Capitolo 13
Era ancora buio, ma presto il sole sarebbe giunto a smorzare l’oscurità. Nonostante l’ora, erano entrambi alzati, forse preda di antichi ricordi, lambiti dall’eco di quel segreto che nessuno di loro due aveva voglia di nominare.
La notte perdeva colore, a poco a poco il nero si sbiadiva verso un grigio quasi innaturale, sferzato da un sole appena intuibile. I rombi di tuoni lontani superavano la barriera dei vetri, e quasi facevano tremolare la luce dell’unica lanterna accesa.
Richard Lesley osservò Rachel, seduta di fronte a lui. Non gli sembrava vero che lei fosse lì. Si era alzata nel cuore della notte, chiedendo di condividere la compagnia di ore insonni. Gli occhi incupiti da una malinconia perenne, e il viso pallido, appena lambito dalla luce d’oro che avvolgeva la stanza.
Aprì la bocca per interrompere un silenzio che stava scivolando verso l’imbarazzo, ma il primo ufficiale irruppe nella cabina. Rachel sussultò appena, una ciocca bionda le svolazzò per un momento intorno alla guancia.
«Che cosa volete?»
«Quel veliero si è avvicinato troppo. A me pare che non abbia buone intenzioni.»
Gli occhi verdi di fronte a lui si rimpicciolirono, scurendosi sotto la paura, le sorrise, nel tentativo di rassicurarla, e raccolse il tricorno.
«Andiamo, signor Bets, siamo una nave della marina britannica, e grazie a dio la guerra con gli spagnoli è finita.» Sistemò il cappello. «Siete troppo agitato, rilassatevi.» Sorrise al suo ufficiale.
Salì sul cassero e diede uno sguardo al cielo, era torbido, nuvole dense di tempesta si muovevano veloci, pronte a divorarli. Tuoni e lampi si rincorrevano, e la luce fioca dell’alba illuminava la figura del veliero sulla loro scia.
Scrutò ancora una volta il viso di Bets. Teneva il cannocchiale puntato verso la nave, ed era diventato pallido, quasi livido come il cielo.
«Capitano la polena ha… una macchia…»
«Che diavolo vi prende? Avete visto un fantasma?»
«Guardate voi stesso, signore!» L’ufficiale gli mise in mano il cannocchiale.
Se lo appoggiò sull’occhio e puntò l’attenzione verso la polena. In effetti, c’era proprio una macchia verde sotto al collo della donna intagliata. Non si volle allarmare, abbassò il braccio e fece un profondo respiro, poi tornò a guardare.
Non vide nessuna macchia, ma una stella, verde, di sicuro fatta di giada. La paura e lo sconcerto dei primi istanti lasciò il posto alla rabbia. Quel pirata era davvero così pazzo e arrogante da assaltare un veliero della Royal Navy?
«Uomini, sgomberate tutto! Pronti a combattere, e non date quartiere!»
La percepì alle sue spalle. La folata di vento umido trasportava con sé il dolce profumo che la circondava. Non ebbe il coraggio di voltarsi verso di lei, le aveva giurato protezione. Di portarla sana e salva a Nassau per ripagarla del tradimento.
«È
lui, non è così?» La voce appariva calma, quasi rassegnata.
«Nascondetevi nella stiva. Vi proteggerò.» Le parole tremavano, deboli, impotenti, gli occhi fissi sulla Stella di Giada che, elegante, fluttuava sul mare.
Pronta ad abbordarli.
***
Shiver masticava il cannello della pipa. Se ne stava in piedi sulla murata con le mani salde intorno alle griselle. Il mare era gonfio sotto la tempesta che stava per scatenarsi. Fece rotolare la pipa da un lato e socchiuse gli occhi, alle sue spalle gli uomini si stavano attrezzando per la battaglia, intenti a passarsi asce, cutlass, pistole e munizioni.
