuparsi di carte e lettere, e la ciurma intenta a far filare la nave senza intoppi.
Christopher il suo lavoro lo sapeva fare, per questo ad alta voce non le concedeva un attimo di tregua, salvo poi cercare di aiutarla. Sorrise. La consapevolezza di avere il suo appoggio leniva la rabbia per lʼindifferenza mostrata davanti alla proposta di Rayan.
La sera la trovò stanca, sfinita e con la voglia di rintanarsi sulla sua amaca e invece, come era già successo nei due giorni precedenti, fu costretta ad aiutare il cuoco con la cena e poi portare un paio di piatti dalla cambusa al tavolaccio sistemato nel quadrato di poppa.
Salì le scale con il vassoio in mano e le braccia intorpidite di fatica che volevano solo mollare tutto e farla accasciare come un sacco contro i gradini. Strinse i denti e raggiunse Shiver seduto al capo del tavolo, teneva appena gli occhi socchiusi e li riaprì con una specie di sorriso.
Appoggiò con estrema cura il vassoio su cui campeggiava un bel pezzo di carne arrostita e dʼimprovviso il profumo invitante le ricordò che non aveva ancora mangiato. Il ventre emise uno strano brontolio e non fece in tempo a evitare lo sguardo divertito di Chris.
Si augurò che Shiver la congedasse in fretta, invece le posò la mano sul braccio come muto invito a unirsi alla cena con il solito modo indifferente, ma al contempo carico di minaccia. Al capitano bastava uno sguardo, un gesto per essere obbedito.
Senza fiatare, tentò di scostare la sedia che rimase immobile dov’era. Già, era inchiodata come tutte le cose che potevano spostarsi sotto lʼimpeto delle onde. Rossa dʼimbarazzo per lʼerrore, si inerpicò tra la seduta e il tavolo, con i muscoli che si stendevano in cerca di riposo.
«Mangia. Sei pallida.» Shiver le mise nel piatto un pezzo di carne.
Non si fece pregare e lo addentò con foga.
«Questo è il tuo terzo giorno. Ti devo fare i complimenti, non un lamento» continuò il capitano.
«Grazie» rispose, trangugiando la carne e, con ancora il boccone tra i denti, afferrò il boccale che Christopher le aveva appena riempito. Mandò giù la bevanda, accorgendosi troppo tardi che era rum acidulo e annacquato, ma trattenne ogni assurdo verso che si era affollato nella gola in fiamme.
«E dimmi, Scarlett: vuoi continuare il gioco?»
«Sì. Non ho alcuna intenzione di arrendermi.» Buttò giù il cibo e lasciò perdere i piaceri della tavola per concentrarsi sul capitano.
Shiver indurì lʼespressione. «Come ti pare.»
Gli occhi azzurri, nella penombra della sera, erano diventati di un blu denso, la lanterna poggiata sul tavolo gettava ombre calde sul volto e lo rendevano meno spigoloso, privo dellʼaria crudele che vi aleggiava di solito.
Le tagliò un altro pezzo di carne. «Come sei finita a lavorare dai Jacobson?»
La domanda personale la incuriosì. «Dovevo portare a casa il pane, mentre il bastardo faceva carriera in marina.» L’ironia le bruciò la bocca.
«Eppure ti hanno trattato bene, Chris mi ha detto che hanno allontanato tuo marito.»
«Se fosse stato per l’ammiraglio, Rayan sarebbe rimasto per uccidermi a calci, ma Rachel Jacobson è una donna che sa imporre la sua volontà.»
Il capitano rimase in silenzio, con calma prese la pipa e infilò nel fornello una presa di tabacco, e Scarlett fu sicura di aver visto qualcosa tremolare dentro a quei due occhi fissi su di
lei.
Lo zampillo della pietra focaia illuminò con più audacia la cicatrice sullo zigomo di Shiver che non aggiunse altro. Si alzò, la pipa che fumava ai lati della bocca, e scese dal quadrato di poppa lasciandola da sola con Christopher.
Si era già preparata a dirgli qualcosa per tenerlo al suo posto. Un modo come un altro per cancellare la strana sensazione che avvertiva ergersi tra loro due. E non era affatto imbarazzo, lo sapevano entrambi.
