Capitolo 7
Paul Rayan si precipitò nello studio dell’ammiraglio, senza badare al fatto che non era stato annunciato. Spalancò la porta e l’impeto con cui lo fece bastò a Jacobson per capire.
«Dunque avete buone nuove, capitano?» L’ammiraglio lasciò lo scrittoio. «Entrate.»
Lo fece, sedette davanti al tavolo ingombro di carte, asciugò il sudore. Il caldo torrido entrava dalla finestra e gli serrava la gola.
Allargò il colletto della camicia e aspettò Jacobson, intento a richiudere tutte le imposte per proteggere il loro discorso.
«La flotta sta arrivando, di questo mi ha parlato Rogers in persona. Quattro velieri. Li userà per Devil’s Bay.»
Jacobson prese posto di fronte a lui, agguantò una pipa. «Tenete, capitano. È tabacco di ottima qualità.» Gli offrì la scatola con indifferenza, ma un guizzo passò negli occhi neri. Qualcosa di simile alla rabbia. «Quindi vuole riprendersi l’isola? Come diavolo spera di farlo? Tutti lì temono Shiver.»
«Ha corrotto gli spagnoli e lo sta facendo anche con altri capitani. L’isola è già quasi sua, di fatto.» Rayan riempì lo scodellino.
«Con quali soldi lo sta facendo?»
«Qualche affare losco di cui non sono riuscito a scoprire nulla, ma sostiene anche che presto metterà le mani su un tesoro. Il vostro, tesoro.»
Jacobson rimase così sconvolto dalla notizia che rischiò di strozzarsi con il fumo. «Diavolo bastardo.» Tossì ancora. «Il mio tesoro? Che fottuto arrogante.» Fece un lungo sospiro. «Così vuole prendersi lo Smeraldo?» Sputò il fumo con un ringhio. «Che ci provi.»
«Sostiene che voi glielo darete di vostra spontanea volontà.»
«Da morto, può darsi.»
«Che lo farete, perché lui vi consegnerà Shiver.»
L’ammiraglio aggrondò le sopracciglia. «E pensa di riuscirci solo catturando Devil’s Bay? Se è così, non ha ben chiara la situazione. Dannato ingenuo.»
Rayan allargò un sorriso. «È
quello che ho pensato anche io, ma poi mi sono fatto più attento.»
«Dalla vostra faccia deduco che avete delle cose molto interessanti da dirmi.»
Rayan abbassò la mano con la pipa. «Sì, davvero molto interessanti.»
***
Il momento era arrivato. Lo stavano facendo. Erano pronti a sbranarla. Giravano intorno a lei insultandola, con gli occhi lucidi, famelici come i cani randagi spersi per Port Royal.
«Se vuoi vincere la scommessa, bellezza, devi farlo! Sali lassù in cima e spezzati l’osso del collo!» Scrub le indicò l’albero maestro.
Scarlett ansimò. Non le uscì altro dalle labbra. Non c’erano più pensieri nella sua testa, solo il battito di un pericolo imminente.
Chris era in piedi di fronte ai pirati, li fissava. La rabbia per la rissa accaduta la sera prima era più asfissiante del caldo.
«Siete pazzi! Non potete chiederle una cosa del genere» urlò il quartiermastro, le mani strette a pugno.
«Avanti, è solo un gioco!» continuò Danny. «Sono sicuro che la signora mollerà il colpo al primo pennone.»
«No.» Fu deciso, il coltellaccio già per metà fuori dal fodero.
«Non puoi mica decidere tu. Mettiamolo ai voti.»
Un istante dopo erano tutti sotto lʼalbero di maestra. Compreso Shiver, serio, scuro in volto. Scarlett faceva il possibile per non tremare, ferma, alla base dellʼalbero, sentiva le gocce di sudore percorrerle il corpo. Tenne gli occhi bassi, il cuore alla ricerca di un aiuto che sapeva non sarebbe arrivato. Swenny le portò dei pezzi di stoffa con cui fasciarsi i palmi.
«Non è necessario che tu lo faccia, possiamo trovare una soluzione.» Il bisbiglio di Chris si perse tra le urla dei pirati eccitati.
«Quale? Mi sembra che la situazione vi stia un pochino sfuggendo di mano» gli rispose, mentre faceva un altro passo verso le griselle. Era terrorizzata, ma se rinunciava l’avrebbero fatta a pezzi. Ne era certa.
«Invoca la benevolenza della ciurma, chiedici di farti sbarcare. Sono sicuro che Shiver li zittirà con un poʼ di monete!»