«Hanno dato un segnale» comunicò a Chris che lo aveva raggiunto. «Combatteranno senza darci quartiere.»
«Che hai in mente?» Il quartiermastro sembrava più teso del solito, aveva agganciato la spada corta alla fusciacca con un ghigno misto alla preoccupazione.
«Nulla, gli andiamo dritti contro. È una man- of- war, e morde, non importa quale manovra decidi di usare. Tanto vale scatenarsi subito.»
«Dobbiamo farlo in fretta, Johnny.» Chris alzò un dito verso il cielo. «O sarà la tempesta a farci fuori.»
Non gli rispose, continuò a fissare il profilo della sua preda. Lesley avrebbe pagato con il sangue come aveva fatto Duncshire.
L’aria era sempre più fresca, le prime gocce di pioggia gli sferzarono il viso, mentre le nubi correvano gonfie e grigie per mangiarsi l’ultima porzione di cielo limpido che tentava di
resistere, mentre il sole dell’alba irrompeva, creando un gioco mistico di luce e oscurità.
La Stella di Giada si inclinò ancora, con le vele strattonate dal vento che soffiava con più vigore. La prua ondeggiava e lui ne seguiva i movimenti. Agitato da quella fiamma di oscura cupidigia che l’animava da troppo. Gli lambiva il cuore come il più focoso dei desideri e lo dilaniava, tormentandolo.
Strinse gli occhi, mise a fuoco il fianco del veliero avversario, esposto, con le bocche dei cannoni che facevano capolino, alzò le labbra da un lato e gridò il suo comando.
«Fuoco!» Saltò giù al riparo. Come aveva previsto, la risposta arrivò pronta e letale.
La prima bordata fece saltare un buon pezzo della sua murata, e lui stesso fu costretto ad acquattarsi per sfuggire alla nube di schegge.
Con le mani ancora strette intorno al capo, tentò di farsi sentire dai suoi. «Rispondete al fuoco!» Si alzò per osservare i pirati dare miccia ai cannoni. Spararono con un boato, rincularono, e di nuovo tutti dovettero appiattirsi per sfuggire ai colpi nemici.
Afferrò la ruota e la mosse con forza, tendendo i muscoli e piegando l’adorata Stella ai suoi desideri. Il veliero si inclinò e diede una spinta vigorosa alla nave di Lesley.
«Sparate!»
Le palle dei moschetti falcidiarono la tolda avversaria. Urla e polvere ricoprirono ogni cosa.
«I grappini, ora!» La sua voce risuonò oltre il trambusto delle armi.
Qualcosa lo trafisse al braccio, una scia di sangue imbrattò la stoffa, prese a sua volta una cima e si slanciò per atterrare sul veliero della marina.
Scaricò la pistola in faccia a un nemico. Parò un colpo di spada, trovò il contatto con un pugnale che gli tagliò il sopracciglio. Un altro fendente gli strappò un graffio all’addome. Volarono pugni e sciabolate, e intorno a lui iniziarono ad ammucchiarsi i cadaveri. I pirati mietevano vittime a suon di colpi di ascia e moschetto con la solita furia. Muovevano le armi provocando il più completo caos negli avversari.
Con la spada bagnata di sangue, si diresse verso Lesley che tentava di difendersi come meglio poteva. Lo raggiunse sul ponte, lo disarmò e gli diede un pugno sullo zigomo, un dente rotolò sulla tolda.
«Ciao Richard!» sibilò, pungolandogli la gola.
L’altro era sbiancato, con il volto per metà imbrattato di sangue, lo fissava con gli occhi fuori dalle orbite.
Non era la paura a rendere quelle pupille folli di meraviglia, ma la certezza di aver
rincontrato un fantasma riemerso dall’oltretomba.
Richard Lesley incredulo, si era trasformato in una statua di sale, le sue labbra tremarono, pronunciando parole sconnesse. «Otis… Credevo che…»
«Che fossi crepato a Newgate? Non t’ha detto niente quel bastardo del tuo amico ammiraglio?»
