Capitolo 3
«Dove eravamo rimasti?» la voce allegra di Aileen la risvegliò dalle riflessioni.
Leila alzò lo sguardo verso il viso allegro della dama di compagnia e le sorrise. Tornò a concentrarsi sull’ennesima lezione di storia impartita dalla suocera.
Volevano trasformarla a tutti i costi in una perfetta duchessa inglese e stava tentando di non deluderli.
Riprese la lettura. «Ge – co – ba – te » mosse il dito sulla carta, le labbra, impacciate, tentarono di riprodurre il suono delle lettere vergate di nero.
Leila intercettò la risata di Aileen, trattenuta a stento, quando provò a ripetere la parola per la seconda volta. «Gi – co – be – ti
Spazientita, mise da parte il foglio. «è inutile, non ci riesco» borbottò mentre afferrava il manico della tazza.
«Ci vuole tempo per imparare.»
«Ci sono troppi nomi!» Leila avvicinò le labbra al tè, ne bevve un sorso e poi la riappoggiò sul piattino. Alzò il petto in uno sbuffo di sconforto. «Lasciatevelo dire, la vostra storia è complicata» commentò, avvilita. «Sono mesi che la duchessa mi costringe ad andare a lezione dal signor Tacher e credo che sia tutto tempo sprecato. In fondo con chi mai mi fermerò a conversare? Potrò imparare la storia del vostro paese dagli inizi fino a oggi, ma rimarrò sempre una straniera agli occhi di tutti.» Aveva parlato piano, lenta, una pausa tra un concetto e un altro, per cercare la giusta parola.
Aileen le sorrise ancora, allungò una mano a prendere la sua. Un contatto che le diede conforto. Si sentiva meno sola in compagnia di quella giovane ragazza.
«Non vi scoraggiate. Siete la moglie di Lewis, dovete essere alla sua altezza» la incalzò, sorridendole ancora. «La parola che cercavate di leggere si pronuncia “Giacobiti ”.»
«Gia – co – bi – ti.»
«Esatto, non dovete fare altro che ricordavi del nome “Giacomo” da cui deriva questa strana parola.»
«Uno dei re d’Inghilterra.» Leila appoggiò l’indice alla tempia, poi, sgranando gli occhi, soddisfatta, lo puntò verso la dama di compagnia. «Quello che è stato cacciato perché era protestante!»
«No, cattolico» la corresse Aileen, con gentilezza.
«Giusto, cattolico» le labbra s’incresparono in un mezzo broncio. «Faccio confusione con tutti questi re, regine, religioni…»
«Credo che sia del tutto normale.»
Contraccambiò il sorriso di Aileen e bevve un altro sorso di tè. Il sapore forte della bevanda era un contatto con i sapori perduti di Mulay. Si concentrò su di esso, e tornò a ripassare la storia.
Si stava sforzando, con tutta se stessa, per essere degna del ruolo che ricopriva. Voleva essere all’altezza delle altre donne della corte e di sua suocera Marielene.
«Allora, vediamo un po’ di fare chiarezza» esordì. «Carlo I è stato decapitato, poi quel tale, quel Cornowell. »
Aileen rise, divertita. «Cornowell , questa sì che fa ridere. No, è Oliver Cromwell.»
«Avete nomi piuttosto impronunciabili, ve lo ha mai detto nessuno?» le rispose, sorridendo a sua volta.
«Non che i vostri siano semplici. Nessuno, a corte, credo che sia ancora riuscito a pronunciare il nome completo del vostro console.» Nora si portò la tazza alla bocca, celando il sorriso.
«Ahmed Shiwailid Mohashid.»
«Non mi chiedete di ripetervelo!»
«Non lo farò!»
«Eravamo rimaste a Cromwell, che cosa ha fatto?»
«Ha tolto la monarchia per un periodo, giusto? E poi…» Leila si bloccò.
Rumori provenivano da oltre la porta che divideva la sua camera da quella del marito e, come sempre quando avvertiva la vita muoversi oltre quel confine invalicabile, sentì accelerare i battiti del cuore.
