Capitolo 24
Era una notte scura. Senza stelle. Le nuvole continuavano ad andare e venire su una Kingston avvolta da un senso di eterno sollievo. I mostri erano là, appesi in fila al forte, ricoperti di pece, stretti nelle loro gabbie e non avrebbero più fatto male a nessuno.
Il mare si abbatteva lento contro i pontili del porto, i velieri beccheggiavano all’ancora, calmi e placidi.
La sentinella si mise in bocca la pipa. «Credi che Jacobson se ne andrà?» chiese al compagno.
«Perché mai dovrebbe?»
«Sono tre giorni che non si vede.»
«Cosa deve fare, poveraccio. Dopo la figura che gli ha fatto fare la moglie!»
Scosse il capo. «Chissà che cosa le è preso.»
«Ah, affari loro. Shiver è morto e finalmente tutti noi potremmo andare per mare senza rischiare di venire squartati.»
«Sì, siamo liberi da quella canaglia, grazie al cielo.» Il soldato interruppe il discorso attirato dalla prua di uno dei velieri. Dondolava, docile.
«Che ti prende?» gli chiese il compagno.
«Mi sembrava di aver visto qualcosa.» Buttò fuori il fumo. La voluta azzurrognola si alzò lenta, l’aria se ne prese gioco trascinandola con sé.
La guardia rimase a osservare insieme al compagno quella notte che aveva il sapore di una rinascita. Gli occhi socchiusi e fissi sul veliero mentre si godeva il tabacco.
Agitò la mano a scacciare il fumo, e aprì le palpebre, attento. C’era uno strano odore nell’aria e la nebbia che percepiva intorno a sé non era dovuta alla sua pipa. Incendio! Fu la prima parola che gli venne in mente.
Voltò la testa, pronto a gridare per dare l’allarme. Si ritrovò a fissare il compagno che si premeva gli occhi. «Aiuto, mi hanno accecato, brucia!»
Ma prima ancora che potesse avvicinarlo per controllare cosa fosse capitato, fu avvolto da un intenso odore di zolfo, mise mano alla spada, un’ombra scura era emersa dal vicolo, era gigante, brandiva una spada, un lungo mantello stracciato svolazzava nella notte.
Fece un passo, incredulo. Alzò la lanterna, la luce rivelò un volto rosso, gocce di sangue grondavano dal mento e due occhi spiritati lo fissavano, senza anima. Aprì la bocca, aspirò ancora una volta il puzzo del diavolo, poi l’ascia sibilò nell’aria, dritta verso il suo collo.
***
«Non dovresti venire, la tua gamba è ancora debole.» Michael tentò di farlo desistere, ma Christopher non poteva più restare segregato.
«L’idea di rubare il tesoro a Jacobson è l’unica cosa che mi dà sollievo, quindi, per favore, lascia che ti dia una mano.» Asciugò la fronte madida di sudore. «Ho studiato quella cartina a memoria. Dev’esserci un’entrata che porta a qualche stanza chiusa, magari bloccata da qualche passaggio sconosciuto. Ferd me ne aveva parlato.» Cercò di concentrarsi sulla mappa che aveva riprodotto. Indicò villa Jacobson. «Sono sicuro che c’è un’entrata lì, passiamo dalla chiesa e troviamo un varco.»
Uscirono nella notte. Era tutto così tranquillo. Christopher fece leva sul bastone e iniziò a camminare, cercò di tenere gli occhi fissi davanti a sé e di non voltarli verso il forte.
***
Rogers uscì in strada, il tricorno a coprirgli il capo. La spada gli batteva sulle cosce e i due attendenti gli andavano dietro come cani ammaestrati. Seguiva il profilo delle case di Kingston, le vie di terra battuta, la puzza pregna di rimasugli di cibo e umori. Si sarebbe ripromesso di scrivere a Londra per raccontare ciò che aveva visto, Jacobson era deciso a ritornare in patria e di certo lo aspettavano elogi e lodi per l’impiccagione di Shiver. Ma non aveva alcuna intenzione di lasciarlo alla sua gloria.
