Capitolo 7
La seta frusciava ogni volta che cambiava posizione, se toglieva il lenzuolo sentiva freddo, se lo teneva, caldo.
Ormai la confusione stava occupando ogni attimo della sua vita.
Il sonno se l’era data a gambe, lasciandola lì, da sola, stesa con gli occhi aperti a fissare il baldacchino, a fantasticare su un minuetto, a chiedersi perché desiderasse così sentire le dita del marito sul suo corpo e perché, invece, Evry ancora affollasse i suoi incubi.
Leila lasciò il letto e lanciò il cuscino, furibonda, subito dopo liberò i capelli dalla ridicola cuffietta con cui la costringevano a dormire.
Non era mai stata una donna insicura.
A Mulay era considerata la più bella delle figlie del sultano, nonostante fosse la terza, era stata sempre la più ambita dai principi.
C’era stato un tempo in cui aveva usato il fascino come arma. Sapeva come occhieggiare da sopra al velo, come ancheggiare in modo che il vestito lasciasse trasparire le forme. Sua madre era stata un’ottima maestra, e lei un’allieva precisa e attenta. Non era mai stata spaventata dall’idea di compiacere un uomo, fino a quando i pirati avevano decapitato il suo futuro sposo, si erano presi la sua innocenza e le avevano strappato dal petto futuro, certezza e dignità.
Tornò a sedersi sul letto, sfinita. Scostò i capelli dal viso e fissò lo specchio di fronte a lei. Nella penombra della notte, intravedeva solo un vago riflesso di se stessa.
Non era poi così cambiata. Si mise in piedi e ammirò le curve sode, l’incavo del collo, gli occhi.
E allora perché lui non la desiderava?
Tre giorni.
Erano passati tre giorni da quel ballo che era stato in grado di scombussolarla nel profondo, sicura di aver visto il desiderio albergare in quegli occhi da poeta, ma, ancora una volta, era rimasta sola, abbandonata agli incubi di un passato indelebile.
Diede un altro sguardo allo specchio, poi tornò verso il letto.
Fu allora che se ne accorse. Un lungo, sottile raggio di luce tremolante che si allungava sul
pavimento fin quasi a sfiorarle i piedi. I suoi occhi seguirono quella scia color ocra, per poi fissarsi sulla porta nel mezzo della stanza. Se ne stava socchiusa, scostata appena dall’uscio. Quel tanto che bastava per infilare una lama tentatrice all’interno del suo mondo.
I piedi di Leila poggiarono sul pavimento e le assi di legno scricchiolarono appena sotto il suo passo. Con timore, la sua pelle mangiò la scia di luce.
Fuoco vivo che le bruciava i piedi.
In pochi passi fu di fronte all’uscio a cui appoggiò le dita. Rimase immobile, in ascolto. Dall’altra stanza sembrava non provenire alcun rumore. La luce continuava a vacillare, inondando la sua leggera camicia da notte.
E le dita tremavano, incerte, indecise. Il cuore batteva, imperterrito, e la mente non era più in grado di formulare un pensiero logico. Leila sentiva la luce giocare sulla mussola, chiamarla, un lento canto che le imponeva di varcare quel confine, fino ad allora mai oltrepassato.
I polpastrelli, infine, premettero contro il legno colorato d’ambra, e spinsero.
La porta cigolò un poco, un fruscio appena accennato. Le due candele, ondeggiarono, inchinandosi.
Fece due passi timidi, in punta di piedi, e diede uno sguardo intorno a sé. Un sospiro le sfuggì dal petto.
Era entrata nel mondo di Lewis.
Il rosso la faceva da padrone e tomi di libri erano sparsi un po’ ovunque, c’era un odore dolciastro che penetrava le narici, qualcosa di simile al tabacco. Un profumo rude, addolcito da una fragranza floreale che la incuriosì.
La stanza sembrava vuota, la finestra socchiusa, e la tenda di seta rossa volteggiava nella brezza della sera, lambendo i bordi di uno scrittoio su cui erano appoggiate le due candele, un libro, degli spartiti e un violino.
Un lungo drappo di seta, dello stesso colore della tenda, copriva un quadro appoggiato sulla consolle
, e ricadeva in morbide pieghe fino ad accarezzare il pavimento. Del ritratto si intravedeva solo un’acconciatura bionda.
Mary, pensò Leila, prima di voltare lo sguardo verso il baldacchino, le coperte sfatte, il cuscino con sopra impressa la forma della testa di Lewis.
