Capitolo 11
La bandiera nera con il teschio e le due spade incrociate, issata in cima all’albero maestro, garriva al vento che aveva preso a soffiare con maggiore intensità. Sul piccolo isolotto al largo di Antigua, dove la Stella di Giada era alla fonda, regnava una calda pace.
Shiver se ne stava sdraiato al sole a giocherellare con una delle sue pistole. Aveva tolto cappello e stivali, e la sua mente continuava a perdersi nei ricordi. Intorno a lui, la natura caraibica esplodeva di colori e suoni. I pappagalli volavano tra le foglie e il profumo di fiori si confondeva con le immagini nella sua mente.
A volte aveva ancora la spiacevole sensazione di essere chiuso nella cella umida di Newgate o incatenato nella baracca della piantagione, circondato dagli umori puzzolenti dei compagni, ammorbato dai pidocchi, dalla penombra.
Non poteva liberarsi di quella sofferenza. Ogni mattina lo specchio gli mostrava la lunga cicatrice sullo zigomo. Nel riflesso vedeva la frusta svolazzare nell’aria, nelle orecchie sentiva lo schiocco sordo che lo aveva sfregiato. Gli insulti, gli sputi.
Un incubo lungo ed eterno, oltre il quale cercava di scorgere ancora qualche brandello della sua giovinezza. Ma non gli era rimasto altro che una visione sfocata di uno stagno, con un cigno bianchissimo, e due occhi invitanti oltre il fogliame.
«Capitano!»
La voce di Sam lo ridestò dai suoi antichi demoni. «Che diavolo succede?»
«Uno sloop in avvicinamento» spiegò l’uomo.
Cattivo segno. Non disse nulla, si limitò a recuperare il cappello e spolverarlo dalla sabbia, presagiva guai, ma quanto meno quell’interruzione gli permetteva di dare un taglio al suo girovagare in un passato avvilente.
Poco dopo si ritrovò ad accogliere una decina di loro compagni, feriti e affaticati. Jeffry Deruan era scuro in volto. Non usò alcun preambolo. «Johnny, è arrivato il capitano Gray e ci ha attaccato. Non abbiamo potuto fare niente. Hanno catturato molti dei nostri, tra cui Chris, Scarlett e Scrub.»
«Sangue di cristo!» Sputò a terra. «Lowes ci ha tradito?»
«No, credo sia stato una vittima degli eventi. Ha collaborato con Gray, però è riuscito a farci sfuggire. Ma dice che se la Stella di Giada si presenterà in porto, farà in modo che i cannoni non cantino.»
«Per il culo del demonio, ci mancherebbe anche!»
Shiver chiuse gli occhi, stringendo le mascelle, al culmine della tensione. Infilò la mano nella tasca e ne trasse la pipa che prese a mordicchiare, senza nemmeno accenderla.
Un alito di vento umido gli sferzò la faccia, costringendolo a osservare la sua bandiera strattonata con violenza. Il cielo, un attimo prima terso e limpido, si era oscurato e all’orizzonte minacciose nuvole nere avanzavano verso di loro.
«Beh, sarà il caso di andare a conoscere questo capitano Gray. Dopotutto, è merito suo se ho un quartiermastro tanto indiavolato.» Alzò l’angolo della bocca, pronto a entrare in azione.
***
Scarlett tremava, il dolore s’irradiava dalla ferita lungo tutto il costato e la testa era afflitta da spasmi lancinanti. Aprì gli occhi e osservò il consunto pavimento di pietra ingombro da ogni sorta di sporcizia. Compresi un paio di denti, appartenuti, con ogni probabilità, ai precedenti occupanti della cella.
Un rumore di catene trascinate attirò la sua attenzione, Chris tentava di avvicinarsi. Osservò le gocce di sudore e rabbia percorrergli il volto e il torace, per poi venire assorbite dalla camicia in brandelli. I capelli spettinati gli cadevano arruffati lungo il viso, comprendo gli occhi.
Aveva un aspetto selvaggio e afflitto, allungò una mano verso di lei. «Girati» mormorò. «Fammi vedere la ferita.»
Si mosse, esponendo la spalla a Chris.
«Cerca di avvicinarti.»
A fatica, strisciò lungo il pavimento, fino a quando glielo permisero le spesse catene assicurate al muro.
