Capitolo 5
Leila occupò la sedia e lanciò una serie di sorrisi cordiali e frasi di circostanza. Le labbra che tremavano, le mani fredde sotto la paura di commettere un passo falso. Fissò i dadi e le fiches che si stagliavano contro il tappeto verde del tavolo.
E si maledisse. Non ricordava più una sola regola.
Aileen le passò una pila di dischetti. Sorrise, il cuore che batteva più forte. Alzò gli occhi verso il marito intento a giocare, distratto, con i dadi che teneva in mano.
Dagli sguardi di tutti, Leila intuì che toccava proprio a Lewis dare inizio alla mano. Gli occhi castani la fissarono con uno strano sorriso beffardo.
Poi, tra lo sgomento generale, Lewis abbandonò il tavolo canticchiando, e raggiunse la sorella.
Nora sentì le dita del fratello arrotolarsi intorno al braccio. Il viso di Lewis sostò accanto al suo, negli occhi lo sguardo complice di sempre.
«Suoniamo, mia cara sorella?» le propose con espressione allegra.
«Che cosa avete in mente, Lewis?»
«Ho solo voglia di suonare un po’ con voi.»
Sorrise. Quando stava con lui si sentiva ancora serena, libera, fuori da ogni etichetta. Il fratello era stato un punto di riferimento in un mondo in cui i genitori erano poco meno che estranei, e ogni gesto andava incastrato in un complicato spettacolo che definiva i contorni di una nobiltà meschina e menzognera.
Lewis era sempre stato il suo porto sicuro, un appiglio solido a cui confidare l’amore per i libri, condividere la passione per la musica e serate di chiacchiere e giochi, ancora profumate dal sapore di un’infanzia ormai persa per entrambi.
«A me sembra che voi stiate fuggendo dalle vostre donne.» Lo provocò, pungente.
«Voi cosa ne dite?»
«Che Aileen e Leila stanno diventando amiche. E che quindi il vostro gioco si sta facendo piuttosto pericoloso.»
«Per questo ho bisogno di voi.»
«Credete che una breve esibizione possa cancellare il vostro imbarazzo? Per farlo,
dovreste decidere in che letto preferite rifugiarvi.»
Il fratello trattenne il respiro, punto sul vivo, la risata arrivò cristallina e sommessa. «Non vi facevo tanto sfacciata.»
«Non pensavo foste così vigliacco.»
Rise ancora. «Vi prego, Nora, cavatemi d’impiccio.»
Gli strinse la mano e insieme raggiunsero il clavicembalo in fondo alla sala.
Era un esemplare elegante e decorato. La coda e il coperchio erano ricoperti di miniature fiabesche, in tonalità che dall’oro scuro si allargavano verso il giallo pallido, in perfetta tinta con il vestito che indossava.
Parlarono con Händel, per ottenere il via libera del grande compositore e, scambiandosi l’ennesimo sorriso complice, iniziarono l’esibizione. Non avevano parlato di quale aria suonare.
La risposta era solo una: The Farewell Ground.
Nora accarezzò le ottave del clavicembalo, i polpastrelli a sfiorarle con estrema delicatezza, in un rituale che l’aveva accompagnata fin dalla sua età più innocente.
Sicura, le mani iniziarono a muoversi, e di colpo salone e invitati sparirono per lasciar posto solo alla magia di una musica cristallina e delicata. Lewis la seguì, il violino abbracciò le note del clavicembalo, e insieme diedero vita a un duello fatto di delicatezza e frenesia.
La semplicità dei due strumenti sembrava porre l’accento sulla bellezza della musica.
E gli invitati furono zittiti da una maestria comune a pochi.
Leila aveva lasciato il tavolo avvolta in un silenzio in cui la musica risaltava più maestosa che mai, lo strascico del vestito pesca che frusciava tra l’ammirazione generale.
Turbata nel profondo per come il marito l’aveva ignorata lasciando il tavolo, alzò gli occhi a osservare la coppia di musicisti.