Chris seguiva il profilo appena accennato sotto la camicia. Si era fasciata il seno, ne era sicuro, una costrizione che rendeva la faccenda ancor più maliziosa. Le labbra sode di Scarlett rilucevano, lambite dal chiarore della lanterna. Il viso, affaticato, era tuttavia diverso, qualcosa su quei lineamenti si era modificato, per assurdo, risultavano più morbidi, distesi. Lʼaria carica di sofferenza che le aveva visto addosso fin dal primo momento, si era dissolta. Un contrasto netto con i segni evidenti della fatica accumulata nei due giorni passati a bordo.
Il silenzio era diventato pesante, carico di fitti sguardi che nessuno di loro, tantomeno lui, aveva voglia di scacciare con una parola.
Ciò che erano stati a Devilʼs Bay era sempre presente. Ansiti, carezze, un profumo di pelle accaldata che lo torturava da giorni, senza un attimo di pace. Non era stata una buona idea portarla a bordo, e non lo pensava per la sfida.
Il problema era uno solo: su una nave era impossibile mettere abbastanza spazio tra lui e Scarlett, e sarebbe finita male.
Senza dire niente, lasciò anche lui il quadrato di poppa, un’ultima visuale sul collo lambito dai ricci, sulle labbra, ora oblique in un sorriso che sapeva di implicita sfida, poi scese i gradini.
Consapevole del perché le donne erano vietate a bordo sotto la scusa della sfortuna.
***
Rachel Jacobson lasciò la stanza della figlia e ringraziò ancora una volta dio per avergliela riportata sana e salva.
Un miracolo che non meritava.
Raggiunse lo studio del marito e lo trovò seduto sulla poltrona, accanto alla finestra, la pipa in bocca e una nuvola azzurrognola ad avvolgerlo, come i pensieri cupi che aleggiavano nella casa sin dal momento in cui era giunta la tragedia dalla Wind of Pride.
«Hai notizie della flotta di Rogers? Forse dovresti parlare con lui. Sono sicura che può
aiutarci.» Parlò con un nodo stretto intorno alla gola. Non vedeva l’ora di concludere quella estenuante battaglia.
David le voltò le spalle. «Rogers» pronunciò quel nome con un sibilo carico di astio. «Lo sai che cosa sta facendo, il tuo caro
amico Rogers?»
Non rispose.
«Ci sta fottendo. Come fossimo delle succose puttane dal culo sodo.»
«Ma che diavolo ti prende, David? Sei di nuovo ubriaco?» Si bagnò le labbra. Il marito diventava tanto scurrile solo quando era preda degli antichi demoni. Di uno, soprattutto.
«Sta scavando, Rachel. Sta riportando alla luce cose che dovrebbero rimanere al buio.» Le agguantò il polso con gli occhi spiritati. «Richard Lesley.»
Una folata di vento sibilò contro le finestre. I vetri tintinnarono per un momento. Rachel arretrò fino alla poltrona. Ci cascò sopra. E lì rimase, con le mani adagiate sul grembo.
«Non può ricavare nulla da Lesley.» Un sibilo appena percettibile che si perse contro l’ennesimo colpo d’aria oltre le imposte. «Non può ricavarci nulla» ripeté. Parole cariche di menzogna.
Scrutò il marito. Gli occhi erano accesi di rabbia, ma non c’era sospetto. Si riebbe, ritrovando la forza di lottare ancora.
«Si tratta solo di un vecchio processo, David. Sono tutti morti e tuo padre ti proteggerà.»
«Sant’iddio, Rachel!» le gridò a un palmo dal viso. «Si sono visti in faccia.»
Tremò, cercò di controllarsi. «Allora facciamola finita prima di lui.»
Agguantò il bicchiere e lo riempì di Maidera. Uno, due. Tre sorsi. Ma non bastarono a calmarla. «Uccidilo» sibilò. «Fallo.» Vuotò il bicchiere, e scrutò la notte oltre la finestra.
Doveva parlare con Woodes Rogers. Da sola.
***
Scarlett si coricò sullʼamaca nella cabina ufficiali. Lʼavevano sistemata lì per evitare di farla dormire con il resto della ciurma. Non era mai scesa al piano di sotto, in quei giorni. Nonostante gli ordini, capitano e quartiermastro preferivano evitare che i pirati la vedessero aggirarsi nella penombra delle amache, dove era fin troppo facile finire trascinata in qualche cantuccio buio.