Il quartiermastro allungò le dita verso la carne lacerata. Gli occhi attenti, concentrati. «Sembra superficiale, ma deve essere chiusa.»
«Ti manca essere un dottore?»
Non le rispose subito, prima strappò un pezzo della camicia. «Sì, Scarlett. Mi piaceva. Era gratificante poter salvare le persone. Difficile, spesso frustante ma…» spiegò, mentre iniziava a pulirle la lacerazione con il pezzo di stoffa. «Cʼera di che esserne orgogliosi. Mio padre lo era.»
Urlò e per non pensare al dolore lancinante, cercò di concentrarsi sul discorso. «La febbre è infame per tutti.»
«Scrub ti ha raccontato proprio tutto, vedo.» Abbozzò un sorriso, prima di tornare serio. «Lʼha consumato in pochi giorni e non cʼè stato nulla da fare. Non ho potuto far altro che assisterlo mentre moriva. Un male che non ha risparmiato mia madre. Giurai di prendermi cura almeno di Alan, eravamo così legati, anche se eravamo fratelli solo per metà, ma ho fallito. Non sono riuscito a proteggerlo.» Scosse il capo, mentre stringeva il lembo della camicia nella mano, con forza. «Lui non doveva arruolarsi, dannazione! Doveva occuparsi della proprietà di nostro padre, ma era convinto di far carriera in marina. Diceva che era un buon modo per proteggere le colonie da pirati e spagnoli.» Fece un respiro profondo, tremolante e afflitto. «Ne sono sempre stato convinto: Alan poteva diventare qualcuno. Ne aveva la stoffa, ma Gray odiava il suo modo leale e orgoglioso di comportarsi. Diceva che non lo avrebbe favorito solo perché era ricco e lo puniva per un non nulla. Era un ufficiale, ma questo non lo salvò. A Gray non importava nulla del suo grado.»
Scarlett strinse i denti, sotto lʼennesima fitta. La risacca del mare rimbombava oltre le pareti scure e levigate, una luce grigia filtrava dalla feritoia, fresca di pioggia.
«Scrub mi ha raccontato com’è morto. Deve essere stato terribile per te, vederlo morire senza fare niente.» La sua voce rimbombò tetra.
«Sì.» Christopher chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro il muro, strinse le mani una contro lʼaltra, i ceppi che tintinnavano. «Aveva solo bisogno dʼacqua. E di pezze fresche per abbassare la febbre, mi era già capitato di curare marinai rimasti al sole troppo a lungo, magari alla deriva. Alan poteva ancora farcela. Ero rimasto in silenzio per tutta la giornata, a sentire i suoi lamenti, mentre era legato allʼalbero maestro, ma sapevo che mi sarei preso cura di lui, una volta finita quell’assurda punizione e invece… mi ha proibito di avvicinarmi. E mi dà il tormento sapere che ha usato Alan per arrivare a me.»
Christopher si alzò in piedi, smuovendo le catene. La pelle del viso si era fatta livida sotto il furore, gli occhi scuri, appannati. Diede un calcio nel vuoto, strusciando i catenacci. «Mi odiava, perché non sopportavo la sua inutile severità. Sapeva che avevo scritto al governatore per lamentarmi delle sue pazzie e che lʼequipaggio mi amava troppo.
Non poteva toccarmi o rischiava un ammutinamento. Così mi ha costretto a rimanere fuori dalla porta, mentre Alan moriva di febbre e sete dallʼaltra parte. Due soldati a fissarmi, affinché non facessi colpi di testa, ma appena sono stato libero… sono andato da Gray e gli ho rotto il naso, lo avrei quasi ucciso a pugni se non mi avessero fermato prima.» Spostò le labbra allʼinsù mostrando i denti.
La conversazione fu interrotta dalla porta di ferro che cigolante si spalancò per far entrare Mark Gray. Era seguito da un uomo dinoccolato e magro, dal viso giallognolo e poco rassicurante che teneva un fagotto sotto al braccio e quando posò gli occhi su di lei, scrutandola con gelido interesse, percepì il suo cuore fermarsi per un istante.
Gray raggiunse il quartiermastro che gli sputò ai piedi. «Mi pagherai anche questa, Gray.»
«Tu dici?»
Scarlett tremò, incapace di fare altro, quando lʼuomo magro le strattonò i capelli e la costrinse ad alzarsi, per poi agganciare i ceppi a un uncino che pendeva dal soffitto.
