Capitolo 1
Inghilterra, Londra,
maggio 1720
Il soffitto a cassettoni con gli intarsi floreali fluttuava, evanescente, sulla superficie dell’acqua, come un sogno pronto a sparire.
Leila si mise in piedi con un sospiro e decine di gocce andarono a spruzzare la domestica, fino a raggiungere il volto di Aileen che la scrutava, divertita, oltre il paravento.
Le domestiche la avvolsero con dei panni di cotone. Il corpo vi aderì con un brivido di piacere e si accinse a uscire dalla tinozza.
«A furia di lavarvi, finirete con il consumare la vostra bella pelle.»
La voce squillante dell’onnipresente dama di compagnia, le strappò un gemito.
Inglesi, non li avrebbe mai capiti, come potevano preferire delle stupide spugnature di aceto a un bagno ristoratore?
«L’acqua non ha mai fatto male a nessuno» le rispose, con un mezzo sorriso, mentre le domestiche la aiutavano a spalmarsi un unguento di olio balsamico proveniente da Mulay.
Uno dei tanti regali di quel padre adorato che l’aveva abbandonata come una merce di poco conto.
Aileen la raggiunse con una morbida camicia di mussola. Leila alzò le braccia e lasciò che la stoffa le accarezzasse la pelle. Il suo corpo poteva concedersi la libertà, dopo un intero giorno costretto dentro il fastoso abito nuziale.
Sedette sulla poltrona, la domestica liberò i lunghi capelli corvini dalla cuffia e iniziò a spazzolarli.
Osservò il riflesso del grande baldacchino, le tende arrotolate intorno alle colonne di legno. Erano di una deliziosa tinta pesca che s’abbinava alla tappezzeria damascata, i cui ricami d’ocra risaltavano, lucidi, sotto le candele. Il tavolo bombato sostava sotto le ampie finestre insieme alle poltrone, le tende tirate a chiudere fuori il resto del mondo.
Inspirò.
L’osservazione dei particolari della stanza fece in modo che la realtà prendesse contatto con la sua mente, fino ad allora ottenebrata da una strana sensazione. Era come se fosse appena riemersa dall’acqua, come se, d’improvviso, forme dapprima sfumate prendessero vita.
Solo allora, fissando i suoi occhi neri nello specchio, si rese conto di quel che significava aver pronunciato quel sì.
Un sogno. S’aggrappò a quella speranza. All’idea che l’ultimo anno della sua vita fosse stato solo un lungo, interminabile, orribile incubo.
Presto i luccichii, la musica, i vestiti colorati, ogni cosa sarebbe sparita e lei avrebbe potuto risvegliarsi nel suo letto, a Mulay.
Un fruscio delicato, la porta della camera che veniva spalancata sotto la spinta di due dita lievi e una musica allegra, appena sussurrata.
Leila voltò il capo verso il marito.
Lewis Frederick Byron Hawk, duca di Groundale, indossava solo una larga camicia bianca, che gli lasciava scoperta parte del torace, e dei calzoni aderenti fino al ginocchio. I piedi infilati in delle pantofole e i capelli castani racchiusi in un codino da cui scappavano diverse ciocche ribelli. Appariva più giovane e disteso, senza la parrucca indossata durante la cerimonia.
Gli occhi marroni intercettarono i suoi.
La fissava con il sorrisetto enigmatico e allegro che non lo abbandonava mai e lei, suo malgrado, sentì un brivido sulla pelle.
Fin da quando l’aveva incontrato per la prima volta, era rimasta affascinata dal marito. Un’attrazione inattesa, qualcosa che riusciva a bucare l’insicurezza e la vergogna che Evry le aveva appiccicato addosso.
Come un’onda costretta a infrangersi sugli scogli, ogni volta che si ritrovava davanti a Lewis, si sentiva trascinata verso di lui da una forza indefinibile.
Il duca smise di canticchiare, Aileen e la domestica li lasciarono in fretta, e nella stanza calò un silenzio gravido di imbarazzo.
E di malizia.
Il cuore le martellava nel petto a ritmi furibondi. Le orecchie erano assordate dal sangue in agitazione, sentiva le labbra secche, la confusione e la paura attraversarle la pelle in un tremore freddo e sudato.
«Potete mettervi a letto.»
Leila aveva trattenuto il respiro e fissò il consorte, turbata nel profondo dal tono dolce che aveva usato. Lewis raggiunse il vassoio posato sulla consolle bombata vicino al baldacchino, e rovesciò nel bicchiere parte del liquido ambrato che sostava nella bottiglia.
«Ne volete un sorso?» le chiese, gentile.
«No, non bevo» rispose, in un sussurro.
Si era dovuta convertire, desiderio di quel padre che la odiava tanto da farla diventare un’infedele. E forse, proprio per dimostrare quanto, invece, lei tenesse ancora alle sue origini, cercava di mantenere qualcosa degli insegnamenti ricevuti. Così evitava l’alcol e la carne di maiale, cosa che per un anno non era riuscita a fare con Evry.
