Capitolo 27
Scarlett salì la scalinata.
C’era quasi. Pochi passi la dividevano dal desiderio di suo padre, dalla loro vendetta.
L’incontro con Christopher l’aveva resa d’improvviso debole. Per giorni si era concentrata solo sull’odio, e quell’inaspettata pioggia di emozioni stava facendo rifiorire i sentimenti sul terreno arido del cuore.
Era rimasta insensibile a tutto, alle urla dei bambini, alle morti, agli incendi. Ma ora il rimorso la travolgeva. Decine di vite innocenti stavano morendo, sommandosi a quelle già mietute dal padre.
In cuor suo voleva fermarsi, ma strinse la mano sull’elsa della spada cercando di scacciare via l’unico sentimento che non si poteva permettere di provare in quel momento. La paura.
Le spalle erano ingobbite dall’angoscia di fallire e di vanificare tutte le anime morte in quei lunghi diciotto anni di guerra.
E se falliva, cosa ne sarebbe stato della sua ciurma? Se l’ammiraglio fosse riuscito a salvarsi, e Rogers a riprendersi la città, tutti loro sarebbero stati massacrati e lei si sarebbe separata di nuovo da Christopher, per sempre.
Salì gli ultimi gradini urlando. Scacciando il terrore che le gelava il sangue.
Era fuori. La fresca aria della notte la investì, la luna era riemersa dalle nuvole e rischiarava lo spiazzo del forte, le gabbie ondeggianti sul mare con i cadaveri racchiusi all’interno.
Scarlett strinse forte il calcio della pistola. Dopotutto, suo padre avrebbe assistito allo scontro finale.
Puntò la pistola contro David Jacobson.
«Girati, cane maledetto, e affrontami!» urlò.
David fissava Kingston avvolta dagli incendi e si chiese perché avesse deciso di scappare verso il forte quando sapeva che non c’erano vie di fuga. Era salito lassù, quasi volesse ripararsi dietro l’unica vittoria della sua vita. La morte di Johnny Shiver. O era il senso di colpa? Non lo sapeva, ma ormai gli rimaneva solo la strada del coraggio.
Afferrò la pistola, controllò il cane.
Attese ancora. Doveva girarsi e affrontare ciò che aveva fatto. A testa alta, come Otis Lyam aveva cercato invano di insegnargli.
«Sai, per diciotto anni ho tentato di fuggire da tuo padre. Dal senso di inferiorità al quale mi ha condannato.»
Il braccio armato di Scarlett ebbe un’incertezza. «Dovresti avere almeno il buon senso di tacere, dannato bastardo» gli rispose.
«Non ero una persona tanto orribile, una volta. Volevo solo ciò che aveva lui.» Abbassò il capo.
Ma non aveva ottenuto nulla. Solo un’illusione sfocata di un mondo che gli era sempre sfuggito di mano.
«Non parlare!» gli ringhiò Scarlett.
Non era il tempo per i discorsi, aveva ragione lei.
Entrambi si fissarono a lungo, le pistole puntate l’una verso l’altra.
Gli occhi pronti a cercare un segno di esitazione nei movimenti altrui.
Il dito sul grilletto, il cuore che batteva, in testa solo un pensiero: colpire.
Le pistole spararono.
Scarlett rotolò a terra, incolume. Tirò fuori la seconda pistola e sparò, ma non riuscì a colpirlo ed era senza munizioni.
Jacobson prese la spada e lo imitò. Era agitata, insicura. Non era un’esperta di combattimenti e si trovava da sola con un ammiraglio della marina.
Decise di prendere tempo, provocandolo. «Pensavi di aver vinto, e invece ti ho strappato anche la città.»
Parò un fendente di Jacobson, l’eco del colpo si propagò in tutti i suoi muscoli, ma riuscì a tenergli testa.
«Non so come ci riuscite, ma voi Lyam continuate a venir risputati fuor da qualunque inferno.» Le sbraitò.
«Forse per restarci dobbiamo essere accompagnati da te» gli sorrise, spavalda.
Cercò di concentrarsi, doveva rimanere lucida.
La testa, doveva usare la testa. Di colpo tornò a sentire la mano del padre che le stringeva il polso e le insegnava come difendersi. Tentò d’individuare un varco nella difesa avversaria, per colpirlo in maniera veloce e letale. Sotto il costato, dove il ventre era più molle.
Tirò un fendente con tutta la forza, la lama scivolò lungo la spada di Jacobson, colpendolo di striscio all’addome.
«Stupida ragazzina! Hai gettato la tua vita al vento! E pensare che Harrison ti avrebbe ricoperto d’oro, se solo fossi stata più gentile» la schernì.
Non rispose, parò un colpo, fece un affondo. L’ammiraglio riuscì a colpirla all’orecchio destro.
«Morirai come è morto lui! Stanne certa! Impiccherò anche te!»
Gli occhi dell’ammiraglio si erano fatti lucidi, disperati. Scarlett ingoiò la rabbia e la paura, il sangue le colava sul collo e sapeva che non avrebbe potuto resistere ancora a lungo.
Stava per cedere, sotto lo sforzo del combattimento e l’odio per quell’uomo che era così difficile da odiare. Sì, per assurdo di fronte a lei non c’era nessun nemico pieno di boria o crudeltà.
