Capitolo 9
I vetri vibravano, frustati dalla pioggia che sembrava aumentare d’intensità.  Leila cercò di concentrarsi sul libro, uno dei tanti esercizi che si era imposta di fare per guadagnare sempre maggior padronanza della lingua inglese. Strinse le spalle, infreddolita da quel clima cupo che danzava fuori dalla finestra.
Lewis era lontano da alcuni giorni.
E lei ancora non aveva avuto il coraggio di affrontare la faccenda…
Lasciò lo scritto per scrutare la dama di compagnia, impegnata in un’altra lettura. Gli occhi azzurri che saettavano avanti e indietro, la ciocca di capelli biondi ondeggiava sul collo, e la luce del grosso candelabro ne esaltava i riflessi, facendoli sfumare verso un insolito tono rossastro.
Leila sfregò le spalle contro l’imbottitura della poltrona. Un lampo azzurrognolo allungò la sua luce fino al centro della stanza e il tuono che lo seguì fece tremare i vetri. Aileen sobbalzò.
La giovane abbandonò il libro sul grembo e fissò, cupa, la finestra. «Che tempo orribile!» sospirò. Le pupille della donna erano attraversate da un’ombra che Leila riconosceva come inquietudine.
«Qualcosa vi preoccupa, Aileen?»
«No, nulla.»
«Devo farvi una domanda.» Decise di essere diretta. Doveva sapere o non sarebbe più riuscita a chiudere occhio.
«Fate pure.»
«Andate a letto con mio marito?»
Il libro scivolò dalle mani di Aileen con un tonfo secco. La vide annaspare, prima di ricomporsi in una balbettante risata isterica. «Che cosa vi salta per la testa, duchessa?»
«Non sono una stupida. Purtroppo, conosco abbastanza l’inglese per ascoltare le chiacchiere delle domestiche.»
Aileen fece un lungo sospiro. «E va bene, dunque. Sì, Leila, è così.»
Poggiò le mani sul grembo, sulla stoffa di broccato vermiglio, lucida, morbida. Come le lenzuola di Lewis. L’anello che portava all’anulare era sormontato da un rubino che pareva fiammeggiare sotto ai candelabri.
Conosceva il significato del matrimonio a Mulay, ma non aveva idea di cosa significasse davvero un’unione del genere in quella terra tanto lontana dalla sua. Cinse il dischetto d’oro con due dita e iniziò a rigirarlo.
Gli occhi di Aileen erano su di lei.
«Mio padre ha cinque mogli» esordì, prima di incrociare lo sguardo della dama di compagnia che brillava di sorpresa. «Almeno erano cinque, quando sono partita. Può darsi che ora siano di più.» Lasciò la poltrona per la finestra. «Sono figlia della sua prima moglie, la più importante. Anche Abbass, l’erede al trono, lo è. Mia madre andava d’accordo con le altre mogli, faceva di tutto per tenersele amiche. Altre invece litigavano tra loro, perché volevano diventare la preferita di mio padre o tentare in qualche modo di scalzare mia madre. Sono stata cresciuta per diventare la prima moglie di un principe arabo, ho sempre saputo che avrei dovuto condividere il letto di mio marito con altre donne. Che non sarebbe mai stato solo mio
Aileen fece un grosso sospiro.
«Pensavo che qui in Inghilterra la faccenda fosse un po’ diversa.»
La sua dama di compagnia sembrava aver perso la lingua.
Leila tornò a sedersi e la fissò. «Che cosa dobbiamo fare adesso, Aileen?» La donna parve agitarsi. «Intendo, dobbiamo essere amiche o nemiche?» Tornò a giocherellare con l’anello. «Per me siete stata un’amica. Mi avete aiutato e sostenuto, e ora sono scombussolata. Da un lato vorrei alzarmi e cavarvi gli occhi con le mie stesse mani, e non so nemmeno perché, dall’altro, non ho alcuna intenzione di perdere la vostra amicizia.» Fece una lunga pausa. «Sempre che da parte vostra si tratti di un’amicizia sincera.»