L’altro boccheggiò, tentò di rimettersi in piedi, ma lo costrinse a terra premendogli lo stivale sull’addome.
«Io sono stato costretto, non ho potuto…» La voce di Lesley era diventata stridula.
«La tua testimonianza e quella di Harrison infestano i miei incubi.» Impresse più forza al piede, sentì la pancia molle muoversi contro la suola. «Siete stati precisi, bugiardi perfetti.» Lo canzonò. «E ognuno di voi ha ricevuto una bella ricompensa. Ma ora è tutto finito. Il diavolo vi sta mettendo sulla mia strada. Uno alla volta.»
***
«Chris, si sono asserragliati nei boccaporti!»
Scrub attirò la sua attenzione. Redblade tirò indietro la sciabola dal corpo di un soldato e corse verso il suo compagno che gli indicò con la cutlass grondante sangue, le griglie chiuse che portavano sottocoperta. «Sangue di giuda, sembra che stiano difendendo qualcosa!» continuò il pirata.
Chris si voltò verso il ponte. Shiver era più che mai coinvolto nello scontro con il capitano, così alzò una mano per chiamare a raccolta altri uomini e insieme a loro si avvicinò ai boccaporti.
Canne di moschetto facevano capolino tra le grate, spararono. Si acquattò con gli altri sulla tolda, nel mentre fece un fischio a Scrub, indicandogli la fusciacca. Si capirono. Insieme diedero fuoco alle micce delle granate e le lanciarono di sotto.
Un boato fatto di urla e schegge si propagò dalle aperture che raggiunsero con le armi sguainate.
Aprirono le grate e si calarono sotto, avviluppati da una nube di zolfo. Scavalcò un paio di cadaveri e feriti dal volto sfigurato e cercò di incamminarsi nel corridoio scuro, in fondo individuò altri uomini armati appiattiti contro quella che sembrava una porta.
Sparò, evitò i colpi di moschetto, Scrub e gli altri si avventarono contro i soldati e li falcidiarono. Lui si occupò di sfondare la porta di legno.
Penetrò in una cabina buia e silenziosa. Nella penombra individuò barattoli e contenitori, l’odore delle erbe mediche gli fece intuire di essere finito nella stanza del chirurgo di bordo.
«Perché diavolo difendere così l’armamentario del dottore?» Una domanda che fece ad alta voce, perplesso.
«Forse hanno nascosto dell’oro!» Scrub accese una lanterna, e la luce ambrata scorse lungo le pareti e gli angoli in apparenza vuoti.
«Non sembra esserci niente» commentò, con le sopracciglia aggrondate. Eppure, percepiva che c’era dell’altro oltre le riserve di erbe. Una nota di un profumo dolce fluttuava nell’aria confuso con l’odore di polvere da sparo.
«Silenzio!» Aveva percepito un rumore.
I pirati chiusero la bocca. Per un attimo si udì solo il rumore furioso della battaglia sopra le loro teste, poi lo individuò.
Un respiro più forte, un ansito.
Fece due passi verso una panca addossata alla parete, la scostò, diede un pugno al legno che cedette. Prese l’ascia per distruggere quell’esile difesa e un groviglio di capelli biondi e stoffa comparve davanti ai loro occhi.
«Una femmina!» urlò Scrub, galvanizzato.
La osservò meglio. Quegli erano inconfondibili. «No, non una femmina, Scrub.» Sorrise, mentre allungava una mano per tirarla fuori dal nascondiglio. «Lady Rachel Jacobson.»
La moglie dell’ammiraglio iniziò a urlare, a dimenarsi, graffiandogli le braccia. «Lasciami!» gridava. «Lasciami, bastardo!»
La strattonò fino a tirarla in piedi. «Che diavolo ci fate a bordo della Lyonesse?» Usò un tono di deferenza per canzonarla.