Ebbe l’impulso irrefrenabile di lanciarsi sulla maniglia e aprirla, un desiderio che teneva a bada a stento, impossibile da comprendere.
«Poi la monarchia è stata ristorata
«Restaurata.»
«E sul trono è salito Carlo II, figlio del re ucciso. Nonché nonno illegittimo di Lewis e Nora.»
La musica gentile del violino si propagò ovattata in tutta la stanza, strizzandole il cuore in una morsa crudele.
Voltò appena le iridi verso le coperte del baldacchino. Fremette, sulla pelle il ricordo del tocco gentile di Lewis e la paura, ossessiva, della sua maledetta prigionia. E quella musica era così dannatamente dolce, malinconica, da lasciarla senza fiato.
Il violino oltrepassava le pareti per avvolgerla in un abbraccio struggente.
Con uno sbuffo, cercò di concentrarsi sul ripasso di storia. «Ma Carlo II, nonostante i tredici figli illegittimi, non ne ha avuto nessuno legittimo; così è salito al trono il fratello, il famoso Giacomo, cacciato perché voleva far tornare l’Inghilterra cattolica.»
«Brava, e chi è stato messo sul trono al suo posto?»
«La figlia, insieme al marito Guglielmo. Anche Maria è morta senza figli e allora il trono l’ha preso la sorella, ma pure Anna non ha dato eredi.»
«Quindi il parlamento…» la imboccò Aileen.
«Ha dichiarato sovrani legittimi i lontani eredi degli Stourti
«Stuart.»
«Stuart . E così Giorgio di Hannover è diventato re d’Inghilterra, ma i gia – co – bi – ti , sostenitori dell’erede di Giacomo, lottano per riportarlo sul trono.» Fece un sospiro, soddisfatta. «Spero di ricordarmi tutto!»
La musica per un istante svanì. Le parve che i grandi occhi azzurri della sua compagna si fossero per un istante incupiti. Le iridi verso un punto della parete oltre la sua testa.
Colse un movimento veloce alle proprie spalle, si voltò di scatto, facendo tintinnare gli orecchini, sicura di aver intravisto quella maledetta porta socchiudersi.
La musica riprese in quel momento, s’insinuò nella sua mente e la costrinse a fissare gli stucchi color pesca.
Uno sguardo che Lewis percepiva su di sé, nonostante il legno a separarli. Un canto ammaliatore, silenzioso e penetrante, che faceva fremere le sue spalle contro la porta. Le mani impegnate a suonare Greensleeves . L’antica ballata che, si diceva, Enrico VIII avesse scritto per Anna Bolena.
Parlava di un corteggiatore respinto dalla sua bella...
Gli antichi ricordi si confusero con l’unica, chiara parola che Leila si portava addosso. Sulla pelle d’oro, i fianchi generosi, gli zigomi alti e gli occhi ardenti, riluceva a chiare lettere la tentazione.
Dalla prima notte di nozze, cercava il coraggio di comportarsi da buon marito. E ogni volta veniva assalito dal dubbio, dalla paura di essere respinto ancora.
Il fantasma crudele della notte balorda in cui Mary era morta, gli avvolse la gola impedendogli ogni respiro e, come sempre, lo costrinse ad annegare nell’oblio provocato dai sensi di colpa.
Leila, in arabo, significava scura come la notte.
Il nome della sua nuova consorte era un gioco denso d’ironia. Ricordava ogni giorno l’oscura tenebra che gli attanagliava il cuore.
Aileen contemplò l’acconciatura di Leila. Nonostante il tono più scuro della carnagione e gli occhi grandi, dalla forma allungata, la duchessa di Groundale non stonava affatto nelle vesti inglesi. Ed era una donna dal fascino irresistibile. Lewis non sarebbe riuscito a stare lontano dal letto della moglie. Era un pensiero con cui faceva i conti da tempo e che la costringeva a rivalutare la sua posizione. Forse avrebbe dovuto cercarsi un altro marito.
«Siete pensierosa?» Leila staccò gli occhi dallo specchio per fissarla.