«Toccala, e lʼinferno per te non sarà abbastanza!» sibilò, Chris.
Gray prese le catene del quartiermastro e le appese allʼaltro gancio.
Poi rimase a fissarlo. «Quando ti trascinerò alla forca, domani, ti assicuro che avrai perso ogni traccia di spavalderia. Sei stato fortunato, l’ultima volta. Sei fuggito, non ti sei guardato alle spalle nemmeno per un istante, ma i colpi di moschetti li hai sentiti, vero, mentre ti tuffavi in acqua? Li ho uccisi io, ho fatto saltare le cervella ai tuoi amichetti. Ti atteggiavi come il salvatore dellʼequipaggio, eppure li hai lasciati morire. Credi che mi sia limitato solo ai due che ti hanno aiutato a scappare?»
Scarlett sentiva il freddo della pietra sfregarle la schiena, la ferita pulsava e un rivolo rosso scese copioso lungo la camicia. Spostò la testa verso Chris. Vide il fremito che gli fece guizzare i pettorali, i bicipiti tesi, le vene del collo che sbattevano furiose. Ne era sicura, se non fosse stato legato, avrebbe ucciso Gray a morsi.
«Hai perso la lingua?»
Christopher arrotolò le dita intorno alle catene, i ceppi segavano la pelle dei polsi, e il cuore gli martellava in testa così forte da farlo star male. Imprecò a denti stretti, maledisse e bestemmiò, pensando che era stato uno stupido, anni prima, a non spappolare la testa del bastardo a poca distanza da lui.
Si morse un labbro fino a farlo sanguinare, i lamenti di Alan erano rimasti impigliati da qualche parte nella sua testa. Sussurri che ogni notte venivano a mordergli lʼanima, a dirgli che non era stato abbastanza coraggioso da salvarlo.
Aveva ucciso molti uomini, negli ultimi tempi. La sua carriera da pirata era costellata da arrembaggi e duelli efferati e, mentre osservava il volto di Gray studiare Scarlett con aperta malvagità, capì che aveva mutilato, ucciso e ferito, nel tentativo di lenire i sensi di colpa, di rincorrere una vendetta che non credeva più possibile.
Il ritorno di Gray ad Antigua era una sciagura, ma poteva essere un incredibile colpo di fortuna per il suo cuore che bramava di stritolare, lentamente, la gola del suo vecchio capitano.
Doveva solo uscire vivo da quell’impiccio. Scrutò la luce oltre la feritoia, un lampo illuminò dʼazzurro la cella. Un tuono esplose, fragoroso, assordandogli le orecchie.
Lʼuomo che era con Gray srotolò il fagotto, accese il braciere in un angolo della prigione e vi poggiò un lungo arnese di ferro dalla punta larga.
Chris percepì una goccia di sudore scivolargli lungo il viso, sul collo.
«Credo che voi possiate dirmi un sacco di cose. Dove si trova il vostro capitano in questo momento, per cominciare. Chi sono i governatori con cui siete in combutta e tante altre utili informazioni, che cosa ne dite?»
Il boia di Gray prese il ferro dal fuoco e con un ghigno in grado di togliere la vita dal petto di chiunque, si avvicinò a Scarlett.
Si mosse, impotente, bestemmiando e ansando, ma il ferro arroventato continuò il percorso.
Inesorabile.
***
Il mare era gonfio. Le onde erano alte e imperiose, i tuoni si rincorrevano senza sosta, come se la natura avesse deciso di esprimere la rabbia che gli esplodeva in petto.
Shiver sputò un grumo di acida preoccupazione. La Stella di Giada navigava con fatica. Sferzata dalla pioggia e dall’oceano furioso. I pirati, aggrappati alle griselle e concentrati sulle manovre, bestemmiavano l’intero firmamento di santi.
Fort Berckeley era ormai vicino. Le fiaccole allʼinterno erano luci tremule nell’oscurità. Il suo veliero scivolò accanto a quello della marina, l’equipaggio reale pareva essersi dileguato e la tempesta gonfiava di istante in istante, promettendo di trasformarsi in qualcosa di più pericoloso di un semplice temporale.
Ormeggiarono alla meglio e quando scesero, un uomo si fece loro incontro. «Chi siete?» urlò, nel tentativo di sovrastare il grido delle intemperie.