«Toglimi le mani di dosso!» Cercò ancora una volta di ribellarsi.
La spinse contro il muro. «Se non vi calmate, milady, finirete per avere addosso molte più mani, ve lo assicuro.»
Digrignò i denti, chiuse per un istante gli occhi. «Vuoi riservarmi la fine di Scarlett? Violentata e uccisa?»
Rise a quell’uscita che era molto distante dalla verità, ma decise di mostrarsi sprezzante, per impaurirla. «La vostra cara domestica è viva, ed è felice di scaldarmi il letto.» Le prese le braccia e gliele legò dietro la schiena. «Alla fine la Lyonesse si è dimostrata molto ricca di bottino.»
***
Richard Lesley si stava difendendo con forza. Si era approfittato dell’esplosione dovuta alle granate, per distrarlo e guadagnare un moschetto. Tentò di abbatterglielo contro il viso. Shiver bloccò il colpo, ma l’altro, imperterrito, gli diede un calcio che lo sbilanciò. Cadde, Lesley gli fu addosso, iniziarono a prendersi a calci, a pugni, ma l’amico di un tempo era troppo debole e magro per poter competere con lui.
Lo rigirò in fretta, incastrandolo fra le sue ginocchia, e gli scaraventò un ennesimo pugno sullo zigomo.
Si asciugò il sangue che aveva preso a colargli dal naso. «Prima di ucciderti, credo che tu mi possa dare una conferma.» Lo colpì ancora, preda di una furia che poteva spegnersi solo assaporando la vendetta. Gli avvolse la gola con la mano. «Sei tornato da poco da Londra, e il vecchio Jacobson ha chiesto qualcosa al figlio. Dimmi, David ti ha detto dello Smeraldo di Venere?»
Lesley sgranò gli occhi. «Non parlerò mai, bastardo.»
Fece pressione, l’altro gli arrotolò le mani contro il polso e gli infilò le unghie nella pelle, nel tentativo di liberarsi.
«Dimmelo!»
Intorno a lui si era creato un cerchio di pirati ansanti, lordi e vittoriosi. Decisi a ottenere la loro ricompensa.
Shiver digrignò i denti. «Hai ucciso per lui. Hai ucciso me! Qualcosa devi sapere!»
«Non parlerò.»
«Crepa!»
Shiver staccò il pugnale dalla cintola e lo infilò dritto nella pancia di Lesley. Con lentezza, senza affondare. «Se ne dicono tante su di me, in molti si chiedono se siano solo leggende, mio caro Richard.» Mosse la lama, il sangue caldo gli colò sulla mano e Lesley urlò di dolore. «Ma tu morirai con la certezza di aver conosciuto il diavolo, te lo assicuro.» Diede un altro giro all’elsa. «E se non vuoi che ti strappi le tue stupide budella, faresti meglio a rispondere.»
La testa stava per esplodergli, compressa sotto l’eccitazione. Bastava che Richard ammettesse l’esistenza dello smeraldo davanti alla ciurma e lui avrebbe potuto andare a Kingston e ucciderli. Era accecato. Sapeva di aver raggiunto l’apice della sua vendetta e non si sarebbe lasciato sfuggire quell’occasione.
Mosse ancora la lama. «Parla, dov’è il tesoro?»
Lesley si ostinò a tenere la bocca chiusa.
Tolse il pugnale e infilò la mano nella ferita. «Parla
!»
I pirati intorno a lui iniziarono a gridare incitamenti di morte. Strinse le dita e tirò verso di sé.
La sua vittima gridò, straziata e inorridita. «David non mi mette più a parte dei segreti» balbettò. «Ma Rogers lo sa.» Emise un rantolo. «Mi ha detto che Vane ha aiutato Jacobson a recuperare un tesoro.» Lesley strinse i denti, stravolto. «Cristo santo, basta!» Un rivolo di saliva gli colò dalle labbra. «Rogers è abbastanza sicuro della cosa. Lo vuole per sé.»