Aileen allungò una mano a raccogliere il libro, una scusa come un’altra per permettere al cuore di calmarsi. Sistemò il volume con cura sopra il tavolino e si rese conto di provare le stesse identiche sensazioni appena descritte da Leila.
«Viviamo in un mondo di uomini. Lo sapete meglio di me come veniamo trattate. E credo che sia molto più importante avere una buona amica, piuttosto che bruciare nella gelosia.» Le sorrise.
Leila fece altrettanto. «è una situazione piuttosto… avete una parola che mi piace molto per descrivere una cosa del genere…»
«Credo che il termine che stiate cercando sia “bizzarra”.»
«Ecco.»
La moglie di Lewis fece un’altra, lunga e interminabile pausa. Aileen si sentiva più sollevata, ma allo stesso tempo, la nausea del disagio le attanagliava lo stomaco.
«Posso solo chiedervi che tipo di sentimento vi lega a lui?»
Aileen chiuse gli occhi e non ebbe un attimo di esitazione. Rispose nello stesso istante in cui l’ennesimo tuono irruppe nella stanza. «La vendetta.»
La saetta bluastra aveva squarciato in due il cielo, una ferita dai contorni frastagliati che era riuscita a illuminare, per un istante, le nubi dense di pioggia.
Gli zoccoli di Ares mordevano il terreno, veloci, sollevando zolle di fango. L’odore acre e pungente di terra bagnata si levava dal bosco circostante e il vento soffiava con maggiore intensità.
Piccoli rivoli d’acqua scivolavano dalla tesa. Strinse le redini, il respiro all’unisono con l’andatura del cavallo, il rumore umido del fango smosso e il cuore che rumoreggiava nel petto, come i tuoni sopra la testa.
Tra gli alberi comparve il profilo di un paio di tetti e Lewis sorrise, soddisfatto. Charles, il suo attendente, lo seguiva con gli altri, ma lui diede un altro colpo di tacco e sentì i potenti muscoli di Ares aumentare ancora la velocità. Il cavallo continuò a macinare fango. Lewis tirò le redini al delimitare del bosco e, al riparo dietro ai tronchi, osservò la casa di fronte. Il bagliore giallognolo di una candela tremolava al piano inferiore.
«Secondo voi dovremmo intervenire, Duca?» Maximilian Von Grouber si fece avanti, le mani che stringevano il mantello inzuppato intorno al collo.
«C’è troppo silenzio.»
«Che siano addormentati?»
«O potrebbe essere una trappola, questa tranquillità ha qualcosa di sbagliato.» rispose Charles.
«Non è possibile che siano stati avvertiti» aggiunse Maximilian, preoccupato.
Lewis assottigliò lo sguardo, gli era sembrato di vedere un movimento intorno alla casa. «Siamo in una guerra di spie e contro spie, tutto è possibile.» Impose il silenzio e strinse il moschetto, le ombre intorno al casolare erano diventate più numerose. «Tenetevi pronti.» Imitò per due volte il richiamo di una civetta. «Rimanete compatti» mormorò, prima di fare il terzo richiamo. «Ora!»
Dal bosco uscì l’intero reggimento dei dragoni, che, moschetti in pugno, iniziarono a circondare la casa. Le ombre uscirono allo scoperto e risposero al fuoco, Lewis ne puntò una e la fece stramazzare al suolo. I nemici erano schierati e armati, come previsto, si aspettavano di ricevere visite.
«Coprite il lato destro, dobbiamo rompere la difesa» ordinò, mentre ricaricava l’arma. Ebbe solo il tempo di individuare una porta che si apriva, e di scendere al volo dalla sella di Ares.
Un lampo giallo e poi tutto esplose.
Rimase privo di conoscenza per qualche istante. Fango e sangue gli riempivano la bocca, e le orecchie erano assordate da uno strano mormorio lontano fatto di spade, urla e moschetti.