C’era solo un uomo. Lo aveva visto prendersi cura di Arabelle, trattare la moglie con rispetto. Le iridi scure di fronte a lei rispecchiavano sentimenti troppo simili ai suoi.
Era assurdo. L’uomo che aveva condannato il migliore amico a una sofferenza eterna e che l’aveva strappata dal padre quando era solo una bambina indifesa, era così fragile che le riusciva difficile provare odio. Forse c’era della pietà o del disgusto, ma persino Dalaney aveva mostrato più coraggio e determinazione nel suo ultimo duello.
Jacobson sembrava straziato, implorante, eppure continuava a muovere la mano, a menare colpi, come se stesse obbedendo a una forza più grande di lui, a cui non riusciva a sottrarsi.
«Si è pisciato addosso, lo sai! Anche lui, come tutti gli altri!» Ma non c’era più scherno nella voce dell’ammiraglio. Il tono era incrinato, tremulo. La spada salda.
Scarlett ricevette un altro taglio di striscio all’addome a cui rispose con un graffio al collo.
«Dovrei ucciderti mille volte, e mille altre ancora e non sarà mai abbastanza per quello che hai fatto!» urlò, devastata dalla visione del padre appeso alla forca, con gli occhi spirati.
«E che cosa avrei fatto?» L’urlo di Jacobson era esasperato. «Ho fatto il mio dovere. Ho condannato un pirata. Era compito mio!» ribatté, gli occhi incendiati da una rabbia che nasceva da lontano, che andava oltre lei, Otis e Rachel.
L’odio per una vita che David non aveva mai avuto il coraggio di vivere.
Incrociarono le spade per l’ennesima volta.
Scarlett indietreggiò sotto la pressione esercitata, le lame che stridevano. «Tu hai ucciso il tuo migliore amico, razza di bastardo!»
«Lo so!» Jacobson era del tutto fuori di sé. «Lo ammetto.» Le lacrime gli rigarono il volto. «Ho ucciso il mio migliore amico, la persona che più mi è mancata al mondo! È assurdo. Ma l’ho fatto!»
Scarlett era sconvolta dalla reazione di David. Voleva che la insultasse e non assistere a quello spettacolo pietoso.
Erano parole in grado di distrarla. La lama s’infilò nella spalla appena guarita. Tentò di resistere al dolore e rimase meravigliata quando Jacobson gettò a terra la spada.
Disarmata e sanguinante si lanciò contro di lui e lo fece pensando che erano entrambi pazzi. Nessuno di loro due voleva andare a fondo in quello scontro, ma continuavano a muoversi, vittime di sentimenti marci e nauseabondi, asfissianti.
Iniziarono a darsi calci, morsi, pugni, unghiate.
Scarlett tentava di lottare, di liberarsi dalle mani che la ferivano e si difendeva come poteva. Erano diventati ansiti e gemiti, un groviglio indistinto di sofferenza e disgusto.
Si rese conto di essere diventata una belva senza controllo quando le sue mascelle staccarono un pezzo di orecchio. La bocca divenne acida di sangue, sputò. Un dito le colpì l’occhio, accecandola.
Le mani di Jacobson le avvolsero il capo. La strinsero con violenza e le pupille spirate la fissarono. Non c’era più umanità in loro. Solo pura, sanguinante follia.
L’ammiraglio le spinse il capo in avanti e lei si rese conto di non avere forza per sottrarsi all’inevitabile. La sua nuca avrebbe impattato contro la dura roccia del pavimento e si sarebbe sfaldata come un frutto troppo maturo.
Gridò. Dannazione, non poteva finire così. Non voleva morire. Tentò una difesa, ma la presa di David era salda.
«Mi spiace Scarlett!» La guardò con gli occhi bagnati di lacrime. «Ma hai scelto tu di venire quassù.»
La strinse ancora più forte, gli occhi si spalancarono, stupiti. La fissarono pieni di meraviglia, poi le pupille si spostarono in giù, e Scarlett vide la punta della spada uscirgli dal ventre molle e il sangue allargarsi sulla camicia.
Jacobson boccheggiò, un rivolo scuro gli uscì dalla bocca. «Perché?» balbettò.
«È mia figlia.»
Jacobson sentì le mani di Rachel avvolgerlo in un abbraccio caldo in contrasto con la morte gelida che gli saliva dalla pancia. «Ti ho sempre amata» le bisbigliò.
«Lo so.» I loro visi erano stretti, l’uno vicino all’altro. «Ma l’avresti uccisa.»
Non ebbe la forza di controbattere. Alzò gli occhi verso il cielo, le stelle brillavano lontane, irraggiungibili come il suo sogno di un amore perfetto. Allungò una mano, illuso di poterle sfiorare, mentre la vita fuoriusciva in fiotti caldi che bagnavano le gambe.
C’era un rumore metallico di catene nell’aria. Le gabbie cigolanti degli impiccati ondeggiavano producendo il riverbero di una risata.
Cristallina, sincera.
«Bravo, Otis» mormorò. Lui era lì, alle sue spalle. E rideva, continuava a ridere di lui. «Una vendetta perfetta.»