Lewis teneva il violino tra spalla e collo, l’archetto che si muoveva delicato sulle corde, in una danza che Nora replicava sui tasti. Le labbra appena accostate in un’espressione di totale soddisfazione, gli occhi quasi chiusi, concentrati. Il viso rilassato, la lunga parrucca di ricci che, ridicola sulla testa di tutti gli altri uomini, su di lui riusciva a essere persino affascinante, con quel grigio che contrastava con il naturale pallore, donando una nota di matura severità al volto dai lineamenti morbidi, perfetti.
Leila alzò il petto, racchiusa nella stretta morsa del corpetto. Un ansito, a rincorrere quel brivido che la percorreva fin da quando lo aveva incontrato per la prima volta.
Osservò le dita di Nora, poi quelle di Lewis.
Complici, artefici di un’armonia perfetta che si ritrovò a invidiare. Non sopportava più la malinconia che aveva nel cuore e desiderava la complicità, l’intimità di sentimenti quali l’amore fraterno, l’amicizia e la passione.
La musica che stavano suonando virò dalla calma verso una veloce isteria. D’improvviso, i volti indifferenti e anonimi intorno a lei svanirono.
La melodia evocava una corsa all’aria aperta. Il vento tra i capelli, il profumo di fiori. Il tocco di un sole d’estate. Mani calde che abbracciavano, bocche rosse che si univano. La delicatezza di una carezza, la forza di un abbraccio.
E poi ancora una corsa, una giravolta, un ballo.
Piedi nudi tra la sabbia. Il mare che lambiva i piedi. Il verde prato della campagna inglese che solleticava le caviglie. Profumi di spezie e incenso. Delicato aroma di rose appena colte.
La morbidezza di un lenzuolo di seta, di due mani che saggiavano la pelle appena rischiarata dalla candela.
L’archetto che si muoveva frenetico. Le labbra di Lewis.
La musica finì e Leila fu colta da un lieve capogiro.
Quella melodia aveva evocato immagini cariche di fantasie. Di vecchi ricordi e speranze future. E l’aveva lasciata senza fiato, come se si fosse appena svegliata da un sogno vivido e confusionario.
L’orchestra di Händel sostituì Nora e Lewis, e iniziò a suonare una musica vivace. Intorno a lei gli invitati si erano disposti in due file perfette.
Doveva andarsene, prima di ricevere qualche invito a danzare.
A fatica, in quei mesi, era riuscita a imprimere nella memoria i passi. Al matrimonio non aveva fatto una brutta figura, ma per volere degli Hawk si era svolto in maniera privata, con pochi invitati, di certo per nascondere l’inadeguatezza della sposa straniera.
Cercò Aileen ma non la trovò, e Lewis era sparito. Si rese conto di essere inopportuna, impalata in mezzo al salone, con le coppie che si porgevano la mano per iniziare il minuetto.
Qualcuno aveva appena preso la sua. «Ballate, milady?»
La voce di Lewis le solleticò l’orecchio, una carezza calda sul collo.
«Siete sicuro che danzare con me non vi crei imbarazzo?» gli rispose decisa, senza pensare troppo a quel che stava dicendo. Il viso appena inclinato a osservare il volto alle sue
spalle. Il profilo delle labbra sottili, gli occhi ardenti che le mangiavano la pelle.
«Imbarazzo? E perché mai? Siete mia moglie, tutti s’aspettano di vederci danzare insieme.»
Lewis sorrise, famelico, stuzzicato dalla risposta pronta di quella donna che non finiva mai di stupirlo. Le pupille puntate verso il basso. Non riusciva a staccare gli occhi dal corpetto color pesca, dalla passamaneria che accarezzava, delicata, la scollatura.
«Siete qui solo per placare le malelingue?»
Aveva un modo tutto suo di arrotolare la “r”, un suono armonioso e profondo, maledettamente sensuale. La lingua di Leila s’infilava nelle orecchie, serpente tentatore che risvegliava appetiti bruschi e voraci.
«No, affatto.» Le scivolò di fronte.
«Non è stato molto gentile da parte vostra lasciare il tavolo, prima.» Leila alzò il mento, risoluta.