«Johnny Shiver! Sono venuto a riprendermi il quartiermastro.»
Il terrore si allargò negli occhi del giovane. Una macchia nera di incredula, paurosa meraviglia. Lo fissò. «Avete voglia di scherzare?»
«No, fatevi da parte e portatemi da Lowes.»
Il soldato scrutò i pirati che lo circondavano. Agguantò la spada. Altri uomini del re accorsero, alcuni rimasero immobili, di sicuro istruiti da Lowes. Ma qualcuno si sentì in dovere di difendere l’onore di re Giorgio.
Shiver infilzò il cuore del soldato che lo stava attaccando sulla sinistra. Evitò un colpo di spada a destra. Il legno duro di un moschetto impattò contro la sua fronte, rimbombando nella testa, il sangue iniziò a colargli lungo l’occhio e la cosa lo fece inferocire ancora di più. Digrignò i denti, alzò la mano con la sciabola. La lama disegnò un cerchio armonioso nell’aria, tagliando la pioggia e il collo di fronte a lui. La testa s’inclinò, uno schizzo di sangue gli imbrattò il viso, poi il cadavere cadde a terra.
Si passò la camicia sul volto, e osservò soddisfatto i suoi pirati che si dirigevano verso l’entrata del forte.
Lowes era in piedi, rischiarato dalla luce all’interno. Pallido, terrorizzato, lo fece entrare senza una parola.
***
Il tuono rimbombò fra le pareti e Scarlett ne seguì lʼeco. Era come se il fuoco le fosse filtrato dentro lʼanima, scavando per privarla del respiro, e fermarle il cuore.
Il ferro rovente emanava uno sfrigolio che rassomigliava a quello della carne sulle braci, ma la puzza era così nauseante da darle il voltastomaco. Non sapeva se fosse per via del dolore, così forte da instupidirla, ma non riuscì a fare altro che sgranare gli occhi e spalancare la bocca, incapace di muovere il petto per ingollare aria.
Il ferro lasciò il suo ginocchio e a quel punto una lacrima si staccò dalle ciglia per scenderle lungo il volto. Il respiro tornò agitato e una fitta lancinante rischiò di farla impazzire. Di colpo, i rumori di ciò che la circondava risultarono vividi, e le bestemmie di Chris ebbero la forza di farle raccogliere lʼultimo barlume di lucidità.
«Collaborerai, adesso?» le chiese Gray.
«Crepa , dannatissimo figlio di puttana!» gli urlò, fra gli spasmi.
Uno schiaffo la colpì allo zigomo, facendole ondeggiare la testa all’indietro.
Chris continuava a sbraitare. Scarlett fissò il ferro appoggiarsi alla sommità di un seno, e gridò, al limite della sopportazione.
«Parla, ragazzina. Non è difficile.»
Trattenne uno spasmo. «Sai, ripensandoci bene: ho qualcosa da dirvi…»
«Inizi a capire!»
«Fottiti.»
«Vuoi fare la spavalda? Sarai accontentata: proviamo con un occhio.»
Spalancò la bocca, terrorizzata, mentre Gray le copriva il volto con la mano. Era calda, sudata e le dita la costrinsero a tenere aperte le palpebre. Così impaurita da non riuscire a muoversi, il corpo era diventato di ferro. Lʼunica cosa viva era il cuore che accelerava in una corsa senza pietà. Il boia si avvicinò con l’uncino e Scarlett strinse forte i denti, fino a sfregarli. Gray aumentò la pressione, impedendo alle palpebre di chiudersi per proteggerla da quella punta arroventata ormai a un soffio da lei.
«Capitano, vi prego di fermarvi.»
Una voce malferma le giunse lontana, annacquata dal sangue che le oscurava la testa.
Gray le lasciò lʼocchio e lei rimase a ondeggiare, lʼuncino in mano al boia era ormai abbastanza lontano da permetterle un respiro meno crudele.
«Lowes, avete un bel coraggio a venire qui e disturbarmi mentre compio il volere del Re. Dovreste solo vergognarvi per aver permesso a English Harbour di essere frequentata da feccia del genere.»
Scarlett osservò il sudore staccarsi dalla tempia di Lowes in grosse gocce, si contorceva le mani e negli occhi portava un terrore viscerale, dando lʼimpressione di voler svenire da un momento all’altro.