Gli avrebbe preso lo Smeraldo e avrebbe punito l’ammiraglio per il crimine commesso tanti anni prima: la rovina di Otis Lyam.
Continuò a camminare in quella notte carica di lassismo, come se tutti i mali e le preoccupazioni del mondo fossero sparite con Shiver.
«Sentite anche voi questo strano odore?» domandò all’improvviso. L’aria era carica di qualcosa di acido e pungente.
«Un incendio, signore?» chiese uno dei due soldati.
Aguzzò sguardo e orecchie. Non vide nulla, proseguì, i sensi tesi. Era più che mai il caso di parlare con il comandante della flotta, sparito dalla circolazione.
Entrò nella taverna, ufficiali, marinai e mercanti bevevano e fumavano in tutta tranquillità.
Jacobson lo faceva da solo, in un angolo. Rogers lo raggiunse e sedette di fronte a lui. «Ammiraglio, forse sarebbe bene tenere gli occhi aperti, non credete?»
Lo guardò con le pupille spiritate, rosse d’alcol. «È morto, dannazione! Di cosa dovrei preoccuparmi?»
«Qualcuno potrebbe decidere di vendicarlo.»
«Devils’ Bay è in mano alla corona.» Jacobson si puntellò sui gomiti per sorreggere la testa. «E i pirati non hanno onore né fedeltà.» C’era evidente sarcasmo in quelle parole, prese il boccale e lo portò alle labbra. «Di che cosa siete preoccupato?»
«Dico solo che rimanere in guardia non è una cattiva scelta.» Rogers afferrò le mani di Jacobson e gli tolse il boccale. «Avete vinto, non vedo perché dovreste festeggiare in tutta solitudine, ammazzandovi di rum» gli sibilò, con astio. «Forse, dopotutto, anche voi avete i vostri demoni da combattere.»
L’ammiraglio gli lanciò una lunga occhiata torva, ma qualunque fosse la risposta che voleva pronunciare, fu interrotto dalla porta della taverna che si era spalancata con una spinta vigorosa. Sulla soglia comparve un uomo, se ne stava in piedi, come un qualunque avventore, ma un lungo coltello era piantato nel torace.
«Il diavolo» balbettò. «Il diavolo è venuto a vendicarlo.» Cadde a terra con un tonfo, gli altri uomini andarono a soccorrerlo.
Rogers uscì con Jacobson, d’improvviso vigile, per strada non si muoveva nulla. L’aria acida scivolava indisturbata tra le case e qualcosa risuonava lontano, assomigliava al lento vociare di un temporale, alzò d’istinto gli occhi al cielo, ma vide solo le stelle.
Il rumore si fece più forte, erano tamburi. Lenti e cadenzati che si perdevano nell’oscurità e arrivavano da ogni direzione.
«Zolfo!» commentò Jacobson.
Sì, l’aria ne era piena. Sguainò la spada, ombre silenti erano comparse all’angolo della via, uomini armati con le camicie in brandelli e il sangue a ricoprirli. Puntarono il moschetto nella loro direzione, spararono.
Rogers si gettò a terra trascinando con sé Jacobson, uno degli attendenti era morto.
Si rimise in piedi, assordato da quei tamburi che ora suonavano con forza, l’eco si perdeva tra i palazzi, ma degli aggressori non vi era traccia.
«Perdio che sta succedendo?» sbraitò Jacobson.
«Quell’uomo aveva ragione» balbettò l’altro soldato. «È opera del diavolo!»
Rogers non badò a quella conversazione inconcludente. Prestò attenzione alla melodia di morte che continuava a invadere l’aria. Iniziò a capire.
«Non si tratta di nessuna superstizione, solo di una buona dose di scaltrezza.» Sorrise, affascinato da quella trovata. «Seguitemi!»