Capitolo 8
Leila aprì gli occhi a fatica, ancora prigioniera di un sonno profondo, senza incubi.
Un caldo, tranquillo benessere aleggiava all’altezza dello stomaco e si propagò in fretta alla mente, mentre prendeva contatto con ciò che era accaduto la sera prima.
Un sorriso le passò sulle labbra, la testa che si accoccolava con soddisfazione sul cuscino, gli occhi intenti a seguire i raggi del sole oltre le tende, il cuore pronto ad accogliere il nuovo giorno con una speranza in più.
Voci confuse arrivarono da oltre la porta che divideva le camere. Aveva ancora difficoltà a capire l’inglese quando si confondeva in un chiacchiericcio indistinto o proveniva da lontano, come in quel momento. Si concentrò su quei suoni più per esercizio che curiosità.
Erano le sue domestiche, venute di certo a chiamarla. Parlavano e ridevano, e le giungevano sprazzi di discorsi e pettegolezzi. Un elenco delle cose da fare, racconti di un marito arrabbiato.
Le stette ad ascoltare per un po’, fino a quando la sonnolenza tornò a cullarle la testa e il corpo si adagiò, rilassato, contro le lenzuola.
«A quanto pare il letto di Aileen non gli basta più, finalmente si è reso conto che è di nuovo un uomo sposato.»
«Zitta, stupida, dove credi che sia la duchessa? Abbassa la voce.»
Leila sgranò gli occhi, improvvisamente sveglia.
Tese l’orecchio, ma trovò solo il silenzio e si chiese se avesse davvero udito quel breve discorso che l’aveva colpita come un pugno in piena faccia.
Balzò giù dal letto e tornò nell’altra camera.
La sua comparsa provocò un vago e rosso imbarazzo sui volti delle due giovani, e sbiancò sotto l’ipotesi che non si fosse per niente sognata l’assurda frase.
Aileen…
Cancellò per un momento quella folle prospettiva.
«Duchessa, vostro marito comunica che degli impegni lo tratterranno per alcuni giorni fuori Londra.»
Quella notizia la fece rimanere un attimo senza fiato. Perché non l’aveva svegliata per salutarla?
Ripensò a come era stato gentile e comprensivo. Come minimo si aspettava almeno un arrivederci. «È già partito?» domandò, all’improvviso.
«Non ancora…» non lasciò finire la domestica.
«Muovetevi, aiutatemi a vestirmi. Alla svelta» sentenziò.
Quando ebbero finito, scese in fretta la scalinata fino a raggiungere il cortile di Hawk’s House .
Fu accolta dal sole primaverile che brillava sull’immenso giardino. Faceva risaltare il verde dei prati, delle aiuole piene di fiori colorati, che, insieme ai viali di alberi e statue, componevano una geometria perfetta.
E in mezzo a uno di questi se ne stava il cavallo nero di Lewis, uno stalliere a tenere le redini. Alzò il muso verso la fontana a cerchio, lambita dai rami nodosi della gigantesca quercia che dominava il giardino.
Leila raggiunse l’animale che si voltò a guardarla con diffidenza. Era nero, lucidissimo, la lunga criniera e gli zoccoli circondati da una folta peluria, la muscolatura possente che riluceva sotto il sole. Mosse una zampa e iniziò a grattare la ghiaia con lo zoccolo, impaziente.
Ares era nobile, fiero e arrogante come colui che lo cavalcava.
«Buongiorno Leila, già sveglia?»
Voltò di scatto la testa verso il marito. Indossava la divisa da capitano dei dragoni. La giacca rossa, con il lungo cordone dorato che penzolava da una spalla, a ricordarne il grado. I capelli castani ordinati in una coda, il tricorno nero come gli stivali, la spada al fianco e la solita, imperturbabile, espressione.
«Mi hanno detto che state partendo.» Il tono di un rimprovero a colorarle la voce.
«Sì, starò via per qualche giorno.» Le sorrise, accattivante e misterioso. «Affari di stato.»
«Potevate salutarmi.» Stavolta era proprio un rimbrotto.
«Non volevo disturbarvi, si tratta di una questione da nulla.» Ma un luccichio sinistro scintillò, per un istante, negli occhi castani, lasciandole addosso un cattivo presagio.
Rimase zitta, non sapendo che fare, d’improvviso colpita dall’imbarazzo. Lewis le aveva preso la mano, risvegliando in un colpo solo tutte le sensazioni della sera precedente. Le baciò il dorso e lei desiderò, in un istante di pura follia, che l’abbracciasse come qualche ora prima, proprio lì, in mezzo al giardino.
«A presto, Leila.» Montò in sella e partì al galoppo, senza più voltarsi indietro. Lei rimase impalata in mezzo al viale, sconcertata delle continue emozioni che, come un mare in tempesta, agitavano la sua anima.
«Iniziato bene la giornata, duchessa?» La fragranza del gelsomino annunciò la presenza di Aileen prima della sua voce.
E Leila sentì la terra sgretolarsi sotto i piedi.
Il parco di St. James , con i suoi viali ordinati, circondati da file regolari di alberi e di aiuole fiorite, offriva un riparo dal sole caldo, preludio di un’estate che sembrava avvicinarsi veloce.