«Non preoccupatevi. Pensavo ad Alec.» Confessò.
«Vostro marito?»
«Sì.» Strinse appena le labbra, prese un fermaglio e lo sistemò tra le ciocche nere della duchessa, nel tentativo di nascondere l’evidente tremore che si era impossessato delle dita.
La domanda successiva arrivò, precisa. Letale. «Com’è successo?»
Fece finta di occuparsi ancora una volta dei capelli corvini. «Un duello.» Il cuore era deciso a tradirla e fu sul punto di raccontare il resto. Ma rivelare a Leila che era stato suo fratello Douglas a uccidere il marito avrebbe innescato una serie di altre domande, a cui non voleva rispondere.
In suo aiuto, arrivò un domestico ad annunciare la visita del console di Mulay, appena rientrato dall’Arabia.
Il viso di Leila s’illuminò, e insieme scesero di sotto.
Aileen aveva già intravisto Ahmed, in passato. E come sempre, anche quel giorno si soffermò sulle colorate vesti arabe, sul turbante che ricopriva la testa e metà del volto. Gli occhi, di un intenso verde scuro, incrociarono i suoi prima di posarsi su Leila.
L’arabo portò la mano sul petto e si chinò in un cortese gesto di deferenza, liberò il viso dalla stoffa, rivelando una barba scura e ben curata, gli zigomi esaltati dalla carnagione dorata.
Aileen si rese conto di aver indugiato troppo: Ahmed si era di nuovo voltato a guardarla, la fronte appena corrugata da un’espressione curiosa. Distolse gli occhi imbarazzata, mentre la mano di Leila scivolava in quella del console.
«Sei incantevole, Amirat» Ahmed aveva pronunciato quella frase in arabo e assaporò il lieve contatto di quelle dita contro il suo palmo.
Leila abbassò lo sguardo, un lieve rossore le imporporò le guance. «è un piacere anche per me riaverti qui, Ahmed» gli disse, un sussurro nella lingua madre che accarezzò le sue orecchie.
«Come stai?»
«Bene» rispose lei, con un sorriso.
Nel palazzo di Mulay le principesse vivevano nell’ala delle donne, guardate a vista, protette da occhi indiscreti. Ahmed aveva sempre e solo intravisto il fiore del deserto che gli stava davanti.
Un gioco di sguardi pericoloso e segreto che si era trasformato, in maniera troppo veloce, in qualcosa di più profondo e oltremodo impudico.
E ora che erano a Londra…
Il pensiero lo colpì come uno schiaffo in faccia mentre osservava gli zigomi morbidi alzarsi in un sorriso malinconico.
«Come va con tuo marito? è stato gentile?»
Il petto di Leila fu attraversato da un respiro profondo. «Va tutto per il meglio» rispose, chiudendo gli occhi.
Serrò le labbra in un silenzio carico di vergogna. Le costava molto mentire al fedele servitore del padre. Fissò gli occhi verdi di Ahmed, il profilo nascosto dalla barba scura.
Senza volerlo, mossa da vecchie fantasie, gli afferrò, timida, la mano. «A casa mia sarei rimasta comunque la principessa, la figlia del sultano.»
L’arabo fluì veloce dalle labbra, in una confessione sfuggita d’istinto. Odiava suo padre per la scelta che aveva fatto, non tollerava di essere stata costretta ad abbandonare ogni cosa, solo per uno stupido scambio commerciale. Sentì le lacrime premere ai lati del viso, ma rifiutò di versarle sotto lo sguardo attento di Aileen.
Ahmed le strinse più forte la mano, e fu sul punto di tirarla indietro: avvertiva quanto fosse sconveniente, per una novella sposa, stare tanto vicino a un altro uomo. Soprattutto se aveva passato i primi anni della sua fanciullezza a immaginare di farsi avvolgere dalle forti braccia che le stavano davanti.
«Ora che sono tornato, farò in modo che ti venga tributato il rispetto che meriti.» Ahmed portò la sua mano alle labbra, alla maniera inglese.
Un contatto carico di un calore che aveva scordato.