Così Chris gli aveva ceduto il suo posto. Ma il maledetto letto ondeggiante in cui era costretta a dormire, era impregnato dallʼodore del quartiermastro, e ogni sera era libera di
accoccolarsi, stanca morta, e sorridere dei ricordi che quel profumo le faceva rivivere. Era arrabbiata, sì, ma forse più con se stessa. Lo spasso di una notte si stava trasformando in qualcos’altro.
«Stanca?» Jeffrey Deruan entrò nella stanza.
Gli sorrise. «Un pochino.»
Il vecchio medico di bordo, dalla pelle cotta dal sole e profonde rughe, era una presenza simpatica. Se ne stava per la maggior parte del tempo chiuso lì, chino su ampolle e libri. Più che un dottore, pareva una sorta di mago, con i capelli bianchi tutti arruffati sul capo e i penetranti occhi castani parlavano di intelligenza, ma anche di unʼallegria in grado di essere contagiosa.
Scarlett si fissò le mani. Erano piene di vesciche. Deruan parve capire, prese un barattolo e iniziò a passarle un unguento, qualcosa che le calmò il bruciore all’istante.
«Come siete finito a bordo della Stella?» gli chiese.
Il medico aveva movenze educate, parlava in modo ricercato, gentile e di certo il sapere che se ne stava stipato in libri e bauli intorno a lei, veniva da un alto strato della società.
«A Londra, certi miei esperimenti, non erano capiti.» Le fasciò i palmi. «Sono dovuto scappare in fretta, altrimenti sarei finito impiccato.»
«Che diavolo avete combinato di tanto pericoloso?»
«Dissotterrare cadaveri per guardarci dentro non è visto di buon occhio dalla gente dabbene.» Le sorrise con innocenza, come se le avesse appena detto che il suo passatempo preferito era coltivare fiori. «Ma è all’interno del nostro corpo che sono custoditi i segreti della vita.»
Scarlett si segnò. Non che fosse una fervida credente, ma l’immagine dell’uomo chino su un tavolo a smembrare i morti le aveva risvegliato uno strano senso di superstizione. Ritrasse la mano, imbarazzata.
«Ah, non preoccuparti. Lo fanno sempre tutti. In ogni caso non ho continuato gli esperimenti.» Chinò il busto verso di lei. «I pirati non amano troppo chi discute con la morte.»
«Capisco, ma come siete finito qui?»
«Il mercantile su cui mi ero imbarcato è stato catturato. Un destino comune alla maggior parte degli uomini che vedi a bordo.» Le versò un bicchiere di acqua.
«Quindi siete costretti a fare questa vita da Shiver stesso?»
La risata con cui le rispose la fece sentire una bambina che aveva appena chiesto
qualcosa di ovvio a un adulto.
«Ci piace, Scarlett. Qualcuno all’inizio si è lamentato, ma poi tutti finiscono per adorarla, questa vita.»
«Ma rischiate di morire da un momento all’altro, siete degli assassini!»
«Sì, ma siamo liberi.» Deruan si voltò a riporre il barattolo d’unguento. «Qui ogni cosa è decisa insieme, e per quanto Shiver sia temuto e rispettato anche da noi, può essere messo da parte se non ci piace come gestisce le cose. Guadagniamo tutti in maniera equa. Non esistono fruste, né disciplina. Siamo governati dagli istinti più bassi, questo è vero. Ma per lo meno siamo sinceri.» Il dottore le sorrise ancora. «Se siamo qui è perché la vita dabbene ci ha spezzato le gambe con troppa ferocia.»
Scarlett si adagiò sull’amaca. Pensò a tutte le angherie che lei stessa aveva subito. Ai racconti degli uomini di marina, dello stesso Rayan, dove si veniva puniti con severità per qualsiasi errore. Le tornò alla mente suo padre. William Baker si era spezzato la schiena in una piantagione per anni, lavorando senza sosta. Ciò che aveva guadagnato era bastato a malapena per lei, sua madre e i suoi due fratelli maggiori, e dovevano considerarsi fortunati. Nel villaggio dove era cresciuta aveva visto bambini morire di fame, nonostante i genitori lavorassero dall’alba al tramonto.