La ciurma si era ammutolita e non certo per l’atrocità che aveva appena mostrato loro. Li scrutò. Avevano gli occhi puntati alle sue spalle.
«Otis.»
Un sospiro dal passato. Una voce debole, eppure dolce e suadente come la ricordava. Uno stiletto che si conficcò in quella ferita sempre aperta e lo lasciò inerme, gelido.
Non così. Non all’improvviso.
Avrebbe voluto urlare contro il destino che ancora una volta si faceva beffe di lui, ma si limitò a tirare indietro la mano. Stava respirando in maniera scomposta, agitata, come se fosse lui quello a cui avevano appena stuprato le viscere.
Conficcò il pugnale nel cuore di Lesley, e si rimise in piedi.
Respirò a fondo. Un tuono esplose sopra le loro teste. La pioggia iniziò a sferzargli il volto. I piedi erano piantati sulla tolda e non riusciva a farlo. Non riusciva a trovare la forza di voltarsi.
Con estrema lentezza fece una piccola torsione.
Christopher la teneva ferma. Tremante, pallida, con i capelli biondi spettinati sul capo.
I pirati inneggiarono alla vittoria, desiderosi di spartirsi quel nuovo bottino di carne.
Parlò, tenendo gli occhi fissi nei due gioielli di giada, lucidi e terrorizzati. «Nessuno la toccherà.» La sua voce gli appariva distante. «È la moglie di Jacobson e la scambieremo con lo Smeraldo.» Recitò il personaggio di Shiver con sicurezza, nonostante la sua anima si stesse sciogliendo come neve.
Aveva immaginato per troppo tempo quel momento, ma ogni reazione che aveva pensato si rivelò errata. Non c’era rabbia, né istinto omicida.
«Se non vi dispiace» disse, prima di assumere un’espressione crudele. «La terrò per me!»
Vacillò sull’ultima frase, ma nessuno se ne accorse.
Il valore dell’ostaggio aveva galvanizzato la ciurma e non ci furono recriminazioni per la sua pretesa.
Rachel sentiva le gambe molli, incapace persino di respirare.
Lo guardava. Incredula. Tradita da un guizzo familiare, che non si aspettava di sentire.
Continuava a osservarlo.
Cercava traccia dell’uomo di un tempo sotto al viso livido e gonfio, sporco di sangue. Voleva ritrovare lo sguardo puro oltre gli occhi iniettati di furore, privi di vita e di emozioni. Aveva bisogno di rivedere Otis sotto la camicia a brandelli e il braccio lordo e zuppo di interiora.
Le uscì un grido a mezze labbra, e si rese conto che non c’era più nulla di umano in lui.
***
La fiamma lambì la stoppa e le ferì gli occhi affaticati dall’ennesimo svenimento. Scarlett aprì del tutto le palpebre. La tempia bruciava, là dove Rayan l’aveva colpita quando aveva tentato di liberarsi e fuggire. Seduta su una sedia, provò a muoversi, ma le braccia si tesero e i polsi furono mangiati dalla corda che li teneva legati insieme. I piedi erano poggiati su un pavimento di legno, riconobbe il ritmico dondolio del mare, tentò di capire se stessero navigando, ma la nausea le attanagliava lo stomaco. Spostò il capo e lo fissò.
Rayan era in piedi di fronte a lei. La sovrastava, pronto a divorarla.
«Ti sembra questo il modo di trattare una moglie?» lo provocò, alzando il mento.
Il pugno si schiantò contro lo zigomo. Il dolore, ormai così familiare, sʼirradiò lungo la guancia. Urlò. Non era più un grido di disperata impotenza, piuttosto quello di una belva feroce stanca di subire, furente per essere legata. Voleva ucciderlo. Mettere in pratica tutte le nozioni che Christopher le aveva insegnato: infilare la lama nel ventre molle oppure tra il costato, fino a raggiungere il cuore e sentire il sangue caldo bagnarle le mani. Fremette e iniziò a muovere i polsi nel tentativo di allentare le corde con cui erano legati.