«L’ho fatto per voi.»
«Per me? Sono rimasta da sola a fare la figura della sciocca!»
«Non sapevate giocare.»
«Aileen me l’ha insegnato.»
«Non avete l’esperienza per battere giocatori esperti.»
«Dovrò pur farmela, l’esperienza, in qualche modo.»
Lewis fece un sospiro, era molto più facile sconfiggere un esercito che fronteggiare l’orgoglio di una donna.
Alzò gli occhi verso la moglie, un gesto deliberato nella sua lentezza, per assaporare ogni pollice di quella riga che occhieggiava dalla scollatura e poi su, verso il collo, fino alle labbra. «A corte ci sono i leoni, se non state attenta, vi sbraneranno in poco tempo.»
«Ho vissuto con gli squali, posso affrontare qualche cortigiano.» Leila era diventata brava a mentire. La sua bocca continuava a pronunciare affermazioni che erano tutto il contrario di ciò che pensava davvero.
Non ricordava più una sola regola del gioco, un solo passo di danza, ma era decisa più che mai a non indietreggiare. Il marito non l’aveva presa ancora in moglie e non voleva aggiungere a quella vergogna anche l’umiliazione di essere messa in cattiva luce in qualità di duchessa.
«A ogni modo, non possiamo rimanere fermi qui in mezzo, sembriamo due perfetti stupidi,
non trovate?» Lewis le offrì la mano, un sorriso luminoso che le trafisse il cuore.
Gli appoggiò le dita sul dorso.
Ci fu un istante di silenzio, denso e magnetico. Una specie di sortilegio che la spingeva a fissare quella bocca fine appena socchiusa. Umettò le labbra e tentò di spegnere l’incendio che le era esploso sulle guance.
Gli occhi castani di Lewis la fissavano con uno sguardo che mal celava qualcosa di più profondo. Non era una stupida. Le pupille del marito sembravano saggiare ogni tratto del suo collo, della scollatura. Un’immaginaria carezza che le provocava un assurdo brivido di piacere.
La musica ripartì, Leila fissò le sue dita sulla mano di Lewis, la carnagione tinta dal sole arabo che risaltava contro quella pallida del marito; mosse il primo passo e nel farlo incrociò gli occhi con Aileen, seduta al tavolo, assorta in pensieri che parevano turbarla.
Aileen distolse gli occhi da Lewis e Leila che ballavano e, per la prima volta, dopo mesi, sentì di nuovo la mancanza, prepotente e dolorosa, di suo marito Alec.
Lasciò il tavolo da gioco con un sorriso cortese e un lieve mal di testa. Il vino non aveva certo aiutato e meno ancora i pettegolezzi che si espandevano come una nube mefitica al suo passaggio.
«Lady Campbell.» Elise Wydil, contessa e donna dal fascino ineguagliabile e dalla lingua tagliente, le sorrise, preannunciandole un brutto quarto d’ora. «Come stanno i vostri due figli?»
«Molto bene, grazie contessa. Sono in Europa, con una loro zia. E vostro marito?» le domandò a sua volta, con falsa cortesia.
«Purtroppo non vi sono miglioramenti.» Sul viso ovale della donna passò l’espressione contrita più finta che Aileen avesse mai visto.
Sposata a un vecchio malato, Elise Wydil era libera di passare da un letto a un altro, senza nessun tipo di problema.
L’ulteriore smorfia di affettata preoccupazione che adombrò gli occhi scuri della contessa, fece serrare, d’istinto, le mascelle di Aileen.
«Non vorrei essere indiscreta.» La voce della contessa era bassa, puro veleno che contorse le sue viscere. «Ma siete riuscita finalmente a sistemare le vostre pene, Aileen?»
«Vi ringrazio per la sincera
, preoccupazione.» Si prese tutto il tempo per imprimere l’ironia su ogni lettera della parola “sincera”. «Ma ho risolto ogni cosa.»