«Dovete fermarvi, capitano. Fatelo.»
«Per quale dannato motivo dovrei dare retta a un corrotto come voi?» Gray fece un passo in direzione del governatore.
«Oh, il motivo è semplice.» Il capitano della Stella entrò nella cella, la pistola salda nel pugno. «Se non vi arrendete, capitano , faccio saltare per aria il forte e tutta la città.» Shiver era infuriato, era da tanto che non si sentiva così. Aveva una voglia incontenibile di sbudellare quel tizio dallʼaria inutile, capace di mettere in catene Christopher.
Aveva ucciso uomini per molto meno. Temerari che avevano anche solo pensato di catturarli, ma addirittura torturare il suo quartiermastro… e poi cerano gli occhi di Scarlett, così grandi, spaesati, pieni di una paura profonda. Si era affezionato a lei e non poteva permettere che la facessero soffrire in quel modo.
«Siete molto sicuro di voi, pirata
Aveva fegato, quel Gray. Assottigliò lo sguardo. «Si vede che siete nuovo di queste parti.»
«No, il problema non è questo. In realtà, credo che voi siate sopravvalutato.»
Non rispose. Bastarono i suoi uomini che irruppero nella stanza coperti di sangue e arrabbiati forse anche più di lui. Si precipitarono verso le catene di Scarlett e Christopher, pronti a scardinarle. Scrub spaccò il cranio del boia in due con un colpo dʼascia.
Eppure, Mark Gray non cambiò espressione. Shiver afferrò la pistola per la canna e lo colpì alla mascella. Fu solo allora che il capitano inglese diede un segno. Una piccola ombra scura passò negli occhi indifferenti e quando Christopher lo colse alle spalle, cingendogli il collo con la catena dei ceppi, Gray sibilò una mezza parola a denti stretti. Lʼimprecazione di chi aveva capito di essere alla fine dei giochi.
«Allora, capitano, il mio quartiermastro è ansioso di spedirvi allʼaltro mondo, ma io ho qualche domanda da farvi: immagino che portiate notizie interessanti da Londra.»
«Non sono così idiota da dirvele.»
Chris fece pressione e il sangue refluì dal volto di Gray.
«Peccato. Mi tocca sul serio dar fuoco a tutto.»
Lowes boccheggiò, affranto. «No! Per lʼamor del cielo!» Alzò una mano tremante verso il capitano inglese. «Mi ha fatto vedere dei dispacci, li tiene nella tasca della giacca.»
«Voi siete un miserabile, Lowes» sibilò Gray.
«E tu un bastardo» gli rispose Christopher, aumentando ancora la pressione della catena.
Shiver gli infilò una mano sotto la giacca e trovò le lettere menzionate. Tra le missive ne trovò una con un sigillo che conosceva bene.
Quello dei Jacobson.
Lo spezzò, la cera si sbriciolò e spiegò la carta. Parole in apparenza senza alcun senso. Si parlava di fiori e cavalcate. Stupidi vaneggiamenti di un padre che raccontava la tranquilla vita londinese al figlio lontano. Una lettera che sarebbe passata inosservata agli occhi di chiunque, ma non a lui.
Conosceva quel codice. Era scolpito nella sua memoria, e le parole presero tutto un altro significato. Sorrise, il gusto di quella scoperta era dolce, sublime. L’ultima carta da giocare, quella vincente.
Ripose i dispacci e si tolse la giacca per avvolgere le spalle di Scarlett, tremante e pallida, sostenne la ragazza e fissò Gray.
«Uccidilo» sibilò al quartiermastro.
Christopher strinse, feroce. Avvertì la schiena di Gray tendersi contro il suo torace. Lo vide boccheggiare, diventare pallido, strabuzzare gli occhi. Lo ascoltò emettere un lieve lamento, una richiesta di pietà, come i sussurri inascoltati di Alan.
Gray si mosse, annaspando, e lui aumentò la stretta. Le spalle del suo vecchio capitano ebbero un sussulto, gli stivali strusciarono sul pavimento in una lotta disperata contro lʼinevitabile. Percepiva il respiro sempre più corto, gli occhi alla ricerca di una speranza, il cuore che iniziava a mollare la presa. Si godette a fondo quel momento: ogni muscolo che si rilassava, ogni vena che aveva ricoperto la sclera dell’occhio.