I cavalli nitrivano imbizzarriti, vide Ares allontanarsi al galoppo e aggirare il muro diroccato che circondava la casa.
Con fatica, Lewis si rimise in piedi e sputò. Ripulì la bocca con la manica della camicia e osservò la battaglia che imperversava intorno. «Un mortaio. Hanno usato un fottuto mortaio.» Imprecò.
Un tuono rimbombò nel cielo. Riprese in mano la spada e l’affondò nel torace di uno scozzese che lo aveva appena caricato.
Erano piuttosto numerosi i bastardi, pensò, mentre si lanciava addosso all’ennesimo avversario.
«Lewis!»
Tirò fuori la spada dalla trappola di muscoli, ossa e sangue in cui l’aveva infilata e scrutò nella mischia.
Il vento era diventato più forte, la pioggia era cessata e l’oscurità della notte incombente rendeva i volti sfocati. Null’altro che facce contrite dallo sforzo dello scontro.
Ma l’ennesimo lampo illuminò un uomo accanto al casolare. Sotto la luce azzurrognola, il viso sfregiato di Douglas Mackay appariva come un demone risputato dagli inferi. Un diavolo che lo fissava: una muta sfida lunga due anni.
Lewis iniziò a correre. Evitò cadaveri e colpi di moschetto, fino a raggiungerlo.
«Lewis, mi sei mancato! è passato un po’ di tempo dall’ultima volta.» Douglas lo accolse con un sorriso beffardo, la spada alta, pronta ad attaccare. Scrutò gli occhi di Lewis, i capelli appiccicati al viso, la divisa inzuppata e gli schizzi di sangue sulle mani.
«Stavolta dobbiamo concludere la questione. Sei d’accordo con me?».
Douglas Mackay passò la lingua a umettare quel che restava delle sue labbra. «Per una volta sì!»
Un istante dopo, la lama di Groundale strideva contro alla sua.
«Non sarà facile combattere in mezzo al fango.» Douglas sganciò la sua lama con un movimento circolare e potente che non scalfì la sicurezza dell’avversario.
Lewis fece un passo indietro, prima di tornare ad alzare la guardia. «Temi di essere sconfitto? Dimenticavo che ami cogliere le persone alle spalle.»
Stavolta fu lui a sputare, indispettito. «Pensavo che dall’ultima volta ti fossi un po’ calmato. E invece sei sempre il solito stronzo arrogante.» Due suoi fendenti furono parati con velocità disarmante, e la cosa lo fece indispettire. «Dimmi un po’, ti scopi ancora mia sorella?»
Lewis compì un semicerchio e con due finte, rischiò di penetrare la sua difesa. «Perché, che cosa te ne importa? Gli hai ammazzato il marito senza battere ciglio. Lui sapeva, non è così? Ti aveva scoperto.»
Un fendente alto, uno basso, un semicerchio e le spade finirono di nuovo una contro l’altra, assetate di sangue, come lo sguardo d’odio che gli stava riservando Lewis.
«Ho dovuto prendere le giuste precauzioni. Ma in fondo, vedo che Aileen si è consolata piuttosto in fretta.» Sganciò la lama e, con uno scatto veloce di lato, riuscì a trovare la carne dell’avversario.
Poco più di un graffio sul collo che lasciò del tutto indifferente l’imperturbabile duca di Groundale. «Non te ne frega davvero più niente di lei? Eppure, un tempo, avresti ucciso per proteggerla. Che ti è successo, Douglas?»
Strinse le spalle, in un gesto indifferente che nascondeva il senso di colpa. «Non ho mai tenuto molto ai legami.»
Dritto, rovescio, difesa di prima, una di quarta, una guardia alta, un mulinello. Una finta, e stavolta fu lui a essere ferito all’avambraccio.
«Menti» sibilò Lewis, soddisfatto per aver bagnato la sua spada.