Ricordava ancora il sapore nauseabondo della carne secca, l’odore acro dell’alcol che lui le aveva servito mischiato all’acqua. Al solo pensiero, le venne un conato di vomito. No, non avrebbe mai più bevuto, non si sarebbe mai più nascosta nell’unica cosa che concedeva l’alcol: un intontimento che aveva reso le sofferenze un po’ meno difficili.
«Giusto, me lo avevate già detto.»
Lewis vuotò con un sorso il bicchiere. Poi, con un gesto veloce e repentino, mentre dalle labbra riprese a uscire la solita melodia, afferrò i lembi della camicia e se ne liberò, mostrandole la schiena.
Leila arrossì di colpo, fin nel profondo del suo essere. Le guance andarono a fuoco mentre gli occhi osservavano le spalle forti, il codino di un castano che sfumava verso il biondo, il profilo dei muscoli, la linea della spina dorsale e le lunghe e biancastre cicatrici che attraversavano la schiena.
Continuò a darle le spalle, occupato a bere un altro bicchiere di brandy.
Raggiunse il letto, vi salì con un salto agile e la fissò.
«Vi prego, fatemi compagnia.»
Il sorriso di quell’uomo era così accattivante e disteso che le gambe gli obbedirono prima della mente.
Raggiunse il baldacchino, scivolò sotto le leggere coperte di seta. Un tocco sulla pelle tremante, una carezza che copriva la paura.
Tutte le parole del discorso che Lewis voleva pronunciare, persero significato nello stesso momento in cui le sue narici furono stuzzicate dal profumo esotico di Leila.
Una fragranza forte e calda, spietata per quanto ammaliava. Risvegliava istinti e bisogni che andavano oltre alla carne e s’insinuavano nella frattura lancinante che portava in petto. Cercò di mantenere la calma. Gli costava un enorme sacrificio rimanere lì, di nuovo in quel letto.
Strinse il bordo del lenzuolo, e rimase in silenzio ad ascoltare il battito del proprio cuore. Era veloce. La vena del collo pulsava con agitazione e qualcos’altro si era acceso giù, verso il basso ventre.
Seguì i decori della coperta che aderivano alle curve di Leila. Fece un sospiro e la scrutò.
I lunghi capelli corvini incorniciavano un viso dagli zigomi alti e morbidi, il naso perfetto, la bocca grande, le labbra carnose, sensuali, in quel momento increspate da una sorta di broncio.
Gli occhi grandi, neri. Due pozze scure in cui si rifletteva la luce delle candele.
Ardenti e inquieti, parevano nascondere un carattere orgoglioso, segreti e sfumature appena velati dalla malinconia che non li lasciava mai.
Si grattò la testa, imbarazzato. Gli avevano dato in moglie una donna bellissima.
Dal suo ritorno dopo la lunga convalescenza, Lewis era rimasto oppresso tra gli antichi pettegolezzi, le solite responsabilità e un nuovo matrimonio che faceva comodo a tutti, tranne che a lui.
La moglie lo fissava, i grandi occhi neri piantati su di lui. Impossibile non notare il timore che li increspava.
Si chiese se fosse legittimo prendersi la sua nuova moglie, svuotare l’evidente attrazione fisica che sentiva verso di lei, e usarla come uno dei tanti sfoghi che si concedeva per mettere a tacere i sensi di colpa.
«Non è detto che il matrimonio debba essere consumato stasera.» La frase gli uscì di getto, improvvisa.
Leila si era mossa, dopo aver allargato di più lo sguardo sotto un’evidente nota di stupore.
«Non voglio costringervi ad adempiere a un dovere che va contro la vostra volontà.»
Il nero intenso fu attraversato dall’astio. «Credete che non sia in grado di soddisfarvi, è così?»
«No, non volevo dire questo…»
«Sono stata rapita dai pirati, è vero. Ma so qual è il dovere di una moglie. Sono pronta, se è questo che intendete.»
«Non lo metto in dubbio.» Gli occhi caddero sulle forme del seno, fasciate dalle lenzuola.
«Allora perché usate tutte queste premure?»
«Non voglio essere troppo precipitoso, posso capire quanto sia stato difficile per voi.»
«è più difficile continuare a essere compatita.»
«Pensate che stia facendo questo?»
«Non credo che con la vostra prima moglie abbiate usato tutta questa delicatezza.»
Lo fissò dritto negli occhi, una sfidante in un duello con la lama dritta verso il suo petto. Una guardia alta e decisa.
«Siete famoso per la vostra indole passionale. Quindi suppongo che sì, mi stiate compatendo, oppure io non sono all’altezza delle vostre altre conquiste.»
Sorrise, intenerito da quella donna sventurata che, tuttavia, dimostrava una fierezza fuori dal comune.
Ridacchiò, curioso. «Chi ha detto che sono un uomo passionale?».
«Chiacchiere di corte.»
«Diavolo, un paio di eventi mondani e siete già così esperta di pettegolezzi?» Allargò ancora di più il sorriso, l’irriverenza pronta a nascondere il senso di pericolo che si allargava nel petto.
Stavano imboccando un territorio impervio.
«Presto solo attenzione a quel che si dice intorno a me.»