«Ti odio» ringhiò a denti stretti, mentre un ciuffo di capelli le si appiccicava sulle labbra.
Rayan teneva ancora il pugno alzato, gli occhi erano grandi, dilatati sotto la rabbia. «Sei una puttana!» Il braccio si mosse ancora e dʼistinto chiuse le palpebre, nel tentativo di proteggersi. «Da quanti pirati ti sei fatta sbattere, eh?»
Il colpo arrivò preciso e letale contro il viso. Sentì il sangue inondarle la bocca, sputò,
ansante. «Che cosa te ne importa?» gridò, la voce stridula contro la gola secca. «Perché non mi lasci in pace?»
Le mani di Rayan sʼinfilarono tra i suoi capelli e tirarono, così forte da darle il capogiro. La fece cadere dalla sedia e la costrinse in ginocchio. Con un altro strattone le spinse la testa indietro e la fissò dall’alto.
«Tu sei mia, Scarlett. Lo sei sempre stata.»
L’eco di un antico sentimento era vibrato nella voce di Rayan. Lʼultima traccia di quellʼamore che li aveva uniti un tempo. Crudele, la nostalgia di ciò che erano stati lʼavvolse facendole rivivere il momento del loro primo incontro, lʼentusiasmo per la passione che li univa, per una nuova vita insieme.
«Mi chiedo se tu mi abbia mai amata davvero, Paul» mormorò affranta, stanca.
Si rese conto di aver bisogno di una risposta. Voleva aggrapparsi alla speranza di aver condiviso qualcosa di buono con lui. Di non essere stata intrappolata in quella crudele menzogna sin dall’inizio.
Gli occhi marroni del marito tremolarono, la presa perse un poʼ di vigore. «Sì.»
«E allora perché mi fai tutto questo, perché non mi lasci… libera!
»
Rayan si mise in ginocchio di fronte a Scarlett. Le poggiò le mani ai lati del volto e la imprigionò in una morsa. I ricci castani si erano aggrovigliati intorno alle sue dita e gli occhi ambrati erano carichi di lacrime, densi di dolore.
Era una donna seducente, che induceva ai pensieri più peccaminosi appena le si posava lo sguardo addosso. Lʼamava sì. Amava possederla, saperla nel suo letto docile, tutta per lui, ma allʼinterno di quella testa deliziosa albergava uno spirito indomito che cozzava con ogni decenza.
Scarlett pretendeva di decidere, di comandarlo, forte del potere che aveva sulla sua virilità, e questo non era riuscito a tollerarlo. Non sopportava che si considerasse una sua pari, al suo stesso livello, capace di sostenere discussioni di sola competenza maschile. Era inconcepibile.
Lasciò scivolare una mano sul collo teso, fino a sollevare la catenina dallʼincavo dei seni. Il piccolo anello dʼoro riluceva contro il palmo catturando la luce della lampada.
«Allʼinizio volevo solo riportarti sotto
di me, Scarlett. Ma ora è tutto diverso. Tu vali la mia gloria.» Le mormorò, mentre si chinava a baciarle le labbra. «Non potrai più ribellarti. Mai più.» Le infilò la lingua in bocca. Urlò quando gliela morsicò così forte da farlo sanguinare.
Le diede un altro schiaffo. «Ringrazia solo che non posso ucciderti» sibilò, mentre si asciugava il rivolo rosso che gli colava allʼangolo della bocca.
«Perché no?» gli domandò. «Uccidimi e falla finita.»
Il petto di Scarlett si alzava agitato, ma gli occhi erano freddi, attenti. Non cʼera paura nella voce, solo determinazione.