«Che fai Redblade?» Wraith avanzò contro di loro a grandi passi. «Io ve lo avevo detto che questi due la stanno proteggendo.» Sputò sulla tolda. «Che il diavolo mi porti! Voi volete fregarci!»
Shiver avanzò. «Attento a quello che dici, potresti finire con lʼingoiarti la lingua.»
Scarlett incrociò gli occhi del capitano, la fissavano, freddi e insondabili. «Sei tu a dover decidere. Non sei costretta a fare niente.»
Ma io devo mantenere la parola che ho dato. Se perdi, sarà la ciurma a decidere il tuo destino.
Era questo che esprimeva lo sguardo torvo di Shiver.
Osservò le pezze strette intorno alle sue mani, una piccola vocina dentro di lei voleva dare ragione al quartiermastro, ascoltare il capitano, ma non poteva. I pirati la guardavano in maniera troppo esplicita. Erano sguardi di morte.
Alzò gli occhi e incontrò lʼalbero maestro in tutta la sua imponenza. Il più alto dei tre, svettava maestoso, con il parrocchetto in lontananza, a sfiorare il cielo terso, di un azzurro quasi accecante, come gli occhi di Shiver.
Raggiunse la murata, dove partivano le sartie assicurate con dei grossi ganci. In quei giorni aveva ascoltato un poʼ di discorsi, imparando qualche termine: i ganci si chiamavano bigotte, mentre lʼintricata rete di cime era composta dalle sartie, le “corde” laterali e dalle griselle che intersecavano in orizzontale componendo gli “scalini”.
«Se cadi, perderai una scommessa ben più grande.» Chris continuava a tallonarla.
«Se io fossi un uomo non useresti tutte queste premure.» Si mise in piedi sulla murata, la mano sulla sartia, il mare che gorgogliava ai suoi piedi. Gli diede uno sguardo, spumeggiava contro le murate della Stella.
Strinse l’anello al collo in cerca di fortuna e fece un passo, si ritrovò sospesa tra le cime e lʼoceano. La paura svanì, divorata da un ossessivo senso di sopravvivenza. Fece leva sulle braccia e si sollevò, i piedi che trovavano contatto con il primo, tremolante scalino di corda.
Non era mai stata una femmina normale. Questo lo aveva sempre saputo, fin da quando, da piccola, sgattaiolava dalla cucina della madre per correre insieme ai suoi fratelli. Mark, in particolare, le aveva insegnato cose precluse a ogni donna, come arrampicarsi sugli alberi e nuotare nel piccolo fiumiciattolo. Ne aveva combinate parecchie nella sua infanzia: si era fatta inseguire da un paio di cani arrabbiati e tentato di cavalcare uno stallone di nascosto.
Il problema era che il pericolo lʼaffascinava. Da sempre. Le sfide le accendevano lʼanima, e se si trovava lì, appesa a quelle cime, non era solo perché non aveva avuto scelta. In cuor suo lo voleva.
Voleva arrivare su in vetta.
Sorrise, mentre il vento le sferzava la faccia con tale violenza da renderla sorda, quasi
cieca. Pareva volerla strappare e schiantarla a terra.
I muscoli delle braccia erano preda di un incendio, a causa dello sforzo. Non era affatto semplice coordinarsi, concentrarsi sul rimanere attaccati alle griselle, issarsi, e spostare il piede sul gradino successivo. Agitata, si ritrovò con una gamba sospesa nel vuoto, tentò di rimanere calma e riuscì a posare il piede sulla cima. Il vento era forte, terribile, era sicura che da un momento allʼaltro lʼavrebbe strappata e portata lontano. Rivoli di sudore le scivolavano lungo la schiena.
Ma alla fine guadagnò il primo pennone. Si concesse un sorriso, mentre, malferma sulle gambe, si manteneva in equilibro sul rotondeggiante asse di legno a cui erano assicurate le vele ammainate.
Unʼaltra folata la colpì in viso, come uno schiaffo, mentre riprendeva la salita. Gli occhi rotearono verso il basso. Decine di teste la fissavano, lontane. La percezione dellʼaltezza le strizzò lo stomaco.
Non doveva cedere alla paura.
A mezze labbra iniziò a canticchiare una delle canzoni che aveva imparato in quei giorni. Si concentrò sulle parole, sul ritmo, e cadenzò i movimenti escludendo ogni altra sensazione. Tamburi immaginari davano il ritmo alle braccia: destro, sinistro, a cui seguivano i piedi.