Sentì un brivido, il solito languore pronto a risvegliare i sensi.
E d’improvviso la colse la sensazione di essere fuori posto, indelicata, irrispettosa
dell’intimità di un uomo che non conosceva.
Tornò sui suoi passi, pronta a lasciare la stanza.
Lo spostamento d’aria provocato da Leila uccise la fiamma di una delle due candele che, con un tremolio denso di ombre, andò a morire, lasciando solo la luce della compagna a illuminare la stanza.
Il viso della moglie era a un soffio dal suo e lui, immobile, rimase a osservarla. «Che ci fate qui?» domandò. Si rese conto di averle parlato in tono brusco e deciso.
Leila si irrigidì, imbarazzata. «Nulla» bisbigliò. «Non riuscivo a dormire e…»
«E siete venuta nella mia stanza?» Alzò un sopracciglio.
L’imbarazzo di Leila era tenero e faceva da bizzarro contrasto con le provocazioni della mussola. Così leggera che poteva individuare il profilo del seno e i capezzoli, fiorenti sotto il brivido che le increspava la pelle.
«Mi dispiace avervi disturbato.» Era diventata d’improvviso brusca. Il rossore era sparito per lasciar posto a un’espressione risoluta e orgogliosa. «Vi auguro una serena notte» borbottò a denti stretti. «Marito.»
E lo oltrepassò, pronta ad andarsene. Gli sfiorò la spalla e gli lanciò uno sguardo carico di rimbrotto.
Un tripudio di seduzione.
Senza voltarsi, Lewis allungò una mano dietro di sé e strinse il polso esile della moglie. «Rimanete» le disse, dolce. «Ve ne prego.» Si voltò e l’attirò verso di sé.
Lewis seguì i capelli corvini, lambiti dalle sfumature della candela, che si attorcigliavano morbidi, fino ad accarezzare le forme sode dei fianchi. Gli occhi scuri lo fissavano, sorpresi, meravigliati. Il respiro caldo che gli carezzava il viso.
La bocca di lei si schiuse. Le appoggiò le dita sopra, le intimò il silenzio. Il contatto con quelle labbra morbide gli provocò un tale brivido di eccitazione che rischiò di perdere del tutto il controllo sulla mente.
La voleva, con tutto se stesso, il corpo urlava, straziato, compresso, deciso a esplodere per amarla con tutta la passione possibile.
Posò l’altra mano sul collo, poi, con decisione, la spinse contro il suo torace.
Leila strinse appena le labbra. Ne era sicura, un attimo ancora e il cuore le sarebbe uscito dal petto.
Lewis aveva la camicia aperta sul davanti, lunga fin oltre i fianchi. I capelli spettinati gli
davano un’aria selvaggia che si mischiava al piglio militare, donato dagli alti stivali che indossava. Emanava fierezza, forza e una rara delicatezza.
Sospirò mentre sentiva le mani del marito afferrarle una ciocca di capelli. Una presa dolce, sicura, che non lasciava via di scampo. Una lieve pressione e il suo corpo finì contro quello di Lewis.
L’odore di fiori e tabacco la investì con maggiore prepotenza.
Un istante dopo, le loro labbra si trovarono avvinghiate.
Fuoco.
Non c’era altro che potesse descrivere ciò che le stava accadendo. Fuoco vivo che scombussolava le parti più nascoste e oscure della sua anima.
La lingua di Lewis smuoveva con delicatezza sentimenti sempre più travolgenti.
Era annientata dalle emozioni. Non esisteva più nulla al mondo. Solo le labbra morbide, la mano che le stringeva i capelli, le dita impegnate a risalire lungo il braccio, per poi fermarsi sulla spallina della camicia da notte.
Rimasero a fissarsi, appoggiati l’uno alla fronte dell’altra, il respiro ansimante. Leila sostò in bilico sul bordo degli occhi castani, desiderando di scoprire tutti i segreti di cui erano latori.
Capì le intenzioni del marito, sentì un moto di vergogna, un brivido più intenso quando la mussola cedette e scivolò dalle spalle per lasciarla esposta.
Nuda.
Pensieri confusi le affollavano la mente, mentre prendeva di nuovo le labbra di Lewis. Le mani le cinsero i fianchi, e quasi la sollevarono sotto l’impeto con cui l’avevano afferrata. Il corpo del marito le premeva contro e ci mise più forza nel bacio, desiderava che quella sensazione inebriante durasse per sempre.