Diede un ultimo strattone e Mark Gray scivolò ai suoi piedi, esangue.
Non avrebbe tormentato più nessun equipaggio.
***
Christopher adagiò Scarlett sul tavolo di Jeffry. Era bollente di febbre, il volto stretto in una smorfia di sofferenza. Le tolse la camicia e mentre la liberava dell’indumento fradicio di acqua e sudore, avvertì la paura strisciargli lungo la schiena, e iniziò a capire che quella donna era molto più di un semplice capriccio.
Le sfilò dal collo la catenina per pulire meglio la ferita alla scapola, e la passò a Jeffry, intento ad armeggiare con i suoi unguenti miracolosi.
«Non è così profonda.» Deruan tentò di tranquillizzarlo, ma lui continuava a fissare la lacerazione umida di sangue e la rabbia seguitava a martellargli nel petto.
«Posso dare una mano?»
Alzò gli occhi verso Shiver. Lo fissava con un’espressione che era raro vedergli in volto. La preoccupazione.
Il capitano non aspettò una risposta, sfiorò delicato la fronte di Scarlett che apriva e chiudeva gli occhi sotto un evidente delirio. Shiver le sussurrò parole di conforto e le afferrò i polsi per aiutare a tenerla ferma.
Christopher prese ago e filo, troppo agitato per riflettere sugli strani sentimenti che emergevano dallo sguardo di Shiver. Iniziò a ripulire la ferita e un urlo uscì da quelle labbra che aveva baciato con tanta passione. Maledisse ancora una volta Gray.
Scarlett aveva freddo. Era gelata fin nel profondo delle ossa ed era strano, perché lì, sottocoperta, cʼera un caldo perenne che si poteva quasi afferrare con le mani.
Eppure, continuava a tremare. Ripescò uno dei racconti di suo padre. Diceva sempre che in Inghilterra, quando scendeva la neve e il vento soffiava impietoso, faceva così freddo da battere i denti.
Un altro brivido. Chris era davanti a lei, teneva in mano un ago e la osservava con attenzione, ma il volto abbronzato e teso del quartiermastro fluttuava distante davanti ai suoi occhi. Percepiva Deruan al suo fianco, ma ciò che la teneva ancorata al tavolo e alla realtà erano le due mani forti, strette intorno ai suoi polsi. Fece uno sforzo per voltare lo sguardo indietro. Shiver era lì, chino su di lei, gli occhi torbidi, il capo scoperto.
Sussultò. Deruan le aveva messo qualcosa sulla ferita alla scapola. L’urlo soffocato di una donna le arrivò distante alle orecchie. Una voce stridula, affranta. La sua.
Il capitano le infilò uno stecco tra i denti e Chris le mormorò parole dolci, ma non riuscì ad afferrarne il senso.
Strinse forte il legno quando lʼago le bucò la pelle.
Di nuovo la realtà si sbiadì verso un ricordo.
Freddo.
Qualcosa di bianco volteggiava intorno a lei, soffice. I suoi piedi piccoli, instabili, arrancavano in una distesa pallida per raggiungere la donna china di fronte a lei. Un mantello scuro risaltava contro tutto quel candore e una mano affusolata si tendeva verso di lei per porgerle qualcosa. Una ciocca di capelli danzava nell’aria.
Un tremito cancellò le immagini confuse, assurde. Neve? Come poteva ricordare la neve se lei aveva vissuto in Giamaica per tutta la vita?
Lʼago continuava a uscire ed entrare nella pelle. Qualcosa colò sulla ferita, bruciava, la lasciò senza forza, facendola scivolare verso un oblio nero pece.
***
Si risvegliò nella cabina di Shiver. In preda ai brividi, sconvolta. Per un attimo lʼuncino tornò a tormentarla, così come lʼodore della sua stessa carne che bruciava e le lacrime iniziarono a scivolare sulle guance. Tentò di trattenerle quando incontrò il viso del capitano.
«Non cʼè nulla di male nel piangere» le disse, passandole una pezza umida sulla fronte bollente. Lo sguardo era caldo, apprensivo. «Dopotutto, siamo solo degli esseri umani!» Le sorrise.