Piangeva sotto lo sforzo. Strinse con più foga le griselle. Al diavolo! Alla fine meglio morire così, scalando la propria libertà, piuttosto che rannicchiata in attesa di essere presa a botte o violentata.
Raggiunse la prima coffa, un largo balconcino che circondava lʼalbero. Cʼerano due pirati intenti a perlustrare lʼoceano, lʼapplaudirono e lei sorrise. Si riposò, cercando di stendere i muscoli delle braccia, indolenziti e doloranti. Uno dei due uomini le offrì un sorso, si bagnò appena le labbra e afferrò ancora una volta le cime.
Inforcò la seconda scala di sartie. Le vele del pennone erano spiegate, gonfie, assordanti. Lʼaltezza iniziò ad avvolgerla, a farla vibrare, nel tentativo di portarla con sé, verso una caduta che prometteva morte.
Percepiva il vuoto sotto i piedi, le cime che salivano più ripide rispetto al primo gruppo. Strinse i denti e poggiò i piedi sul pennone. La seconda coffa era vicina. Più lontano, lʼultima barra. Deglutì, si fece forza, ma cedette. Gli occhi si spostarono allʼingiù per lʼennesima volta e le mostrarono tutta la strada fatta sino a quel momento.
Era una discesa lunga, interminabile. La testa le girò, forte, dandole il senso di ciò che stava facendo, quasi a ricordarle lʼassurda follia nascosta nella sua mente.
Rimase impalata, in bilico sui battiti del cuore, appiccicata alle gocce che scendevano copiose lungo la schiena, sulla fronte. Dʼimprovviso percepì ogni cosa. Il vuoto sotto di lei, il vento sempre più feroce che le graffiava il volto, le bruciava gli occhi, così come il sole a picco sulla sua testa. Avvertì di essere stanca, terrorizzata ora che l’aspettava la parte più difficile.
Eppure, le sue mani afferrarono per lʼennesima volta le cime e le braccia portarono il corpo in alto. Salì in fretta. Una corsa per decidere se rompersi l’osso del collo o trionfare.
Superò la seconda coffa, ma non si soffermò più di un istante. Continuò ad arrampicarsi, con le lacrime inarrestabili sul volto e il dolore che si era fuso in lei, avvolgendole muscoli, ossa, mani e piedi.
E fu in cima.
Si aggrappò con una mano alle sartie, con lʼaltra al legno dell’albero. Sopra la testa svettava lʼasta del parrocchetto che toccava il cielo.
Da lì poteva osservare lʼimmensa distesa dʼacqua. Lʼoceano era davanti a lei, con la sua tinta blu scuro che si espandeva in ogni direzione e la sagoma di qualche isola visibile in lontananza. Il vento le sferzava la faccia e si liberò della bandana, i capelli lunghi e selvaggi iniziarono a ondeggiare liberi. Inspirò a pieni polmoni il profumo di salsedine. Percepì il moto del veliero, puntò gli occhi verso la prua che si inchinava al mare per poi rialzarsi, fiera.
Le lacrime scesero più forti. Dopo un istante, i singhiozzi si tramutarono in una risata allegra, purificatrice. Dʼimprovviso non era più una piccola e insignificante ragazza.
Era onnipotente, in cima a un veliero che solcava i mari seminando terrore e paura.
Lʼoceano era lì a fissarla, e non le ricordava più di essere una prigioniera, tutt’altro. Lì, sulla vetta della Stella di Giada,
ogni cosa era possibile. Il mondo non era più una presenza sfumata oltre la finestra, era ai suoi piedi, e sembrava chiederle di essere conquistato.
In quel preciso momento, mentre quel vento denso di libertà le asciugava le lacrime, una domanda la colpì, crudele.
Shiver era davvero disposto a mantenere la sua parola, sbarcandola al termine della scommessa? Cosa avrebbe fatto una volta a terra? Libera da Rayan, poteva ricostruirsi una vita, ma come? Facendo ancora una volta la domestica? Aggirandosi in qualche sperduto villaggio dei Caraibi o tra la folla di Londra come una donna sola? Avrebbe dovuto lottare per guadagnarsi unʼesistenza dignitosa, sperando di non aver bisogno di un uomo in grado di proteggerla.
Lʼoceano, quel giorno, le stava suggerendo unʼaltra idea.
«Ora possiamo scendere.»
Scarlett chinò il capo verso il basso, Chris era dietro di lei. Lʼaveva seguita? Era preoccupato? Non gli rispose.