«Chiudi il becco, puttana.» Le agguantò il collo, sentì il respiro farsi più agitato, il riverbero del cuore sbattere contro il palmo.
Scarlett spalancò gli occhi, ma la porta si aprì. «Capitano, siamo in vista della Elizabeth.»
Sorrise. La prese per i capelli e la costrinse ad alzarsi, per trascinarla fuori nell’alba vivida, smorzata dall’aria fresca. Da qualche parte doveva esserci un temporale.
La moglie provò a dimenarsi, a fare altre domande. Le tappò la bocca infilandole un bavaglio in bocca. La calò nella scialuppa e la fece inginocchiare ai piedi di Jacobson, come aveva promesso.
«Ed eccola qui, la mia preziosa esca» sibilò l’ammiraglio, gli occhi piccoli invasi dalla vittoria.
Scarlett squadrò l’ammiraglio, spaesata. Le girava la testa. Ogni angolo del suo corpo era afflitto dalla sofferenza più nera e, docile, incapace di pensare, si lasciò trascinare nell’elegante cabina della Elizabeth, con il mobilio intarsiato e i tappeti.
Un rivolo caldo le scendeva dalla spalla, la ferita si era riaperta.
«Rayan ha esagerato.» L’ammiraglio la raggiunse, in mano una pezza bagnata. Iniziò a passargliela sui lividi, una gentilezza che stonava con le corde ai polsi. «Sei troppo preziosa per me, non posso perderti.»
Continuò a lavarle il viso. Il contatto con l’acqua fresca le donava sollievo, ma la paura stringeva la gola.
«Che cosa volete da me?»
Jacobson ignorò la domanda. «Sai, la vita sa essere sorprendente.» Tornò verso il catino e sciacquò lo straccio. «Sei qui per un caso, un tiro di dadi che ha fatto uscire il tuo numero.» Le pulì l’angolo della bocca. «Se Woodes Rogers non avesse ricevuto ordini precisi sulla mia disfatta, tu avresti continuato a fare la tua vita. Inconsapevole.»
Il cuore mancò un battito. Il sangue decise di lasciare il corpo. Inebetita, fissava David Jacobson. Aveva sempre provato soggezione per lui, un uomo integerrimo e severo, rispettato da tutti. Nei lunghi sei mesi passati a casa Jacobson, era stata intimorita, terrorizzata dalla possibilità che la buttasse in mezzo a una strada per via della sua reputazione. Eppure
non l’aveva mai degnata di uno sguardo, non gli era importato nulla delle violenze di Duncshire. Forse a stento si erano rivolti la parola.
E non capiva, non riusciva a decifrare quell’espressione di conquista e vittoria che gli riluceva nello sguardo.
«Sono solo una domestica, cosa posso c’entrare con i vostri affari?» bisbigliò.
Jacobson lasciò cadere la pezza. «A Londra esiste una tomba. Sopra c’è il tuo vero nome. È stata brava a nasconderti, avrei dovuto aspettarmelo.»
Scarlett rimase senza più fiato, spalancò la bocca, dimentica di qualsiasi cosa, del dolore, delle corde. Persino della paura. Pensò all’incisione sull’anello. A quel cognome che per troppo tempo l’aveva tormentata con il suo mistero.
«Rogers è andato a fondo, ha scoperto il segreto. Quell’imbecille di Lesley ha fatto il resto. Credo che volesse addossarmi il crimine di aver ucciso una bambina indifesa e ha finito per regalarmi la vittoria su un piatto d’argento.»
Le sfilò l’anello dalla scollatura. Fu assordata da centinaia di dubbi e incertezze. Travolta dalla verità che stava per emergere, aguzza e letale come gli occhi di Jacobson. La catenina le graffiò la pelle sotto l’impeto con cui le fu strappata.
«Uno stupido anello d’oro.» Le fece ondeggiare il gioiello davanti agli occhi. «È tutto qui il flebile legame che non è riuscita a spezzare.»