Le labbra le scivolarono lungo il collo, per assaporare ogni cicatrice che le sfigurava la pelle. Ogni crudele deturpazione provocata da Evry.
Un brivido così profondo da lasciarla senza fiato. Una sorta di lavaggio, un tocco leggero che sembrava in grado di portare via il dolore e la vergogna che quegli sfregi simboleggiavano.
Il languore aumentava ogni volta che Lewis appoggiava le labbra sulla pelle. Una carezza in grado di farla tremare fin sulla nuca, un formicolio caldo e delicato che irradiava benessere in tutto il corpo.
Infilò le dita nelle onde castane e strinse appena. L’intensità dei baci aumentò, il tempo di un
istante e le labbra del marito tornarono a cercare le sue.
Le dita finirono sul seno, ne carezzarono l’estremità.
La sollevò con impeto, e un attimo dopo le lenzuola di seta le solleticarono la schiena.
Lewis si liberò della camicia. Il fuoco vivo della passione le incendiava il corpo e, d’improvviso, sentì una lacrima inaspettata scivolarle lungo la guancia.
«Che cosa vi turba, principessa?»
La domanda le entrò nel profondo, le scombussolò le viscere, le fermò il cuore.
Il tono era tanto delicato quanto sincero, gli occhi la scrutavano attenti e preoccupati.
La passione del momento si mischiò a decine di sensazioni in conflitto tra loro. Sulla bocca le affiorarono mille risposte. Voleva raccontargli tutti i tormenti, i dolori patiti. «Mi vergogno» mormorò in un sibilo.
Lewis le si sedette accanto, le sfiorò il collo. «Di cosa?»
«Di tutto quello che mi hanno fatto, di ciò che Evry ha fatto» sibilò, mentre le lacrime le scendevano ai lati degli occhi. «Sono sporca» ammise.
Non le rispose, prese la veste da camera e gliela poggiò sulle spalle. «Che cosa vi fa credere di esserlo?»
Leila rimase in silenzio, le lacrime in bilico sulla punta del naso, la stoffa calda sulle spalle che evitava di farla tremare come una foglia.
Strinse forte le labbra, il tentativo di evitare alla sua anima di esplodere. «Non vi hanno raccontato che cosa mi è successo?» balbettò, ironica, nonostante l’emozione del momento.
«E secondo voi essere rapita da un pirata vi rende una persona sporca?» tornò a domandarle, le sopracciglia che disegnavano due archi perfetti. «L’avete forse deciso voi di vivere con Evry?» Con un movimento deciso si liberò degli stivali.
«No, ma… quell’uomo mi ha…»
«Sapete che cosa vedo, guardandovi?» Gli occhi castani la fissarono in maniera diretta e profonda.
Leila tornò a sentire un brivido caldo lungo il corpo. Senza volerlo, il suo sguardo finì sul torace che aveva davanti. Il profilo dei muscoli era marcato sotto la luce dorata che lo illuminava. Ebbe l’impulso di allungare una mano e toccarlo, ma la domanda appena posta aleggiava tra loro.
«Vedo solo una donna con un coraggio comune a pochi.»
Leila aprì la bocca, sorpresa. «Coraggio.» Scosse la testa, e lasciò che i capelli le coprissero il volto. «Se aveste visto il modo con cui mi arrendevo a quel bastardo, dubito che mi reputereste cor…» Fece un lungo sospiro, le parole che si arrotolavano sulla lingua agitata. «Coraggiosa.»
Lewis allungò una mano verso una delle cicatrici. Se ne stava sopra il seno sinistro, era lunga un paio di pollici. Bianca e dai bordi frastagliati, somigliava a una piccola freccia che puntava verso il cuore.
La immaginò legata, alla mercé di Evry, sanguinante e sola. «Come mai vi feriva in questo modo?» domandò in un sussurro.
«Perché, ogni volta che…» Leila vacillò. «Che voleva… io tentavo di ribellarmi e allora lui mi torturava. Mi tagliuzzava, dopo avermi legata. Dovevo rimanere brava e non urlare, se non volevo sentire altro dolore.»
«Posso?» Prese un lembo della veste da camera.
Fece un timido gesto di assenso.