Ci fu solo un lieve sorriso di accondiscendenza. Di quelli che si usano con i bambini quando dicono o fanno qualcosa di stupido, eppure, non si riesce a smuoverli dalle loro convinzioni.
Era un’espressione di pura pietà. Tutti sapevano che i suoi guai finanziari, causati dai vizi di Alec, erano stati sanati dagli Hawk. E che se aveva ancora un tetto sulla testa era solo perché la stavano ospitando a Hawk’s House
come dama di compagnia.
Odiava il modo in cui tutti la commiseravano per le sue disgrazie. Rimase in silenzio, si allontanò di qualche passo.
Elise Wydil parlottava, coperta dal ventaglio, con un’altra amica. Non riuscì a capire il senso di tutto il discorso, ma ne seguì lo sguardo, puntato sul duca di Groundale.
Parole svolazzanti e cattive colpirono le sue orecchie e, nonostante non fossero rivolte a lei e alle sue sventure, la ferirono in egual modo.
«Chissà se ucciderà anche questa, di moglie.»
Una frase maligna che fu avvolta e annientata dal cristallino e delicato suono del “Minuetto
”, una delle arie della composizione di Händel che risuonava nel salone del palazzo, accarezzando i candelabri scintillanti, i tendoni tirati ai lati delle finestre che rispecchiavano i profili degli invitati.
Proprio com’era successo poco prima durante l’esibizione di Lewis e Nora, Leila perse i contatti con la realtà che la circondava.
Ogni volta che faceva una giravolta e tornava a posare la mano su quella del marito, sentiva i polpastrelli di lui accarezzarla. Un’esplorazione delicata e meticolosa che, già in un paio di occasioni, si era arrischiata fino al polso.
Gli orecchini sbattevano furiosi contro il collo, e la collana di stoffa e perle sembrava esser divenuta, d’improvviso, un serpente che le rubava il respiro.
Gli occhi castani di Lewis erano sfuggenti, lontani, e allo stesso tempo erano due lame di fuoco che la penetravano senza nessun tipo di pietà.
Fece un passo di lato, lui tornò a prenderle la mano. Poi furono di nuovo di fronte e si ritrovarono vicini, tanto che il suo corpetto sfiorò la giacca di Lewis, mentre quegli occhi impertinenti sondavano la scollatura.
Un brivido le percorse la spina dorsale quando, dopo l’ennesimo giro, le loro bocche si ritrovarono vicine. Un soffio a separarle.
Il marito inclinò il viso e il respiro caldo le accarezzò l’incavo tra spalla e collo, lasciandola
sospesa in un istante che le parve lungo un’eternità.
Un passo, un giro di violino, e lui fu di nuovo distante.
Un sorriso, la chiusura del ballo, un baciamano delicato, e Lewis sparì tra gli invitati.
Nora salutò con cortesia Lorenzo dopo il ballo che gli aveva concesso. Lo lasciò con un sorriso sulle labbra, felice di essersi esibita con il fratello e piacevolmente turbata dalla vicinanza dell’italiano.
Camminò a testa alta, consapevole dei ventagli alzati al suo passaggio, indice che le altre donne erano impegnate a scambiarsi pettegolezzi su di lei, donna audace, che cavalcava come un maschio e preferiva suonare il clavicembalo invece di pavoneggiarsi nel canto come un uccellino in gabbia.
E poi… poi c’era la confidenza con il musicista straniero e tenebroso, a un passo dal fidanzamento ufficiale.
Alzò ancora di più il capo, in un gesto di deliberata arroganza, passò in rassegna i ventagli variopinti, senza mai girare l’occhio, decisa a non dare soddisfazione.
Voltò il viso appena in tempo per evitare di andare a sbattere contro Henry. Il giovane la fissava con una domanda fin troppo chiara negli occhi.
Abbassò lo sguardo, la sicurezza ostentata poco prima che vacillava senza pietà. «Henry» sussurrò appena.
Il ragazzo le afferrò il braccio, una presa decisa con la quale invitò a seguirlo verso una finestra del corridoio, al riparo dal salone.