Gli uomini tra cui era finita ragionavano in maniera semplice e violenta. Si riprendevano ciò che non gli era mai stato concesso. Chiuse gli occhi e non riuscì a dar loro torto, nonostante la paura che continuava a opprimerle il petto.
La notte trascorse tra sogni avvelenati da incubi. Fu risvegliata all’improvviso da un baccano di voci oltre la porta, che la fece balzare sull’amaca con i capelli appiccicati al volto e il cuore impazzito.
«Vattene al diavolo, Chris! Spostati!»
Urla e grida. La porta si spalancò e alcuni degli uomini entrarono trascinandola fuori, senza darle tempo di capire. L’odore di rum e sudore le penetrò le narici mentre rimbalzava tra i pirati.
«Non toccatela!» Chris schiantò un pugno in faccia a uno dei suoi.
Scarlett finì a terra. Di fronte a lei braccia e gambe che si muovevano per ferire, volti stravolti dai colpi e schizzi di sangue. Non c’era più aria nei suoi polmoni, fissava sgomenta la velocità con cui si colpivano, e sentì il ventre contorcersi quando vide il sangue colare come una cascata dal naso del quartiermastro.
Qualcuno l’afferrò per i capelli e un coltello comparve a minacciare la gola. Chiuse gli occhi,
non voleva morire portandosi con sé l’immagine di un pirata folle e ubriaco.
«È solo una puttana! Perché non possiamo averla e basta? Vi siete rammolliti? Beh, noi no!»
La trascinarono a forza, le ginocchia strusciarono sulla tolda, un grido le uscì dalle labbra. Di nuovo il rumore secco di ossa spezzate. Alzò la testa, libera dalla presa.
Shiver era in piedi di fronte a lei, un paio di pirati gemevano poco distanti, uno si teneva la mano al petto, l’altro sputava sangue con la mascella in una posizione innaturale.
Trovò la forza di calmarsi, mentre osservava il capitano. Era senza camicia e sembrava ancora più imponente, uno scudo che le impedì di vedere le facce arrabbiate dei pirati. Così ne osservò la schiena. Un’intricata mappa di cicatrici. Avrebbe dovuto averne paura. Rannicchiarsi ancora di più su se stessa, perché era assurdo pensare di trovare protezione dal diavolo.
«Bastardi, figli di puttana!» La voce di Shiver risuonò tetra. «Le ho dato la mia parola e voi eravate d’accordo con me. O vi devo spezzare tutte le ossa per ricordarvi le nostre poche, fottute regole?»
«Voi due la state proteggendo, la volete solo per voi!»
Vide la schiena di Shiver tendersi, gli avambracci irrigidirsi. «Abbiamo fatto un patto e lo rispetteremo. Non avete pazienza?» Calò d’improvviso il silenzio. Scarlett immaginò che Shiver avesse lanciato uno di quegli sguardi in grado di gettarti la morte addosso. «Nemmeno io ce l’ho.»
Il cuore tornò a batterle in maniera normale. Il capitano si voltò verso di lei, le agguantò il braccio così forte da strapparle un gemito e la spinse nella cabina.
«Cristo santo, non so che mi sia preso. Avrei dovuto lasciarti a loro come ho sempre fatto.»
Le richiuse la porta in faccia senza darle tempo di replica, lo sentì discutere con Chris oltre la porta, e le voci si spensero in fretta, sempre più lontane.
«Me lo chiedo anche io perché si sia inventato questa cosa della sfida.» Sospirò, ancora agitata.
Deruan le diede un’occhiata preoccupata. «Per Chris, temo. O per lui stesso, non lo so.» Il medico si stese sull’amaca. «Perché non sei andata con tuo marito? Sarebbe stato meglio.»
Cercò di calmarsi. «No.» Le passò l’immagine di lei rannicchiata contro il muro con Rayan a tempestarla di calci. «Preferisco di gran lunga stare qui.»
Le lanciò un’occhiata carica di stupore. «Temo che cambierai idea in fretta, mia cara
Scarlett. Quando gli uomini hanno quegli sguardi, sbranano. E fanno male.»