Scostò la stoffa e il corpo sinuoso tornò davanti ai suoi occhi, a tormentarlo. Le cicatrici erano decine: intorno al seno, sulla pancia, sui fianchi, proseguivano sull’interno delle cosce e sui glutei ma la pelle sopra i seni era intatta.
Lei parve intuire il filo dei suoi pensieri. «Mi faceva confezionare degli ottimi vestiti. Non dovevo rovinarli certo con le cicatrici.» Singhiozzò, ma era calma, in una dignitosa accettazione di quel che le era successo. «Non ero altro che un oggetto. Un pezzo in più del tesoro, che andava sottomesso, certo, ma non rovinato. Non a prima vista, almeno.»
Lewis tornò a osservare quei tagli biancastri che rilucevano sotto la candela. A giudicare dal numero, Leila era stata molto difficile da ammansire. «Ve l’ho detto, siete coraggiosa.» Sorrise, mentre ne seguiva il respiro agitato, la curva del seno. «Ci vuole coraggio per convivere ogni giorno con le proprie cicatrici, Leila.»
Stavolta fu la moglie a toccare la sua. La lunga diagonale frastagliata che gli attraversava tutto il torace. I piccoli polpastrelli di Leila seguirono gli avvallamenti lasciati dall’ago e del filo. Una lenta esplorazione che mise a dura prova il suo controllo.
«Com’è successo?» gli domandò, a mezze labbra. Gli occhi neri che luccicavano di curiosità. Le lacrime erano sparite, e il viso più tranquillo.
Le afferrò la mano e la poggiò sul letto, senza lasciarla. Se doveva parlare non poteva sentire quel tocco su di lui.
Le loro dita si unirono in una stretta. «A Messina, l’estate scorsa. Comandavo il mio reggimento di dragoni.»
La vide abbassare il capo e registrare mentalmente quella parola.
«Sono un corpo dell’esercito. Soldati abili a cavallo e con il moschetto. E durante uno scontro, un nemico mi ha ferito.» Evitò di dire chi fosse in realtà il colpevole. E rimase un attimo in silenzio a calmare il battito furioso del cuore, come ogni santa volta che era costretto a ricordare cos’era successo.
E tutto ciò che vi era stato prima.
«Sembra una brutta ferita.»
«Lo è stata» le rispose. «Ho rischiato di morire, perché è stato molto difficile farla richiudere. Sono rimasto a letto per mesi, nel castello di famiglia a Berwick, su al nord.» Sospirò. «Dovreste visitare le nostre terre, un giorno.»
Leila non rispose.
«Vi manca?» le domandò.
«Cosa?»
«Mulay, la vostra famiglia…»
«Da morire.» Gli occhi le tremarono.
«Vi piacerebbe tornare?»
«Volete che sia sincera?»
Lewis sentì le sue dita strette in una morsa forte e decisa, che nascondeva la paura. «Parlate liberamente. Temete che possa offendermi?» Increspò le labbra in un sorriso tenero e beffardo.
Il petto di Leila si alzò, in un movimento che ne mise in risalto le forme. «Darei qualunque cosa per rivedere mia madre, le mie sorelle. Per parlare con mio padre, e vestirmi come la mia gente. Rivedere le dune del deserto e il mare che s’infrange lungo la costa. Il sole che scende dietro alle cupole del palazzo… la musica, i profumi, i sapori… Ogni cosa mi sta sfuggendo. Temo di perdere per sempre il ricordo di ciò che sono stata.» Aveva parlato tutto d’un fiato, senza mai guardarlo.
«E dovrei biasimarvi, per questo?»
«Bias... ma..?»
«Biasimare. Vuol dire rimproverare, criticare.» Le scostò una ciocca di capelli dal volto e
assaporò il profilo, lo zigomo alto, la bocca carnosa. «I vostri sentimenti sono leciti e del tutto naturali, Leila. Non dovete sentirvi in difetto, per questo. Vorrei potervi aiutare ma… siamo qui, e non vi è nulla che possiamo fare per cambiare ciò che siamo diventati.»
«Non vi piace proprio il matrimonio?» Lo sguardo era rivolto a un punto indecifrato della camera.
«Diciamo solo che non ci sono mai andato molto d’accordo.»
Il viso della moglie puntò allo scrittoio. Verso quel quadro che appena spuntava da oltre la stoffa.
Con la scusa di andare a chiudere la finestra, Lewis si avvicinò al tavolo. Prese il drappo e lo posizionò meglio sul ritratto, quello di cui ancora non aveva avuto la forza di liberarsi.