Un lungo brivido di dolore le percorse la schiena, i muscoli erano tesi, indolenziti, le gambe molli, sembravano sul punto di sciogliersi. Un forte capogiro la colse quando gli occhi incontrarono, per lʼennesima volta, lʼaltezza che la separava dalla tolda. Si aggrappò con forza alle sartie, la gola secca, le braccia dure come roccia. Incapaci di muoversi.
Le lacrime tremolarono ai lati degli occhi e strinse le labbra, per impedire di mostrare debolezza davanti al quartiermastro.
«Aggrappati alla mia schiena» le suggerì Christopher.
Le ci volle un attimo per capire, poi vide la lunga cima che lui stava assicurando con una bigotta al pennone e un sospiro di sollievo le attraversò il petto.
Obbedì, e avvolse con le braccia il torace del quartiermastro, aderendo alla sua schiena. I muscoli si rilassarono allʼistante, mentre la pelle si beava del calore emanato dal corpo solido contro il quale si era adagiata.
Christopher l’avvolse con la corda e fece un nodo. Nel farlo, le sfiorò una mano e gliela strinse forte. Voltò appena la testa per incrociare il suo sguardo. Era caldo e ferito da una viva preoccupazione.
«Sei una maledetta pazza. Ma hai fegato da vendere, mozzo» le bisbigliò. «Tieniti forte e fidati di me.»
Scarlett annuì. Era una cosa naturale fidarsi di lui, dei bicipiti forti e tesi, delle mani strette intorno alla cima. Christopher si diede una spinta aiutandosi con i piedi e iniziarono la lenta, ondeggiante discesa.
Quando rimisero piede sulla tolda, si staccò a fatica dal confortante calore del quartiermastro. Le gambe cedettero, stremate, così come le braccia. Si ritrovò in ginocchio, fradicia di sudore e con il cuore che batteva all’impazzata.
Lanciò uno sguardo verso la punta del maestro e un sorriso di soddisfazione le dipinse il volto. Cʼera silenzio intorno a lei, gli occhi si scontrarono con i volti dei pirati. Non cʼera più scherno, solo ammirazione.
Un timido battito di mani, uno solo, perso tra lo scricchiolio perenne del veliero e il suono delle vele, poi un altro, e un altro ancora, fino a tramutarsi in uno scroscio potente accompagnato dai piedi pestati sulla tolda.
Dopo poco, quasi lʼintera ciurma della Stella di Giada la applaudiva, meravigliata da ciò che aveva dimostrato. Per la prima volta in vita sua, degli uomini la stavano apprezzando per ciò che era in realtà. Le tributavano rispetto per il coraggio dimostrato e la tenacia. Non era più una donnicciola debole, insignificante, capace solo di soddisfare le voglie. Tutti avevano scommesso contro di lei, convinti che avrebbe ceduto in fretta e invece era riuscita a dimostrare di poter sfidare la morte.
Rise, mentre a fatica tentava di rimettersi in piedi. Non tutti però erano così allegri. Wraith e unʼaltra decina di pirati la osservavano in silenzio, torvi. Lʼallegria le morì in gola.
Shiver la raggiunse, la costrinse ad alzarsi e la spinse contro il legno dell’albero. Era sudato, la mascella stretta, tirata. La mano contro il suo petto la spingeva in una presa ferrea e gli occhi azzurri la fissarono. Qualcosa, ancora una volta, guizzò in quelle iridi. Bramosia, rabbia, non riusciva a capire.
«Domani mattina sbarcherai a Devil’s Bay e te ne andrai per la tua strada.» Si era rivolto a lei, ma parlava agli uomini. «Chris, paga il nostro debito.»
Scarlett sentì lʼimpulso di protestare. Non voleva scendere. Non sapeva cosa fare una volta a terra. Mosse le labbra, ma il capitano la spinse contro il legno con maggiore violenza.
«Non fiatare, perché non hai voce in capitolo. Non lʼhai mai avuta, e sono stufo delle tue inutili dimostrazioni di gloria.» Stavolta il capitano aveva parlato con un tono di voce più basso ma ugualmente deciso. Negli occhi, che riuscivano a racchiudere la limpidezza di un cielo terso e la furia di una tempesta, era passata, senza errore, una minaccia.
Decise che sarebbe stato molto più saggio seguire il consiglio.
***
All’ammiraglio Jacobson, in via confidenziale,
Vi scrivo in merito al recente scambio a cui vi ha costretto il pirata Shiver sulle coste di Devil’s Bay. Inutile dire che disapprovo la vostra condotta, pur ammettendo che non vi è stata lasciata scelta.