Non riuscì a dire niente. Un brivido le spezzò la voce. Gli occhi fissi sul braccio di Shiver, intento a immergere lo straccio nel catino. La camicia era arrotolata fino al gomito e intravide il tatuaggio inciso sulla pelle, sopra il polso. Era la prima volta che poteva osservalo così da vicino. Il teschio dalle fattezze di un diavolo copriva qualcosa, delle lettere, ma non riuscì a decifrare oltre.
Shiver si era accorto del suo sguardo e coprì il disegno con la camicia.
«Un veliero pirata non è il posto per una donna» le mormorò. «La nostra vita è troppo crudele, non la meriti.»
Si strinse nella coperta per respingere lʼennesimo brivido. Voleva rispondergli che non importava quanto stesse male, lei voleva restare, combattere, ma le palpebre si chiusero stanche, le riaprì a fatica.
I loro occhi sʼincrociarono per un lungo momento. Il volto di fronte a lei apparteneva a un uomo diverso dal capitano che aveva imparato a conoscere. Gli occhi azzurri erano liberi dal costante velo di morte e crudeltà, gli zigomi sollevati in un’espressione malinconica, persino la cicatrice appariva meno spaventosa. Si era creata una piccola crepa nella freddezza di Shiver.
Era tentata di sondare più a fondo i segreti di quell’uomo. Il capitano continuava a esercitare una strana attrazione sulla sua anima. Qualcosa che la spingeva a combattere per lui, nonostante lo conoscesse appena. Mille domande le si accavallarono nella mente.
Una fra tutte, trovò la forza di muovere le labbra.
«Come mai siete così benevolo con me, capitano?»
Così come si era formata, la crepa si richiuse. Lʼazzurro si fece freddo, distante. «Devi riposare, Scarlett.» La lasciò da sola.
In preda ai brividi, cercò la collana ma non la trovò. Forse gliel’avevano tolta per curarla, ed era troppo debole per richiamare indietro Shiver e domandare del suo anello. Chiuse gli occhi, affranta, mentre osservava la soglia della cabina richiudersi sugli occhi azzurri del capitano.
Shiver, accostò la porta e vi appoggiò le spalle.
Era stanco. Gli occhi di Scarlett si erano appiccicati al suo tatuaggio, e facevano male più dellʼultima domanda che lei gli aveva posto.
Scostò la camicia per scrutare il teschio cornuto, uno sguardo vuoto, inanimato, che racchiudeva la maledizione di una vita. Come quelle lettere sbiadite, nascoste sotto l’incisione, eppure ancora visibili nonostante tutto il sangue versato per cancellarle.
Salì sul ponte di poppa e si sedette accanto a Christopher. Il quartiermastro era attaccato alla bottiglia di rum, il volto stanco, più pallido del solito. Shiver gli mise una mano sulla spalla. Lʼamava come un fratello, un bene che aveva riservato a poche persone, per questo detestava vederlo tanto afflitto.
Si sedette accanto a lui ma Chris non gli passò il fiasco, una mancanza banale che spezzava un rito ripetuto per anni. Lo osservò meglio, evitava di guardarlo negli occhi.
Non gli ci volle molto per capire. «Sangue di Giuda, Chris, non dirmi che sei geloso!» Stese le labbra in un sorriso.
«Non dovrei?» sibilò il quartiermastro che lanciò una lunga occhiata torva ad alcuni uomini intenti a risalire le sartie. «Dicono che ti piace, e mi viene quasi voglia di dargli ragione, visto il modo in cui ti preoccupi.» Il tono era un misto di delusione e rabbia. «Ti conosco meglio di tutti, Johnny. Tu con lei sei…te stesso.» Bevve un lungo sorso dalla bottiglia. «Che diavolo sta succedendo?»
Shiver osservò lʼamico muoversi a disagio, nel tentativo di trovare una posizione migliore, come se stesse cercando di sfuggire da una poltrona di spilli.
«Chris...» Allungò una mano per sfilargli la bottiglia e ingollò il liquore, stupido tentativo di mettere a freno il tamburo che suonava nel petto. «Non è come pensi» mormorò stanco, dopo un lungo momento. «Lei… sì, insomma, non sono un tuo rivale, se mi fossi invaghito di lei te ne avrei parlato.» Tornò a poggiare le labbra contro il peltro. «Ti ho detto molte cose di me, ma non tutte.»
Si sfregò la tempia che pulsava sotto il livido e scrutò lʼoscurità davanti a lui. Erano fuori dalla tempesta, ormai. Il mare si era calmato, gorgogliava placido contro lo scafo e la luna era spuntata tra le nuvole.