Sedettero sulla panca, Nora volse gli occhi verso il vetro. La notte avvolgeva gli alberi di St. James
con i viali principali illuminati da alcune fiaccole, falene che, ogni notte, combattevano la tenebra carica d’incubi e di paure primordiali. A dar loro manforte, la luna argentea, soave guardiana degli amanti.
Henry le afferrò una mano. Il volto risoluto. Snello, con l’infanzia che pareva non aver ancora lasciato i lineamenti, il suo futuro fidanzato aveva un carattere docile che, tuttavia, nascondeva una nota di risolutezza capace di affascinarla e di farla fremere, come in quel momento.
«Ho fatto qualcosa che vi ha offeso, Nora?» le chiese.
Gli strinse le mani, il senso di colpa si posò sul petto, un macigno che le tolse il respiro. «Affatto, perché pensate questo?»
«Mi evitate.»
Nora alzò gli occhi a chiedere aiuto alla luna. «Sono solo molto impegnata.»
Henry si sporse verso di lei, gli occhi che brillavano nella penombra di quel rifugio improvvisato. «Non siete più d’accordo con questo fidanzamento?»
La domanda le infilzò il petto. Una freccia crudele che la trapassò da parte a parte. «Non è questo…»
«Non sono più di vostro gradimento?» Le labbra di Henry erano a un soffio dalle sue. D’istinto, appiattì la schiena contro lo stipite della finestra.
«No, Henry, non siete voi…»
«Che cosa, allora? Solo fino a qualche settimana fa, cavalcavamo insieme, passeggiavamo, ridevamo… cosa è cambiato?»
«La principessa mi tiene molto impegnata, tutto qui.»
«Oppure si tratta di Lorenzo.»
«Volete accusarmi di qualcosa, Henry?»
«È il vostro stesso comportamento a spingermi a fare questa domanda. Ho visto come ballavate insieme…»
Lo sguardo carico di rimprovero, di dubbio, che le aveva rivolto la fece sentire d’improvviso più colpevole di quanto fosse. Sporca, una ragazza lasciva che fantasticava su viaggi proibiti e avventura.
Lo scostò con un gesto secco, appoggiando le dita sulla giacca scura, e si alzò, impettita. «Non vi facevo tanto impudente. Credete che sia una sgualdrina da quattro soldi come quelle che frequenta vostro padre?»
Henry, furente, balzò in piedi a sua volta; si aspettò un rimbrotto, invece l’afferrò di nuovo per il braccio e la spinse verso lo stipite. Le labbra si abbassarono sulle sue, fameliche, possessive.
La proverbiale timidezza di Henry sparì, inghiottita dal respiro rovente che le bruciava il volto.
«Vi amo.»
Rimase immobile, inchiodata da due parole che le catturarono il respiro.
Henry appoggiò le labbra contro le sue, le schiuse in un contatto prima delicato, poi più pressante. Il ventre fu avvolto da un calore mai provato prima, mentre la lingua s’introduceva nel palato. Rispose al bacio, al brivido emozionante di sentire il corpo di lui premerle contro il
petto, alla pulsione indomita provocata da quella carezza che danzava nella bocca. Un movimento che racchiudeva promesse più peccaminose, a cui il suo corpo rispondeva senza remore, contro ogni previsione della mente.
Il suo primo bacio fu un’esperienza confusa, soave.
Le dita di Henry si poggiarono, seducenti, sul collo. Sensazioni profonde, preludio di un paradiso tanto decantato nei sussurri delle donne più esperte.
Un paradiso che Nora, tuttavia, si scoprì a desiderare con un altro uomo.
La mente immaginò il pizzico della barba sul viso, le spalle larghe che la costringevano contro la finestra, le mani abbronzate, forgiate dalla musica, dall’avventura e dalla spada, che le scostavano il corpetto.
Con un gesto fin troppo brusco spinse via Henry e riprese fiato, paonazza, sconvolta dai suoi stessi pensieri.
Afferrò le gonne ai lati e fuggì da Henry, nel vano tentativo di lasciarsi alle spalle i pericolosi pensieri che le affollavano la mente.