Numerose dame passeggiavano accompagnate dai rispettivi cavalieri o dalle amiche, costeggiavano il canale d’acqua, la cui superficie era scossa da una lieve brezza.
Un gruppo di pellicani sostava sulle rive della Duck Island, dall’altro lato del naviglio, i lunghi e profondi becchi che incuriosivano i passanti.
«Degli animali piuttosto bizzarri» commentò Lorenzo.
«Sapete che è stato mio nonno a introdurre questa tradizione?» Nora alzò il ventaglio e si sventolò, delicata. «Fu l’ambasciatore russo a regalarglieli, da allora i diplomatici delle altre nazioni vengono spesso qui con dei nuovi esemplari.»
«Dicono che vostro nonno amasse molto questo parco, i suoi viali nascosti…»
Richiuse il ventaglio e distolse lo sguardo dall’italiano. «Più che altro amava giocare a Pelle Melle
Per un attimo rimasero a guardare i giocatori impegnati a tentare di infilare la palla, con un bastone, all’interno di piccoli archi di legno che spuntavano dal prato.
«Era un buon re. Almeno così si dice.» L’espressione di Lorenzo era troppo beffarda per non capire dove volesse andare a parare.
«Come ben sapete, le donne non sono adatte a parlare di politica.»
«Nora, non m’incantate. Riconosco uno sguardo vivace, quando l’incontro. E immagino che, come tutti, capiate le difficoltà che sta vivendo l’Inghilterra.»
«E a voi che cosa interessa?» Lo stuzzicò. «Non siete inglese.»
«Oh, pura curiosità. E che, dovete sapere…» abbassò la voce, guardingo e, con la scusa di farsi udire meglio, avvicinò di più il volto al suo. «Gli Hannover sono così bizzarri che è impossibile non essere attratti dai loro guai.»
«Guai!» Nora alzò le spalle, in apparenza indifferente, in realtà stimolata da quella conversazione. Il musicista era forse il primo uomo che si azzardava a parlare con lei di politica. Persino suo fratello la ignorava da quel lato.
«In fin dei conti, si tratta solo di un re che non ha una moglie.»
«Questa affermazione, Nora, lo sapete meglio di me, non è del tutto corretta.»
«Beh, ammetto che lo scandalo di Sofia Dorotea sia stato piuttosto ingombrante sotto molti punti di vista.»
Lorenzo inforcò un viale che s’inoltrava in un fitto boschetto. Per un istante esitò, poi lo seguì, curiosa di continuare la conversazione.
«Ingombrante è a dir poco.» L’italiano continuò a camminare. «Tuttavia, si può solo ammirare una donna come Sofia che ha avuto il coraggio di seguire il proprio cuore, andando contro tutti.»
«Si è trattato solo di un corteggiamento.» Sorrise, ma sentì il cuore agitarsi.
«Così dicono. Ma allora perché esiliarla dopo che il conte Königsmarck venne ucciso?»
«Abbassate la voce!» Osservò gli alberi che la circondavano, oltre le fronde, il canale scorreva placido, illuminato dal sole. «Attento a quello che dite, siete un pazzo incosciente!»
«Mettiamola così, allora. Se il conte è semplicemente sparito, perché allora Giorgio ha esiliato sua moglie Sofia ad Ahlden?»
«Il re è sempre stato un tipo piuttosto severo.»
«Non vi ha mai incuriosito questa storia? Vostra madre non era la dama di compagnia di Sofia? La sua più intima amica?»
Si sedette su una panchina. Tenne per sé il fatto che quella antica storia d’amore avesse attirato molto tempo fa la sua attenzione. «Sì, lo era. Ma non parla molto della sua gioventù.» Si strinse nelle spalle. «Mia madre è una donna riservata.»
Lorenzo sedette accanto a lei. «Viaggio molto come sapete, e adoro ascoltare gli intrighi di corte, gli antichi scandali… legna per una buona immaginazione, non trovate?»
Avvampò, d’improvviso a disagio, sotto gli occhi scuri e penetranti di Lorenzo. Si ritrovò a seguire il profilo della mascella, il collo avvolto dal fazzoletto, il torace muscoloso costretto nella giacca scura. Indugiò sulle labbra carnose per poi tornare vittima dello sguardo profondo e magnetico.
«Dimenticavo, non ve l’ho ancora chiesto.»
Sussultò, addosso l’imbarazzante sensazione di essere stata colta sul fatto. Tentò di lisciare un’inesistente piega del suo vestito verde. «Che cosa?»
«Perché avete accettato di fare questa passeggiata?»
Era una domanda lecita, del tutto innocente, forse, ma il tono era così profondo e carico di sottintesi che balzò in piedi. Quel piccolo boschetto era troppo appartato. Un conto era fare una passeggiata con un musicista davanti a tutti, un altro era svanire nelle viscere del parco, con tutti quei vialetti creati da suo nonno per perdersi insieme alle amanti.
«Temo che si sia fatto tardi, la principessa avrà di certo bisogno di me.» Borbottò, e tornò verso il viale principale.
Sulle guance aveva l’inferno, ma per il momento tentò di ignorare l’effetto assurdo che quell’uomo aveva su di lei.