Douglas grugnì sotto il dolore per la ferita. Cercò di mantenere uno sguardo più distaccato possibile. Gli stivali affondati nel fango rendevano difficili i movimenti, eppure riuscì a essere piuttosto svelto. Diede un calcio al braccio di Lewis, e bloccò la pesante stoccata che stava per colpirlo.
Groundale barcollò, cadde nel fango e rotolò tra la melma abbastanza in fretta da riuscire a mettersi su un fianco e guardarlo in faccia, mentre alzava la spada per ripararsi.
Douglas vide i due occhi castani fissarlo con scrupolosa attenzione, due fiamme accese di antico odio e nuovi rancori, che emergevano con prepotenza tra il fango.
Le certezze iniziavano a traballare, sotto il tumulto di pensieri che lo scivoloso discorso in cui si erano lanciati evocava con troppa nitidezza.
«Che diavolo è successo, Douglas? Posso capire l’odio che provi per me, ma non capirò mai quel che hai fatto a Aileen.» Lewis parlò alzandosi, la spada dritta a minacciarlo.
Douglas ebbe un tremito. «Che cosa blateri, adesso? Pensavo che volessi uccidermi, non conversare.» E agganciò il ferro di Lewis. Ma quegli occhi indagatori continuavano a scrutarlo, ed esponevano l’ultimo brandello di coscienza che gli era rimasto. «Non mi guardare così! Alec non era quel che sembrava! Ho cercato di proteggerla!»
«Da cosa?»
«Vallo a chiedere a tuo padre!»
Lewis lo tenne stretto in un gioco serrato di affondi e difesa. Dannazione, come diavolo faceva a muovere quella maledetta spada così velocemente? Groundale aveva alzato l’arma oltre la testa, Douglas fece lo stesso, ma la lama avversaria cambiò traiettoria per abbattersi di lato, in cerca del fianco. Ebbe solo il tempo di scartare ed evitare il peggio.
Sul volto ansante di Lewis passò un sorriso impertinente. «Che intendi?»
«Che il caro duca di Evonshire ha più di un segreto nel suo passato. Qualcosa di molto pericoloso. E a quanto pare non ti ritiene degno di saperlo.» Douglas serrò la bocca, in un gesto istintivo di pentimento. I sentimenti che Groundale evocava incrinavano lo scudo dietro cui si era nascosto.
Lewis fece una smorfia di rabbia. «Vuoi parlare per enigmi?» Sputò un grumo di fango, il braccio che si tendeva, pronto a un’altra stoccata. «Fallo pure, ma credimi, ti caverò le parole di bocca. Ti strapperò l’anima, se necessario.»
Douglas diede uno sguardo intorno, i dragoni vincevano e il prato era costellato dai cadaveri dei suoi uomini. Lewis lo incalzava e negli occhi brillava un sinistro presagio. Non voleva ucciderlo.
E lui non poteva permettersi di essere catturato.
Provò un altro fendente, ma stavolta il cerchio che compì Lewis gli fece saltare via la spada di mano. Il tempo di saltare all’indietro per evitare alla punta della lama di infilarsi nel cuore, e poi iniziò a correre, veloce.
Lewis gli imprecò qualcosa, ma non lo sentì. Saltò il muretto agile, e si voltò indietro, lo vide mentre tentava di rialzarsi, avvinghiato nella melma in cui si era trasformato il prato. La pioggia che riprendeva a scendere di nuovo, con violenza.
Lewis saltò a sua volta il muro. Douglas era già montato in sella, individuò Ares poco più in là e lo raggiunse, in bocca tutta una serie d’imprecazioni.
Saltò in arcione. Lo stallone partì all’inseguimento. Strinse con più forza le redini, incurante della pioggia.
Gli occhi erano fissi sulla schiena poco distante da lui.
Un colpo di moschetto.
Sapeva che gli ordini erano altri, doveva catturarlo e interrogarlo, ma in quel momento le sue intenzioni virarono verso una soluzione crudele e definitiva.