Tornò verso il letto.
«Vi amavate?»
La domanda arrivò diretta e letale. Scattò in avanti, come se avesse una lama contro la schiena. «Ve ne prego. Non parliamo mai del mio primo matrimonio.» Tornò a stringerle la mano. «Sinceramente, Leila, non ne ho il fegato.»
Calò un silenzio strano.
Dopo qualche istante, lei appoggiò la testa alla sua spalla. E rimase così, zitta, le dita intrecciate alle sue, i capelli che accarezzavano la pelle, a offrigli una visuale su un corpo tentatore, ormai troppo vicino.
«Vi chiedo scusa» mormorò Leila.
«E di cosa?»
«Siete mio marito, volete di certo una donna che non si ritragga al vostro tocco.»
«Non mi sembra che sia questo il caso.» Incapace di resistere oltre, le sfiorò delicato un seno. «Vi dà fastidio quando vi accarezzo in questo modo?»
«No, affatto.» Arrossì, quasi con violenza. «Vorrei che…»
«Continuassi?» Le sfiorò il capezzolo, la curva del seno, scivolò lungo lo sterno e si soffermò sulla pancia.
E lei fremette.
Se proprio doveva rendere quel matrimonio legale, voleva che non rassomigliasse a uno stupro.
«Sì» mormorò appena Leila.
«Perché ve l’ho detto.» Si chinò a baciarle la pancia. «Non voglio costringervi a fare nulla contro la vostra volontà.»
Lei sospirò, mentre lui le accarezzava i fianchi, le cosce, pronto a scendere un po’ più giù.
Fissò gli occhi neri, lucidi, ma senza più lacrime. Erano divenuti ardenti e si socchiusero appena, quando l’accarezzò in maniera più intima.
La testa di Leila strusciò contro il suo collo, quasi alla ricerca di un posto dove nascondersi. Il corpo si era fatto più vicino, i fianchi che aderivano contro il suo bacino. Continuò, osservando i muscoli tendersi, sotto il tocco rossastro della candela.
«Fermatemi, Leila, se sentite dolore, o fastidio» mormorò, mentre la baciava.
La risposta furono le mani di lei che sprofondarono nei capelli. La loro pelle aderì in un contatto perfetto, sensuale. I seni strusciarono lungo i suoi pettorali.
Con delicatezza, la fece stendere sul letto, e tornò a baciarle le cicatrici, in una lunga scia di carezze.
Leila si contrasse appena, quando le dita tornarono a saggiare la sua femminilità. La schiena aderì con più forza contro le lenzuola.
Un misto di dolore e antichi incubi tornò a posarsi sul petto, ma le dita si mossero con maggiore audacia e la vecchia nebbia di sofferenza si diradò d’improvviso.
La baciò ancora una volta mentre le mani scivolavano sui fianchi.
Piacere, era questo ciò che stava provando Leila.
Sentiva le labbra di Lewis sulla pelle e un calore sempre più forte. Voleva muoversi, fare qualcosa, assaporare quel viso, ma era sospesa nell’attesa di ciò che sarebbe presto arrivato.
Lewis l’avvolse in un caldo abbraccio. Le girava la testa e temette di urlare dalla paura.
Fu sul punto di fermarlo quando arrivò il dolore familiare.
Qualcosa di già visto e provato che le provocò un conato di vomito, ma la paura svanì in fretta, quando un lieve, dolce movimento, le cullò il bacino.
Non c’era più dolore.
Rimase immobile, in bilico su quell’emozione mai provata prima, mentre lui ancora si muoveva, lento, i capelli castani che le ondeggiavano sul viso, le iridi che riflettevano le sue.
Lasciò scivolare le mani sulla schiena del marito, seguì il contorno delle cicatrici, appoggiò il volto sulla spalla e fu allora, quando il movimento divenne un po’ più audace, e il piacere fu sul punto di bucare in maniera definitiva i suoi incubi, che il profumo floreale la colpì con più
forza.
Un istante di fredda lucidità che le permise di riconoscere, senza errore, la fragranza del gelsomino.
Le passò, veloce, un volto davanti agli occhi, ma non ebbe il tempo di concentrarsi su quella strana intuizione.
Schiuse le labbra in un gemito inaspettato, un sospiro di piacere che le lasciò il ventre caldo, mentre lui l’abbracciava e insieme si accoccolavano sul letto, finalmente sposati.