Suppongo che abbiate pensato a una strategia per recuperare l’oro spagnolo da voi perduto. Oro che, vi ricordo, poteva essere usato per la sicurezza di tutte le Colonie di Sua Maestà in questo dannato pezzo di mondo. Shiver avrà di certo scambiato l’oro a Devil’s Bay con merce che rivenderà. Immagino abbiate già intuito quali saranno i porti in cui tramuterà il suo carico in monete.
Bath, in Carolina del Nord, oppure English Harbour ad Antigua.
Ritengo necessario non osteggiare il pirata nello scambio dell’oro. Si tratta pur sempre di denaro che entrerà nel commercio inglese, già sofferente per i diversi colpi subiti. Quanto meno, in questo modo, gli affari della nostra cara nazione non verranno danneggiati oltre.
Capisco che questo per voi risulterà deplorevole, ma bisogna pur guadagnare qualcosa dalla corruzione che Shiver ha seminato intorno a sé. Detto questo, è opportuno porre fine alla carriera del suddetto pirata il prima possibile.
Confido nell’arrivo della flotta che ho richiesto da parte Vostra a Sua Maestà e che ci è stata concessa. Appena i velieri saranno giunti, sarò lieto di discutere con voi una strategia appropriata.
Per questo, vi aspetto a Nassau.
Se declinerete il mio consiglio riguardo al destino dell’oro, il Re verrà informato del vostro vizio di impadronirvi di bottini spagnoli senza autorizzazione, e di ricoprirvi di ridicolo, finendo in situazioni imbarazzanti come quella di Devil’s Bay.
Non amo ricordarvi che il Vostro nome a Withehall, viene pronunciato con sempre maggiore imbarazzo. Sono il vostro unico amico da queste parti, tenetelo bene a mente. Posso fare la vostra fortuna, magari consegnandovi, un giorno di questi, la testa dell’odiatissimo Shiver concedendovi tutti i meriti, in modo che il vostro nome possa guadagnare di nuovo credito presso Londra, oppure potrei scrivere un lungo rapporto sui vostri affari, come vi ho già detto.
La scelta sta a voi. Sono sicuro che farete quella giusta.
Il vostro affezionato
Woodes Rogers
Capitano Generale e Governatore in capo delle Isole Bahamas
Jacobson scrutò la moglie, intenta a leggere la lettera che Rayan gli aveva consegnato. Cercò di mostrarsi calmo, anche se stare di fronte a lei, dopo ciò che aveva saputo, costava enorme fatica al suo spirito travagliato, ma non poteva biasimarla.
«Ti ha in pugno?» disse Rachel, con gli occhi allarmati.
«Lui crede di sì.»
«Che cosa farai? Andrai a Nassau?»
«Non proprio.» Lasciò la sedia. «Devo partire per qualche tempo, mia cara. Ma quando tornerò, assisteremo insieme all’impiccagione di Shiver.»
«Dove andrai?»
Non rispose a quella domanda. «Dobbiamo occuparci di Arabelle.»
«Che intendi?»
«Un nuovo marito.» Chiuse gli occhi. «Richard Lesley.»
«Sei impazzito?» La moglie quasi gridò. Gli occhi spiritati. «Perché mai dovremmo darla in sposa proprio a lui?»
Per ringraziarlo
, ma quel pensiero lo tenne per sé. «Un buon matrimonio e l’accoglienza in una famiglia come i Jacobson potranno tenerlo lontano da odiose commissioni reali, non credi?»
Rachel scosse il capo, esasperata. «Dalle tempo, è ancora in lutto! Le avevi promesso che dopo Duncshire sarebbe stata libera.»
Ridacchiò. «Libera? Nessuna donna è libera.» Evitò lo sguardo di ghiaccio che la moglie le rivolse. «Lesley è ricco, molto stimato a Londra. Deve essere sposata a un uomo dabbene, e non a un ufficiale da quattro soldi come Orgell.»
«Si amano, David!»
«Lesley è già stato avvertito, arriverà qui a breve e tu ti occuperai di organizzare il tutto. Non ha alcuna importanza se sia o no innamorata di quello scalzacane.»
«Lo sai bene quanta differenza può fare.»
«E tu conosci le conseguenze.» David si avviò verso la porta. «Quindi tocca a te tenerla lontano dal peccato, Rachel, e non farle conoscere il dolore.»