Una palla ben calibrata e si sarebbe liberato per sempre del suo personale demone.
Staccò l’arma dalla sella di Ares.
Quante notti si era svegliato di soprassalto con il viso di Douglas ancora impresso negli occhi?
Erano tante le cose che non voleva perdonare a Mackay. Il fatto di essersi finto un amico, di essersi guadagnato persino la fiducia di suo padre. Di aver privato Aileen di Alec.
Ed essersi portato a letto quella moglie che aveva cercato di amare in maniera disperata e incompresa.
Era colpa di Douglas se era andato in giro con quel bizzarro olandese, provando il tabacco d’oppio che tanto dava alla testa.
Per colpa di Douglas, aveva litigato con Mary.
Per colpa di Douglas, Mary…
Tirò il grilletto, ci fu un lieve lamento dell’arma e null’altro.
Polveri bagnate.
Ancora una volta, piantò il tacco nel fianco del cavallo. Uno schizzò di fango lo colpì in pieno viso. Una frustata umida che gli annebbiò la vista. Si ripulì la faccia con un grugnito, le redini viscide di pioggia che tentavano di scivolargli dai guanti. Abbassò la testa per evitare un ramo di un albero strattonato dal vento.
Mancava poco, solo un altro po’ e lo avrebbe raggiunto. L’ennesimo colpo di sprone. Un nitrito, un lampo. Il fragore del tuono e un altro nitrito carico di dolore.
Il bosco gli apparve d’improvviso obliquo, mentre gli stivali scivolavano dalle staffe e l’intero corpo veniva sbilanciato in avanti. Tentò di aggrapparsi al collo dell’animale, il muso che precipitava verso il suolo. Le mani scivolarono dalla pelle umida di Ares e un attimo dopo finì a terra con uno schianto.
La spalla e il braccio impattarono in maniera dolorosa contro qualcosa di duro nascosto sotto al fango. Il viso fu ricoperto di poltiglia.
E la testa saltò per aria.
Il mondo si era fatto nebuloso, una specie di martello aveva appena incominciato a devastargli la fronte nel punto in cui il sasso aveva impattato con l’osso.
Un bruciore più bollente del fuoco infernale iniziò a irradiarsi per tutta la testa, rivoltandogli allo stesso tempo lo stomaco. Cercò di alzare un braccio, ma non aveva più il controllo né del suo corpo né dei pensieri.
Era calato il buio.
E in quell’oscurità, suoni sgangherati giungevano alle sue orecchie.
Tra la nebbia che gli era calata sugli occhi, intravide il naso scheletrico di Mackay, di sicuro intenzionato ad approfittarsi della situazione. Il volto del suo nemico era puntato nella direzione degli zoccoli che gli sembrò di udire in lontananza.
Un attimo dopo, il viso di Douglas sparì.
Lewis cercò di dire qualcosa, ma tutto era diventato evanescente.
Ci fu un colpo di moschetto. Il miracolo di uno scodellino tenuto al sicuro dalla pioggia.
Le orecchie furono assordate da un rumore strano, metallico, ridondante. Nella testa erano comparsi i campanari di St. Paul e Westminster per intrattenerlo con un concerto disordinato e crudele.
Alzò parte del busto, appoggiandosi al gomito del braccio destro. Alle campane era seguito un ronzio e la vista era sempre più annebbiata.
Ombre si muovevano nel bosco, una correva veloce verso gli alberi. Qualcuno era giunto al suo fianco, riconobbe il volto di Charles.
Tutto prese a girare, le querce del bosco erano finite sottosopra.
Un nitrito. Incrociò lo sguardo con Ares che gli soffiava addosso il respiro caldo, l’animale gli sfiorò il volto, i due occhi che lo fissavano, quasi a invitarlo a salire in groppa.
Il capo gli cadde all’indietro, impattò al suolo. Nella testa esplosero mille cannoni.
Poi fu solo buio.