Rimase in ascolto. La Stella di Giada gli parlava, lo blandiva, lo chiamava. Aveva imparato molti anni prima ad ascoltare quella voce fatta di legno che scricchiolava, schiocchi di vele, e refoli di vento incessanti. Una lenta litania, un canto di sirena a cui non era mai riuscito a resistere.
Tante cose erano andate perdute in quegli anni, ma la sensazione provata a Portsmouth riusciva a sopravvivere. Una parte di lui era ancora là, in un giorno qualunque, di un bambino qualunque, a fissare, per la prima volta, la distesa dʼacqua oltre le velature ormeggiate, a promettere al mare che gli avrebbe donato la sua intera vita. Una promessa a cui, in un modo o nellʼaltro, era riuscito a tenere fede. Che lo aveva salvato dal suo abisso di sofferenza.
Chris tossicchiò, e lui si rese conto di essere rimasto impigliato nei pensieri. «Non sono un pericolo per voi due.» Lʼennesimo sorso fluttuò nella sua gola. «Certe volte mi sembra ancora di avere un cuore che batte in petto, tutto qui.» Infilò la mano nella tasca e il plico giallognolo di missive emerse pallido sotto la luna.
Christopher sembrava essersi rilassato. Non aveva fatto domande, ed era quello che apprezzava di lui, gli lasciava i suoi spazi in cui nascondersi, senza chiedere giustificazione. Per lui era un conforto. Nessuno poteva addentrarsi nella sua oscurità e sperare di uscirne vivo.
«Qualche cosa dʼinteressante?» chiese il quartiermastro.
«La marina ha lʼordine esplicito di catturarci.»
«Alla fine hanno ascoltato lʼammiraglio.»
«Rogers, più che altro. Jacobson ha perso tutto il suo credito. E il governatore della Bahamas è la carta su cui stanno puntando a Londra.»
«La cosa ti preoccupa?» Chris gli diede una lunga occhiata in tralice.
Si rese conto di aver parlato con troppa stanchezza, una malinconia che poche volte esprimeva a parole. «No.»
Non erano i damerini della Royal Navy a impensierirlo. Gli fece scivolare lʼaltra lettera tra le dita. «Questa invece è molto più interessante.»
L’amico lasciò correre lo sguardo sulle parole vergate di nero. «Una stupida lettera che racconta la vita di un vecchio annoiato?» Fece spallucce, ma gli occhi verdi si socchiusero appena, attenti. «Che diavolo è questa roba, Johnny?»
«Un codice. Conosco a memoria come sostituire le parole.»
Il quartiermastro lo scrutò. «Non mi hai detto parecchie cose, a quanto vedo.»
Gli sorrise. «C’è scritto che David Jacobson deve portare a Londra il tesoro che ha recuperato alcuni mesi fa. Perché la famiglia Jacobson ha bisogno di farsi bella davanti al re, per battere i loro nemici.»
«Tesoro? Quale tesoro?»
«Lo Smeraldo di Venere.»
Chris rischiò di strozzarsi con il rum. «Ma è una stupida leggenda!»
«Lo credevo anch’io. Ma ho sentito delle voci negli ultimi tempi, c’erano dei sospetti che serpeggiavano tra la ciurma di Vane, pare che qualcuno dei suoi avesse aiutato Jacobson a recuperare qualcosa di molto importante.»
L’amico lo guardò a lungo. «E tu vuoi prenderglielo. Giusto?»
Abbassò il capo, poi lanciò un lungo sguardo verso il buio. «Sì, adesso posso mettere in atto il mio piano.»
Chris aprì la bocca, lui lo fermò afferrandogli la spalla.
«No. Non dire nulla. Me lo hai già ripetuto molte volte che è da stupidi infilarsi in un’impresa del genere, ma lo Smeraldo può convincere la ciurma, è la scusa che stavo aspettando.»
Vide Christopher aprire di nuovo la bocca, nello sguardo una nota di sospetto, un pizzico di astio per le parole appena udite che si mischiavano a una viva preoccupazione, ma Jeffry Deruan li raggiunse, pallido.
Il vecchio dottore aprì la bocca, e le sue parole tremolarono nella brezza fresca.
«Scarlett ha perso conoscenza. Temo che non sopravvivrà alla febbre.»