«E che cos’altro vi hanno raccontato?»
Le pupille di Leila guizzarono verso la finestra. Lewis ebbe un tuffo al cuore. Bile nera che salì lungo la gola. «E che idea vi siete fatta?»
Stavolta fu lui a rifilarle una stoccata di sfida. Sapeva di aver incupito le labbra in un’espressione quasi crudele. La vena sul collo era sempre più furiosa.
«Quella che hanno tutti.» L’inglese, piuttosto fluente per una straniera, si era incrinato sotto uno slancio d’improvvisa debolezza. Leila fece frusciare le lenzuola, un movimento impercettibile che la portò più lontana da lui.
«Un tragico incidente.» Sbottò sarcastico. «Cambiamo argomento, vi spiace?» Nonostante il punto interrogativo piazzato in fondo alla frase, la sua non era una richiesta, ma un ordine.
E Leila lo recepì. Si spostò ancora.
«E allora ditemi voi che cosa ritenete giusto fare.» La incalzò.
«Quello che preferite. Non mi tirerò indietro, ve l’ho già detto. Non ho paura.»
Ma ne aveva, invece. Se n’era accorto da come aveva deglutito. La saliva le era scesa giù dalla gola in un lungo movimento ondulatorio.
Si rese conto di essere rimasto attaccato a quella pelle appena colorata d’ambra. Prese il giusto tempo per osservare l’andamento del respiro. Alti e bassi, sempre più veloci.
E sensuali.
Lewis alzò una mano e le scostò il lenzuolo di dosso. A dispetto della sicurezza appena dimostrata, le dita di Leila avevano tentato di rimanervi aggrappate.
La mussola era un chiaroscuro di trasparenze invitanti. La soffusa luce delle candele le accarezzava il viso.
Le posò una mano sul collo, ne seguì il profilo, giù, fino al seno. I polpastrelli scivolavano sulla pelle morbida per fermarsi sulle cicatrici, testimoni delle sofferenze patite, che s’intravedevano oltre il bordo della stoffa. Il desiderio di spogliarla divenne pressante.
Leila trattenne il respiro, rimase immobile, con il cuore che graffiava contro il costato, lo stomaco in subbuglio e un brivido insolito che le toccava fin la punta dei capelli.
Le dita del marito le avevano provocato una sensazione inaspettata, qualcosa che somigliava al piacere.
Ne osservò i pettorali deturpati da una lunga cicatrice obliqua. Le labbra erano vicino alle sue, larghe, sottili. Il viso delicato, sospeso a metà tra l’aria del poeta e il piglio del militare, circondato da lunghe ciocche di onde castane.
La mano era scivolata verso il bordo della sottana.
Un’agitazione carica di aspettativa le strinse la gola e, allo stesso tempo, la paura, gli antichi fantasmi, tornarono a offuscarle la mente e le dita del duca di Groundale divennero quelle di Evry.
Le lacrime le inondarono gli occhi, mettendo a dura prova l’orgoglio che la voleva disponibile, pronta ad adempiere al suo dovere.
Lewis lasciò i lembi della mussola e tornò a sdraiarsi accanto a lei.
Le poggiò le dita sulle labbra, le sorrise, dolce. «Non così, non c’è fretta» lasciò il letto. «Siamo due estranei, dopotutto.» Il marito sospirò e andò verso la finestra ai lati del baldacchino.
Leila era agitata, forse persino delusa, preda di una confusione nuova, mai provata. Voleva che il marito se ne andasse, allo stesso tempo, desiderava di nuovo sentire le dita di lui sulla pelle. Tirò le coperte fino al mento, nel vano tentativo di fermare il vortice dei pensieri.
La schiena di Lewis poggiava contro il muro accanto alla vetrata, le braccia incrociate sul petto, gli occhi carichi di pensieri che le parvero oscuri.
«Non avete avuto molta fortuna.»
«Perché?» s’azzardò a chiedergli.
«Meritate qualcuno in grado di amarvi. Sarò pure un uomo passionale a detta delle mie vecchie conquiste, ma non sono adatto per fare il marito.»
Lewis riprese a canticchiare, il sorriso disteso a nascondergli il viso. Tornò alla consolle , stavolta prese solo la bottiglia e bevve dal collo, in un gesto che poco s’addiceva a un nobile raffinato.
«Buonanotte, Leila.»
La salutò, distratto, e sparì oltre la porta che separava le due camere, la bottiglia sulle labbra. Se la richiuse alle spalle. Per qualche istante si udì ancora la melodia, poi calò il silenzio.
Leila rimase a osservare l’uscio che si confondeva con la parete.
Colpita dal comportamento enigmatico del marito, sicura di aver visto un’ombra scura velarne, almeno per un istante, gli occhi castani.
Con un sospiro, voltò le pupille verso la finestra, i pensieri corsero alla donna che aveva occupato quella camera prima di lei.
Una smorfia d’angoscia le strinse lo stomaco, nelle orecchie le parve di sentire l’urlo di Mary Von Grouber che precipitava giù, nell’elegante viale di ghiaia bianca.